Il segreto della Prima Lettera di Pietro (2)
di Carlo Maria Martini
Corso di esercizi spirituali (2005)


iluminura

LECTIO E MEDITATIO DI 1 Pt 1, 3-12

Passiamo ora alla lettura dei versetti successivi:

«Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo; nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per una eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, per la vostra salvezza, prossima a rivelarsi negli ultimi tempi. Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po’ afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell’ oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo; voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la mèta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime.

Su questa salvezza indagarono e scrutarono i profeti che profetizzarono sulla grazia a voi destinata cercando di indagare a quale momento o a quali circostanze accennasse lo Spirito di Cristo che era in loro, quando prediceva le sofferenze destinate a Cristo e le glorie che dovevano seguirle. E fu loro rivelato che non per se stessi, ma per voi erano ministri di quelle cose che ora vi sono state annunziate da coloro che vi hanno predicato il vangelo nello Spirito santo mandato dal cielo: cose nelle quali gli angeli desiderano fissare lo sguardo» (1 Pt 1, 3-12).

È una pagina ricca di prospettive teologiche, piena di entusiasmo e di speranza.

Cerchiamo anzitutto, nel momento della lectio, di cogliere la struttura del testo, che si compone di tre parti: la coscienza escatologica del cristiano(vv. 3-5), la gioia nella prova (vv. 6-9), la coscienza messianica del cristiano (vv. 10-12). Sono per così dire tre elementi di principio e fondamento.

La coscienza escatologica del cristiano

«Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo». Inizia con quella che in ebraico si chiama berakah, una benedizione, che conosciamo da altre lettere del Nuovo Testamento, per esempio 2 Cor:«Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (1, 3).

Alla benedizione seguono delle proposizioni affermative, che indicano il principio e fondamento dell’esortazione della lettera: «Dio nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per una eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce».

La parola chiave è speranza: «Dio ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva», speranza che viene poi specificata in tre modi: è un’eredità che «non si corrompe»(a-phtharton), «non si macchia» (a-mianton), «non marcisce» (a-maranton).
L’alfa 
privativo indica come questa speranza è assolutamente intoccabile e ha un carattere di definitività. È l’esperienza di una apertura eterna, non limitata a piccoli tempi della vita e all’esistenza terrena. E benediciamo Dio che ci ha donato una prospettiva che va ben al di là della morte, per raggiungere la pienezza stessa di Dio, la sua felicità.

Speranza viva che «è conservata nei cieli per voi». Pietro, dopo aver detto: «Dio ci ha rigenerati», passa subito al «voi»: «Essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, per la vostra salvezza, prossima a rivelarsi negli ultimi tempi».

Siamo ammirati di come la primitiva comunità cristiana riusciva a esprimere in maniera così profonda il dogma. Noi non saremmo capaci oggi di scrivere una frase tanto densa come questa.

Il termine è dunque la speranza viva, che è eterna, che viene conservata nei cieli dalla potenza di Dio e che si rivelerà negli ultimi tempi. È una speranza escatologica. E il principio e fondamento è questa speranza del cristiano, resaci certa da Dio e donataci mediante la risurrezione di Gesù dai morti.

La gioia nelle prove

Ne deriva un secondo principio e fondamento ed è la gioia nelle afflizioni(vv. 6-7): «Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po’ afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell’oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo». Il cristiano, attendendo la manifestazione escatologica di Gesù Cristo, sperimenta la gioia pur nelle prove del presente.

Dopo la menzione di Gesù Cristo alla fine del v. 7, leggiamo un’ effusione d’amore molto bella nei vv. 8 e 9: «Voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la mèta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime».

È un approfondimento del pensiero fondamentale. Dal momento che tutto è giocato sulla speranza di ciò che verrà e la speranza riempie di gioia il momento presente, vi riempie di gioia anche l’amare Gesù, pur senza averlo visto. È la beatitudine che sgorga dalla speranza, dall’amore e dalla fede, e si manifesterà alla fine nella salvezza delle anime.

Osserviamo come quella che è stata proclamata speranza viva nel v. 3 viene poi ripresa come fede nei vv. 7 e 9: «il valore della vostra fede,molto più preziosa dell’oro», «mentre conseguite la mèta della vostra fede».

Notiamo inoltre che ambedue le parti terminano con la menzione della salvezza escatologica. Il v. 5 recita: «Dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, per la vostra salvezza, prossima a rivelarsi negli ultimi tempi»; e il v. 9: «mentre conseguite la mèta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime».

Questi versetti sono dunque una grande contemplazione mistica della salvezza escatologica del cristiano ed esprimono la coscienza della gioia che essa suscita fin da ora, nel presente.

Coscienza messianica

vv. 10-12 offrono un terzo principio e fondamento: il riconoscersi l’oggetto ultimo del disegno di salvezza proclamato dai profeti nel Primo Testamento. Tutto ciò che è avvenuto riguarda noi: «Su questa salvezza indagarono e scrutarono i profeti che profetizzarono sulla grazia a voi destinata» (v. 10).

Il v. 11 è considerato una lente ermeneutica per la lettura dell’intera Bibbia: «cercando di indagare a quale momento o a quali circostanze accennasse lo Spirito di Cristo che era in loro, quando prediceva le sofferenze destinate a Cristo e le glorie che dovevano seguirle».

Viene alla mente il discorso di Gesù ai discepoli di Emmaus: i profeti avevano previsto le sofferenze e le glorie del Cristo che si sono avverate oggi per voi (cfr. Le 24) 25-27).

Ciò viene detto più chiaramente nel v. 12: «E fu loro rivelato che non per se stessi, ma per voi, erano ministri di quelle cose che ora vi sono state annunziate da coloro che vi hanno predicato il Vangelo nello Spirito santo mandato dal cielo; cose nelle quali gli angeli desiderano fissare lo sguardo».

Siamo di fronte a una profonda intuizione profetica sul significato di tutto il Primo Testamento, che ora si adempie nei cristiani.

Concludendo: al principio e fondamento costituito dalla coscienza battesimale (vv. 1-2), la 1 Pt aggiunge il principio e fondamento costituito dalla coscienza escatologica, dalla coscienza potremmo dire gioiosa delle sofferenze di fronte alla pienezza eterna, e della coscienza messianica di essere il punto di arrivo della storia di salvezza.

Prima di passare alla meditatio, sottolineo due parole chiave del testo.

Speranza e salvezza

La prima parola chiave l’ho già accennata: è speranza (v. 3): «per una speranza viva», che ritornerà in 1, 13: «Fissate ogni speranza in quella grazia che vi sarà data»; e ancora concluderà l’esortazione dal c. 1:«Così la vostra fede e la vostra speranza sono fisse in Dio» (v. 21).

La speranza è il leit-motiv presente in tutto il capitolo 1.

Un’altra parola chiave è salvezza: «Dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, per la vostra salvezza» (v. 5). Ritorna al v. 9: «Mentre conseguite la mèta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime», e all’inizio della terza parte: «Su questa salvezza indagarono e scrutarono i profeti».

Ci accorgiamo perciò che non senza motivo sant’Ignazio pone salvezza come parola chiave del suo Principio e fondamento: «L’uomo è creato per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore e per salvare in questo modo la propria anima» (n. 23).

È un’espressione che ritorna al n. 177, dove si parla dell’elezione, che è il cuore degli Esercizi e si può fare in una situazione di tranquillità, «tenendo presente perché l’uomo è nato, cioè per lodare Dio nostro Signore e per salvare la propria anima». E di nuovo al n. 179, quando dice che occorre scegliere «ciò che mi sembri meglio per la gloria di Dio nostro Signore e per la salvezza della mia anima».

Non siamo più abituati oggi a parlare di salvezza dell’anima, ma comprendiamo che è un termine tradizionale nella Scrittura e negli Esercizi, e indica il fine dell’uomo quale liberazione dal pericolo della morte eterna.

Attualizzazione

Dopo la lectio vi suggerisco qualche riflessione per il momento della meditatio.

* Se ci domandiamo in quale misura la speranza escatologica è viva e presente oggi nella Chiesa, dobbiamo purtroppo rispondere che è piuttosto dimenticata.

Dalle inchieste sociologiche si ha l’impressione che oltre il 50% di coloro che si ritengono cristiani non credono nella vita eterna o comunque la considerano un’appendice possibile: dobbiamo vivere bene in questa vita, tanto meglio se ce ne sarà un’altra! Non è affatto una prospettiva sull’orizzonte eterno che illumina il presente. In realtà il presente viene illuminato da principi buoni, ma non è letto in quell’ampiezza senza limiti che è l’eternità.

Forse ci siamo lasciati contagiare dall’atmosfera creata dal marxismo nel secolo scorso, che poneva ogni speranza di giustizia su questa terra.

A mio parere la caduta dell’orizzonte escatologico è una delle carenze più gravi della Chiesa in Occidente. Basta confrontare le iscrizioni dei cimiteri dei secoli passati, dove sempre ci si riferiva all’aldilà, con le iscrizioni di oggi dove al massimo si legge: visse una vita buona, fu un buon cristiano, un uomo onesto, leale. Nessuna apertura alla speranza escatologica.

La lettera di Pietro ci ricorda dunque un grave deficit della nostra Chiesa.

E notiamo che la speranza della vita eterna non è di per sé soltanto speranza della mia salvezza personale, di andare in paradiso, ma speranza che si manifesti il Regno, che venga il giudizio finale sulla storia a mostrare la glorificazione del Cristo risorto, che venga il momento in cui l’umanità intera riconoscerà la regalità di Cristo.

È una speranza che muove tutto il nostro operare perché comincia a realizzarsi fin da ora e, a partire dai suoi segni premonitori, noi dirigiamo il nostro lavoro anche pastorale e apostolico. Soprattutto il Vescovo è chiamato a custodire la grande speranza della venuta del Regno e a indirizzare i cammini della Chiesa nel quadro di questa visione globale.

Mi piace citare una frase di san Paolo: «Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione» (2 Tm 4, 8).

Mi colpisce l’espressione «che attendono con amore la sua manifestazione», cioè non solo l’aspettano come fine di tutto, ma la amano, la desiderano, la prevengono, la pongono in opera fin da ora.

* La seconda linea di meditazione che suggerisco è presente nei versetti centrali (vv. 6-8).

Quando si ha la visuale del regno di Dio che viene e che noi attendiamo, è più facile considerare le difficoltà e le sofferenze come prove purificanti che preparano il Regno. Tali prove non sono incidenti di percorso o momenti difficili per i quali prima o poi è necessario passare, bensì vere preparazioni alla glorificazione totale del nome di Gesù nel mondo.

Non a caso Pietro scrive: voi attraverso queste sofferenze già «conseguite la mèta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime» (v.9). La mèta della fede è conseguita da voi fin da questo momento se vivete con una visuale grandiosa della fine della storia.

Signore, tu vedi come la tua Chiesa è spesso oppressa dalle fatiche di ogni giorno e rischia di perdere la speranza e la gioia della vita eterna. Viviamo talvolta rassegnati, portando la nostra croce, ma senza renderei conto che questa croce è fonte di gioia e di purificazione per un ideale in vista del quale vale la pena di spendere tutta la nostra vita. Allarga il nostro cuore e quello di tutti i cristiani, perché possiamo conoscere la speranza a cui siamo chiamati. concedi che ogni Eucaristia sia esperienza e pregustazione della pienezza che tu ci prepari.