Battesimo del Signore (anno A)
Matteo 3,13-17

In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui.
Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare.
Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».

(Letture: Isaia 42,1-4.6-7; Salmo 28; Atti 10,34-38; Matteo 3,13-17)

L’evento

Con la festa del Battesimo del Signore concludiamo il periodo natalizio e riprendiamo la quotidianità del Tempo liturgico Ordinario. L’evento del battesimo di Gesù, che troviamo nei quattro vangeli, è di una importanza speciale: è il primo atto pubblico di Gesù adulto. Infatti esso diventa uno spartiacque nella vita del Signore. Egli esce dalla sua vita nascosta a Nazareth ed inizia il suo ministero profetico. Il suo battesimo è la presa di coscienza decisiva della sua identità di Figlio di Dio e della sua missione messianica.

Il battesimo di Gesù è un epifania, cioè una manifestazione, la terza di questo periodo natalizio dell’incarnazione. Nella prima, ai pastori, il Signore si rivela ai poveri, destinatari privilegiati della sua venuta. Nella seconda, ai magi, si rivela alle genti (pagani), manifestando così che egli viene per tutti (cf. la seconda lettura di oggi). In questa, la terza, si rivela al popolo di Israele come il Messia atteso.

Il fatto che Gesù decida di farsi battezzare era uno scandalo per Giovanni. Gesù gli risponde che bisogna “adempiere ogni giustizia”, cioè adempiere interamente la volontà di Dio. Questa è la prima parola di Gesù nel vangelo secondo Matteo e, quindi, di una importanza particolare. Ecco, io vengo. Nel rotolo del libro su di me è scritto di fare la tua volontà: mio Dio, questo io desidero; la tua legge è nel mio intimo” (Salmo 39,8-9).

La missione di Gesù inizia col battesimo e si conclude col invio degli apostoli a battezzare; così come inizia e si conclude con l’evocazione della Trinità: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Matteo 28,19).

Tre vangeli

Il battesimo di Gesù ci porta tre vangeli, cioè tre “buone notizie” che riempiono di gioia il cuore del credente che le accoglie.

La prima – incredibile! – è che Gesù è tra noi, in fila con i peccatori che scendono nelle acque del Giordano. Come mai, lui che è senza peccato?! si chiede Giovanni e ci chiediamo noi. Ci risponde San Paolo: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio” (2 Corinzi 5,21). Dio non ci salva da lontano, si rende vicino, è Emanuele. Gesù si rivela profondamente solidale con i suoi fratelli, fino a tal punto che scandalizzerà i benpensanti. Sarà chiamato “amico dei peccatori” (Matteo 11,19). Ecco la prima bella notizia: il Messia – oh, meraviglia! – ha un titolo nuovo, che ci onora particolarmente: è l’amico dei peccatori. È il nostro amico!

Un altro vangelo, la seconda buona notizia: oggi si spalancano i cieli! Dio rompe il silenzio, che tanto rattristava Israele, e risponde al nostro grido: Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Isaia 63,19). Oggi è ristabilita la comunione tra il cielo e la terra! “Il Battesimo è raccontato come un semplice inciso; al centro è posto l’aprirsi del cielo. Come si apre una breccia nelle mura, una porta al sole, come si aprono le braccia agli amici, all’amato, ai figli, ai poveri. Il cielo si apre perché vita esca, perché vita entri. Si apre sotto l’urgenza dell’amore di Dio, sotto l’assedio della vita dolente, e nessuno lo richiuderà mai più” (Ermes Ronchi).

La terza bella novella: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”. Tre affermazioni, tre parole: Figlio, Amato, Mio compiacimento. Questa è la rivelazione che troviamo all’inizio di ogni vangelo sinottico (cf. Mc 1,11; Lc 3,22) e a cui si riferisce il profeta Isaia (cf. prima lettura, cap. 42, il primo canto del Servo del Signore) e il Salmo 2: Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato”. La bella novella è che questa parola è rivolta anche a ciascuno di noi. Questa è la scena del nostro battesimo: Tu sei mio figlio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento!
Mi dirai che questa Voce tu non l’hai sentita e che ti sembra che il cielo sia chiuso sopra di te. Ma questa Voce oggi viene dal cielo della tua anima e viene ascoltata dall’orecchio della fede. E possiamo sentirla ogni giorno quando, all’inizio della giornata, facciamo il segno della croce, che evoca proprio il nostro battesimo, la nostra immersione nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Ogni giorno siamo immersi nella Trinità e il Padre ci ripete le tre parole, per portare luce, amore e coraggio per affrontare la giornata.

Una nuova partenza

Oggi Gesù inizia il suo ministero, con la forza della rivelazione del Padre e della dolce presenza dello Spirito, quale colomba che trova nel suo cuore il nido. Anche noi siamo animati a ripartire, ancora una volta, riprendendo la quotidianità dopo le feste natalizie. Siamo invitati a ripartire da una nuova consapevolezza e da una rinnovata fiducia nella grazia del nostro battesimo.“Quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi” (Isaia 40,31).

Concludo con alcune citazioni di una bellissima lectio sul battesimo, fatta dal nostro caro e compianto Benedetto XVI, e che vi invito a leggere: https://comboni2000.org/2023/01/03/omelie-sul-battesimo/

Dio non è più molto lontano per noi, non è una realtà da discutere – se c’è o non c’è –, ma noi siamo in Dio e Dio è in noi. La priorità, la centralità di Dio nella nostra vita è una prima conseguenza del Battesimo. Alla questione: “C’è Dio?”, la risposta è: “C’è ed è con noi; c’entra nella nostra vita questa vicinanza di Dio, questo essere in Dio stesso, che non è una stella lontana, ma è l’ambiente della mia vita”. Questa sarebbe la prima conseguenza e quindi dovrebbe dirci che noi stessi dobbiamo tenere conto di questa presenza di Dio, vivere realmente nella sua presenza…

Divenire cristiani non è una cosa che segue da una mia decisione: “Io adesso mi faccio cristiano”. Certo, anche la mia decisione è necessaria, ma soprattutto è un’azione di Dio con me: non sono io che mi faccio cristiano, io sono assunto da Dio, preso in mano da Dio e così, dicendo “sì” a questa azione di Dio, divento cristiano.
Divenire cristiani, in un certo senso, è “passivo“: io non mi faccio cristiano, ma Dio mi fa un suo uomo, Dio mi prende in mano e realizza la mia vita in una nuova dimensione. Come io non mi faccio vivere, ma la vita mi è data; sono nato non perché io mi sono fatto uomo, ma sono nato perché l’essere umano mi è donato. Così anche l’essere cristiano mi è donato, è un “passivo” per me, che diventa un “attivo” nella nostra, nella mia vita. E questo fatto del “passivo”, di non farsi da se stessi cristiani, ma di essere fatti cristiani da Dio, implica già un po’ il mistero della croce: solo morendo al mio egoismo, uscendo da me stesso, posso essere cristiano…

La nostra sfida è vivere questo dono in un cammino post-battesimale, sia le rinunce che il “sì” che abbiamo professato, e vivere sempre nel grande “sì” di Dio. Questo comporta, naturalmente, la lotta contro il peccato.

La parola peccato appare a molti quasi ridicola, perché dicono: “Come! Dio non possiamo offenderlo! Dio è così grande, che cosa interessa a Dio se io faccio un piccolo errore? Non possiamo offendere Dio, il suo interesse è troppo grande per essere offeso da noi”.
Sembra vero, ma non è vero. Dio si è fatto vulnerabile. Nel Cristo crocifisso vediamo che Dio si è fatto vulnerabile, si è fatto vulnerabile fino alla morte. Dio si interessa a noi perché ci ama e l’amore di Dio è vulnerabilità, l’amore di Dio è interessamento dell’uomo, l’amore di Dio vuol dire che la nostra prima preoccupazione deve essere non ferire, non distruggere il suo amore, non fare nulla contro il suo amore perché altrimenti viviamo anche contro noi stessi e contro la nostra libertà. E, in realtà, questa apparente libertà nell’emancipazione da Dio diventa subito schiavitù di tante dittature del tempo, che devono essere seguite per essere ritenuti all’altezza del tempo., e così vivere bene.

P. Manuel João, comboniano
Castel d’Azzano 5 gennaio 2023