Is 49,1-6 Sal 70 Gv 13,21-33.36-38: Uno di voi mi tradirà… Non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte.
In quel tempo, mentre era a mensa con i suoi discepoli, Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: «In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardavano l’un l’altro, non sapendo bene di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose Gesù: «È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò». E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariòta. Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui. Gli disse dunque Gesù: «Quello che vuoi fare, fallo presto». Nessuno dei commensali capì perché gli avesse detto questo; alcuni infatti pensavano che, poiché Giuda teneva la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte. Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire». Simon Pietro gli disse: «Signore, dove vai?». Gli rispose Gesù: «Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi». Pietro disse: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!». Rispose Gesù: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte».
Commento
di L.M. Epicoco:
«In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà».
Quando eravamo piccoli e andavamo al catechismo, nessuno voleva mai fare Giuda. E forse perché nessuno voleva trovarsi nell’imbarazzo di questa domanda. Tutti sapevamo chi era il colpevole, ma anche se lo sapevamo si creava in noi la paura che alla fine sarebbe stato chiaro davanti agli occhi di tutti che il colpevole era ognuno di noi. Credo che solo così si giustifica l’eccessiva curiosità dei discepoli di volerne scoprire il nome. E pur di saperlo sono disposti anche a giocarsi la carta del prediletto:
“Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose Gesù: «È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò»”.
Se dovessimo fermarci solo alla semplice gestualità del racconto, dovremmo dire che Gesù indica il traditore con un gesto chiaro che è quello di dargli personalmente un boccone. Sacramentalmente dovremmo dire che Gesù gli pone chiaramente un gesto d’intimità, ma invece di essere per lui salvezza, questa intimità diventa in lui abisso di tenebra:
“E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariòta. Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui. Gli disse dunque Gesù: «Quello che vuoi fare, fallo presto»”.
Troppo spesso ci sentiamo al sicuro semplicemente perché conserviamo una pratica cristiana vissuta più come amuleto che come redenzione. Pensiamo che siccome prendiamo l’eucarestia ogni giorno o diciamo delle preghiere questo ci terrà certamente al sicuro e dalla parte giusta. Il diavolo non è spaventato dai sacramenti, specie quando vengono presi senza che la persona decida seriamente di convertirsi. Anzi, paradossalmente accostarsi ai sacramenti senza desiderare davvero una conversione, non solo non ci tiene al sicuro ma ci fa “mangiare e bere la nostra condanna” dirà San Paolo.
http://www.nellaparola.it
di Paolo Curtaz:
Leggiamo in questi ultimi giorni le diverse versioni della cena. Oggi tocca a Giovanni che, come sempre, vola alto. Gesù, nel momento più tragico della sua vita, radicalmente turbato, vuole ancora salvare due suoi discepoli. Deve salvare Giuda dal suo delirio, convinto com’è di forzare la mano per far incontrare Gesù e il sinedrio. E anche se tenta di farlo rinsavire, con la comunione che viene data a Giuda, anche a lui (!) ormai, è abitato dalle tenebre. È perso, certo, ma Gesù non è forse venuto per chi è perduto? Esulta, il Signore: ora è il momento della glorificazione, ora potrà dimostrare inequivocabilmente l’autentico volto di Dio. E deve salvare Pietro dalla sua supponenza, dal suo credersi migliore degli altri. È questo il cuore del vangelo: la volontà invincibile di Gesù di salvare chi gli è affidato. E anche noi. Non esiste tenebra che ci possa definitivamente allontanare da Dio. Non esiste orgoglio che ci impedisca di rinascere. Come arriviamo a questa Pasqua? Il Signore desidera ancora donarsi e ogni eucarestia che celebriamo diventa il luogo in cui ripercorriamo e rendiamo presente la sua intatta volontà di redenzione per ogni uomo.
Meditazione di Papa Francesco
Perseverare nel servizio
La profezia di Isaia che abbiamo ascoltato è una profezia sul Messia, sul Redentore, ma anche una profezia sul popolo di Israele, sul popolo di Dio: possiamo dire che può essere una profezia su ognuno di noi. In sostanza, la profezia sottolinea che il Signore ha eletto il suo servo dal seno materno: per due volte lo dice (cf. Is. 49,1). Dall’inizio il suo servo è stato eletto, dalla nascita o prima della nascita. Il popolo di Dio è stato eletto prima della nascita, anche ognuno di noi. Nessuno di noi è caduto nel mondo per casualità, per caso. Ognuno ha un destino, ha un destino libero, il destino dell’elezione di Dio. Io nasco con il destino di essere figlio di Dio, di essere servo di Dio, con il compito di servire, di costruire, di edificare. E questo, dal seno materno.
Il Servo di Jahvé, Gesù, servì fino alla morte: sembrava una sconfitta, ma era il modo di servire. E questo sottolinea il modo di servire che noi dobbiamo prendere nella nostra vita. Servire è darsi, darsi agli altri. Servire è non pretendere per ognuno di noi qualche beneficio che non sia il servire. È la gloria, servire; e la gloria di Cristo è servire fino ad annientare sé stesso, fino alla morte, morte di Croce (cf. Fil 2,8). Gesù è il servo di Israele. Il popolo di Dio è servo, e quando il popolo di Dio si allontana da questo atteggiamento di servire è un popolo apostata: si allontana dalla vocazione che Dio gli ha dato. E quando ognuno di noi si allontana da questa vocazione di servire, si allontana dall’amore di Dio. Ed edifica la sua vita su altri amori, tante volte idolatrici.
Il Signore ci ha eletti dal seno materno. Ci sono, nella vita, cadute: ognuno di noi è peccatore e può cadere ed è caduto. Soltanto la Madonna e Gesù [sono senza peccato]: tutti gli altri siamo caduti, siamo peccatori. Ma quello che importa è l’atteggiamento davanti al Dio che mi ha eletto, che mi ha unto come servo; è l’atteggiamento di un peccatore che è capace di chiedere perdono, come Pietro, che giura che “no, io mai ti rinnegherò, Signore, mai, mai, mai!”, poi, quando canta il gallo, piange. Si pente (cf. Mt. 26,75). Questa è la strada del servo: quando scivola, quando cade, chiedere perdono.
Invece, quando il servo non è capace di capire che è caduto, quando la passione lo prende in tal modo che lo porta all’idolatria, apre il cuore a satana, entra nella notte: è quello che è accaduto a Giuda (cf. Mt. 27, 3-10).
Pensiamo oggi a Gesù, il servo, fedele nel servizio. La sua vocazione è servire, fino alla morte e morte di Croce (cf. Fil. 2,5-11). Pensiamo a ognuno di noi, parte del popolo di Dio: siamo servi, la nostra vocazione è per servire, non per approfittare del nostro posto nella Chiesa. Servire. Sempre in servizio.
Chiediamo la grazia di perseverare nel servizio. A volte con scivolate, cadute, ma la grazia almeno di piangere come ha pianto Pietro.
Martedì, 7 aprile 2020