Vangelo di Matteo
Meditazioni
Silvano Fausti


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Testo word Fausti – Matteo 3 (Discorso parabolico)
Testo  PDF  Fausti – Matteo 3 (Discorso parabolico)

DISCORSO PARABOLICO
Matteo 13

Al discorso sulla missione, segue la parte narrativa. Nel capitolo undici, è visibile l’impatto che la missione ha con Israele. Purtroppo, tale missione non riscuote grande successo. Persino il Battista, che doveva preparare il popolo ad accogliere l’annuncio, non comprende. Egli attendeva un Messia con la pala, con il fuoco, con una scure, il quale avrebbe tagliato e bruciato il male. Invece, arriva un Messia che usa misericordia. Usare misericordia, può suscitare simpatia, poiché mostra bontà all’altro, però, nello stesso tempo, ti uccide. Se hai misericordia, ossia mostri compassione all’altro, finisci male! Se, invece, sei spietato, è l’altro che finisce male! Non dobbiamo dare troppo per scontato di aver compreso il mistero della croce: “Beato chi non si scandalizza di me!”. Infatti, l’annuncio della Parola, suscita resistenze ed opposizioni, in ognuno di noi. Cristo, poi, non solo non è accettato dal Battista, ma anche dagli altri, dalla sua generazione, la quale lo considera mangione e beone, una persona pericolosa. Questa reazione, in un certo senso, è anche la nostra: neghiamo un primo passo, quello del Battista, cioè la conversione.

Alla fine del capitolo undicesimo, c’è la rivelazione del rapporto Padre-Figlio ai piccoli, i quali possono dire Abbà, in quanto figli del Figlio. Questo è il fine della missione: inserirci nella Trinità come figli nel Figlio; avere con il Padre lo stesso rapporto che ha il Figlio.

Con le incomprensioni del Battista, della generazione di Gesù, con le incomprensioni d’essere figli, termina il capitolo undicesimo.

Anche il capitolo dodicesimo, è tutto un intreccio tra la sapienza nuova del Vangelo, la sapienza del piccolo, la sapienza del Figlio e sapienza della legge antica. Infatti, contro la sapienza del servo, c’è la sapienza dei teologi, i quali sanno bene interpretare l’azione di Gesù, a tal punto da aver capito che egli scaccia i demoni in quanto loro alleato. Bella sapienza! Quante volte, anche noi, con le nostre teorie, con le nostre ragioni, riusciamo a provare l’esatto contrario di ciò che è vero. Quando difendiamo una cosa, con mille ragioni, mille argomenti, vuol dire che essa è falsa. Argomentazioni sottilissime che dimostrano che Gesù è un “demonio”! Questo è il peccato contro lo Spirito, peccato che non può essere perdonato, poiché è mentire alla verità evidente. Quante volte imbroglio anche me stesso con teorie, raziocini, deduzioni, per non convertirmi! Il Vangelo, così, aiuta a farci scoprire la nostra mala fede; scoprire che, tante volte, sbagliamo è la più grande dignità.

Ai teologi, che interpretano malamente l’azione di Gesù, si contrappongono i semplici, i quali chiedono un segno. Quante volte ci capita di cercare conferme? “Quale segno mi dai, Signore?” il segno che Dio ci dà, è la sapienza del Figlio, è il nessun segno, è la fede, è la fiducia che non chiede più segni.

Anche questo capitolo si conclude non troppo felicemente con i parenti di Gesù che cercano di parlare con lui, poiché lo considerano fuori di sé. Questo è il destino di Gesù: i farisei e gli erodiani, decidono di ucciderlo; gli scribi e i teologi, dicono che è un indemoniato; i suoi parenti dicono che è matto. A quanto pare non ha avuto grande successo. Per questo Gesù fa un esame di coscienza, perché crede di aver sbagliato tutto, pensa di non aver avuto le giuste mediazioni nel suo ministero; è la crisi del suo ministero, crisi che capita a quanti fanno bene il loro dovere, ma che si accorgono che tante cose non vanno a buon fine. Allora, perché non c’è il trionfo del bene? Perché Dio non trionfa? Non potrebbe essere il Regno di Dio bello e forte? Anche Israele, attendeva un regno ben visibile, forte, potente, capace di vincere il male. Tuttavia, sappiamo bene che il regno di Dio, nella storia e nel presente c’è, e si manifesta sotto il segno del fallimento, dell’insignificanza, come lievito immondo, come chicco di senape, come seme che muore. Il Regno di Dio sempre si manifesta sotto il segno della croce, sotto il segno della lotta contro il male. Il Regno di Dio, non si può dire che sia ritardato dai cattivi (quante volte diciamo: “Ah, se non ci fossero i nemici della Chiesa, quante cose andrebbero meglio!”) anzi, essi non fanno altro che accelerare il disegno di Dio. Se leggiamo At 4,28, quando gli apostoli subiscono la prima persecuzione, essi hanno una seconda e più profonda Pentecoste che permette loro di comprendere che è vero ciò che accaduto a Cristo. …davvero in questa città si radunarono insieme contro il tuo santo servo Gesù, che hai unto come Cristo, Erode e Ponzio Pilato con le genti e i popoli d’Israele, per compiere ciò che la tua mano e la tua volontà avevano preordinato che avvenisse. I nemici fanno parte del disegno di Dio, hanno accelerato la croce, la salvezza del mondo. Il male non si oppone al disegno divino, al Regno di Dio: Dio infatti ha messo loro in cuore di realizzare il suo disegno e di accordarsi per affidare il loro regno alla bestia, finché si realizzino le parole di Dio.(Ap 17,17) Ciò che, invece, si oppone al Regno di Dio, non sono i cattivi, piuttosto siamo noi “buoni”, che non abbiamo discernimento, che non lo testimoniamo, che non viviamo con Lui. Il vero problema è quello di accettare Cristo per come è venuto a noi: povero, umile, mite, crocifisso, morto. Nonostante ciò, questo agnello ha vinto la violenza del lupo!

Le parabole mostrano come la Parola, la fede, l’annuncio, la Chiesa, impatta con il mondo e come questo entra all’interno di essa. Sono parabole di discernimento.

Nel capitolo 13 (v. 3-35), ci sono quattro parabole rivolte al popolo: la parabola del seminatore, della zizzania, del grano di senapa e del lievito.

Parabola del seminatore.

In quel giorno uscì Gesù dalla casa e sedeva presso il mare. E si raccolsero davanti a lui numerose folle così che lui, andato in una barca, stava seduto e tutto il popolo, sulla spiaggia, stava in piedi. Diceva loro molte cose in parabole dicendo: “Ecco, uscì il seminatore a seminare e, nel seminare, parte cadde lungo la strada e venuti gli uccelli, la divorarono. Parte cadde su terreno con sotto la pietra e, poiché non c’era profondità di terra, subito germinò, ma alzatosi il sole si bruciò e, poiché non aveva radici, seccò. Altra cadde tra le spine, crebbero le spine e la soffocarono. Altra cadde sulla terra bella e dava frutto, quale il cento, quale il sessanta, quale il trenta. Chi ha orecchi per intendere intenda”. (Mt 13,3-9)

I discepoli chiedono a Gesù la spiegazione della parabola ed egli dice loro: “A voi è dato di capire il mistero…”. È proprio chiedendo a Lui, che comprendi il significato della parabola; essa è racconto della vita di Gesù, del suo mistero di morte e risurrezione che è il mistero stesso della storia di ciascuno di noi. È confrontandoti con Lui che la comprendi, che entri in essa. Tuttavia, non basta il confronto, è necessaria anche la disponibilità alla conversione, a cambiare i propri criteri (altrimenti saremmo come chi, pur guardando non vede, e pur ascoltando, non intende). Bisogna chiedere al Signore che indirizzi i nostri passi sulla via della pace e della conversione.

Questa parabola nasce da una riflessione che Gesù fa in un momento davvero critico della sua missione in Galilea. Infatti, si accorge che nonostante abbia fatto tutto bene, annunciando il Regno, portando avanti la scelta del Battesimo, mettendosi in fila con i peccatori, vede comunque che ha tutti contro, anche i suoi parenti, i suoi amici. Ossia, si accorge che la Parola seminata è stata portata via, non ha attecchito, o se ha attecchito, non cresce, o se cresce è soffocata. È un fallimento totale! Sarà proprio il fallimento la costante della sua vita: il fallimento in croce, il fallimento del servo di Isaia. Così, Gesù cerca di leggere il senso profondo di questo fallimento, senza scoraggiarsi. È per questo che egli paragona la sua disfatta alla semina. Il contadino che semina, infatti, innanzi tutto dissipa il grano, con il quale probabilmente avrebbe vissuto un po’ di tempo, e inoltre, corre il rischio che parte di esso sia sprecato; eppure il contadino ha la certezza che la semina produrrà frutti. Come il seminatore, Gesù ha fiducia nella sua missione, ha la sapienza profonda che il seme, pur passando per difficoltà, pur essendo oggetto di rinuncia e di sacrifici, produrrà i suoi frutti.

Con questa parabola Gesù, pur essendo tentato da criteri umani di sfiducia, manifesta la sua fiducia totale, assoluta, radicale, in Dio e nella sua Parola. Uno dei criteri fondamentali dell’azione della Chiesa nel mondo è proprio il passaggio attraverso la croce, il fallimento, il rifiuto. Possiamo certamente fare la missione in modi più facili, ad esempio con corazzate, colonizzando e dominando territori, senza passare per il rifiuto, senza passare per la via della croce, ma non è così che nasce la Chiesa. Essa nasce appunto dalla semina. È un atto di fede in Dio, il quale è Dio della storia. Per cui non dobbiamo spaventarci dinanzi alle difficoltà, ai rifiuti, poiché non andiamo in cerca di successi. Il successo non è molto difficile da raggiungere: basta divertire un po’ le persone, intrattenerle la domenica, dicendo loro esattamente ciò che vogliono sentirsi dire, applaudendoci gli uni e gli altri, alimentando l’autostima reciproca. Capiamo bene, però, che questa non è la via della verità, tutto ciò non converte nessun uomo.

Il contadino di cui si parla, non è un contadino strano che semina sui rovi, sui sassi e tra le spine. L’antica semina, infatti, non veniva effettuata come ai nostri giorni, nel senso che essa si faceva su un terreno vergine, non arato precedentemente; solo dopo aver seminato, il terreno veniva arato. Questo perché potevano esserci grandi siccità o grosse piogge, che avrebbero potuto pregiudicare la semina in modo da seccare o disperdere i semi. Dunque, non è un contadino strano, piuttosto un contadino che conosce molto bene il suo mestiere.

La resa media di un terreno, ai tempi di Gesù, andava dal sette, all’undici per uno. Questo vuol dire che un sacco rendeva, mediamente, tra i sette e gli undici sacchi. Nel testo, invece, si dice che la semina caduta nel buon terreno, rende addirittura cento sacchi. Questa parabola è costruita su un contrasto: tante difficoltà, e poi, si raggiunge un risultato straordinario. Per cui, il contrasto non fa altro che sottolineare la bellezza del risultato.

Ecco, uscì il seminatore a seminare. Questa parabola vuol mostrare come avviene l’impatto della Parola in ognuno di noi, come esso passi per mille difficoltà e, nello stesso tempo, ci indica la via per il loro superamento. Infatti, la vicenda della Parola nel nostro cuore, è la stessa vicenda di Cristo nella storia, la stessa vicenda del Regno di Dio nel mondo. È facile dire agli altri “Peccatori, convertitevi!”, ma come vivo io questa Parola? Io, peccatore, mi converto? Non sono migliore degli altri, fossi anche Papa, fossi anche stato battezzato per mille volte. Ho le stesse resistenze, difficoltà, degli altri ed ho il medesimo dono di essere figlio di Dio.

Parte cadde lungo la strada. È esattamente l’esperienza di Gesù. Infatti, la sua Parola, cade in una strada su cui tutti passano, cade sulle ovvietà umane, e si scontra con esse. La Parola non può attecchire sulle nostre preoccupazioni concrete e diaboliche. Questo è il livello di ascolto normale che tutti abbiamo: sentiamo la Parola, però essa non attecchisce, ci solletica un po’ il cuore ma, poi, cade in dimenticanza. Il primo seme, allora, cadendo su tutte le nostre ipotesi (che sono il contrario della fiducia in Dio) potrà attecchire solo mediante la fede nella Parola.

Una seconda esperienza che Gesù fa è che la Parola viene accolta con un certo entusiasmo, per cui cresce subito, ma sotto questo terreno c’è la pietra, c’è il nostro cuore di pietra, il quale impedisce alla Parola di radicarsi. È un seme che si scontra con le durezze del nostro cuore, con le nostre paure, con le nostre sfiducie. È il secondo livello di ascolto. Come può attecchire questo seme? Attraverso una Parola che trasformerà, progressivamente, il nostro cuore di pietra in un cuore di carne.

Il terzo livello di ascolto, è dato dal seme che cade sulle spine, sui rovi. La Parola cresce bene in noi, ma insieme ad essa crescono anche tante altre cose che la soffocano. Le spine presenti nel mio cuore, non sono altro che le preoccupazioni, i desideri, le brame, il peccato che è in me.

Nonostante quanto detto, la semina non è per nulla inutile. Infatti, parte di essa cade sulla terra bella. Gen. 1,31: …ed ecco, era cosa molto bella. L’uomo è la terra bella , è Adam, è fatto per cogliere il seme della Parola di Dio. Infatti, Dio creò gli animali secondo la loro specie, l’uomo, invece non ha specie: l’uomo è specie di Dio se accoglie il seme della Parola. Noi siamo sposa della Parola, come il seme è sposa della terra. Siamo una sposa bellissima, che produce frutti pari al cento. Impossibile? Certo che è impossibile, ma la Parola ci rende Dio, figli di Dio. Non dobbiamo preoccuparci se la Parola si scontra con le nostre ovvietà, con i nostri ragionamenti, con il nostro buon senso, insomma con la strada, con le pietre, con un cuore duro e sfiduciato, con i falsi amori, con i falsi desideri. Non temiamo tutto ciò! La Parola, serve proprio ad evidenziare queste cose, dopo di che le vince. La Parola mi dona la fede che vince il mondo, è la speranza contro ogni speranza, è coraggio, è amore per amare come sono amato. Ecco, allora, che la terra bella – Adam – è la sposa che accoglie il seme, che ci rende della specie di Dio, figli di Dio.

Proviamo a leggere la parabola, già direttamente nella spiegazione (v. 18-23) e guardiamo come è stato finora il nostro rapporto con la Parola, e come è attualmente. È un rapporto di sentiero? È un rapporto di pietra? È un rapporto di spine? È un rapporto di terra bella? Cosa devo chiedere al Signore? Che la sua Parola entri nelle mie strade, nelle mie pietre, tra le mie spine, entri come fede, speranza ed amore, affinché io diventi terra bella, diventi Adam, diventi, progressivamente, sempre più figlio. Se voglio capire la storia di Cristo, la storia del mondo, devo prima comprendere in che rapporto mi trovo con la Parola. Certamente la Parola non filtra le difficoltà, non le diluisce, anzi le fa uscire! Sono le difficoltà della semina che permettono al regno di Dio di crescere.

Il primo scandalo che la Parola provoca in ognuno di noi, è che sembra essere inefficace, contrastata, ma è proprio questa morte apparente il mezzo indispensabile nella semina. È necessario vedere nella semina non un fallimento, ma un qualcosa di sostanziale per la storia della salvezza: lo scandalo della croce. Come il seminatore è certo che la semina produrrà frutti, così Gesù è sicuro del Regno di Dio. Allo stesso modo, anche noi, al di là delle difficoltà che sperimentiamo dentro e fuori di noi, dobbiamo affermare questa fede, affermare la speranza contro ogni speranza. D’altronde, anche la storia ci testimonia come il contadino non sia un folle, un illuso, infatti, si mangia proprio per virtù della sua semina.

Quello che scandalizza, poi, non sono tanto le difficoltà che incontriamo nel fare il bene ma piuttosto, che il bene che tentiamo di fare, non riesce, anzi diventa alquanto male. Mi sembra di aver seminato bene e, invece, c’è zizzania. Getto la rete con tanta generosità e insieme ai pesci, trovo scorpioni e serpenti velenosissimi. Non solo, dunque, ci sono le difficoltà del bene che, però, con un po’ di ragionamento, riesco a superare ma, oltre a questo, mi accorgo che c’è il male radicato in me e negli altri. Anche ciò che sembra essere non male, alla fine, è paragonato al granellino di senapa: il bene è talmente piccolo, talmente insignificante! Dopo tante fatiche di Dio, tante fatiche nella storia, è possibile che la Chiesa sia talmente piccola? Così insignificante? Queste sono le caratteristiche del Regno di Dio, rispetto al criterio di grandezza del mondo, rispetto alla purità del religioso, sempre bello, sempre apposto. Il Regno di Dio è sporco come il lievito, come farina andata a male. Come mai il Regno di Dio è edificato su gente che non è poi così brava? Perché siamo un pugno di lievito1.

Ora passiamo ad esaminare brevemente la parabola della zizzania con una piccola allusione anche a quella della rete, poiché sono due parabole alquanto parallele.

Parabola della zizzania

E offrì loro un’altra parabola dicendo: “È simile il regno dei cieli ad un uomo che ha seminato un bel seme2, nel suo campo. Mentre gli uomini dormivano venne il nemico e seminò zizzanie3nel mezzo del grano e se ne andò. Quando granificò la messe e fece frutto, allora apparvero anche le zizzanie. Andarono i servi dal padrone e gli dissero: Signore, non hai seminato seme buono nel tuo campo? Da dove vengono le zizzanie? Ora egli disse loro: Un uomo nemico ha fatto questo. Ora i servi gli dicono: Vuoi che andiamo e le raccogliamo?4 Ora disse: No, che raccogliendo le zizzanie non capita che sradicate insieme anche il grano. Lasciate5che crescano ambedue fino alla mietitura e quando sarà il tempo della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima le zizzanie e legatele in fustelli per essere bruciate ed il grano raccogliete nei miei depositi. (Mt 13,24–32).

Parabola della rete

Di nuovo è simile il regno dei cieli ad una rete gettata nel mare che raccoglie ogni genere di pesci e quando è piena la si tira a riva e seduti si scelgono i buoni e si gettano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. (Mt 13,47-49)

Quando si parla di giudizio di Dio, che è giusto ed è l’inferno, bisogna tenere presente quale esso sia. È la croce! Croce in cui Cristo diventa maledizione, peccato e abbandono. Se l’inferno è maledizione, peccato e abbandono di Dio, di conseguenza, la croce è l’inferno. Dico questo perché bisogna stare attenti a prendere la scrittura nel suo macro-testo. Voglio dire, se si isola un testo, posso fargli dire il contrario di ciò che l’insieme dice. Se isoliamo l’occhio, che è fatto per vedere, perché ne vogliamo conoscere la sua utilità, togliendolo dal resto del corpo, diremmo che non è vero che l’occhio permette di vedere. Lasciando nel corpo (macro-testo), invece, ci accorgeremmo che esso certamente permette di vedere. Un testo deve sempre essere visto nella sua organicità. Inoltre va letto di seguito, non saltando, poiché il brano successivo può essere capito grazie al precedente: è una forma di catechesi molto rigorosa.

E offrì loro un’altra parabola dicendo. La parabola è un’offerta (paradisene). A differenza di tutta la Bibbia, che è narrativa, la parabola (paraballo: scaraventare oltre) racconta una storia – e la storia è sempre meglio delle idee6 – e mi pone in una situazione che non è realtà, ma in cui, ad un certo punto ed improvvisamente, mi trovo scaraventato e mi accorgo di tante cose che prima non capivo, ad esempio che si sta parlando di me. Infatti, se Gesù mi avesse detto “Sto parlando della tua storia!”, gli avrei certamente risposto di lasciar perdere. La parabola ha un’efficacia particolare: la capisco quando voglio; è molto rispettosa ed ha un modo di proporre la verità anche a chi non vuole capirla. È una forma di enigma che chiama in questione ogni uomo, il quale non accontentandosi di non capire, si interroga e va alla ricerca del senso di quella storia. La parabola racconta una storia così ovvia e banale, che uno per forza si accorge di non aver capito qualcosa: mi dice che due più due fa quattro, ma questo lo so! Forse dietro questo c’è qualcos’altro. Nasce in me quindi il bisogno di sapere, di capire il senso velato della storia.

Nella parabola della zizzania, il Regno dei cieli, è ancora paragonato a colui che semina un bel seme, in una terra bella. L’uomo, infatti, è campo di Dio, è Adam, ed è bello perché fatto per il seme bello della Parola di Dio: il Figlio. La terra è sposa del seme, come l’uomo è sposa di Dio.

Mentre gli uomini dormivano venne il nemico e seminò zizzanie. Si tratta dell’inavvertenza nel sonno. Infatti, capita il sonno, capita l’inavvertenza ed è in esse che si inocula la menzogna. È un dato di fatto: sperimentiamo che nel mondo c’è anche il male, nonostante Dio lo abbia creato in maniera buona. La causa della presenza del male non è Dio, che è buono, ma è data dall’errore di fondo dei nostri progenitori.

Quando granificò la messe e fece frutto, allora apparvero anche le zizzanie. La gramigna non si distingue dall’erba e si diffonde così bene che strappandola si strappa anche il grano. Il male che è in me è inestirpabile.

Dinanzi al male che risposta diamo? La prima è: Signore, non hai seminato seme buono nel tuo campo? Mettiamo in dubbio Dio. “Signore, hai certamente sbagliato qualcosa!”, “La donna che tu mi hai dato….!”. Il male è quasi sempre un accusare Dio un continuo metterlo in questione: “Come mai, Signore hai fatto questo?”. In fondo, dinanzi al male, noi uomini rimaniamo sempre sorpresi; si tratta di un’irritazione con Dio molto velata. “Il seme non è buono? Non sei un buon mercante? Ti sei lasciato ingannare?”. È lo stesso problema di Giobbe, della teodicea, poiché il male mette in questione l’uomo e Dio.

Un uomo nemico ha fatto questo. Per esempio, prendiamo in considerazione Gen.3: la causa non è Dio, non è l’uomo, ciò vuol dire che esiste un terzo elemento.

Quel che conta è la risposta successiva, che tutti istintivamente abbiamo dinanzi al male: Vuoi che andiamo e le raccogliamo? Il nostro zelo, in fondo, è quello di togliere il male, togliere gli scandali, altrimenti saremmo collaborazionisti del male stesso. Quanto zelo religioso! E le guerre Sante? E le crociate? Quelle poche volte in cui la Chiesa ha ragione, uccide! Non parlo tanto delle guerre passate, ma di quelle attuali. È bene che chiediamo scusa di quanto facciamo noi oggi. La libertà è un bene superiore alla fede, poiché se non c’è libertà non può esserci nemmeno la fede. Ciò che è naturale è maggiore di ciò che è soprannaturale, in quanto è già grazia in natura. Alla nostra violenza istintiva davanti al male, Gesù risponde: No, che raccogliendo le zizzanie non capita che sradicate insieme anche il grano. Questo non solo perché grano e zizzania, sono mischiate, ma perché strappando il male, strapperemmo noi stessi. Se strappo il male, non ho misericordia per esso, divento io violento, divento lupo, non sono figlio. Il male che c’è nella Chiesa, negli altri, è luogo di misericordia, e se non sperimento questa misericordia non sono figlio.

Successivamente Gesù dice che le cose nascoste fin dalla fondazione del mondo, sono rivelate in parabole. Si tratta del mistero della misericordia di Dio che vince il male, che vince ogni violenza, violenza nascosta – come la zizzania – sin dal principio, presente nell’uomo e basata sul cadavere del fratello. La misericordia verso chi commette il male, quindi verso il nemico, è segno distintivo del cristiano.

Lasciate che crescano ambedue. Perdonate! In noi, nella comunità, ci sarà sempre una crescita mista di bene e di male. Tuttavia, questo male non deve essere luogo di esclusione, piuttosto di misericordia. Se il male non ci fosse saremmo tutti una setta di puri e non Chiesa di Dio, non saremmo cattolici universali, né cristiani, saremmo solo dei bravi legalisti. Tutto questo, ovviamente, apre grandi problematiche come quelle inerenti al divorzio, problemi che, però, vanno affrontati all’interno, non solo del discorso che dice che divorziare è sbagliato, ma di tutta la Bibbia che è misericordia, non sacrificio. È chiaro che divorziare è sbagliato, è chiaro che uccidere è sbagliato, ma che fare? O uccido anch’io, o perdono (senza mettere in discussione che è comunque sbagliato divorziare e uccidere). Bisogna vedere queste problematiche, all’interno del Vangelo, con molta serenità. La Chiesa è luogo di grande discernimento e di grande responsabilità, per cui bisogna stare attenti a non essere sempre zelanti nel voler strappare la zizzania, nel voler cacciare i cattivi, perché se così fosse, sarei io il primo ad uscire dalla Chiesa.

Alla parabola della zizzania, segue la spiegazione, dopo di che, c’è la bellissima parabola della perla secondo cui, l’unico che può assumere l’atteggiamento di misericordia al nemico, è chi ha trovato la perla preziosa, il tesoro, la sapienza nascosta fin dalla fondazione del mondo. Adamo non aveva compreso questo tesoro e per tale motivo fugge da Dio. Gesù è venuto a rivelare la sapienza del Figlio, la stessa del Padre; questo è il grande tesoro per cui uno, pieno di gioia, vende tutto. È l’esperienza di Matteo, è la forza della decisione per il Regno. La perla preziosa trasforma la cattiveria, la piccolezza e l’insignificanza del mondo in misericordia, grandezza di Dio. C’è da dire, però, che Matteo davvero è un pastore responsabile poiché dice di stare attenti a non usare la misericordia, come mezzo di giustificazione per il proprio male. La misericordia è verso gli altri, mentre verso me stesso devo avere responsabilità.

La parabola della rete gettata, è simbolo della Chiesa che accoglie tutti, che pesca ogni uomo. Non è detto, tuttavia, che una volta pescati, una volta entrati nella Chiesa, siamo salvi. Possiamo comunque essere buoni o cattivi. La responsabilità di sapere se sono buono o cattivo, è mia. E come faccio a capirlo?Se ho misericordia per gli altri, sono buono, altrimenti sono zizzania. Ciò che in me non è misericordia, non vale, non è salvo, non è salvezza. Ecco perché questa parabola è messa alla fine, poiché mi viene a dire che nonostante sia stato pescato, non è scontata la mia salvezza. La salvezza è la misericordia storica che esercito verso gli altri. Usare misericordia con me stesso non è evangelico, ma egoismo, malafede, è usare la misericordia di Dio per coprire la mia empietà. Non posso accordarmi misericordia, non posso essere indulgente con i miei peccati. Sarà Dio ad usare indulgenza e misericordia con me. Ecco perché allora è importante la misericordia verso gli altri, mentre responsabilità, vigilanza e decisione con me stesso.

Matteo termina le parabole con la sua firma: lo scriba che si converte e tira fuori dal suo tesoro cose vecchie e nuove. Questo perché, rivolgendosi ad ebrei, egli tiene molto ad armonizzare la ricchezza dell’antica alleanza, con i perfezionamenti della nuova. Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile ad un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche.

1 Questa immagine è usata da Gesù in modo provocatorio per quanti, guardando i discepoli, pensavano: “Questo è il Regno di Dio? È fatto da solo dodici persone? Meglio perderle che trovarle!”.

2 Prima si parlava di terra bella –Adam-, ora è bello il seme.

3 La traduzione originale dice zizzanie, non zizzania.

4 Tutto il nostro zelo, le nostre opere apostoliche, in genere, sono rivolte ad eliminare il male. Non dobbiamo eliminare il male, piuttosto coltivare il bene.

5 Come dire: Perdonate!

6 Purtroppo l’insegnamento del catechismo, così come viene fatto oggi, di per sé è eretico, poiché la fede cristiana risulta essere un’ideologia. Nel catechismo non dovremmo insegnare delle idee, che poi non servono a nulla, piuttosto dovremmo trasmettere la fede in un Dio che si è rivelato storicamente. La catechesi corretta è quella che prevede la storia, il racconto, la rivelazione. Bisogna stare attenti a non trasformare le nostre idee su Dio, con Dio.