Lectio divina

XXII – XXXIV  settimane del Tempo Ordinario
Spunti per la Lectio divina quotidiana

Lectio divina sul vangelo di LUCA
Una introduzione alla lettura spirituale (cap. 1-6)
Marconi Nazzareno (2)

I Vangeli dell’infanzia

Il vangelo di Luca iniziadopo il prologo, con quelli che vengono detti i Racconti dell’Infanzia, perché presentano i primi anni della vita di Gesù. Questi racconti sono pervasi da una gioia profonda, che si é trasmessa alle celebrazioni liturgiche che li ricordano, nelle feste di Natale, ma questa gioia non é soltanto l’eco di una nascita; in questi capitoli l’evangelista anticipa già la gioia della pasqua e della pentecoste, infatti sa benissimo che il bambino di cui sta parlando è il Signore Gesù Figlio di Dio. Queste pagine ci preparano a comprendere meglio ciò che seguirà, costituiscono una specie di seconda prefazione a tutto il vangelo.

A questa funzione si accosta quella di costituire una specie di legame tra l’antico ed il nuovo testamento. I personaggi che agiscono infatti sono i rappresentanti di quel resto di Israele che costituisce l’eredità umana del vero spirito dell’antico testamento. Come i loro padri infatti vivono nell’attesa del compimento delle promesse divine; ed insieme a differenza dei loro padri possono già vedere con i loro occhi l’inizio della salvezza, le promesse che cominciano a compiersi.

É una scoperta fatta con gioia ed entusiasmo, per questo si trasforma in canto, ed i canti che Luca mette in bocca a questi personaggi, intessuti con brani dell’antico testamento, sono la sintesi migliore della antichità dell’attesa e della inaudita novità del compimento. Maria e Zaccaria cantano la promessa fatta ad Abramo, Zaccaria parla di David, mentre già l’angelo aveva annunciato a Maria che il Signore avrebbe donato al Bambino il trono di David. Siamo al compimento pieno delle promesse, un compimento che come dice Simeone, gli occhi dei nostri protagonisti già possono vedere. Una comprensione iniziale di questi primi capitoli del vangelo é notevolmente aiutata da un’attenzione alla struttura con cui questi racconti sono accostati l’uno all’altro. Si tratta di una serie di episodi che si ripetono riferendosi in parallelo al precursore ed a Gesù.

Racconti su GiovanniRacconti su Gesù
L’ANNUNCIAZIONE a Zaccaria 1,5-25 (al tempio)ed a Maria 1,26-38 (a Nazareth)
La VISITAZIONE : che collega le due storie 1,39-56 accompagnata dal Magnificat.
LA NASCITA DI GIOVANNI 1,57-58 (con vicini e parenti) LA CIRCONCISIONE DI GIOVANNI 1,59-79 (con il salmo di Zaccaria)
LA VITA NASCOSTA DI GIOVANNI 1,80 (nel deserto)
LA NASCITA DI GESÙ 2,1-20 (con i pastori) LA CIRCONCISIONE DI GESÙ 2,21 Presentazione 2,22-28 (Salmo di Simeone) Gesù presso il Padre 2,41-50 (nel tempio) LA VITA NASCOSTA DI GESÙ 2,39-40.51-52 (a Nazareth)

Questo parallelismo si ripete ad un livello più specifico nei due racconti di annunciazione che seguono lo stesso schema, come anche in molte espressioni che ritornano nei due racconti.

Quanto abbiamo notato spinge a confrontare i due racconti dell’infanzia, ponendo in evidenza una ricca serie di contrasti ed opposizioni. La parte dedicata a Gesù ad esempio è più sviluppata, con il racconto delle due salite al tempio; il testo della Visitazione, che fa da testo di collegamento è centrato quasi esclusivamente su Gesù etc.

Se poi passiamo alle narrazioni delle nascite, possiamo notare come quella di Giovanni sia evocata molto brevemente. Si tratta di un avvenimento familiare, senza grandi ripercussioni, che attira soltanto vicini e parenti. Quella di Gesù al contrario, si estende per ben 20 versetti; mette in scena una liturgia celeste, e persone estranee alla famiglia: i pastori, accorrono alla notizia della nascita.

Per la circoncisione avviene il fenomeno opposto; quella di Gesù viene riferita in modo estremamente breve in un solo versetto; mentre nel caso di Giovanni abbiamo una narrazione più ampia centrata sul problema del nome da dare al bambino.

Contrasti che si mostrano anche tra i personaggi dei due racconti. Abbiamo così il padre di Giovanni battista presentato come un sacerdote in servizio al tempio di Gerusalemme; il suo mutismo testimonia la sua incapacità ad accogliere la parola dell’angelo, cioè la parola di Dio. Maria invece si trova a Nazareth, ben lontano dalla città santa, ed il testo elogia la sua capacità di ascolto. Il testo non mostra inoltre dei sacerdoti che accolgano ufficialmente Gesù al tempio dopo la purificazione, ma soltanto un pio vegliardo ed una profetessa.

I movimenti dei due personaggi sono inoltre in qualche modo contrari: il racconto di Giovanni parte dal tempio per finire nel deserto. Quello di Gesù parte da Nazareth per culminare al tempio, prima del ritorno finale a Nazareth. Le stesse descrizioni dei due fanciulli sono diversificate, sottolineando una maggiore dignità di Gesù: Giovanni non è altri che un profeta che prepara la venuta di quest’ultimo, il Salvatore.

Questa complessa struttura che abbiamo riconosciuto presente nei due primi capitoli di Luca non può certo essere casuale, e ci spinge quindi a ricercare quale significato intenda comunicare.

Innanzi tutto il parallelismo mostra la volontà chiara di situare Giovanni e Gesù in rapporto, o meglio il primo in funzione del secondo. Per i primi cristiani, la comprensione di questo fatto che a noi appare evidente non era così semplice; Giovanni Battista aveva assunto una importanza notevole nella palestina contemporanea a Gesù, e comprendere come la sua missione si armonizzasse o fosse stata sostituita da quella di Gesù, non era facile. Secondo la presentazione di Luca, appare evidente che Giovanni e Gesù, senza dubbio, fanno parte dello stesso progetto di Dio.

Se però questi due personaggi sono parti di un unico progetto divino, la dissimmetria e le opposizioni notate, mostrano in modo evidente la superiorità di Gesù. Giovanni fa ancora parte del tempo dell’attesa, del tempo dell’Antico Tempio. É l’ultimo virgulto di questo tempo. Con Gesù si apre il tempo nuovo, della Liberazione, della Salvezza. Il primo nasce e vive in funzione del secondo.

Gli stessi titoli, riferiti a Gesù da voci autorevoli (l’angelo, persone “ripiene di Spirito Santo”; Gesù stesso nel tempio) sono immensamente più grandi di quelli riservati a Giovanni Infatti se di Giovanni si può dire che è un grande profeta, Gesù è il Signore ed il Salvatore. É la fede piena nel Cristo risorto che si esprime dietro questi primi due capitoli di Luca.

Con una notevole abilità di strutturazione, in questi capitoli Luca sta in realtà descrivendo la storia della salvezza: Dio si è compromesso con la storia degli uomini intervenendo per proporre loro un progetto di salvezza. I racconti sul precursore ancora bambino sottolineano l’idea che Dio ha cominciato il suo progetto insegnando progressivamente ad un popolo a sperare in questa salvezza. Mentre nei racconti sul Salvatore bambino questa salvezza viene offerta come reale e vicina: ai pastori, a Maria, a tutti coloro che rappresentano il popolo in attesa della salvezza Dio la offre in Gesù. Questo annuncio che è già vangelo, che è già buona novella, in sé completa, troverà nel resto del testo di Luca uno sviluppo ed una trattazione più adeguata sui modi, i tempi ed il significato per tutti gli uomini di questa offerta divina di salvezza.

Dal Giordano a Nazareth

Il battesimo

Nella nostra trattazione sulla struttura generale del vangelo di Luca, abbiamo visto come il racconto evangelico rientra nello schema geografico solo dopo i primi tre capitoli, quando la figura di Giovanni Battista viene tolta di scena e Gesù inaugura, nella Sinagoga di Nazareth il suo ministero di annunciatore del regno di Dio.

In questa parte introduttiva del vangelo almeno due episodi meritano una particolare attenzione per il significato che assumono nei confronti del restante contesto, e sono il battesimo di Gesù ed il brano delle tentazioni.

Quando pensiamo al battesimo di Gesù siamo normalmente presi dal riferimento ad una immagine standard: Gesù nell’acqua del Giordano viene battezzato da Giovanni mentre lo Spirito Santo, sotto forma di colomba, scende su di Lui. Questa immagine mostra alcune diversità rispetto al racconto di Luca, sulle quali vale la pena di porre la nostra attenzione.

* – Quando Luca parla della discesa dello Spirito su Gesù (3,22) Giovanni e già stato incarcerato da Erode (3,19-20), la sua missione è finita prima che quella di Gesù abbia inizio.

*- Al v 21 il testo riferisce “quando tutto il popolo era stato battezzato, Gesù, battezzato a sua volta pregava; allora il cielo si aprì; lo Spirito Santo discese…”. Questo testo può essere compreso in vari modi dato che Giovanni era in carcere

a) Se il senso è che Gesù è stato appena battezzato, quando lo Spirito discende, allora Luca lascerebbe capire che Gesù non ha ricevuto il Battesimo da Giovanni, ma forse da uno dei discepoli di Giovanni, dopo l’incarceramento di questo. Questa è l’interpretazione che danno alcuni antichi commentatori di Luca.

b) Se invece Luca sottintende come gli altri evangelisti che Gesù è stato battezzato da Giovanni, cosa più credibile; bisogna ipotizzare che alcuni giorni siano passati tra il battesimo di Gesù e la discesa dello Spirito, perché potesse, in questo intervallo, venir arrestato Giovanni.

c) Una terza ipotesi è che Luca sottintenda che Gesù è stato battezzato da Giovanni e che l’apparizione dello Spirito sia avvenuta immediatamente dopo; ma è così preoccupato di dividere il ministero di Giovanni da quello di Gesù in modo molto netto, da costruire un testo non chiaro, nel quale l’incarceramento di Giovanni viene anticipato e Gesù diventa l’ultimo o uno degli ultimissimi battezzati da Giovanni.

Il verbo greco, che traduciamo con “battezzato”, indica che il battesimo di Gesù e della folla era già avvenuto quando discese lo Spirito, ma non specifica se da pochi minuti o da vari giorni, e quindi non può aiutarci a risolvere la questione in modo sicuro.

Dietro queste annotazioni, che sembrano strane, o eccessivamente curiose, c’è la percezione che Luca attua in questo passo una svolta importante del suo vangelo. A rischio di divenire oscuro, come suggerisce la terza ipotesi che in realtà considero la migliore, Luca fa di tutto per dividere con chiarezza Giovanni e la sua azione dal momento in cui il Padre e lo Spirito si manifestano su Gesù. “Tutto il popolo era stato battezzato”; quasi a dire che non c’era più nulla da fare per il Battezzatore, la sua missione era finita, e questo vien sottolineato dall’indicazione che Giovanni è posto in carcere, ormai completamente fuori gioco. Perché come dirà poi Gesù, “la legge ed i profeti”, cioè l’Antico Testamento vanno fino a Giovanni, poi inizia il tempo del Figlio, e questo tempo inizia con una investitura solenne.

L’inizio del Regno non viene tanto indicato dal Battesimo di Gesù, ma dalla manifestazione divina che si compie di fronte a tutto il popolo ed in un momento importante (Gesù prega come in tutti i momenti importanti nel vangelo di Luca), della vita di Gesù, pochi istanti o pochi giorni dopo il suo battesimo.

Potremmo parlare di una specie di pentecoste che inaugura la missione terrena di Gesù. Si tratta anche qui dello stesso Spirito che agisce nella storia dell’universo ad ogni nuovo inizio delle grandi opere di Dio. Lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque all’inizio dei tempi (Gn 1,2); si posa su Gesù all’inizio dell’era della Rivelazione del regno (cfr.3,22 e 4,18); inaugurerà nel cenacolo della Pentecoste il tempo della Chiesa (At 2).

Le tentazioni

Il racconto della tentazione di Gesù nel vangelo di Luca, provoca nel lettore un’impressione di stranezza, certo di diversità da molti altri brani; infatti il significato di questo racconto non traspare con evidenza, come mostrano anche le molte interpretazioni diverse che ne vengono date.

Per alcuni commentatori il fine sarebbe quello di giustificare perché Gesù non abbia fatto alcuni miracoli straordinari che i suoi contemporanei si attendevano da lui. Per altri si tratterebbe di un racconto edificante destinato ad incoraggiare i discepoli a combattere la tentazione, secondo l’esempio del Signore. Per altri ancora il significato sarebbe di combattere alcune frange di cristiani che danno eccessiva importanza ai miracoli, ricordando che é più importante l’obbedienza e la fiducia in Dio di qualsiasi miracolo.

Probabilmente ognuna di queste interpretazioni si basa su un vero significato del testo, ma l’intenzione dell’evangelista sembra ancora diversa, ed un fatto può portarci sulla giusta strada: ognuna delle tre risposte che Gesù da al demonio é tratta dal libro del Deuteronomio.

Nella prima tentazione é conservato il ricordo di Dt 8,2-5 “Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quaranta anni nel deserto… per metterti alla prova…ti ha fatto provare la fame e poi ti ha nutrito di manna…per farti capire che l’uomo non vive di solo pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore”. Ci sono però rispetto al racconto del Deuteronomio anche delle differenze: non é Dio, ma lo Spirito che conduce Gesù nel deserto, e non é Dio a provare-tentare, ma il demonio.

Il senso allora appare chiaro: Gesù ha vissuto la stessa prova di Israele, ma contrariamente a questo, Egli riesce a superarla mettendo a frutto la lezione di saggezza del Deuteronomio.

Nella seconda tentazione (la terza per Matteo) il riferimento é a Dt 6,12-13 dove Israele fu tentato di conquistare il potere sulla terra promessa tramite l’idolatria, fidando più nel culto degli dei del paese di Canaan che nella fiducia in Dio. Gesù é tentato di ottenere un potere terreno con l’appoggio del demonio come Israele era stato tentato di averlo con l’appoggio dell’idolatria ed aveva ceduto alla tentazione creandosi un idolo che li guidasse nella conquista (cfr Es 32).

Nella terza tentazione la risposta di Gesù si riferisce a Dt 6,16. Questo versetto si ricollega all’episodio di Massa e Meriba, quando gli ebrei chiesero a Dio un miracolo per non morire di sete nel deserto (cfr Es 17,1-7). In quel contesto il termine “tentare Dio” che viene ripreso da Luca, ha il senso di pretendere da Dio una prova della sua vicinanza, della sua fedeltà all’alleanza. Si mette in dubbio la sua parola, la sua capacità di mantenere fede alle promesse. Ed è proprio a questo livello che il confronto diviene calzante, infatti Gesù non e tentato riguardo alla sete, come Israele, ma come il popolo é tentato riguardo alla fiducia in una promessa di protezione da parte del Signore, ed ancora una volta a differenza del popolo non cade nella tentazione.

Questi continui riferimenti all’esperienza di Israele nel deserto ci danno una chiave per intendere il senso del testo che un esegeta contemporaneo J.Dupont (Les tentations de Jesus au desert-1968) sintetizza: “Gesù vive di nuovo nel deserto le tentazioni del popolo eletto; ma mentre quello cedette, Lui riesce vittorioso mettendo a frutto gli insegnamenti che il Deuteronomio aveva dedotti dalla esperienza di Israele”. Gesù é quindi il vero popolo fedele, il vero nuovo Israele, il vero Figlio di Dio. In Lui il destino di Israele trova il suo compimento. Inoltre nelle parole del Demonio si riconosce un concetto di Messia che Gesù rifiuta: “se tu sei Figlio di Dio…” dice il demonio, cioè se corrispondi all’idea di messia del popolo, allora dovresti comportarti assecondando le tentazioni. Scegliendo un modo politico, mondano di essere messia, che Gesù invece rifiuta decisamente, ricollegandosi ad un modo diverso di comprendere il messianismo, segnato dalla fiducia in Dio e dalla obbedienza totale alla sua parola. In questo modo Gesù indica nell’ascolto obbediente della Parola una via sicura per superare la tentazione.

Gesù a Nazareth (Lc 4,16-30)

Luca pone all’inizio della missione di Gesù il racconto di una sua visita a Nazareth, con un importante discorso nella Sinagoga, che diventa una specie di manifesto programmatico della sua missione.

Questa scena è inquadrata da due menzioni della prima azione apostolica di Gesù che si attua soprattutto entro le sinagoghe (4,14-15 e 4,44); entro questo quadro troviamo la visita anche a Cafarnao, per cui possiamo dire che il terna inquadrato è: “con le sue parole e con le sue azioni Gesù annuncia la salvezza”. Ed attraverso questi due racconti Luca mostra l’estendersi dell’azione di Gesù e dell’annuncio della salvezza dalle sinagoghe della Galilea a quelle della Giudea, in vista di un’estensione futura a regioni più lontane e poi a tutto il mondo, come Luca racconterà nel corso della sua opera.

Questo tema centrale è alla base della riorganizzazione dei ricordi che la tradizione tramandava fino a Luca; infatti l’evangelista sposta le narrazioni anche a costo di lasciare qualche incongruenza, come il v 23, dove si parla dei miracoli di Cafarnao che nel nuovo ordine di Luca non sono invece stati ancora compiuti (cfr poi 4,3lss).

Per Luca era però troppo importante creare un ordine diverso che mostrasse come Gesù dalla sua patria: Nazareth, va verso l’esterno: Cafarnao, in vista di uscire ancora di più incontro all’umanità; come dirà quando cercheranno di trattenerlo: “Bisogna che io annunci il regno di Dio anche alle altre città”.

In questo contesto il racconto di Nazareth mostra di essere diviso in due sezioni, dopo l’annuncio chiaro dell’inizio del compimento delle promesse, si mostra il rifiuto della salvezza fatto da Israele e la sua accoglienza invece da parte delle nazioni.

L’Idea dominante in 4,16-22 è quella dell’OGGI della salvezza, il brano letto è un testo chiaramente messianico di Isaia, e Gesù si immedesima con tanta naturalezza nel personaggio descritto da Isaia che ogni lettore trae l’impressione chiara che Isaia avesse di fronte Gesù di Nazareth quando ha scritto quelle parole profetiche. Soprattutto la menzione dello Spirito e della consacrazione attuata da questo Spirito, corrisponde perfettamente a tutte le sottolineature precedenti fatte da Luca del rapporto unico ed intenso tra lo Spirito e Gesù, a partire dal racconto della annunciazione fino alla discesa dello Spirito ed alle tentazioni. Un elemento tipico di Luca è il fatto che Gesù interrompe la sua lettura subito prima di un versetto che parla di giudizio e punizione: la salvezza annunciata è soprattutto un evento gioioso e di fronte a questa gioia tutto il resto scompare.

Una comprensione più approfondita del testo ci viene se ci serviamo degli studi che hanno ricostruito come si svolgesse una liturgia nella Sinagoga al tempo di Gesù.

Dopo alcune preghiere introduttorie tra cui il Decalogo ed il famoso “Shemà Israel”, seguono le letture. L’inserviente della sinagoga prendeva uno dei cinque rotoli della legge e lo dava ad un uomo che ne leggesse un estratto. Quindi un traduttore, versetto per versetto, dava una versione aramaica, perché l’ebraico in cui era scritto il testo originale non era più comprensibile per l’assemblea. Poi di solito si leggeva un estratto da un libro profetico, che veniva ugualmente tradotto in aramaico. Questo testo veniva detto in aramaico “ashlematah”, cioè compimento. La suafunzione era quella di dare un appoggio ed una prima spiegazione del testo della legge, e veniva perciò scelto in base al primo testo. Seguiva l’omelia che chiarificava l’applicazione alla vita dei testi letti.

Questa descrizione di una preghiera sinagogale in giorno di sabato, mette in maggior risalto l’originalità di Luca. Nel suo testo infatti non si parla più di lettura di un testo dalla Legge, benché questo fosse il testo basilare di tutta la preghiera, sul quale si centravano e dal quale erano determinati sia il testo profetico che l’omelia. Questo silenzio non e casuale, infatti nella preghiera sinagogale descritta da Luca il polo di attrazione di tutto quanto non è più un testo della Legge, ma Gesù.

Il testo profetico inoltre, che nell’ufficio sinagogale veniva dopo la lettura della legge per chiarirla, viene ora prima di Gesù, che ne è il compimento. Tutta la scrittura nell’ottica di Luca è ormai scrittura profetica, in quanto è tutta proiettata verso il suo compimento definitivo che è Cristo. Tutta la funzione della Scrittura assume perciò un nuovo indirizzo: con il compimento ormai in via di realizzazione la Parola di Dio dell’antico testamento, diviene una profezia che punta il dito verso Gesù.

Non comprendere tutto questo, rifiutare questo cambio totale di orizzonte porta inevitabilmente a non comprendere la salvezza offerta da Gesù, a rifiutarla; come accade agli abitanti di Nazareth nella seconda parte di questo racconto. Luca sottolinea ciò stilisticamente con un brusco cambiamento di clima: dall’accettazione entusiasta al netto rifiuto, indicando il capovolgimento che nei cuori degli ascoltatori veniva proposto dalle parole di Gesù.

Di fronte a questa chiarezza, come avverrà nella passione che qui viene anticipata, le reazioni sono due, o accogliere Gesù come Nuova Parola di Dio, che dà il senso vero dell’antica parola rinnovandola dall’interno, o rifiutarlo, ucciderlo, magari in nome di questa stessa antica parola mal compresa. Gesù infatti verrà ucciso sulla croce perché accusato di bestemmia, di aver cioè violato il comando fondamentale dell’antico testamento. Fin da ora si prepara la gloria della pasqua preceduta dalla notte della passione.

Una pesca miracolosa (Lc 5,1-11)

Nel suo vangelo Luca usa il racconto della pesca miracolosa per fare da sfondo alla chiamata dei primi tre discepoli: Pietro, Giacomo e Giovanni. Il racconto della pesca miracolosa è testimoniato anche dalla tradizione giovannea, ma dopo la resurrezione (Gv 21,1-8). Il testo di Marco che riferisce la vocazione dei primi 4 apostoli e che Luca ha certamente presente (Mc 1,16-20) mette in rilevo la particolarità di questo racconto: il protagonismo di Pietro. Rispetto a Marco infatti Luca omette la menzione di Andrea e si riferisce ai due figli di Zebedeo solo alla fine nel v 10.

Il racconto si apre con la scena di Gesù che usa la barca di Pietro come un pulpito improvvisato per parlare alla gente, che usa le rive scoscese del lago di Tiberiade come un anfiteatro naturale. Quest’uso, storicamente e tecnicamente molto credibile, è riportato da Marco due volte in 3,7-9 e 4,1.

Tutto questo mostra come siamo di fronte ad un testo costruito con buona arte narrativa componendo tradizioni diverse su Gesù, il lago ed i suoi discepoli, e soprattutto su una pesca miracolosa che ha per protagonista principale Pietro (anche nel vangelo di Giovanni).

Tutto questo ci invita a valutare attentamente il significato che questo sfondo dà alla vocazione degli apostoli. In Luca questa vocazione non riguarda personaggi tra loro sconosciuti, come appare in Marco. Gesù ha già avuto occasione di mostrare la sua potenza guarendo la suocera del pescatore di Cafarnao (Lc 4,38-40). Salendo sulla barca di questo, per predicare, Gesù ne fa un suo collaboratore in questo impegno di insegnamento, che Luca curiosamente chiama: “insegnare la parola di Dio” (Lc 5,1). Non è certo un caso che nel libro degli Atti si designi così la predicazione degli apostoli. Allo stesso modo la pesca che segue assuma un significato del tutto particolare. Invitando Pietro ad avanzare verso il largo dove l’acqua è profonda Gesù si prepara ad illustrare con un’azione simbolica, simile a quella dei profeti Geremia ed Ezechiele, i risultati della predicazione apostolica. Grazie a Lui ed alla sua potenza, indipendentemente dai limiti degli annunciatori (v 5,8) sarà un grande successo. Le indicazioni temporali del v 5 che fanno riferi­mento ad un fallimento notturno e ad un successo in pieno giorno, oltre a sottolineare la straordinarietà del miracolo, rinviano all’immagine della luce della resurrezione che vince le tenebre degli insuccessi umani.

Nella frase conclusiva di Gesù «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini», viene riassunto il ruolo ed il valore della missione che Gesù affiderà ai futuri evangelizzatori.

Chiamato a seguire Gesù, lasciando tutto per seguirlo, secondo quelle esigenze radicali che il terzo vangelo ama ricordare ai suoi lettori, Pietro è già immesso nel livello di responsabilità che eserciterà nella chiesa. L’immagine luminosa di una pesca fruttuosa ed in pieno giorno, davanti agli occhi di tutti, è il quadro che Luca offre per prefigurare profeticamente quella pesca miracolosa di credenti che gli apostoli e Paolo faranno lungo tutte le sponde del Mediterraneo.

I Dodici Apostoli sulla montagna Lc 6,12-16

Seguendo il testo di Marco, Luca riferisce la chiamata dei Dodici dopo una serie di controversie con gli scribi ed i farisei (Lc 5,17-6,10). Quasi in fuga da un mondo che non lo accoglie Gesù sale verso il Padre. Infatti in tutto l’immaginario biblico la montagna rappresenta il luogo del silenzio, della preghiera, dell’avvicinamento non solo fisico al Cielo. Luca accentua questo fatto parlando di una prolungata preghiera di Gesù che precede la scelta dei dodici. Questo sottolinea che si tratta di una scelta importante, fatta con il consiglio e l’appoggio pieno del Padre. Nella storia della salvezza che Dio dirige e che Gesù è venuto ad attuare si sta compiendo un passaggio importante: Israele, o almeno l’Israele ufficiale degli scribi e dei farisei ha già chiaramente mostrato di rifiutare il vangelo. Gesù risponde ponendo le dodici fondamenta di un nuovo popolo, infatti il numero dodici era chiaramente il primo simbolo delle dodici tribù del popolo eletto. Quello che non va dimenticato è che questo nuovo popolo non è in realtà un popolo del tutto diverso. i Dodici sono infatti tratti da quella folla di ebrei credenti nel vangelo che seguiva Gesù. Come avvenne dopo l’Esilio è da un piccolo resto fedele del popolo precedente che Dio da origine al popolo nuovo. Novità e continuità sono ancora una volta presenti assieme nella storia della salvezza.

Solo Luca ci dice che Gesù, dopo avere scelto i dodici “diede loro il nome di Apostoli”. Il termine greco deriva dal verbo “apostellein” inviare, per questo Luca non differisce molto da Marco che riferisce: “Gesù scelse i dodici per inviarli…”, ma nella formulazione del nostro evangelista traspare una particolare solennità del momento. Il termine nell’uso del tempo di Gesù designava un inviato dotato di particolare autorità e di una certa autonomia di giudizio, un fiduciario del suo signore. Così i rabbini definiscono Eliezer nei confronti di Abramo riguardo al racconto del fidanzamento di Isacco (Gn 24,4). In qualche modo si sta parlando di rappresentanti ufficiali, di ambasciatori. Così gli Apostoli di Cristo non sono dei semplici ripetitori della sua parola, ma degli inviati responsabilizzati a condividere la sua missione di annuncio. Luca come gli altri scritti apostolici (30 utilizzi) ama questo termine ( 36 utilizzi) che è invece raro negli altri vangeli (1 utilizzo per ogni vangelo). Stranamente in Atti Paolo è definito apostolo una sola volta, mentre è un titolo molto frequente nelle sue lettere. Si tratta del suo invio ufficiale da parte della chiesa insieme con Barnaba (Atti 14,4-14). Negli altri casi sono il gruppo degli undici che poi diventano di nuovo dodici, in obbedienza al volere di Gesù. Questo titolo nel vangelo è riservato ai dodici in maniera chiara. In questo modo Luca, con buona probabilità, vuol sottolineare il legame unico tra Gesù ed i dodici. Nella storia della salvezza c’è un tempo unico e significativo: l’epoca dei testimoni oculari, che va dalla vita di Cristo a quella vissuta insieme dagli apostoli a Gerusalemme, animati dallo Spirito di Pentecoste. E’ il tempo della fondazione della Chiesa che ha negli apostoli, ambasciatori plenipotenziari di Gesù, il suo solido fondamento. Il gruppo degli apostoli diventa così la struttura mediatrice indispensabile tra il Gesù storico ed i credenti di tutti i tempi, la visione ecclesiale di Luca traspare dal suo uso di questo termine in maniera chiara.

Beati voi poveri (6,20-49)

Il vangelo di Luca, come quello di Matteo contiene un discorso di beatitudini, cioè con un elenco di attributi preceduti dall’affermazione “beati!”. Non si tratta di una novità, espressioni simili si ritrovano con frequenza nell’antico testamento ed in modi notevolmente diversificati. Una via di comprensione interessante parte dal confronto fra il racconto di Luca e quello di Matteo, fatto soprattutto a partire dalla localizzazione. Infatti Matteo situa la proclamazione delle beatitudini ed il lungo discorso di Gesù che le accompagna su di una montagna; Luca invece fa scendere Gesù dalla montagna in un luogo pianeggiante.

Già S.Ambrogio nel suo commentario sottolineava: “Guarda bene i dettagli, come salga in compagnia degli apostoli e ridiscenda poi verso le folle”. L’immagine è chiara, si sale il monte per isolarsi con pochi, poi si scende nuovamente a valle per poter incontrare una grande moltitudine. Ed in effetti Luca presenta l’arrivo di una grande moltitudine di discepoli di abitanti della Giudea, di Gerusalemme, addirittura pagani di Tiro e Sidone.

Alcuni vengono solo spinti dalla speranza di guarire, altri per ascoltare l’insegnamento di Cristo, ma anche tra questi, quanti sono soltanto dei curiosi, e quanti sono invece disposti ad un vero ascolto? Di fronte al discorso sintetico e chiaro di Cristo, la folla viene divisa, si chiariscono le posizioni. Ai primi si rivolgono promesse di bene e consigli per una vera conversione (6,20-23 etc); agli altri parole chiare destinate a smuoverli con la loro crudezza.

Disceso dalla montagna Gesù pronuncia un discorso in due parti: l’annuncio delle Beatitudini e dei Guai, ed un discorso sulla vita perfetta. Il primo e indirizzato ai discepoli (6,20-26), con questo termine si indicano i seguaci di un maestro, che non necessariamente abbiano fatto una scelta molto impegnativa; dei “discepoli” potevano abbandonare un maestro troppo esigente o troppo difficile da seguire (cfr.Gv 6,60). La stessa introduzione a queste parole li mostra ancora molto mescolati con la folla che viene da Gesù spinta solo dalla curiosità o dal desiderio di essere sanata.

Quello che risulta con chiarezza, anche dal senso che Beatitudini e Guai hanno nell’Antico testamento è che siamo di fronte ad una chiara proposta di conversione. Una proposta che aveva valore non solo per le folle, ma anche per i primi cristiani a cui si rivolgeva il testo di Luca, per i quali la sequela di Gesù non era certo sempre profonda e definitiva come a volte tendiamo ad immaginare.

Queste parole conservano in Luca una seconda particolarità rispetto all’usuale, cioè il loro carattere fortemente personale: “beati VOI”, “guai A VOI”; sono dei veri appelli indirizzati agli ascoltatori come ai lettori e destinati a provocare una presa di posizione personale. Ognuno è invitato a riconoscere che la vera beatitudine e la vera sfortuna, sono ben diverse da quelle che spontaneamente ciascuno riterrebbe, ognuno è invitato a cambiare il proprio metro di giudizio sulla realtà: quello che nel linguaggio biblico si definisce come “cambiare il proprio cuore”, “conversione del cuore”.

Chi sono i poveri intesi da Luca? Certo si tratta di coloro che si trovano realmente nell’indigenza, come la beatitudine sugli affamati conferma con chiarezza anche se è vero che il greco biblico, come l’ebraico, distingue male la povertà materiale da altri tipi di afflizioni: in una parola tutti coloro che sof­frono sono poveri. Come nelle nostra lingua quando diciamo “poveretto”, riferito magari ad un ricco che sia afflitto da una malattia o da un lutto. Le beatitudini di coloro che piangono, di coloro che sono odiati, vengono ad ampliare la categoria di questi poveri destinatari della beatitudine, che comprende anche coloro che pur non essendo miserabili, sono però bisognosi e per questo posti ai confini della società, immediatamente prima degli schiavi, come gli operai a giornata di cui parla Mt 20,lss nella parabola.

Questi sono gli uomini a cui Gesù fa la sua promessa-proposta di beatitudine; e qualsiasi calcolo umano tenderebbe a mostrare questa proposta-promessa come assurda. Diventa perciò estremamente credibile che tra essi si abbia la reazione di un riso di scherno alle parole di Gesù, come indicato dal terzo “guai”.

La situazione di povertà non basta infatti da sola a garantire la beatitudine, alle beatitudini vanno accostati i “guai” e chi non ascoltando Gesù si pone sotto le indicazioni di uno dei “guai”, si esclude con ciò dalla promessa di beatitudine.

Chi non accetta di seguire “il figlio dell’uomo” a costo di porsi in contrasto con i gusti del mondo circostante, chi quindi non mette la sequela di Cristo al disopra di tutto non è per la sua povertà automaticamente beato, ma rischia di incorrere nel quarto guai che lo sottrae alla beatitudine.

Questa beatitudine comporta una promessa: innanzi tutto il “regno di Dio”. Gesù è venuto appunto per questo, per farsi araldo di questo regno che comporta il buon annuncio ai poveri, la proclamazione della liberazione per i prigionieri, del perdono per i peccatori, della salvezza per gli indemoniati, della guarigione per i malati. Realizzare tutto questo è attuare sulla terra il regno di Dio.

Ora la frase “vostro è il regno dei cieli” sembra da intendere in questo contesto, ed in base al greco: “il regno di Dio vi è affidato, sarete voi, i poveri che lo attuerete”. Gesù affida quindi ai poveri, agli ultimi animati pero dalla fede la continuazione della sua opera, attuare nel mondo, per quanto sta all’uomo, il Regno di Dio. Per questo come lui i veri poveri che accoglieranno la sua proposta verranno perseguitati, per questo come gli antichi collaboratori di Dio, i profeti, dovranno subire la persecuzione; ma la vittoria della loro fede e garantita da Dio.

Questo per i collaboratori di Dio, per chi accoglie la promessa-proposta di Gesù; ma gli altri, coloro che rifiutano divenendo i destinatari dei Guai? Ciò che viene rimproverato ai ricchi annunciandolo anche come loro condanna è che hanno “la loro consolazione”. La consolazione è la forza che ci viene comunicata da un altro per affrontare le avversità e le sofferenze; ora ogni vera consolazione vien da Dio, le altre sono illusorie. I ricchi sono degli illusi, credono di poter contare su se stessi, si ritengono forti da soli per cui dovranno ben presto scontrarsi con l’amara esperienza della fine della loro illusione, di fronte alla malattia o alla morte (cfr 16,25; 12,16-21).

Ma se il ricco si lascia cambiare dalle parole di Gesù, forse piangerà e rientrerà, attraverso questo cammino, nel numero dei beati.