Martedì della VI settimana di Pasqua
At 16,22-34   Sal 137   Gv 16,5-11: Se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito.

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Ora vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: “Dove vai?”. Anzi, perché vi ho detto questo, la tristezza ha riempito il vostro cuore.
Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi.
E quando sarà venuto, dimostrerà la colpa del mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. Riguardo al peccato, perché non credono in me; riguardo alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; riguardo al giudizio, perché il principe di questo mondo è già condannato».

Commento

di Davide Arcangeli
Al discepolo di Gesù non è risparmiata la tristezza. Potremmo chiamarla, secondo un’espressione più ampia utilizzata da sant’Ignazio di Loyola, desolazione spirituale, estendendo la tristezza ad un insieme più ampio di emozioni, come turbamenti, oscurità, tensioni, paure, perdita di energia e buon umore. 
Quando ci troviamo nella desolazione è importante comprendere che anche essa può giocare un ruolo alla fin fine positivo nel nostro spirito, perché ci aiuta a non riporre le nostre speranze in falsi obiettivi e idoli e a non confidare troppo in noi stessi.  Essa ci spoglia di tutto quello che non è conforme alla volontà di Dio e ci aiuta a scavare dentro di noi per trovare la perla preziosa o per costruire la casa sulle fondamenta della roccia e non sulle sabbie mobili di gusti più esterni. 
Come i discepoli erano tristi perché dovevano abituarsi ad un nuovo modo di entrare in relazione con Gesù, non più nella carne ma attraverso lo Spirito Santo, così anche per noi la tristezza può essere un indicatore importante, per allontanarci da ciò che ci impedisce di conoscere Gesù in modo sempre nuovo e abituarci a gustare interiormente l’azione dello Spirito in noi. 
Solo il distacco da certe forme, a volte un po’ possessive, che rischiano di ingombrare il nostro cuore, sia nelle relazioni umane che nel rapporto con Dio, può condurre a seguire meglio lo Spirito Santo nel tessuto concreto della nostra vita.  Certi cambiamenti, certi distacchi, a volte così dolorosi, alla lunga possono risultare davvero  provvidenziali!
Lo Spirito Santo ci conduce infatti nella nostra vita e illumina le profondità del nostro cuore, per comprendere le zone d’ombra, di incredulità, di durezza, in una parola di “peccato” che ci sono ancora dentro di noi e in questo modo ci conduce ad una più piena e matura adesione a Dio. 
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di Paolo Curtaz
È lo Spirito il grande protagonista di queste settimane, in attesa della Pentecoste che celebreremo fra qualche domenica. Gli apostoli sono smarriti, confusi… Come possono andare avanti senza il Signore, come possono affrontare l’immane compito di annunciare il Vangelo se lui non c’è più? Gesù non la pensa così, li richiama, li rimprovera: verrà il Paraclito a condurre la sua Chiesa. A volte anche noi ci lamentiamo della presunta assenza del Signore. Non è assente, tutt’altro, è il per sempre presente grazie all’opera dello Spirito. Se avvertiamo la sua assenza, forse, dobbiamo riprendere in mano la nostra preghiera e intensificare l’invocazione dello Spirito! Se la fede diventa nostro sforzo, congettura intellettuale, (buona) abitudine culturale allora avvertiremo sempre la presenza del Signore come un vago ricordo del passato. Lo Spirito, invece, rende Gesù nostro contemporaneo e ci aiuta a capire che il peccato consiste nel non riconoscerlo come manifestazione del Padre, che la giustizia di Dio consiste nella salvezza di ogni uomo e che il maligno è ormai sconfitto. Lo Spirito soffi abbondantemente su di noi!