ASCENSIONE DEL SIGNORE
Matteo 28, 16-20 – Anno A 


Vangelo secondo Matteo 28,16-20
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».


Riparte la storia

Negli ultimi cinque versetti del suo Vangelo, Matteo riassume e concentra tutta la sua opera collegando l’attività finale di Gesù con il suo inizio, le Beatitudini con la Risurrezione, la Tentazione con la Trasfigurazione.

In quel tempo, 16 gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.

I discepoli ora non sono più dodici ma undici. Il numero dodici che rappresentava il nuovo Israele non viene più ricostituito da Gesù. I discepoli sono undici perché è assente Giuda. Gesù non aveva fissato ai discepoli nessun monte. Aveva detto loro di andare in Galilea, ma non aveva indicato un luogo preciso dove incontrarlo: “Allora Gesù disse loro: – Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno –” (Mt 28,10). Come mai i discepoli, senza esitazione alcuna, si dirigono verso il monte? Quella dell’Evangelista non vuole essere un’indicazione topografica ma teologica. Non indica un luogo ma una realtà vissuta.

Il monte “ è il luogo della terra più elevato e vicino al cielo, da sempre è ritenuto nelle culture antiche la dimora della divinità. Salire sul monte significa poter aver accesso alla divinità o avere la condizione divina (negli apocrifi il monte della Galilea viene chiamato “Luogo di Maturità e di Gioia, Sophia Jesu Christi 1). Il vangelo di Matteo è l’unico che fa iniziare e terminare l’attività di Gesù su il monte (Mt 5,1; 28,16). Questa scena è anche l’ultimo dei riferimenti a Mosè, morto sul monte Nebo (Dt 34,1-5). All’inizio dell’attività di Gesù: “Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria” (Mt 4,8). Il tentatore aveva prospettato a Gesù la condizione divina (monte altissimo) intesa come dominio sul mondo. Gesù raggiungerà la sommità del monte altissimo, non dominando, ma donando la sua vita (Mt 17,1-9). In Matteo, Gesù sale su il monte (con articolo determinativo tò óros]) tre volte:

  • la prima per proclamare nelle beatitudini, e, nel discorso della montagna, una nuova alleanza per tutta l’umanità (Mt 5-7);
  • la seconda per pregare (Mt 14,23) prima di manifestare ai discepoli la sua divinità (“Coraggio, io sono”[alla lettera], Mt 14,27), e, infine,
  • la terza volta, per guarire le folle (Mt 15,29-31 e condividere con loro pani e pesci, nella seconda moltiplicazione (Mt 15,32-38), figura della eucaristia.

Situando i discepoli su il monte, quale condizione per incontrarsi con Gesù, l’evangelista riassume le tre salite al monte di Gesù: il monte è il luogo di quelli che hanno scelto la beatitudine della povertà ( Mt 5,3), la generosa condivisione di quel che hanno e di quel che sono. Scelta che conferisce loro la stessa condizione divina di Gesù, il figlio di Dio. Il monte è dove Gesù ha proclamato le beatitudini che in Matteo sono otto perché questa è la cifra della risurrezione di Gesù (Mt 28,1). Come gli Undici si sono recati su il monte delle beatitudini, luogo dove Gesù ha proclamato il programma del Padre, quanti si situano su questo monte, accettando e praticando le beatitudini, faranno l’esperienza di Gesù risuscitato. Gesù non promette ai discepoli un’esperienza futura, ma assicura una condizione presente: costoro vivono già nel regno di Dio.

17 Quando lo videro, si prostrarono…

Gli Undici vedono Gesù. Il verbo adoperato dall’evangelista (horáō = vedo) è lo stesso usato nelle beatitudini: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5,8), verbo che non indica il semplice vedere dal punto di vista fisico, ma una profonda percezione della realtà, e che è adoperato per le manifestazioni divine (Mt 17,3; 26,64; 28,10).

Vedere il Cristo risuscitato non dipende dalla vista, ma dalla fede. È questa che fa comprendere agli Undici che pur trovandosi di fronte al Gesù da essi conosciuto, in lui si manifesta la pienezza della condizione divina. I discepoli si prostrano, in un segno di adorazione riservato alla divinità, lo stesso compiuto a Betlemme dai Magi (Mt 2,11) e richiesto a Gesù dal satana nel deserto: “Tutte queste cose io ti darò, se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai” (Mt 4,9). La seduzione del tentatore consisteva nel proporre a Gesù la condizione divina attraverso l’uso del potere. Gesù ha raggiunto la pienezza della condizione divina attraverso un servizio totale che è giunto fino al dono di se stesso. L’esperienza di vedere Gesù risuscitato non è un privilegio storicamente concesso a undici discepoli, ma una possibilità per ogni generazione di credenti che accolga e pratichi le beatitudini. La capacità di vedere il Risorto si basa sulla fede dell’individuo, come nella risurrezione di Lazzaro, condizionata dalla fede che Gesù sollecita alla sorella Marta: “Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio ?” (Gv 11,40).

…Essi però dubitarono.

I discepoli pur avendo visto e riconosciuto in Gesù la condizione divina, dubitano. Di che? Non certamente del Cristo risorto che l’evangelista afferma essere veduto e adorato da tutti! Il verbo dubitare/ vacillare (distázō) viene adoperato dall’evangelista soltanto qui e nel tentativo di Pietro di camminare sulle acque: “… cominciando ad affondare gridò:”Signore, salvami!”. E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?” (Mt 14,30-31) L’accostamento tra i due episodi vuole indicare che i discepoli non hanno ancora la fede sufficiente per raggiungere Gesù nella pienezza della condizione divina. Gli Undici hanno infatti compreso che se vogliono essere con Gesù devono affrontare anch’essi l’infamia e l’orrore della crocifissione e non sanno se ne sono capaci. Avevano sì detto a Gesù di essere pronti a morire con lui (Mt 26,35) ma poi lo avevano tutti abbandonato e tradito (Mt 26,56). Con questo dubitare, l’evangelista segnala che il cammino della comunità cristiana verso il dono di sé è lento e faticoso.

18 Gesù si avvicinò e disse loro: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra.

Mentre le donne si sono avvicinate a Gesù (“Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono” – Mt 28,9), qui è Gesù che deve avvicinarsi ai discepoli.

Durante la sua vita terrena Gesù aveva dichiarato che gli era stato dato “potere sulla terra ” (Mt 9,6). Ora che è nella pienezza della condizione divina il suo “potere” viene esteso pure al cielo. Il suo amore (il suo potere) è cosmico. L’affermazione posta dall’evangelista in bocca a Gesù è una citazione del profeta Daniele riguardo al Figlio di uomo al quale Dio “Diede potere, gloria e regno” (Dn 7,14 LXX). Ma c’è un cambio sostanziale: mentre Daniele scrive che “tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano”, per Matteo, Gesù, che “non è venuto per farsi servire ma per servire…” (Mt 20,28), non viene a dominare le nazioni ma a liberarle comunicando loro lo stesso Spirito vitale di Dio.

19 Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo

L’unico imperativo che appare nel brano è: “…fate discepoli…”. Con questo potere/autorità, lo stesso del Padre, Gesù invia i discepoli a tutta l’umanità: il regno di Dio si estende a tutti i popoli. All’inizio della sua missione, invitando i primi due discepoli Gesù aveva detto loro: “E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini»” (Mt 4,19). Il Cristo adesso indica come e dove effettuare questa pesca. All’inizio della sua missione Gesù era stato indicato da Giovanni Battista come colui che “battezzerà in Spirito Santo” (Mt 3,11). Il verbo battezzare significa immergere. Missione di Gesù è stata quella di immergere ogni persona nella forza vitale di Dio (Spirito Santo) comunicandogli la stessa energia divina del Padre. Ora Gesù chiede ai suoi discepoli di collaborare nella sua attività, immergendo nel nome (nella persona) del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, la triplice pienezza della sfera divina, coloro che sono immersi in un ambito di morte per dare loro vita.

20 insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.

Questo battesimo nella realtà di Dio non è un avvenimento isolato nella vita del credente, ma continuativo e duraturo nella misura che questi sarà capace di tradurre in pratica l’amore nel quale è stato immerso.

Nel Vangelo di Matteo si distingue tra il verbo insegnare (didáskontes) e proclamare/predicare/annunciare kēriússete da kēriússō), ed è questa l’unica volta che Gesù autorizza i suoi discepoli a insegnare. Col verbo “insegnare” si intende quella istruzione, esercitata principalmente partendo dai contenuti dell’Antico Testamento, valida solo in ambiente giudaico. Questo insegnamento è esclusiva prerogativa di Gesù, che mai ha autorizzato i discepoli a insegnare (Mt 4,23; 5,2.19; 7,29; 9,35; 11,1; 13,54; 15,9; 21,23; 22,16; 23,8; 26,55; 28,15), ma solo a proclamare/predicare/annunciare (Mt 4,17.23; 9,35; 10,7.27; 11,1; 24,14; 26,13), perché solo lui sa che cosa è possibile prendere dal patrimonio della storia di Israele per annunciare la novità del regno di Dio. Proclamare significa invece annunciare il regno senza bisogno di ricorrere ad argomenti dell’AT e ha un contenuto adatto sia per i Giudei che per i Pagani, e Gesù associa i discepoli in questa predicazione (Mt 3,1; 4,17.23).

Gesù, in questo caso, invia i discepoli a insegnare a praticare ai popoli pagani, dove non c’è necessità di appoggiarsi sui testi dell’Antico Testamento; ed inoltre non li incarica di annunciare una dottrina, bensì di metterla in pratica. Quel che i discepoli devono insegnare a praticare è quanto Gesù ha loro comandato. Matteo ha adoperato l’espressione tutto ciò che vi ho comandato perché è la formula usata nell’AT per riferirsi ai comandi di Dio e alla Legge (Es 29,35; Dt 4,1). L’unica volta che nel Vangelo di Matteo si trova il termine comandamento/precetto in bocca a Gesù è nel discorso della montagna, riferito alle beatitudini e unito al verbo insegnare : “Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei Cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei Cieli” (Mt 5,19). Gesù pone le beatitudini come Nuova alleanza. I precetti minimi sono le beatitudini, definiti minimi in relazione ai comandamenti di Mosè, la cui osservanza veniva chiamata dai rabbini il giogo del regno dei Cieli (Sifra Levitico 25,37.109). Un giogo continuamente accresciuto di precetti ed osservanze fino a diventare insostenibile: “…perché tentate Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri né noi siamo stati in grado di portare? Noi invece crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati, così come loro” (At 15,10-11) afferma Pietro a Gerusalemme, e Paolo, che pur era stato uno zelante e praticante della Legge, denuncia quest’ultima come “ giogo della schiavitù” (Gal 5,1). Gesù definisce i suoi precetti/comandamenti, le beatitudini, un “giogo dolce e un peso leggero” (cfr. Mt 11,30). Un giogo che anziché schiacciare e dominare chi lo accetta lo sostiene e rende libero. Quel che i discepoli devono praticare e insegnare a praticare sono le beatitudini che permettono la realizzazione del regno di Dio.

Con l’espressione Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni… Matteo non termina il suo Vangelo con l’ascensione, come Luca e Marco (Lc 24,50-53; At 1,6-11; Mc 16,19), e neanche con il dono dello Spirito (Pentecoste), ma con l’assicurazione della presenza di Gesù nell’attività dei suoi discepoli. La presenza di Gesù è condizionata dall’attività dei discepoli e non limitata nel tempo: l’espressione fine del tempo (alla lettera: compimento del tempo o fino a quando questo tempo sarà compiuto) non indica una scadenza ma una totalità, e ha il significato di sempre. È la pratica delle beatitudini che consente la presenza di Gesù in mezzo alla comunità. Matteo chiude il suo Vangelo ricollegandosi a quanto aveva scritto all’inizio: Gesù è il “Dio con noi” (Mt 1,23), verità che è stata richiamata a circa metà del suo lavoro: “Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome , lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20). Con Gesù Dio non è più da cercare, ma da accogliere e con lui e come lui continuare a comunicare amore e vita. L’evangelista conclude con questa scena il parallelismo che ha seguito in tutto il suo Vangelo tra la figura di Mosè, servo di Dio e Gesù, figlio di Dio. Come Dio, inviando Mosè dal faraone per far uscire il suo popolo dall’Egitto (“Ora va’ ”), lo rassicura “Io sarò con te” (Es 3,10-12) Gesù invia i suoi (“Andate”) e li rassicura della sua presenza (“Io sono con voi” Mt 28,19). L’esistenza di Mosè si conclude sul monte Nebo con la sua morte; l’esistenza di Gesù continua sul monte con l’affermazione di una vita più forte della morte. Mosè, che non è più, designa in Giosuè un suo successore (Dt 34); Gesù, che è, non ha bisogno di successori ma continua vivo e vivificante in mezzo ai suoi, collaborando alla riuscita della loro attività. L’evangelista ha formulato le ultime parole di Gesù ai suoi discepoli sul modello di quelle che chiudono la Bibbia ebraica che riportano il decreto di Ciro, re di Persia, contenute nel Secondo Libro delle Cronache: «Così dice Ciro, re di Persia: “Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!”» (2Cr 36,23). Con il decreto di Ciro, i Giudei, da Babilonia terra di prigionia, sono invitati a tornare in Giudea, terra della libertà. Con Gesù i discepoli sono invitati a uscire dalla Giudea, diventata terra di prigionia e di morte, per andare in tutto il mondo. L’incarico di Ciro era quello di costruire un tempio al Signore. I discepoli sono il nuovo tempio dove si manifesta la presenza del Signore che sempre è con loro. Matteo chiude il suo lavoro, che aveva iniziato con le parole del primo libro della Bibbia: “Libro della genesi di Gesù Cristo” Mt 1,1[alla lettera], con quelle dell’ultimo libro: 2Cr, racchiudendo e condensando così in Gesù tutta la storia biblica del popolo di Israele.

Riflessioni…

  • La navigazione è terminata. Gesù di Nazaret ha affidato agli Amici il suo legno, in forma di croce, per affrontare corroborati dallo Spirito i successivi percorsi nella Storia, ed è ritornato al Padre.
  • Va donde era partito: presso il Padre. E ritornerà alla fine dei tempi.
  • Durante il suo percorso storico, mentre dimorava tra gli uomini, specie alla fine ha avvertito la nostalgia del Padre, il dolore della Casa delle origini.
  • Compie oggi il suo distacco dagli amici, da tutti i suoi cari: le ferite doloranti della passione sono ormai rimarginate, ma quella del distacco resterà lì, per sempre aperta. Ma saprà aspettare per gioire con tutti, alla fine dei tempi.
  • Da quel Monte, radicato nelle viscere della Terra ed elevato ai Cieli, situato nella Galilea delle Genti, riparte la Storia, diversa e rinnovata e santificata, penetrata dallo Spirito che la anima e le dona nuovi destini.
  • Perché ogni uomo possa vedere, partecipare consapevole all’avventura di Dio, anch’egli radicato sulla terra per orientarsi verso orizzonti nuovi, verso eterno destino, in compagnia di Dio. E si prostra per misurar distanze annullate per sempre dal Figlio che ascende…
  • Andranno d’ora in poi lontano, con distanze ineguali, con tempi distinti, previo il suggello di mani divine benedicenti, che fissano in ogni punto, in ogni attimo un dio che ascende e occupa ogni luogo di vita. Accompagnati tuttavia da dubbi e incertezze, ma sostenuti da speranze e fiducia in chi ha consegnato loro progetti ed esemplarità di vita.
  • E alla fine, in quel giorno di Ascensione, tutta l’azione del Figlio di Dio trova unità, come il dramma della storia trova sintesi e significati.
  • Ề la stessa azione dello Spirito delle origini, della storia di un popolo, della vicenda unica di Gesù con i suoi annunci-novità ed esperienze umane-divine, della storia di una Comunità che è inviata ad insegnare a vivere e a donare salvezza divina, della Storia dell’Umanità.

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Missione e Promessa

L’antica professione di fede della prima comunità cristiana che riconosce Gesù Cristo risorto come il “Signore”, viene trascritta nel linguaggio simbolico della sua ascensione al cielo. Luca privilegia questo modello espressivo alla fine del vangelo e all’inizio del suo secondo libro, gli Atti degli apostoli. Gesù risorto, dopo aver tracciato il programma della missione ai suoi discepoli, sotto i loro occhi sale al cielo. L’evangelista Matteo, invece, fa ricorso a un altro schema per esprimere la stessa convinzione di fede. Gesù risorto, costituito nella pienezza dei suoi poteri, invia i discepoli a tutte le genti e promette di essere con loro tutti i giorni fino alla fine del mondo.

Nel testo degli Atti degli apostoli (I lettura) l’ascensione di Gesù al cielo conclude la sua missione storica, quello che egli “fece e insegnò”. Nella prospettiva lucana l’ascensione non solo pone fine all’attività di Gesù e alla sua presenza visibile in mezzo ai discepoli, ma fonda anche la loro futura missione. Essi, grazie all’incarico di Gesù risorto, confermato dal dono dello Spirito santo, diventano i suoi apostoli. Perciò l’ascensione di Gesù al cielo è preceduta da un periodo di preparazione dei suoi discepoli alla missione futura. I quaranta giorni nei quali Gesù “si mostro ad essi vivo, dopo la sua passione” rientrano nel computo di cinquanta giorni che separano la festa di pasqua dalla pentecoste.

In questo periodo di tempo i discepoli di Gesù sono preparati al loro compito di inviati. Ma l’abilitazione definitiva è il dono dello Spirito Santo: questo è il battesimo nello Spirito che prende il posto del rito di iniziazione praticato da Giovanni. I discepoli di Gesù dunque, con la forza dello Spirito Santo donato da Dio sono incaricati di essere suoi testimoni di fronte a tutti i popoli a partire da Israele.

v.16: Matteo parla esplicitamente di Undici e non di Dodici per ricordare che il gruppo ha una ferita causata dal tradimento di uno di loro; inoltre fa in tal modo comprendere che le parole di promessa che seguiranno non sono donate ad un gruppo di perfetti, ma a uomini fragili, la cui fedeltà è già stata scossa. Il fatto che Gesù convochi non altri discepoli, ma gli stessi che hanno fallito nella prova della sua passione, evidenzia la fedeltà di Gesù alle sue promesse.

Abbiamo nel cuore un desiderio sincero di Dio, nutriamo il sogno di un rapporto fraterno d’amore verso gli altri. Ma questo cammino, che è il nostro è bloccato da tante paure che ci mettono in atteggiamento di difesa di noi stessi e di sospetto verso gli altri.

Inoltre tante e tali sono le promesse del mondo che ci risulta difficile non esserne condizionati e sedotti. Ebbene Gesù è passato in mezzo a tutte queste realtà del mondo tenendo fisso lo sguardo verso il Padre, senza deviare dalla strada della sua missione. E il traguardo del suo cammino è stata la risurrezione, anzi l’ascensione e la partecipazione alla gloria del Padre. Le potenze del mondo non sono state capaci di bloccare il cammino di Gesù e hanno dovuto riconoscere la propria sconfitta quando il Padre lo ha risuscitato dai morti.

v.17: Il testo descrive la prostrazione dei discepoli davanti a Gesù, gesto che esprime la loro fede. Si potrebbe anche tradurre: ‘Vedendolo si prostrarono, ma rimanevano dubbiosi’. Secondo questa traduzione ai discepoli manca ancora, anche dopo i fatti di Gerusalemme, la forza di credere in modo incondizionato a Gesù ed è perciò la sua parola che vince ogni dubbio e li conferma nella fede.

v.18: In queste ultime istruzioni di Gesù, con la promessa che le segue, si trova condensata la missione della chiesa apostolica. Il Cristo glorificato esercita sulla terra il potere che ha ricevuto dal Padre. I suoi discepoli eserciteranno questo stesso potere in suo nome battezzando e formando dei discepoli nella fede. La loro missione è universale; annunziata prima al popolo di Israele, la salvezza deve essere offerta ormai a tutte le nazioni.

Gesù ha ricevuto un potere, donatogli da Dio e perfettamente rispondente a quello del Padre, ottenuto con la logica paradossale dell’obbedienza a Dio e del servizio agli uomini. Il potere di Dio non è il potere dei grandi di questo mondo; il suo potere è diverso: è piuttosto il potere di salvare, di introdurre l’umanità dentro al mistero della sua propria vita.

La manifestazione della potenza di Dio nella risurrezione di Gesù è orientata verso di noi. Cristo ha vinto la morte; ma questa vittoria è per la nostra risurrezione. Cristo è stato investito di un potere salvifico che esercita su di noi per liberarci da ogni forma di schiavitù. Questo fonda la missione della Chiesa: essa sta in mezzo al mondo e tuttavia vive non sotto il dominio del mondo ma sotto la sovranità di Cristo. Tutto il senso della sua esistenza è quindi quello di presentare al mondo la sovranità di Cristo perché gli uomini la riconoscano e liberamente l’accettino.

v.19: L’espressione originale del vangelo di Matteo, tradotta in italiano “fate discepoli”, cioè ammaestrate, ha un significato più preciso: “Fate discepoli tutti i popoli”. Tutti e ognuno, senza distinzioni, sono destinatari della missione degli inviati di Gesù. Lo scopo della loro missione è di farli discepoli di Gesù. Solo con la risurrezione di Gesù si apre l’orizzonte dell’invio a tutte le nazioni per fare di esse l’unico popolo di Dio.

Con il battesimo coloro che hanno creduto entrano in una vita nuova, nella vita divina, trinitaria. Si noti che Matteo parla di un battesimo con formula trinitaria, mentre il battesimo nei primi anni veniva conferito nel nome di Gesù. Matteo deve aver preso questa formula dall’uso liturgico della sua comunità e questo sta ad indicare che ormai era cresciuta nella chiesa primitiva la consapevolezza della divinità non solo di Gesù ma anche dello Spirito. Si sta facendo largo una comprensione più adeguata del tema dello Spirito, che non appare più come forza impersonale proveniente da Dio, ma viene messo sullo stesso piano personale del Padre e del Figlio.

v.20: Matteo ricorda che il tempo della Chiesa è caratterizzato non solo dall’imperativo, dal comando, ma anche dalla promessa: è il tempo della promessa e della fiducia che deriva da questa presenza invisibile, ma efficace, reale del Cristo risorto. Così, dopo l’imperativo ad osservare i comandamenti, il Risorto aggiunge una formula: “Io sono con voi”, che è ripetuta nell’Antico Testamento ogni volta che Jhveh, affidando una missione impegnativa, vuole assicurare anche la sua presenza operante, salvifica, reale.

Allo stesso modo Gesù sarà accanto ai suoi con il suo aiuto salvifico e misericordioso. Tale presenza del Risorto non si riferisce solo agli Undici, ma a tutta la Chiesa, ai credenti di ogni tempo. Attraverso questa custodia di Gesù i discepoli lo sperimenteranno davvero come Emmanuele, “Dio con noi”.

Maria Chiara Zulato
http://www.figliedellachiesa.org