Radicati in Cristo insieme a Comboni.
Vivere la Missione come “Cammino sinodale di fraternità”.
Capitolo Generale dei Missionari Comboniani,
Roma, 4 giugno 2022
Card. Miguel Ángel Ayuso Guixot, mccj

Cari confratelli,

i lavori di questo Capitolo Generale ci pongono di fronte una domanda che è quella di come vivere la missione come cammino sinodale di fraternità. E’ un cammino fatto in comunione, partecipazione e missione. Un processo che facciamo radicati in Cristo e insieme a San Daniele Comboni per delineare il nostro servizio alla Chiesa e al Regno di Dio.

La vocazione missionaria e l’appartenenza a una famiglia missionaria sono un dono, non sono merito nostro. Siamo missionari perché Dio è stato buono e ha voluto servirsi di noi per mostrare il suo volto paterno a tanti fratelli e sorelle che ancora non lo conoscono.

Ricordo ciò che il Santo Padre ci disse nel 2015 in occasione dell’Udienza per i 150 anni dei Comboniani:

“Nella Parola di Dio c’è la saggezza che viene dall’alto, e che permette di trovare linguaggi, atteggiamenti, strumenti adatti per rispondere alle sfide dell’umanità che cambia. In quanto Comboniani del Cuore di Gesù, voi contribuite con gioia alla missione della Chiesa, testimoniando il carisma di san Daniele Comboni, che trova un punto qualificante nell’amore misericordioso del Cuore di Cristo per gli uomini indifesi. In questo Cuore c’è la fonte della misericordia che salva e genera speranza. Pertanto, come consacrati a Dio per la missione, siete chiamati ad imitare Gesù misericordioso e mite, per vivere il vostro servizio con cuore umile, prendendovi cura dei più abbandonati del nostro tempo” (Papa Francesco, Udienza per i 150 anni dei Comboniani).

Nel profondo del nostro essere missionari risuona la voce del Signore che ci invita a dire la sua parola, a offrire la sua proposta, a condividere il suo amore perché è soltanto lui che può salvare, è soltanto lui che può seminare nel cuore dei nostri contemporanei il seme del senso della vita che non esiste al di fuori dell’Amore che soltanto Dio può offrirci. Mi auguro perciò che il nostro Istituto possa crescere nella fraternità solidale e così, come tralci della Vigna del Signore, portare abbondante frutto.

Con “la saggezza che viene dall’alto” dobbiamo osservare i segni dei tempi e l’orizzonte che abbiamo innanzi a noi. Sappiamo bene che il Papa sogna una Chiesa dalle porte aperte, accogliente, un ospedale da campo, una Chiesa in uscita, per portare a tutti la fede e per avviarsi verso le periferie esistenziali e geografiche dove la gente vive e soffre. Una Chiesa che odori di pecora, che sia misericordiosa, e che non sia autoreferenziale ma poliedrica e sinodale.

Entrare nel dinamismo sinodale

“Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. È questo il tema della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi indetta da Papa Francesco e che come popolo di Dio tutti noi stiamo vivendo. Il Santo Padre, durante il Pontificato, ha più volte ricordato che la sinodalità è una strada maestra nella vita della Chiesa. In occasione del 50.mo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi, il 17 ottobre del 2015, ha pronunciato queste parole: “Quello che il Signore ci chiede, in un certo senso, è già tutto contenuto nella parola Sinodo. Camminare insieme – laici, pastori, vescovo di Roma – è un concetto facile da esprimere a parole, ma non così facile da mettere in pratica”. La sinodalità quindi è il cammino che Dio attende dalla Chiesa nel terzo millennio ed anche la vita religiosa deve entrare in questa prospettiva. Ciò implica che ci inseriamo nel santo popolo di Dio che ha ricevuto lo Spirito. Non si tratta di rinunciare alla nostra identità, ma di condividerla con altri.

È importante evidenziare che Papa Francesco indicando il metodo sinodale intende dare vigore alla dimensione ecclesiale, che costituisce l’anima della Chiesa, così che sempre prevalga l’unità di tutto il Corpo di Cristo, quale bene primario ed essenziale dell’essere e dell’agire della Chiesa. È una modalità per mettere in luce che “l’unità prevale sul conflitto” (cfr. EG 226-230) e per rendere evidente che la Chiesa è Corpo di Cristo, e lo è in quanto Popolo unito a Lui nell’amore. È questo vincolo di amore che muove l’atteggiamento di rinnovamento incessante della Chiesa.

Missione come cammino sinodale di fraternità

Tempo fa ho avuto modo di leggere un Documento della Chiesa di Verona nel quale si delineavano gli Orizzonti Pastorali per il triennio 2019-2022 dal titolo: “Io sono la vite, voi i tralci”. Mi è tornato in mente pensando a cosa dire oggi ed ho trovato singolare e di buon auspicio che il testo si riferisse al medesimo brano evangelico che fa da guida al nostro cammino sinodale e di fraternità, come proposto in questo Capitolo Generale, e che provenisse dalla Chiesa di San Zeno, da quella Diocesi di Verona alla quale la nostra Congregazione è profondamente legata e debitrice. Per questo mi sono permesso di riprendere i tre verbi sottolineati negli Orizzonti Pastorali e che ricorrono spesso anche nei discorsi di Papa Francesco: rimanere, condividere, gioire. 

Così diceva Papa Francesco durante il Regina Coeli del 2 maggio 2021: “Perché i tralci senza la vite non possono fare nulla, hanno bisogno della linfa per crescere e per dare frutto; ma anche la vite ha bisogno dei tralci, perché i frutti non spuntano sul tronco dell’albero. È un bisogno reciproco, è un rimanere reciproco per dare frutto. Noi rimaniamo in Gesù e Gesù rimane in noi”. 

Primo passo: RIMANERE (Gv 15,5-10)

Come il tralcio se non è unito alla vite non può portare frutto, così è per ciascuno di noi. Nasciamo figli, riceviamo la nostra vita e la nostra identità dall’amore di chi ci precede, come un dono e non come una scelta nostra. Il sentirsi figli sgorga dalla consapevolezza dell’amore che ci precede e nel quale siamo chiamati a rimanere. La vita di Cristo racchiude in se stessa il tesoro dell’amore pieno e autentico: quello del Padre che viene per opera dello Spirito Santo. Siamo salvati come parte attiva di una comunione di amore, che ci lega insieme come fratelli nell’unico Corpo di Cristo, come tralci alla vite. Diceva Papa Francesco che è il rimanere reciproco che porta frutto.

L’essere figli dello stesso Padre allora ci chiede di metterci in ascolto della Parola di Dio perché solo così il tralcio trae dalla vite la linfa per vivere. Dall’ascolto della Parola nasce anche l’ascolto dei fratelli. L’ascolto diventa il primo atteggiamento da maturare nelle nostre comunità fra di noi e nella nostra opera di evangelizzazione.

San Daniele Comboni sognava una comunità di fratelli, di discepoli missionari: “I nostri Missionari, siano Sacerdoti o Laici, vivono insieme da fratelli nella medesima vocazione, … senza gare o pretensioni, pronti a tutto quello che viene loro ordinato di fare, disposti a compatirsi e aiutarsi vicendevolmente” (S 1859). Vivere oggi la fraternità è una grande sfida.

Come non pensare allora all’Enciclica Fratelli tutti (3 ottobre 2020)? Sappiamo bene che l’Enciclica è rivolta sia ai credenti sia ai non credenti. Papa Francesco sottolinea la necessità di ripartire da una fratellanza universale, dalla pace, da una scelta di perdono. Ha una visione che è quella del padre, che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi, è il padre di tutti, non è solo padre dei cristiani, dei cattolici. Lui ha questo sguardo, ma senza rinnegare l’identità cristiana, che comunque è un messaggio meraviglioso dell’amore ai nemici, dell’accoglienza dei poveri. Quindi il futuro dell’annuncio del Vangelo passa dall’agire con l’amore che Gesù ci chiede: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se vi amate gli uni gli altri” (Gv 13,35). Dalla nostra apertura al Padre di tutti, riconosciamo la nostra condizione universale di fratelli. Per noi cristiani, la sorgente della dignità umana e della fraternità è nel nostro rimanere radicati nel Vangelo di Gesù Cristo, da cui nascono le nostre azioni e i nostri impegni.

Secondo passo: CONDIVIDERE (Gv 15,12-15)

La Chiesa è una comunione di amore in Cristo dove nessuno vive per se stesso, ma tutti insieme siamo al servizio gli uni degli altri. La Chiesa è dunque un Corpo unico e molteplice, un Popolo dove ognuno riceve la sua vita nell’unità e vive al servizio dell’unità. Tralci di una stessa vite e da essa tutti, nelle proprie diversità, troviamo la fonte di vita.

San Daniele Comboni diceva del suo Istituto che non è tedesco, né italiano né spagnolo ma cattolico, ossia universale. In un mondo che si chiude sempre di più e che costruisce muri, la figura del nostro Fondatore è un invito costante ad aprirsi alla diversità, alla multiculturalità e al dialogo con credenti di altre religioni ma anche con uomini e donne di buona volontà.

Per noi missionari la partecipazione alla vita della Chiesa non è un dovere o uno sforzo, ma una esigenza di amore sentita e vissuta da tutti, ognuno secondo il suo dono e le sue possibilità. La condivisione quindi non nasce dall’urgenza del dovere ma dall’urgenza dell’amore. L’amore reciproco sappiamo bene che va condiviso nell’accoglienza che parte sempre dagli ultimi, i più piccoli, i più poveri perché dall’amore verso di loro e dall’amore vicendevole dipende il futuro della testimonianza evangelica.

In un mondo disumanizzato, nel quale la cultura dell’indifferenza e dell’avidità contraddistinguono i rapporti tra gli esseri umani, c’è bisogno di una solidarietà nuova e universale e di un nuovo dialogo basato sulla fraternità. Una società fraterna, dunque, sarà quella che promuove l’educazione al dialogo per sconfiggere “il virus dell’individualismo radicale” (Ft 105) e per permettere a tutti di dare il meglio di sé. Due, in particolare, gli ‘strumenti’ per realizzare questo tipo di società: la benevolenza, ossia il volere concretamente il bene dell’altro (Ft 112), e la solidarietà che ha cura delle fragilità e si esprime nel servizio alle persone e non alle ideologie, lottando contro povertà e disuguaglianze (Ft 115).

Noi Comboniani siamo chiamati a vivere la nostra vocazione e missione con gli occhi fissi nel Cuore trafitto del Buon Pastore, sui passi di S. Daniele Comboni che aveva ben compreso che in quel cuore aperto c’era il mistero dell’amore di Dio che vuole far vedere che il suo amore è fonte di vita e possibilità di un’umanità nuova per tutti.

Terzo passo: GIOIRE (Gv 15,11.16)

Come possiamo gioire in un tempo segnato in maniera tragica dal dolore, dalla violenza, dalla guerra? Mai ci saremo aspettati di essere testimoni di un momento storico nel quale è davvero difficile, se non impossibile, vivere l’esperienza della gioia! Eppure la nostra fede e la nostra esperienza missionaria, vissuta anche in mezzo a tante guerre, ci dicono che l’amore che testimoniamo porta la gioia che è una realtà che si diffonde, si espande e si moltiplica. La Chiesa desidera coltivare relazioni gioiose e di amicizia tra tutti i suoi membri e con ogni persona perché si manifesti l’amore di Cristo e la volontà di trovare vie di pace, di dialogo perché, per dirla con Papa Francesco, non vinca il ‘cainismo’. Dobbiamo invece riscoprire la bellezza e la gioia della fratellanza umana e della ricchezza dell’incontro con altre culture e religioni cercando di vedere, pur nella diversità, più le cose che uniscono che quelle che dividono.

“Il Fondatore ha trovato nel mistero del Cuore di Gesù lo slancio per il suo impegno missionario” (RV 3). Comboni non aveva dubbi: ciò che spinge il missionario a partire e lo sostiene nelle difficoltà, è la carità che arde nel cuore di Cristo “vittima di propiziazione per tutto il mondo (S 3324) “e che è egli stesso la gioia, la speranza, la fortuna e il tutto dei suoi poveri Missionari” (S 5255). 

È la gioia del buon pastore di cui parla il Vangelo, che conosce le pecore, le chiama per nome e dà la vita per loro.

La nostra gioia trova il suo fondamento nel rimanere radicati nell’amore di Cristo, la nostra linfa vitale, e dalla condivisione di questo amore che può far nascere un’umanità nuova dove tutte le persone possano godere della libertà, della giustizia e dell’essere riconosciuti come figli e figlie di Dio, che ci fa tutti uguali e tutti fratelli e sorelle.

Oggi, in un mondo sovrastato dalle ombre della violenza, dell’odio, della guerra, di tante ingiustizie di cui noi stessi siamo testimoni; oggi, nella nostra società che attraversa un periodo di confusione, d’incertezza, di apprensione di fronte al futuro, mentre aumenta la sfiducia e gli altri sono considerati una minaccia; in un’umanità che, nella crisi, sviluppa strategie per rinchiudersi in se stessa e costruisce muri, la missione diventa un’azione sempre più urgente in quanto annuncio dell’amore di Dio per questa umanità dolente.

Conclusione

L’insegnamento di Papa Francesco continua a tracciare una strada ben precisa e percorribile da tutti gli uomini di buona volontà. Davanti ai feriti dalle ombre di un mondo chiuso, che giacciono ai lati della strada, Papa Francesco ci chiama a fare nostro, e a realizzare, il desiderio mondiale di fratellanza, che parte dal riconoscimento che siamo ​fratelli tutti​. Dobbiamo mettere da parte pregiudizi, indugi e difficoltà. Pur non rinunciando in nulla alla nostra identità o rifacendosi ad un facile irenismo, con forza e con coraggio, si deve affermare la necessità della fraternità umana e dell’amicizia sociale quali condizioni necessarie per l’ottenimento di quella pace alla quale anela il mondo intero.

Il Cuore di Gesù ci aiuti a diventare inventori di una missione nuova per i nostri tempi e la nostra testimonianza missionaria sia per molti nostri fratelli e sorelle occasione per aprirsi all’Amore che Dio ha, senza limiti, per tutti. Comboni ci invita a guardare al Crocifisso: “si formeranno a questa disposizione essenzialissima con tener sempre gli occhi fissi in G.C. amandolo teneramente e procurando d’intendere ognora meglio cosa vuol dire un Dio morto in Croce per la salvezza delle anime” (Regole 1871, X).

E’ mio auspicio che sappiamo tutti come Comboniani, trovare la strada giusta per una conversione personale, per un rinnovamento nella sequela del nostro Fondatore San Daniele Comboni, e per approfondire a livello personale e comunitario, quali siano le sfide che il mondo e la Chiesa ci pongono, perché per mezzo della cultura del dialogo, dell’incontro, della tenerezza, coi nostri sforzi e sacrifici, sappiamo portare questa fiducia in Dio di cui il mondo oggi ha una estrema necessità. 

Rinnoviamoci con speranza, perché la nostra missione, la nostra responsabilità di rimanere radicati nella nostra fede e identità, di condividere l’amore di Dio e di diffondere la gioia che nasce dall’annuncio di questo amore gratuito sia sempre segno di fraternità e sia sempre condotta con tanta pazienza, comprensione e ascolto!