P. Manuel João, comboniano
Riflessione domenicale
dalla bocca della mia balena, la sla
La nostra croce è il pulpito della Parola

TUTTO IL VANGELO IN UN BICCHIERE D’ACQUA

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Anno A – XIII domenica del Tempo Ordinario
Matteo 10,37-42

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:
«
Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me.
Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.
Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.
Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto.
Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».

Il vangelo di questa domenica è la conclusione del cosiddetto discorso apostolico o della missione (Matteo 10). È un discorso che riguarda ogni cristiano che per il battesimo diventa discepolo di Gesù, suo apostolo e missionario.

L’IDENTITÀ: Chi sono io?

La prima parola che vorrei sottolineare è il pronome relativo indefinito CHI (ὅς, in greco) che appare dieci volte nel testo. Esso ci ricorda che la vita è scelta. Chi sono io? Chi voglio essere? In quali delle alternative presentate da Gesù mi ritrovo? Tra quelli degni di lui? Tra quelli che rischiano la propria vita per lui? Tra quelli che lo accolgono?

LA RADICALITÀ: Sei degno di Lui?

Certo che le condizioni per essere discepoli di Gesù sono proprio pesanti. Gesù mette ben chiaro, per tre volte: “Chi… chi… chi… non è degno di me!”. Egli vuole, anzi pretende, il primo posto negli affetti e nei progetti. Solo una grande passione per lui e una dedizione totale per il Regno di Dio possono sostenere una vita di impegno radicale nella creazione della nuova umanità. Mai un rabbino aveva avanzato simili pretese. Verrebbe spontaneo dirgli, come i giudei: “Chi credi di essere?” (Giovanni 8,53). Lui ci risponderebbe: “Proprio ciò che io vi dico”(8,25). Prendere o lasciare! Non ci sono mezze vie. Egli rivendica per sé l’amore riservato a Dio solo: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze” (Deuteronomio 6,4-5). Gesù non mette in causa l’amore filiale e materno/paterno, ma ci interroga sulle nostre priorità: Chi è l’amore più grande della tua vita?

L’ACCOGLIENZA: Hai un cuore accogliente?

Troviamo sette volte nel nostro testo il verbo accogliere: accogliere l’apostolo, il profeta, il giusto e il piccolo. In tutti accogliamo Cristo e, in lui, il Padre.
Avere un cuore accogliente è oggigiorno più che mai urgente e necessario, in una società che chiude porte ed erige barriere, per egoismo o per paura del diverso. L’accoglienza è un’opera di misericordia, ma abbiamo perso l’idea biblica dell’accoglienza, che non era solo un atto di timore di Dio, ma una ambita benedizione apportata dall’ospite. Ricordiamo l’esempio di Abramo davanti ai tre viandanti sconosciuti: “
Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo” (Genesi 18,3).

Nella prima lettura troviamo un bel esempio di accoglienza. Una donna che accoglie il profeta Eliseo: “Facciamo una piccola stanza superiore, in muratura, mettiamoci un letto, un tavolo, una sedia e un candeliere; così, venendo da noi, vi si potrà ritirare” (2 Re 4).

Mi piace vedere qui – come in una icona – un’allusione simbolica alle condizioni essenziali per stabilire una accoglienza di Dio nella nostra vita. Ognuno di noi ha bisogno di questa “piccola stanza superiore” del Profeta, “in muratura”, cioè solida e stabile, dove coltivare l’interiorità e incontrare il Signore. Lì predomina la sobrietà e l’essenzialità: un letto, un tavolo, una sedia e una lampada. Il letto ci ricorda la necessità di un sano equilibrio tra il fare e il riposo; il tavolo e la sedia, la riflessione; la lampada, la meditazione della Parola, “lampada per i nostri passi” (Salmo 119,105).

LA RICOMPENSA: Quale sarà la mia ricompensa?

Gesù parla per tre volte di ricompensa. La Sacra Scrittura parla sovente della ricompensa di Dio e anche Gesù ne parla spesso. Ogni cammino di fede inizia con la promessa: “la tua ricompensa sarà molto grande” (Genesi 15,1). Gli apostoli non esitano a chiedere a Gesù: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?” (Matteo 19,27). Noi oggi, però, abbiamo quasi vergogna di parlare di ricompensa nell’ambito della fede, quasi fosse un tradimento alla gratuità dell’amore. E, invece, la nostra dimensione corporea vuole la sua parte e, se ignorata, va a cercarla nell’immediato godimento degli istinti. Quanto è utile ricordare questa promessa del Signore che ogni nostro piccolo gesto fatto per amore avrà la sua ricompensa! “Tutto il Vangelo è nella Croce, ma tutto il Vangelo è anche in un bicchiere d’acqua” (Ermes Ronchi).

Il nostro cuore non è “puro”, cioè tutto di “un pezzo”, ma “impuro”, composito. Solo Dio è “puro”, puro amore. La Parola di Dio si rivolge alla nostra persona nella sua diversità.
– In noi c’è lo “schiavo” che teme il “castigo”. Quello qui e quello eterno: l’inferno! (E non ditemi che l’inferno non esiste, che è una invenzione dell’oscurantismo del medio-evo. L’inferno è l’assoluto e definitivo allontanamento da Dio – sorgente del Calore dell’amore e della Luce della vita – e, quindi, l’oscurità assoluta o lo “zero assoluto” a -273 gradi). Ebbene, la Parola educa il nostro schiavo perché passi dalla paura al timore riverenziale di Dio.
– In noi c’è il “servo” che lavora per il “salario”, per interesse. La Parola lo educa per passare dalla mentalità del “merito” (idea pagana della retribuzione) a quella della “promessa” di Dio, dalla condizione di “servo” a quella di “ amico” (Giovanni 15,15).
– In noi, infine, c’è il “figlio”. La Parola lo educa ad essere sempre più cosciente di questa parola del Padre: “tutto ciò che è mio è tuo”, e a diventare figlio adulto e responsabile dei fratelli.

Esercizio spirituale e preghiera per la settimana

– Impegnarsi nella costruzione di “una piccola stanza superiore, in muratura”;
– Signore, io credo ma tu aumenta la mia fede! (Marco 9,24)

P. Manuel João Pereira, comboniano
Castel d’Azzano (Verona) 30 giugno 2023