VII Domenica di Pasqua (B)
ASCENSIONE DEL SIGNORE

ASCENSIONE DEL SIGNORE

Marco 16, 15-20

15 E disse loro: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. 16 Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato.

Lo schema è chiaro: a) invio; b) giudizio; c) segni. L’invio (a) è universale (secondo un programma che vediamo anche in Mt 28,18-19). Adesso però riscontriamo diversi punti di contatto con testi come Col 1,5-6 (kosmos) e Col 1,23 (tutta la creazione): è evidente che ci troviamo in un contesto universale, di tipo cosmico. Svaniscono i popoli nella loro diversità (compreso quello di Israele: cfr. Mt 28,19); sorge l’umanità, emerge il cosmo aperto alla parola dei missionari. All’invio segue il giudizio (b), che non appariva in Mt 28,16-20. Una simile struttura duale si ritrova in Gv 20,23: “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati” (cfr. anche Mt 16,19). Il riferimento a Gesù (la fede) e l’identificazione ecclesiale (il battesimo) sono ora mezzi fondamentali di salvezza. Si prospetta qui l’aut- aut: o la salvezza di sé con l’adesione (“chi crederà”) alla piena umanità di Gesù, il Figlio dell’Uomo e all’immersione (“sarà battezzato”) nell’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo o il giudizio/condanna al vuoto totale e alla distanza senza fine dall’Amore donato (cfr. Mt 25,31-46).

17 Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demoni, parleranno lingue nuove, 18 prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno”.

Restano, infine, i segni (c) ecclesiali, e in modo speciale i poteri dei missionari, tante volte citati nelle testimonianze della chiesa antica (Mc 6,7-13; 2Cor 12,12; Rm 15,18-19; Lc 10 19; At 28,3-7; ecc.). Qui non si tratta di azioni di servizio universale (come in Mt 25,31-46) o di amore fraterno (come in Gv 13,34-35), ma di quei gesti di forza trasformatrice che hanno definito il messaggio-vita di Gesù in tutto Marco (2,21-28) e che ora si ampliano e divengono sistematici e rivelatori della vera testimonianza di ogni donna o uomo che aderisce a Gesù ed opera per il rinnovamento e la crescita del genere umano. I segni menzionati dicono, in fondo, che in un mondo pericoloso (serpenti, veleno, infermità), i discepoli del Signore saranno capaci di diffondere la parola in ogni lingua (lingue nuove), in una specie di pentecoste continua (cfr. la glossolalia di At 2), superando così il potere dell’oppositore (esorcismi) e aiutando gli altri a vivere bene (guarigioni). In questo modo, la parola del messaggio diventa azione trasformante: i discepoli del Signore hanno qualcosa da offrire sul cammino di questo mondo. Alla base della Chiesa c’è una parola trasformata in fonte creativa di esistenza per gli uomini. Tutto ciò che viene dopo, dogmi intellettuali, strutture gerarchico-sacrali, non potranno non essere funzionali a quella realtà originaria della chiesa che costituisce, come abbiamo visto, la vera base di tutto.

19 Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. 20 Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

Con l’Ascensione di Gesù e la Pentecoste (la Promessa del Padre) sorge la chiesa, secondo una visione presente anche in Gv capp. 13-17 quando parla dell’ascensione di Gesù e dell’invio dello Spirito. Gesù appare come il Signore (Kyrios), senza alcun tipo di sfumatura. È evidente che possiede una condizione divina perché ha donato agli uomini tutto se stesso, il che costituisce il suo messaggio di pasqua; perciò può e deve ormai salire alla sfera divina (cielo) e sedersi alla destra di Dio, secondo un tema ben sviluppato dalla tradizione di Luca e in tutto il NT, a partire dal Sal 110,1 (At 2,33; Ef 1,20; Col 3,1; Eb 1,3; Mc 14,62; ecc.). Questa assenza di Gesù rende possibile un nuovo tipo di presenza in mezzo ai suoi discepoli: soltanto quando “se ne va”, essi iniziano a sentire la sua forza e ad agire grazie ad essa, nella medesima situazione del Maestro, quando ha dato inizio al suo annuncio in Galilea ( 1,14: “…Gesù venne in Galilea, predicando il vangelo di Dio” e 16,7: “Vi precede in Galilea”).

Atti 1,1-11

Luca non scrive un resoconto storico delle origini della cristianità. Ma, come si può arguire dal titolo dato al secondo volume dell’opera lucana, questo era visto sin dall’antichità come appartenente al genere storico e questa percezione degli Atti, alla stregua di una monografia storica, persiste tutt’oggi seppur con vari distinguo. Luca, d’altro canto, non ha altra pretesa se non quella che gli Atti siano la prosecuzione del Vangelo, quindi un genere con istanze in primo luogo teologiche, su uno sfondo storico. La sezione introduttiva degli Atti si raccorda con il capitolo finale del Vangelo di Luca così che si stabilisce un legame/cerniera tra i due volumi: Luca 24 e Atti 1,1-14 rappresentano i lati di questa cerniera. Il legame tra il Vangelo e gli Atti è di importanza critica in funzione della specifica connessione che unisce i due testi, una connessione che deve essere compresa fin dall’inizio del secondo volume: nel Vangelo Gesù è presentato come modello o paradigma con cui gli apostoli vengono messi a confronto nel libro degli Atti. Il paragone è strutturale anche se sempre implicito: Luca infatti inserisce noti indizi e segnali lungo tutto il testo degli Atti, tali che il lettore è indotto a considerare le azioni e le parole della primitiva chiesa cristiana alla luce delle azioni e delle parole di Gesù. Tra i due volumi vi è pertanto una connessione implicita tale da fornire la prova che il Vangelo e gli Atti sono concepiti come parti connesse della stessa opera. Tuttavia, non ci si deve aspettare che il paragone risulti sempre positivo; al contrario, nei primi stadi del loro ministero, i vari apostoli si pongono di frequente in posizione di contrasto rispetto al maestro ma, col procedere della narrazione, essi crescono nella comprensione e nell’adesione.

1 Nel primo racconto, o Teofilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi 2 fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.

I versetti iniziali degli Atti, in continuazione col Vangelo, hanno ancora Gesù come protagonista. Essi non fanno parte della storia del secondo libro in senso proprio, dato che questa comincia nel punto 1,15. Lo scopo di questi versetti è di mettere in evidenza le disposizioni finali di Gesù prima che egli si distacchi dai discepoli definitivamente e allo stesso tempo di focalizzare l’attenzione sui modi di pensare dei discepoli che sono in questa fase piuttosto in contrasto con l’insegnamento di Gesù.

3 Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio.

Il centro dell’interesse comincia adesso a spostarsi da Gesù ai discepoli. Ciò che determina questo spostamento è il distacco di Gesù: gli apostoli si sentono abbandonati e sono pertanto bisognosi di essere rassicurati che la sua morte, e quindi l’apparente fallimento come Messia (cfr. Lc 24,7.26.46), non sia definitiva se egli continua ad esser vivo (cfr. Lc 24,5.23) e a presentarsi in forma riconoscibile (cfr. Lc 24,39). La difficoltà che gli apostoli devono aver provato nell’accettare la morte di Gesù non va sottovalutata, poiché un Messia crocifisso andava contro tutte le speranze giudaiche che invece prevedevano la sua gloria e vittoria. Nel Vangelo, tutte le apparizioni di Gesù risorto sono state collocate da Luca dentro il simbolico spazio di un solo giorno (cfr. Lc 24,1.9.13.33.36). L’azione si svolge dalla mattina presto (Lc 24,1-2) alla sera (Lc 24,29), così che quando si giunge al momento dell’Ascensione (Lc 24,51) questa deve avvenire logicamente di notte. Negli Atti, diversamente, le apparizioni sono distribuite nell’arco di quaranta giorni. Lungi dall’essere contraddittori, tuttavia, i due racconti si completano a vicenda: “l’unico giorno” del Vangelo, sottolinea l’unità del periodo, i “quaranta” degli Atti, ne enfatizzano la completezza. I quaranta giorni degli Atti posseggono numerosi riferimenti biblici; tra questi, in maniera considerevole, la durata del viaggio intrapreso da Elia per andare sul monte Horeb a parlare con Dio, dopo aver ricevuto nutrimento dall’angelo del Signore (1Re 19,8). I quaranta giorni alla conclusione del ministero di Gesù hanno un riferimento più immediato con i quaranta giorni della tentazione nel deserto all’inizio del suo ministero. L’identico lasso di tempo stabilisce un parallelo tra un periodo di verifiche, inclusa una serie di tentazioni (Lc 4,1-13), e un periodo di contro-verifiche, incluse “numerose prove/segni” (At 1,3). Tra i due riferimenti si sviluppa il ministero di Gesù come Messia, descritto dagli scrittori dei Vangeli Sinottici come un’unica progressione di eventi che si succedono per la durata di un anno.

L’argomento dei discorsi di Gesù durante i quaranta giorni è il Regno di Dio. Gesù ne ha già parlato agli apostoli durante la sua vita (Lc 9,26-27; 22,28-30): adesso è necessario ritornarci sopra. Per un verso, la capacità di comprensione dei discepoli è limitata, ancora condizionata dalla speranza, in accordo con l’insegnamento degli scribi (Lc 20,41-44), che Gesù sia il Messia di Davide (cfr. Lc 18,38-39; vedi il cieco: figura che rappresenta i discepoli che non capiscono niente di ciò che Gesù ha appena detto loro); per altro verso, la loro speranza è quella di un Regno di Dio essenzialmente inteso come Regno di Israele e la loro aspettativa della messianicità di Gesù è stata condizionata da aspirazioni nazionalistiche. Ma dopo aver assistito alla morte di Gesù, che li ha lasciati scoraggiati e disillusi, essi dovrebbero sapere che tutto ciò che è a lui successo è stato previsto dalle Scritture e che la corrispondenza della sofferenza di Gesù con quanto preannunciato dalle scritture costituisce il fulcro del messaggio dell’insegnamento post-resurrezione (cfr. Lc 24,25-27.32.44-46), ma sono lontani da questa comprensione.

4 Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me:

Questo episodio corrisponde alla scena ritratta alla fine del Vangelo, in cui Gesù appare al gruppo apostolico e cena con loro (Lc 24,41-43). Questo incontro avviene quindi in una casa della città piuttosto che sul Monte degli Ulivi, dove l’azione si sposterà nel passo 1,6. Il gruppo in ascolto, secondo gli Atti, sembra comprendere soltanto gli apostoli, mentre il Vangelo suggerisce la presenza di un gruppo più ampio (cfr. Lc 24,33); ma, anche negli Atti, la presenza di più persone potrebbe essere sottintesa, come apparirà più chiaro con il procedere dell’azione. C’è un invito a non lasciare Gerosolima: è importante notare la scelta della forma lessicale del nome usato per la città. Nel corso del Vangelo e degli Atti, Luca fa volutamente uso delle due varianti ortografiche greche del nome di Gerusalemme per distinguere tra l’istituzione religiosa, per la quale adotta la versione ortografica derivata dall’ebraico Yerushalayim = Gerusalemme, e il luogo geograficamente inteso, indicato dalla forma greca neutra del nome Gerosolima. La prima si riferisce alla città santa, la sede dell’autorità giudaica con il Tempio e i suoi capi religiosi; la seconda è un’indicazione neutra della città, priva di significato religioso… Bisogna attendere il sostegno dello Spirito Santo, il quale da solo potrà garantire il successo delle loro azioni. Questa è la Promessa del Padre. Negli Atti si farà riferimento a questa promessa in molti discorsi (At 2,33-39; 13,32; 26,6; cfr. 7,17). Qui, attraverso le parole di Gesù, essa è definita come il dono dello Spirito Santo (cfr. At 2,33-39).

5 Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».

Questo versetto richiama le parole pronunciate da Giovanni Battista (Lc 3,16) il quale contrappone il battesimo amministrato con acqua al battesimo che Gesù avrebbe somministrato con lo Spirito Santo e il fuoco, salvo che, diversamente da Giovanni, Gesù non ha mai fatto riferimento al fuoco (Mc 1,8). In seguito (At 11,16) Pietro, assistendo nella casa di Cornelio all’effusione dello Spirito Santo sui pagani, ricorderà queste stesse parole come pronunciate effettivamente dal Signore. È chiaro perciò che Luca riporta questo versetto al fine di rievocare le parole di Gesù. In più, ricorrendo a tale citazione, Gesù, nel predire l’arrivo imminente dello Spirito, rivela che la promessa fatta precedentemente sta per essere realizzata. L’assenza dell’accenno al fuoco è significativa. Nel Vangelo l’immagine di G. Battista è quella di un mietitore (Lc 3,17). Precedentemente Giovanni ha parlato di alberi che non danno buoni frutti e perciò da buttare nel fuoco (Lc 3,9). In questo contesto il fuoco è quindi simbolo della punizione che sta per piombare su coloro che in Israele non si pentono. Invece qui il riferimento al fuoco potrebbe essere inappropriato poiché potrebbe stimolare i discepoli a pensare in termini di vendetta, specialmente adesso che i capi d’Israele hanno messo a morte il Messia. Gesù ha altri interessi in questo momento mentre sta per lasciare soli i discepoli: vuole rassicurarli che essi saranno privati solo della sua presenza fisica prima di ricevere dopo un po’ la forza divina che lo Spirito Santo conferirà loro.

6 Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?».

Il passo è introdotto dalle tipiche particelle usate costantemente da Luca all’inizio di ogni episodio per segnalare che un evento deriva in qualche modo da uno precedente (retrospettivo) e si proietta su uno successivo (prospettivo). I due eventi in questo caso sono la domanda posta a Gesù dagli apostoli e la conseguente risposta di Gesù. L’ambientazione qui è differente da quella dei versetti precedenti in cui si menziona il pasto finale: dato che Gesù viene qui elevato in alto, si può dedurre da Lc 24,50 (“verso Betania”) che l’azione qui descritta ha luogo sul Monte degli Ulivi. Nel momento in cui Gesù sta per lasciare il gruppo per l’ultima volta, gli apostoli iniziano a discutere con lui. L’iniziativa non nasce da Gesù (in contrasto con 1,4) ma dagli apostoli. È la prima volta negli Atti che gli apostoli compaiono come soggetto e ciò che fanno per prima cosa è di mettersi insieme per porre una domanda a Gesù. L’esatta formulazione della domanda che varia a seconda dei manoscritti (secondo alcuni manoscritti essi chiedono a Gesù di reintegrare il dodicesimo al posto di Giuda) deve essere esaminata con attenzione; in ogni caso, riguarda la restaurazione del regno di Israele.

Perché gli apostoli fanno una domanda su questi argomenti e proprio in questo momento? Gli Undici erano già arrivati a credere che Gesù era il tanto desiderato Messia di Israele, il compimento dell’annuncio dei profeti relativo alla promessa della venuta del Regno di Dio e della restaurazione di Israele. Da questi elementi gli Undici potevano essere indotti a credere che anche la restaurazione di Israele era prossima, secondo il piano delle Scritture. Ma che cosa manca a Israele che debba essere ristabilito prima che Gesù lasci gli apostoli? La restaurazione delle dodici tribù di Israele è un aspetto chiave del rinnovamento di Israele, cioè una condizione necessaria perché, quando fosse giunto il tempo, Israele avrebbe potuto di nuovo regnare unito sotto il re-Messia davidico. Ma gli apostoli adesso si trovano di fronte ad un grave imbarazzo: hanno perso uno di loro, Giuda, “uno dei Dodici” (Lc 22,47) o , nella forma più enfatica, “uno nel numero dei Dodici” (cfr. il testo greco, Lc 22,3). Da quando Giuda ha tradito Gesù essi sono rimasti un gruppo di soli “undici” (Lc 24,9.33; At 1,13), numero incompleto come il numero dei figli di Giacobbe durante l’assenza di Giuseppe (cfr. Gen 37,9; 42,32). Gli apostoli sono consapevoli che essi sono stati scelti da Dio (Gesù trascorre la notte in preghiera prima di eleggerli Lc 6,12-13); per questo adesso aspettano da Gesù l’assenso per la sostituzione di Giuda. Essi si trovano in una situazione imbarazzante nel constatare che Gesù non risponde in maniera positiva alla loro richiesta. Il fatto che essi proseguiranno nell’organizzare da soli la sostituzione di Giuda (At 1, 15-26) è una conseguenza del mancato consenso di Gesù. In altre parole gli apostoli, dall’insegnamento di Gesù relativo al Regno di Dio, hanno ricavato la comprensione di avere il predominio sulle dodici tribù in quanto testimoni prescelti del Messia; ma non hanno ancora capito la portata del cambiamento avvenuto nel piano divino come conseguenza della morte di Giuda.

7 Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere,

Nel testo greco si nota l’assenza di una congiunzione atta ad introdurre la risposta di Gesù alla domanda degli apostoli e questo indica che non si tratta di un normale dialogo tipo domanda-risposta: l’attenzione viene convogliata sul fatto che la risposta di Gesù non è ciò che essi si aspettano; egli corregge gli apostoli con una duplice risposta. Relativamente alla domanda: “è questo il tempo?”, Gesù non risponde ma replica invece con un’osservazione generale sul fatto che la domanda risulta essere totalmente inappropriata: solo il Padre conosce il momento e le circostanze del suo intervento nel mondo; diversamente le persone, avendo una tale conoscenza, vedrebbero ristretta la loro libertà. Il rimprovero di Gesù non consente qui di poter capire se la restaurazione avrà mai luogo: egli ha un interesse diverso, cioè dissuadere gli apostoli dal pianificare il futuro, sia quello di Israele che quello dell’umanità. È nello svolgersi della narrazione che la risposta alla domanda degli apostoli deve essere trovata, sia dai lettori contemporanei di Luca che da quelli successivi. Sarà data anche agli apostoli la possibilità di vedere ciò che Dio ha pianificato per Israele per come Egli agisce attraverso la testimonianza che essi daranno del Messia.

8 ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra».

La seconda parte della risposta di Gesù è introdotta con una congiunzione avversativa “ma/piuttosto”. Egli ripete la promessa dello Spirito ricordando che ciò che essi devono veramente sapere è che riceveranno dallo Spirito Santo una forza che consentirà loro di non pensare più nei termini di un ideale di restaurazione. Ma attualmente i discepoli hanno una visione ristretta circa il Messia, questo è il motivo per cui nel frattempo devono rimanere in attesa, senza intraprendere niente che possa compromettere la missione futura (v.1,4).

La forza che lo Spirito Santo comunicherà ai discepoli si manifesterà come una testimonianza, i cui contenuti sono chiaramente definiti: “e di me sarete testimoni” o, come espresso nel vangelo, “di questo voi siete testimoni” (Lc 24,48), e cioè: per primo, “ il Cristo patirà” (Lc 24,46), contro tutte le aspettative messianiche dei giudei; secondo, “e risorgerà dai morti (dal regno dei morti – Codice Vaticano) il terzo giorno” (24,46b), e terzo “che un cambiamento/conversione per il perdono dei peccati sarà annunciato a tutti i popoli (24,47a) cominciando da, ma non limitato a, il popolo giudaico. È solo quando la missione sarà avviata, e poi col suo procedere, che il successo della loro testimonianza sarà giudicato alla luce dell’obiettivo della testimonianza così come intesa da Gesù. Questa raggiungerà il suo scopo quando gli apostoli capiranno che l’idea, di “Israele come terra promessa” e della “ sua nazione” come popolo scelto, ha perso tutta la sua forza, dato che la terra tutta è oggetto della Grazia di Dio.

9 Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi.

Sin dall’inizio del racconto dell’ascensione, sono presenti parallelismi con la trasfigurazione di Gesù (Lc 9, 34-35) ed anche con l’ascensione di Elia (2Re 2,1-18). Il codice Vaticano si focalizza sulla somiglianza tra gli apostoli ed Eliseo sottolineando il modo simile con cui gli uni guardano Gesù mentre li lascia e l’altro guarda il suo maestro Elia mentre è portato via (2Re 2,9-12a). Il particolare della nube che nella trasfigurazione ha diverse funzioni qui invece ha la funzione di separare la sfera divina, nella quale è ricevuto Gesù, dalla sfera umana che egli lascia e nella quale rimangono gli apostoli.

10 Essi stavano fissando il cielo, mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro

Le aspettative degli apostoli ricevono più attenzione del distacco di Gesù. In 1,10-11 si presta attenzione alle loro speranze, e ciò, per mezzo del risalto dato ai loro occhi fissi al cielo, con la ripetizione (quattro volte) dell’espressione “nel cielo” e per mezzo dell’accenno alla rassicurazione fornita loro da Mosè ed Elia. I “due uomini in bianche vesti” sono introdotti dall’esclamazione “ed ecco!”: è questo un accorgimento letterario tipico utilizzato per presentare il sopraggiungere di un nuovo personaggio nel caso in cui la scena sia vista attraverso lo sguardo di un personaggio già presente. Qui, sono gli apostoli a notare improvvisamente la presenza dei due uomini, la cui identità deve essere dedotta da precedenti apparizioni nel vangelo; infatti, con una triplice citazione tipicamente lucana, qui per la terza volta Luca mette in scena queste due figure: essi sono presentati per la prima volta durante la trasfigurazione (Lc 9,30) ove di essi si dà il nome di Mosè ed Elia; riappaiono poi nella scena del sepolcro vuoto (24,4). Questi precedenti rendono palese il fatto che essi non sono “angeli”.

Spesso associati l’uno all’altro nella tradizione giudaica, Mosè ed Elia condividono un’intimità profetica con Dio che la tradizione prolunga dopo la loro dipartita; inoltre, ognuno di essi ha un ruolo privilegiato nei riguardi della Torah: essi sono infatti rispettivamente colui che la trasmette e colui che la insegna. Negli scritti di Luca, essi appaiono in tre dei punti fondamentali della vita di Gesù. Come rappresentanti della Torah, la loro funzione in queste tre scene è di confermare che l’interpretazione che Gesù ha dato del significato della sua messianicità concorda col piano di Dio così come è contenuto nelle Sacre Scritture. Perciò, le ripetute predizioni di Gesù riguardanti la sua passione, morte, risurrezione, così come l’insistito richiamo alla predizione della sua risurrezione confermata nelle Sacre Scritture, sono riconosciute valide da questi autorevoli personaggi che rappresentano la parola divina. Nelle tre occasioni nelle quali appaiono sono sempre vestiti con l’abbigliamento tipico di coloro che già appartengono alla sfera divina (“nella gloria”, Lc 9,31; “in abito sfolgorante”, Lc 24,4; “in bianche vesti”, At 1,10). I due uomini riappaiono nella scena dell’ascensione, questa volta per presentarsi ai personaggi maschili del gruppo (più restii delle donne a capire, Lc 24,4), al fine di dissuaderli dalle loro futili speranze. Sebbene Mosè ed Elia siano presenti sulla scena da un po’ di tempo in piedi a fianco agli apostoli, questi ultimi tuttavia continuano a fissare il cielo. La loro azione imita quella di Eliseo a cui fu promesso uno spirito grande quanto due terzi quello di Elia qualora fosse rimasto a guardarlo mentre veniva innalzato al cielo. Gli apostoli sono così assorti nel guardare Gesù che non notano affatto la presenza dei due uomini che erano venuti a stare a fianco ad essi (nota bene: il tempo usato è il piuccheperfetto = trapassato prossimo).

11 e dissero: «Uomini di Galilea perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».

Gli apostoli vengono distolti dal guardare il cielo solo quando gli uomini cominciano a parlare: “infine essi parlarono…”. L’espressione “uomini di Galilea” è finalizzata a suggerire agli apostoli il ricordo delle loro origini condivise con quella di Gesù. La Galilea è un riferimento significativo nelle scene della crocifissione e della resurrezione (cfr. Lc 23,5.49.55; 24,6; At 13,31). Il messaggio dei due è importante poiché corregge la credenza degli apostoli secondo la quale, come per Elia ed Eliseo, lo Spirito giungerà quando Gesù li lascerà. Essi informano gli apostoli che Gesù, lui in persona, verrà e che il modo in cui giungerà non adempirà nessuna delle speranze di un ritorno messianico nel segno della vittoria e della gloria, dato che egli giungerà così come se ne è andato, senza segni di trionfo o di potenza. Riesaminando questo resoconto dell’ascensione di Gesù, colpisce il fatto che i termini che Luca impiega per descriverla sono gli stessi che egli adopera quando parla di un messaggero – celeste, umano o diabolico – la cui missione è giunta a termine, oppure di una visione che è conclusa; oppure quando indica una separazione come anche una destituzione. Dando uno sguardo in particolare all’incontro finale tra Gesù e gli apostoli, si può vedere come Luca voglia fare intendere che gli apostoli non sono ancora in grado di capire chiaramente l’insegnamento di Gesù relativo al Regno di Israele, allo Spirito e alla natura della sua messianicità. Le loro speranze sono state frustrate dallo stesso Gesù: questi, secondo il Testo Alessandrino, non discuterebbe con loro della restaurazione del Regno di Israele; (secondo la testimonianza di qualche codice invece, Gesù si rifiuta di prendere in considerazione la sostituzione di Giuda con la conseguenza che, quando lascia gli apostoli, essi si riducono ad un gruppo incompleto di undici invece che di dodici). In più, proprio nel momento in cui egli è elevato al cielo, vedendo Gesù andar via, essi si rendono conto che le loro speranze di ricevere lo Spirito sono risultate vane. E decidono comunque di tornare a Gerusalemme, ma a mani vuote. Se avessero tenuto conto del comando di Gesù sarebbero restati in Gerosolima (At 1,4) e accantonando i loro progetti avrebbero aspettato lì finché non avessero poi ricevuto lo Spirito loro promesso. Il seguito di Atti 1,12ss mostrerà che questo non è ciò che è accaduto.

Riflessioni…

  • La navigazione è terminata. Gesù di Nazaret ha affidato agli Amici il suo legno, in forma di croce, per affrontare corroborati dallo Spirito i successivi percorsi nella Storia, ed è ritornato al Padre.
  • Va donde era partito: presso il Padre. E ritornerà, nei ritmi dei tempi, fino alla fine. Durante il suo percorso storico, mentre dimorava tra gli uomini, specie alla fine ha avvertito la nostalgia del Padre, il dolore della Casa delle origini.
  • Compie oggi il suo distacco dagli amici, da tutti i suoi cari: le ferite doloranti della passione sono ormai rimarginate, ma quella del distacco resterà lì, per sempre aperta. Ma saprà aspettare per gioire con tutti, alla fine dei tempi.
  • Da qui il suo cordiale ed accorato saluto/comando. “Dite a tutti di questo mistero; avvertite tutti che sono stati salvati e che potranno vivere la vita perenne con Dio”.
  • Non è riuscito a dire “il tutto”, agli uomini dai pensieri refrattari o divaganti: ha parlato di un meraviglioso destino, di una gioia piena, delle eterne origini dell’uomo, ma non è riuscito a comunicare tutto quanto voleva; qualcosa gli è rimasto in gola tra il dolore del distacco e la nostalgia del ritorno. Il resto lo farà lo Spirito: questi sarà convincente per l’ universalità della salvezza, per la gratuità dell’amore divino, per il desiderio di unità che il Padre coltiva.
  • Gesù di Nazaret, ritornando donde era venuto, è riuscito tuttavia a svelare definitivamente il mistero delle Origini, il mistero del destino fontale dell’uomo: così nasce la storia dell’uomo. Il Verbo è disceso dal cielo per congiungerlo alla terra, ha attraversato le acque e si è elevato nell’aria, donde ha inviato il Paraclito: così rinasce la storia dell’uomo.
  • Gli amici lo guardano, mentre va… E insieme attendiamo il suo ritorno. Come hanno assicurato Mosè ed Elia. Nell’attesa ci basteranno la Legge e i Profeti, nonché la pienezza dello Spirito, per attuare l’Umanità vera, la Comunità, testimone, orante e pellegrina per facilitare ad ogni uomo l’accesso all’unico Dio.

Associazione “il filo – gruppo laico di ispirazione cristiana” – Napoli http://www.ilfilo.org