Giovedì della III settimana di Pasqua
At 8,26-40   Sal 65   Gv 6,44-51: Io sono il pane vivo, disceso dal cielo.

In quel tempo, disse Gesù alla folla:
«Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Commento

La forza di cui abbiamo bisogno per vivere autenticamente la vita cristiana è una forza che viene dall’alto e che prende il nome di virtù teologale. Nello specifico questa forza è tripartitica: la fede, la speranza e la carità. Essendo dono non possiamo ritrovarle nelle nostre forze, ma solo in quella gratuità con cui Dio ci ama. Liberi dall’ansia da prestazione che dobbiamo procurarcele da soli, veniamo ricollocati con gioia davanti a un Dio che muore dalla voglia di farci questo dono. È l’intento di Gesù nel Vangelo di oggi quando dice esplicitamente:
Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato”.
Quando pensi di non aver fede non perdere tempo a colpevolizzarti, domandala al Signore. Quando pensi di non avere speranza non perdere tempo a fingere di essere ottimista, domandala al Signore. Quando pensi di non avere amore, non perdere tempo nel sentirti sbagliato domandalo al Signore. In questo domandare Dio risponde attraverso il Figlio. Gesù è la maniera che Dio ha di donarci questi tre doni. I sacramentisono il Figlio. Soprattutto nell’Eucarestia noi riceviamo una scorta di fede, di speranza e di carità. Riceverla però non ci assicura che la useremo. Per questo la Grazia provoca la nostra libertà, affinché al dono corrisponda una scelta. Alla fede, alla speranza e alla carità corrispondono la fiducia, l’audacia e il saper morire per chi si ama. Ha ragione quindi Sant’Agostino a ricordarci che “il Dio che ci ha fatti senza di noi, non ci salva senza di noi”. La grazia e la nostra libertà diventano il binomio vero su cui si poggia la storia della salvezza, perché la redenzione non è semplicemente Dio che ci salva, ma noi che ci lasciamo salvare da Lui. Non siamo salvi per forza, siamo salvi per dono e per adesione a questo dono. Uno può anche lanciarti un salvagente ma tocca a te aggrapparti e farne buon uso. Siamo chiamati a non sprecare il dono, o in assenza di esso a saperlo chiedere con umiltà. L’umile è colui che chiede senza fingere autosufficienza.
da http://www.nellaparola.it


di Paolo Curtaz
Quando iniziamo un cammino di fede, coinvolgendo la nostra intelligenza e i nostri sentimenti; o quando alla fine di questo nostro percorso spesso irto di difficoltà ci “arrendiamo” al vangelo e professiamo la nostra fede… allora ci rendiamo conto che, in fondo, dietro tutto il nostro percorso e cammino, il Signore aveva già manifestato la sua discreta vicinanza. Cerchiamo colui che ci cerca, sentiamo che il nostro desiderio del Signore, in fondo, è lui stesso ad averlo suscitato in noi. Ma Gesù va oltre: credere significa avere la vita eterna, cioè la vita dell’Eterno. Spesso, erroneamente, pensiamo che la vita eterna sia qualcosa che ci capita alla fine del nostro sentiero cammino tragitto di vita, in un ipotetico e fumoso futuro di cui non sappiamo molto. L’eternità diventa, allora, una specie di premio per ripagarci di tutte le noiose cose cattoliche che abbiamo dovuto sopportare. Non è così: la vita eterna è già iniziata, la vita dell’Eterno si accende in noi quando crediamo, quando professiamo la nostra fede, quando scegliamo di diventare e vivere come discepoli del Nazareno. E in questo andare l’eucarestia diventa un incontro fondamentale, intenso, un dono che è il pane del cammino, la reale presenza di Cristo.

Meditazione di Papa Francesco
“Senza testimonianza e preghiera non si può fare predicazione apostolica”

«Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre» (Gv 6,44). Gesù ricorda che anche i profeti avevano preannunciato questo: «E tutti saranno istruiti da Dio» (Gv 6,45). È Dio che attira alla conoscenza del Figlio. Senza questo, non si può conoscere Gesù. Sì, si può studiare, anche studiare la Bibbia, anche conoscere come è nato, cosa ha fatto, questo sì. Ma conoscerlo da dentro, conoscere il mistero di Cristo è soltanto per coloro che sono attirati dal Padre a questo.

Questo è quello che è successo a questo ministro dell’economia della regina d’Etiopia. Si vede che era un uomo pio e che si è preso il tempo, in mezzo a tanti suoi affari, per andare ad adorare Dio. Un credente. E tornava in patria leggendo il profeta Isaia (cfr At 8,27-28). Il Signore prende Filippo, lo invia in quel posto e poi gli dice: «Va’ avanti e accòstati a quel carro» (v. 8,29). E sente il ministro che sta leggendo Isaia. Si avvicina e gli fa una domanda: “Capisci?” – «E come potrei capire, se nessuno mi guida?» (v. 31), e fa la domanda: “Di chi dice questo, il profeta?… Ti prego, sali in carrozza”. E durante il viaggio – non so quanto tempo, penso almeno un paio di ore – Filippo spiegò, spiegò Gesù (cfr vv. 26-35).

Quella inquietudine che aveva questo signore nella lettura del profeta Isaia era proprio del Padre, che attirava verso Gesù (cfr Gv 6,44): lo aveva preparato, lo aveva portato dall’Etiopia a Gerusalemme per adorare Dio e poi, con questa lettura, aveva preparato il cuore per rivelare Gesù. Al punto che appena vide l’acqua disse: “Posso essere battezzato?” (cfr v. 36). E lui credette.

E questo – che nessuno può conoscere Gesù senza che il Padre lo attiri (cfr v. 44) – questo è valido per il nostro apostolato, per la nostra missione apostolica come cristiani. Penso anche alle missioni. “Cosa vai a fare nelle missioni?” – “Io, a convertire la gente” – “Ma fermati, tu non convertirai nessuno! Sarà il Padre ad attirare quei cuori per riconoscere Gesù”. Andare in missione è dare testimonianza della propria fede; senza testimonianza non farai nulla. Andare in missione – e sono bravi i missionari! – non significa fare strutture grandi, cose…, e fermarsi così. No, le strutture devono essere testimonianze. Tu puoi fare una struttura ospedaliera, educativa di grande perfezione, di grande sviluppo, ma se una struttura è senza testimonianza cristiana, il tuo lavoro lì non sarà un lavoro di testimone, un lavoro di vera predicazione di Gesù: sarà una società di beneficenza, molto buona – molto buona! – ma niente di più.

Se io voglio andare in missione…, se io voglio andare in apostolato, devo andare con la disponibilità che il Padre attiri la gente a Gesù, e questo lo fa la testimonianza. Gesù stesso lo dice a Pietro, quando confessa che Lui è il Messia: “Tu sei beato, Simon Pietro, perché questo te lo ha rivelato il Padre” (cfr Mt 16,17). È il Padre che attira, e attira anche con la nostra testimonianza. “Io farò tante opere, qui, di qua, di là, di educazione, di questo, dell’altro…”, ma senza testimonianza sono cose buone, ma non sono l’annuncio del Vangelo, non sono posti che diano la possibilità che il Padre attiri alla conoscenza di Gesù (cfr Gv 6,44). Lavoro e testimonianza.

“Ma come posso fare perché il Padre si preoccupi di attirare quella gente?”. La preghiera. Questa è la preghiera per le missioni: pregare perché il Padre attiri la gente verso Gesù. Testimonianza e preghiera, vanno insieme. Senza testimonianza e preghiera non si può fare predicazione apostolica, non si può fare annuncio. Farai una bella predica morale, farai tante cose buone, tutte buone. Ma il Padre non avrà la possibilità di attirare la gente a Gesù. E questo è il centro: questo è il centro del nostro apostolato, che il Padre possa attirare la gente a Gesù (cfr Gv 6,44). La nostra testimonianza apre le porte alla gente e la nostra preghiera apre le porte al cuore del Padre perché attiri la gente. Testimonianza e preghiera. E questo non è soltanto per le missioni, è anche per il nostro lavoro come cristiani. Io do testimonianza di vita cristiana, davvero, con il mio stile di vita? Io prego perché il Padre attiri la gente verso Gesù?

Questa è la grande regola per il nostro apostolato, dappertutto, e in modo speciale per le missioni. Andare in missione non è fare proselitismo. Una volta, una signora – buona, si vedeva che era di buona volontà – si è avvicinata con due ragazzi, un ragazzo e una ragazza, e mi ha detto: “Questo ragazzo, Padre, era protestante e si è convertito: io l’ho convinto. E questa ragazza era…” – non so, animista, non so cosa mi ha detto – “e l’ho convertita”. E la signora era buona: buona. Ma sbagliava. Io ho perso un po’ la pazienza e ho detto: “Senti, tu non hai convertito nessuno: è stato Dio a toccare il cuore della gente. E non dimenticarti: testimonianza, sì; proselitismo, no”.

Chiediamo al Signore la grazia di vivere il nostro lavoro con testimonianza e con preghiera, perché Lui, il Padre, possa attirare la gente verso Gesù.

Giovedì, 30 aprile 2020