Sabato della XXXIV settimana del Tempo Ordinario
Lc 21,34-36: Vegliate, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».
Commento di Luigi Maria Epicoco
“State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso; come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra”.
Il livello di ansia che suscita questo Vangelo supera i limiti consentiti, ma solo perché quando pensiamo alla parola fine ci viene subito in mente la morte. E se invece la parola fine fosse legata non semplicemente alla morte o alla fine del mondo, ma alla fine di qualcosa che stiamo vivendo? Se riformulassimo questo Vangelo in una maniera diversa potremmo dire: attento a non appesantirti il cuore o a vivere superficialmente perché quando meno te l’aspetti ti ritrovi un matrimonio finito e dei figli che ti odiano. Cosa sta dicendo di così terrificante un Vangelo così? Sta dicendo solo la nuda e cruda verità. Certe volte la vita ci riserva dei ceffoni che arrivano all’improvviso ma solo come conseguenza di una vita vissuta in strafottenza. Se è vero per un matrimonio, o un’amicizia, ciò è vero anche nel nostro rapporto con Dio e nel nostro rapporto con la fine di tutta la storia. Se hai vigilato nel vivere una vita piena allora non avere paura della tua fine, perché non ti sorprenderà, semplicemente accadrà, non come distruzione, ma come compimento, perché il Signore ci ha insegnato che la fine di qualcosa è sempre mescolata con un inizio nuovo. Per un cristiano la fine non è mai semplicemente fine. Ma la fine invece diventa un argomento serio quando i cambiamenti ci trovano impreparati. La vigilanza a cui ci richiama il Vangelo non è vivere sulla difensiva come se dovesse accaderci sempre qualcosa di brutto. Ma la vigilanza è: non perdersi un solo frammento di vita perché prezioso, unico, irripetibile. E la sua unicità, la sua irripetibilità è data dal fatto che potrebbe essere l’ultimo. Ma è la memoria della vita eterna che dà valore a ciò che finisce. Andiamo incontro alla fine perché sappiamo esserci una vita, non il nulla.
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Lectio divina di Silvano Fausti
La fine dell’ultimo discorso sulle “cose ultime” richiama l’inizio del c. 12, dove Gesù insegna a vivere il presente senza quell’ansia di vita che si alimenta con la paura della morte.
La nostra esistenza non sia ipnotizzata dal terrore, né si dissolva nello stordimento. I falsi obiettivi di vita, disperati e inutili esorcismi di ciò che temiamo, non sono che l’esca del suo laccio. Questo si abbatterà senza risparmiare alcuno, mostrando l’infinita vanità di tutto ciò a cui abbiamo attaccato il cuore (vv. 34-35). Ma noi conosciamo il dono del Padre e abbiamo la speranza dei Figlio, che non delude mai.
Alla sobrietà lucida e attenta bisogna aggiungere la vigilanza e la preghiera (v. 36). Il credente veglia nella notte del mondo. La paura non gli chiude gli occhi. In queste tenebre viene colui che l’uomo terrestre teme come un ladro e l’uomo spirituale desidera come lo sposo. La vigilanza è nutrita da una supplica costante, per non cadere nella tentazione finale di perdere la fede nella fedeltà del Signore. Tutto passerà, ma la sua parola resta in eterno.
Cerchiamo di vivere giudiziosamente il tempo che ci è dato, conoscendo il volere di Dio: “Diventate misericordiosi, non giudicate, non condannate, perdonate e date” (6,36-38). Il giudizio futuro è operato qui e ora da noi, secondo il metro che usiamo per misurare gli altri.
La conclusione di tutto il discorso sul futuro ci rimanda quindi a vivere il presente da “amministratori fedeli e saggi”, con responsabilità attiva e vigilante (12,42), per guadagnarci la nostra vera ricchezza (16,9-12).
“Voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno possa sorprendervi come un ladro: voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo della notte né delle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma restiamo svegli e siamo sobri (… ). Dio non ci ha destinati alla sua collera, ma all’acquisto della salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, il quale è morto per noi” (1Ts 5,4-6.9s).
L’atteggiamento del credente è di discernimento, nella certezza che il Signore è vicino qui e ora (vv. 28-33). Per questo conduce una vita sobria, cosciente, vigilante e orante. Così può levare il capo e stare ritto davanti al Figlio dell’uomo. L’attesa del Signore non è un’alienazione, ma l’unico modo per essere presenti alla vita.
Il v. 37 ci presenta una sintesi degli ultimi giorni di Gesù. Nel momento finale della sua vita fa quanto ha appena detto a noi: il giorno compie la sua missione di annuncio ai fratelli, la notte veglia in comunione con il Padre (v. 37). Il popolo, raccolto intorno a lui, impara (v. 38).