Domenica di Pentecoste (A)
Giovanni  20, 19-23

  • Prima lettura – Atti degli Apostoli 2,1-11Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. 
  • Salmo Responsoriale – Sal 103 (104)
    R. Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra.
  • Seconda lettura – 1Corìnzi 12,3b-7.12-13
    Fratelli, nessuno può dire: «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo. Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito… A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune…. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo…. e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito
  • Vangelo – Giovanni 20,19-23
    La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Il «respiro di Dio» viene in modo diverso per ciascuno
 Ermes  Ronchi

La Parola di Dio racconta in quattro modi diversi il venire dello Spirito Santo, per dirci che Lui, il respiro di Dio, non sopporta schemi.
Nel Vangelo lo Spirito viene come presenza che consola, leggero e quieto come un respiro, come il battito del cuore.
Negli Atti viene come energia, coraggio, rombo di tuono che spalanca le porte e le parole. Mentre tu sei impegnato a tracciare i confini di casa, lui spalanca finestre, ti apre davanti il mondo, chiama oltre.
Secondo Paolo, viene come dono diverso per ciascuno, bellezza e genialità di ogni cristiano.
E un quarto racconto è nel versetto del salmo: del tuo Spirito Signore è piena la terra. Tutta la terra, niente e nessuno esclusi. Ed è piena, non solo sfiorata dal vento di Dio, ma colmata: tracima, trabocca, non c’è niente e nessuno senza la pressione mite e possente dello Spirito di Dio, che porta pollini di primavera nel seno della storia e di tutte le cose. “Che fa vivere e santifica l’universo”, come preghiamo nella Eucaristia.
Mentre erano chiuse le porte del luogo per paura dei Giudei, ecco accadere qualcosa che ribalta la vita degli apostoli, che rovescia come un guanto quel gruppetto bloccato dietro porte sbarrate. Qualcosa ha trasformato uomini barcollanti d’angoscia, in persone danzanti di gioia, “ubriache” (Atti 2,13) di coraggio: è lo Spirito, fiamma che riaccende le vite, vento che dilaga dalla camera alta, terremoto che fa cadere le costruzioni pericolanti, sbagliate, e lascia in piedi solo ciò che è davvero solido. È accaduta la Pentecoste e si è sbloccata la vita.
La sera di Pasqua, mentre erano chiuse le porte, venne Gesù, stette in mezzo ai suoi e disse: pace! L’abbandonato ritorna da coloro che lo avevano abbandonato. Non accusa nessuno, avvia processi di vita; gestisce la fragilità dei suoi con un metodo umanissimo e creativo: li rassicura che il suo amore per loro è intatto (mostrò loro le mani piagate e il costato aperto, ferite d’amore); ribadisce la sua fiducia testarda, illogica e totale in loro (come il Padre ha mandato me, io mando voi). Voi come me. Voi e non altri. Anche se mi avete lasciato solo, io credo ancora in voi, e non vi mollo.
E infine gioca al rialzo, offre un di più: alitò su di loro e disse: ricevete lo Spirito Santo. Lo Spirito è il respiro di Dio. In quella stanza chiusa, in quella situazione asfittica, entra il respiro ampio e profondo di Dio, l’ossigeno del cielo. E come in principio il Creatore soffiò il suo alito di vita su Adamo, così ora Gesù soffia vita, trasmette ai suoi ciò che lo fa vivere, quel principio vitale e luminoso, quella intensità che lo faceva diverso, che faceva unico il suo modo di amare, e spalancava orizzonti.


Respirare lo Spirito santo
Enzo Bianchi

Nella liturgia odierna, solennità della Pentecoste, dopo aver letto il racconto della discesa dello Spirito santo sugli apostoli e su Maria, la madre di Gesù, il cinquantesimo giorno dopo la Pasqua (cf. At 2,1-11), si proclama il brano del vangelo secondo Giovanni nel quale viene narrato il dono dello Spirito ai discepoli la sera dello stesso giorno della resurrezione, il primo giorno della settimana ebraica (cf. Gv 20,1). Questa differenza è in realtà una sinfonia con la quale la chiesa testimonia lo stesso evento letto in modi diversi ma non discordanti.

Negli Atti Luca ricorda che Gesù, salito al cielo, ha adempiuto la promessa fatta, mandando sulla comunità dei discepoli il vento infuocato dello Spirito santo quando gli ebrei festeggiavano a Pentecoste il dono della Torà fatto da Dio a Mosè. Per Luca è il compimento dei compimenti, la stipulazione piena della nuova alleanza, alleanza non più fondata sulla Legge ma sullo Spirito santo, scritta non su tavole di pietra ma nel cuore dei credenti (cf. Ger 31,31-33). È la nascita della chiesa, della comunità del Signore immersa, battezzata nello Spirito santo, abilitata dallo stesso Spirito a proclamare la buona notizia del vangelo a tutte le genti, da Gerusalemme a Roma.

Giovanni invece, che conclude il suo vangelo con quel giorno della resurrezione, intende attestare la pienezza della salvezza manifestatasi nella vittoria di Gesù sulla morte, nel dono del santo Soffio che dà inizio a una nuova creazione in cui la misericordia di Dio ha il primato, regna, e per questo c’è la remissione dei peccati del mondo. È questa remissione, questo perdono gratuito e definitivo donato da Dio di cui i discepoli devono essere ministri in mezzo all’umanità. Nonostante abbiamo già letto, ascoltato e commentato questo testo la seconda domenica di Pasqua, torniamo fedelmente e puntualmente all’ascolto e alla meditazione su di esso, chiedendo al Signore di rinnovare la nostra mente in modo che, leggendo parole antiche, ascoltiamo parole nuove per il nostro “oggi”.

Siamo dunque nel primo giorno della settimana, il primo dopo il sabato che era Pasqua in quell’anno, il 7 aprile dell’anno 30: è il giorno della scoperta della tomba vuota, perché Gesù è risorto da morte. I discepoli di Gesù, che erano fuggiti al momento dell’arresto, sono chiusi nella loro casa a Gerusalemme, oppressi dalla paura di essere anche loro accusati, ricercati e imprigionati come il loro rabbi e profeta Gesù. Sì, la comunità di Gesù è questa: uomini e donne fuggiti per paura, paralizzati dalla paura, senza il coraggio che viene dalla convinzione e dalla fiducia, dalla fede in colui che avevano seguito senza capirlo in profondità. Tuttavia in quell’aporia c’è un lavoro che si compie nel cuore dei discepoli e nella vita della comunità: le parole di Gesù, ascoltate tante volte, seppur come addormentate sono nel loro cuore; la lettura delle Sante scritture, della Torà, dei Profeti e dei Salmi (cf. Lc 24,44), fatta insieme a Gesù, continua a generare pensieri e acquisizioni di conoscenza del mistero di Dio e dell’identità dello stesso Gesù; la forza della fede del discepolo amato che “vide e credette” (Gv 20,8) e di Maria di Magdala che dice: “Ho visto il Signore” (Gv 20,18) li contagia e li smuove.

Paura e fede combattono il loro duello nel cuore dei credenti, quando Gesù in realtà è in mezzo a loro, finché possono dire: “Venne e stette in mezzo”. Il Signore è presente con la sua presenza di risorto vivente e glorioso là dove sono i suoi, ma i nostri occhi sono impossibilitati a vederlo, il nostro cuore non ha il coraggio di vedere ciò che desidera e sa essere possibile. Non sapendo dire altro, noi affermiamo: “Venne e stette in mezzo”, ma il Risorto è sempre presente e appare come Veniente quando noi ce ne accorgiamo. Questa è la realtà che viviamo ogni primo giorno della settimana, ogni domenica, e quei discepoli non erano più privilegiati di noi. Gesù è in mezzo a noi, nella posizione centrale: se non lo è, significa o che non lo vediamo per mancanza di fede, oppure che prendiamo volentieri il suo posto al centro, attentando alla sua signoria unica di risorto e vivente. Solo chi sa dire: “È il Signore!” (Gv 21,7), sa vederlo e riconoscerlo.

Il Signore è in mezzo a noi! Non si dimentichi che la più grande tentazione vissuta da Israele nel deserto fu proprio quella di chiedersi: “Il Signore è in mezzo a noi sì o no?” (Es 17,7). Ecco la poca fede o la non fede di cui siamo preda noi che ci diciamo credenti… In verità Gesù è in mezzo a noi sempre, è l’‘Immanuel, il Dio-con-noi (cf. Mt 1,23; 28,20), non ci lascia, non ci abbandona. Se mai, siamo noi che lo abbandoniamo e fuggiamo da lui come i discepoli nel Getsemani (cf. Mc 14,50; Mt 26,56); siamo noi che di fronte al mondo finiamo per dire: “Non lo conosciamo”, come Pietro nel rinnegamento (cf. Mc 14,71 e par.); siamo noi che, quando dobbiamo constatare la sua presenza perché gli altri ce la testimoniano, continuiamo a diffidare e a nutrire dubbi, come Tommaso (cf. Gv 20,24-25).

Ed ecco, nel racconto giovanneo, che appena Gesù “è visto”, dona la pace, lo shalom, la vita piena, e accompagna questa parola con dei gesti. Innanzitutto si fa riconoscere, perché non ha più la forma umana di Gesù di Nazaret, quella che i discepoli conoscevano e tante volte avevano contemplato. È altro perché il suo corpo cadaverico non è stato rianimato ma trasfigurato, trasformato da Dio in un corpo il cui respiro è lo Spirito santo, lo Spirito di Dio, quello che Gesù respirava nel seno del Padre da sempre, prima della sua incarnazione nel seno della vergine Maria, prima della sua venuta nel mondo. Ma in quel corpo di gloria restano le tracce del suo vissuto umano, della sua sofferenza-passione, dell’aver amato fino a dare la vita per gli altri (cf. Gv 15,13). Sono le piaghe, le stigmate, i segni della croce alla quale è stato appeso, e insieme a esse il segno dell’apertura del petto a causa del colpo di lancia, apertura che proclamava il suo amore, che come fiume uscito da lui voleva immergere l’umanità per perdonarla, purificarla e portarla alla comunione con il Padre (cf. Gv 7,37-39; 19,34).

E così i discepoli lo riconoscono e gioiscono al vedere il Signore. Finalmente la loro incredulità è vinta e la gioia della sua presenza, della sua vita in loro li invade. Allora Gesù soffia su di loro il suo respiro, che non è più alito di uomo ma Spirito santo. Nella creazione dell’uomo, nell’in-principio, Dio aveva soffiato in lui un alito di vita (cf. Gen 2,7); nell’ultima creazione soffierà un soffio, un vento di vita eterna (cf. Ez 37,9): nel frattempo, ora, ogni volta che è presente nella comunità dei cristiani e da essi invocato e riconosciuto, lo Spirito continua a spirare. Questo respiro del Risorto diventa il respiro del cristiano: noi respiriamo lo Spirito santo! Ognuno di noi respira questo Spirito, anche se non sempre lo riconosciamo, anche se spesso lo rattristiamo (cf. Ef 4,30) e lo strozziamo in gola, nelle nostre rivolte, nei nostri rifiuti dell’amore e della vita di Dio.

Questo Soffio che entra in noi e si unisce al nostro soffio ha come primo effetto la remissione dei peccati. Li perdona, li cancella, in modo che Dio non li ricorda più. Questo Soffio è come un abbraccio che ci mette “nel seno del Padre” (en tô kólpo toû Patrós: cf. Gv 1,18), ci stringe a Dio in modo che non siamo più orfani ma ci sentiamo amati senza misura di un amore che non abbiamo meritato né dobbiamo meritare ogni giorno. “Ricevete lo Spirito”, dice Gesù, cioè “accoglietelo come un dono”. Una sola cosa è chiesta: non rifiutare il dono, perché il Padre dà sempre lo Spirito santo a quelli che glielo chiedono (cf. Lc 11,13). È il dono della vita piena; il dono dell’amore che noi non saremmo capaci di vivere; il dono della gioia che spegneremmo ogni giorno; il dono che ci permette di respirare in comunione con i fratelli e le sorelle, confessando con loro una sola fede e una sola speranza; il dono che ci fa parlare a nome di tutte le creature come voce che loda e confessa il Creatore e Signore.

Gesù, che prima di andarsene aveva detto: “Ricevete, mangiate; questo è il mio corpo” (Mt 26,27), ora dice: “Ricevete lo Spirito santo”, sempre lo stesso invito ad accogliere il dono.
Spetta a noi ricevere il corpo di Cristo per diventare corpo di Cristo, spetta a noi ricevere lo Spirito santo per respirare lo Spirito.

E in questa nuova vita animata dal Soffio santo sempre e sempre avviene la remissione dei peccati: Dio li rimette a noi e noi li rimettiamo agli altri che hanno peccato contro di noi (cf. Mt 6,12; Lc 11,4). Non c’è liberazione se non dalla morte, dal male e dal peccato! La Pentecoste è la festa di questa liberazione che la Pasqua ci ha donato, liberazione che raggiunge le nostre vite quotidiane con le loro fatiche, le loro cadute, il male che le imprigiona. Possiamo davvero confessarlo: il cristiano è colui che respira lo Spirito di Cristo, lo Spirito santo di Dio, e grazie a questo Spirito è santificato, prega il suo Signore, ama il suo prossimo.

http://www.monasterodibose.it


Solennità di Pentecoste (A)
Gv 20,19-23
Un alito di vita


pentecoste3

Ricevete lo Spirito Santo…
Antonio Savone

Più ancora che le porte del cenacolo, quella sera, chiuso era il cuore degli Undici, barricato dentro le proprie convinzioni e riserve, paralizzato dalle proprie paure. Le tenebre della sera che incombeva erano figura di ben altre tenebre, di quelle dell’incapacità di credere alla risurrezione del Maestro. La chiusura era stata la reazione dei discepoli all’annuncio recato loro da Maria di Magdala di aver visto il Signore. Tra gli Undici c’erano anche Pietro e il discepolo che Gesù amava, i quali avevano toccato con mano che quella mattina era davvero accaduto qualcosa. Ma nulla. C’era qualcosa cui essi attribuivano un potere superiore a quello del Signore: per timore dei Giudei… Ripenso a tutte quelle situazioni cui io attribuisco un potere paralizzante di fronte al quale finisco per concludere: neanche Dio può farci più nulla.

Eppure, Dio non si rassegna. Dio non pronuncia mai l’espressione che sovente affiora sulle nostre labbra quando con disincanto e disarmati ripetiamo: non c’è più nulla da fare. Dio non lo fa mai. Dio ripete sempre: ricevete lo Spirito Santo! Dalla parte della vita, fino alla fine, anche quando tutto sembra portare i segni evidenti del fallimento manifesto. Smettetela – dice Dio – di continuare a voler sistemare un passato attraverso l’unico mestiere che a volte finisce per assorbirvi: quello di riempire di fiori la morte. Oh, se siamo esperti di questo mestiere mentre dobbiamo riconoscerci analfabeti dello stile di Dio!

Ricevete lo Spirito Santo…

Come non pensare all’antico profeta Ezechiele che guardando la situazione del suo popolo che si era allontanato dal Signore lo paragonava a una sterminata distesa di ossa di fronte alle quali si sente ripetere: potranno queste ossa rivivere?

Immagino il Signore che guarda la mia vita e rivolge a me questa parola: padre Antonio, potranno queste ossa rivivere? E il riferimento non è anzitutto a qualcosa di esterno a me: il riferimento è alla mia, alla nostra situazione interiore di fronte alla quale con disincanto verrebbe da concludere che per virtù propria non potranno rivivere. Poi certo, il riferimento è a questa stagione ecclesiale nella quale prevale lo scoramento e la fatica propri di quelle stagioni in cui sembra mancare il respiro.

Cosa può significare celebrare ancora la Pentecoste se non sentirsi ripetere che non è ancora la fine e Dio non cessa di riversare il suo Spirito e non già perché finalmente la situazione sia ideale ma, forse, proprio perché essa sembra allo sbando?

Quella sera il Signore si rese presente – venne Gesù, stette in mezzo a loro – in mezzo a una comunità che conosceva bene fragilità e paure. A loro consegnò il dono della pace che nulla a che vedere con una esistenza al riparo da lotte e tensioni, nulla da spartire col nostro bisogno di starcene in pace. La pace donata dal Risorto, infatti, è quella capacità di riconoscere che se la paura e la fragilità sono evidenti, ben più grande è la fiducia in colui che vince il male grazie a una misericordia insperata.

Non è forse questo il compito della comunità cristiana inviata per essere segno di nuovi inizi, di possibili germogli nella misura in cui si lascia condurre dallo Spirito Santo e non già da logiche strategiche che nulla hanno da spartire con il Vangelo?

Un’altra storia è possibile, dice Dio, ma occorre tanta audacia da parte nostra per farla nascere.

Ricevete lo Spirito Santo…

Al termine di questo unico grande giorno di Pasqua iniziato con una luce nella notte del male e della morte, il cero pasquale verrà spento e collocato accanto al fonte battesimale. Ma la sua luce continuerà ad ardere grazie alla nostra disponibilità a perdonare: a chi rimetterete i peccati… Il riferimento non è soltanto a una prassi sacramentale ma ad uno stile relazionale.

Perdonare è donare attraverso le ferite ricevute, è fare del male subìto l’occasione di un gesto di amore. Se tu non perdoni, l’altro non potrà cambiare.

Il nostro perdono il segno che il male non ha l’ultima parola sulla nostra vita.

Don Antonio Savone
http://acasadicornelio.wordpress.com

La piccola Pentecoste
Angelo Casati 

Ancora questo gioco: avviene nell’ottavo giorno, come suggerisce il Vangelo di Giovanni, o il giorno di Pentecoste, come suggerisce il libro degli Atti, il dono dello Spirito.

Forse è impoverire lo Spirito Santo questa pretesa di imbrigliarlo in un’unica manifestazione. Ed è anche bello pensare che l’avevano ricevuto la sera di Pasqua e ancora l’attendevano: e non è una finta, un far finta, è un anelito vero: vieni, Santo Spirito!

E vorrei partire in questa riflessione proprio dalla Pentecoste piccola, quella senza clamore, quella che avviene la sera di Pasqua, al calare delle ombre, mentre chiuse erano le porte: “Alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati saranno rimessi….”. Uno Spirito – voi mi capite – per essere liberi interiormente, liberi da ciò che ci rinchiude dentro, il peccato. Vedete, la libertà – quella interiore – è grande dono, forse dono ancor più grande della libertà esteriore.

I rabbini si chiedono perché Dio non avesse dato la Torah – la legge – a Israele immediatamente dopo l’esodo dall’Egitto, ma molto dopo sul Sinai. E rispondevano che era più facile per Dio far uscire Israele dall’Egitto che far uscire l’Egitto da Israele.

Come è vero! Quanto è più difficile recuperare la libertà dentro, quant’è più difficile disintossicarci dentro, quant’è più difficile espellere i faraoni che ci comandano dentro.

Manda, Signore, il tuo Spirito a renderci liberi dentro. E ci faccia sempre più convinti che ciò che conta è come siamo dentro. Ci aiuti a sfuggire all’inganno di una società che privilegia l’immagine, la maschera.
Il tuo è uno Spirito d’interiorità.
I nostri pensieri, i nostri sentimenti, le nostre passioni, le nostre scelte siano nella rettitudine e nella libertà.

A questo riguardo è suggestivo pensare che ai tempi di Gesù la festa ebraica di Pentecoste era la festa della Rivelazione, la festa del dono della Legge sul Sinai. Nel racconto della Pentecoste cristiana molti di voi avranno notato alcune significative assonanze: il vento, il fuoco, il miracolo delle lingue. Secondo un noto midrash sul monte Sinai ogni parola uscita dalla bocca di Dio si divise in settanta lingue, così che ogni popolo sentiva i precetti divini nella propria lingua.

Mi piace pensare allo Spirito che fa diventare tua lingua la Parola di Dio: tua lingua e tua passione e tuo cuore.

Ricordo l’impressione – sì, direi l’emozione – che provammo a Gerusalemme, quando una sera vedemmo davanti al Tempio i giovani ebrei danzare abbracciati – così come si abbraccia la creatura amata – abbracciati al rotolo della Torah, della Bibbia. Quasi una sorta di innamoramento.

Manda, o Signore, il tuo Spirito.
Ci liberi dal gelo di una religione ridotta a un elenco di definizioni da credere, o a un prontuario di norme da osservare.
Ci faccia parlare con te, seguire te, pensare a te con il cuore di chi ama.

Lo Spirito di Gesù ci fa – lo dicevamo – uomini e donne dell’interiorità ma non certo uomini e donne dell’intimismo. La Pentecoste è anche festa di uno Spirito che ci scuote, che apre le porte, che conduce sulle piazze, fuori dai nostri recinti protetti, nel rischio della vita, nella imprevedibilità della vita.

“La fede non è un fatto crepuscolare, umbratile, da vivere solo nella penombra delle chiese. La fede è un fuoco. La fede la si gioca allo scoperto, nella città, nelle piazze, nella vita di tutti i giorni” (L. Pozzoli).

Ma – vorrei aggiungere – non alla maniera dei ciarlatani: lo Spirito è anche pudore, è discrezione, è ascolto, è trasalimento per la voce misteriosa, per i segni improvvisi che solo chi è abitato dallo Spirito – quello vero! – sa sorprendere.

Non abbiamo – no, non abbiamo conosciuto lo Spirito, il vero Spirito di Dio, se come cristiani diamo l’impressione di essere “impegnati” a lottare e a vincere più che a comprendere e a contemplare.

Vieni, Santo Spirito tu che sei vento impetuoso ma anche brezza leggera,
tu fierezza ma anche dolcezza,
tu rigore ma anche amabilità,
tu assolutezza della verità ma anche tenerezza della misericordia.

Omelia di don Angelo Casati
http://www.sullasoglia.it

Spirito di misericordia, pace, unità, sanazione e missione
Romeo Ballan mcci

La Pentecoste è una festa di meraviglie! “Li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio” (I lettura, v. 11). La sorpresa scuote la gente di Gerusalemme e gli Apostoli stessi, in quel mattino di Pentecoste. Tanti popoli diversi (sono nominati ben 17 popoli), con lingue differenti, parlano un linguaggio comune: sono tutti sintonizzati nel parlare delle grandi opere di Dio (v. 8-11). Lo Spirito Santo, che è appena disceso sulla comunità riunita nel Cenacolo, è l’autore di questa meraviglia: cioè del superamento di Babele e del passaggio ad una vita di comunione fraterna e di impulso missionario. Infatti, a Babele la confusione delle lingue aveva provocato la dispersione dei popoli che, con atteggiamento orgoglioso ed egoista, volevano costruirsi una città e farsi un nome (Gen 11,1-9); mentre a Gerusalemme, quando lo Spirito scende, popoli diversi riescono a capirsi e a comunicare le grandi opere di Dio. A Babele parlavano tutti la stessa lingua, ma nessuno riusciva a capire l’altro. A Pentecoste parlano lingue diverse, eppure tutti si capiscono come se parlassero un’unica lingua. Nel cuore delle persone, lo Spirito sposta il centro di interesse: ormai non è più la ricerca egoista di sé stessi o di farsi un nome, ma è il vivere in Dio e narrare le sue opere, a beneficio di tutta famiglia umana.

La festa ebraica di Pentecoste era divenuta progressivamente un memoriale delle grandi alleanze di Dio con il suo popolo (con Noè, Abramo, Mosè, Geremia, Ezechiele…). Ora, al culmine della Pentecoste (v. 1) c’è il dono dello Spirito, che ci è dato come definitivo principio di vita nuova: è Spirito di unità, di fede e di amore, nella pluralità di carismi e di culture. S. Paolo (II lettura) attribuisce chiaramente allo Spirito la capacità di rendere la Chiesa unita e molteplice nella pluralità di carismi, ministeri ed attività (v. 4-6). Lo Spirito vuole una Chiesa ricca di doni diversi, ma unita; una Chiesa che non cancella, ma sa valorizzare le differenze. Perché sono una ricchezza! Lo Spirito realizza la convivialità delle differenze: non le annulla e non le omologa, ma le salva, le purifica, le custodisce, le arricchisce, le armonizza. Papa Francesco ci ricorda che la Pentecoste è la festa della nascita della Chiesa; è il “compleanno della Chiesa”.

Lo Spirito Santo è il frutto più grande e più bello della Pasqua, già dall’ultimo respiro di Gesù morente, che segnò l’inizio della vita nuova nello Spirito. In senso pieno, il testo “spirò/emise lo spirito” (Lc 23,46; Gv 19,30) si può tradurre: “consegnò/trasmise lo Spirito (Santo)”, preludio di Pentecoste. Inoltre, nella sua risurrezione Gesù soffia lo Spirito sui discepoli (Vangelo): “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati saranno perdonati” (v. 22-23). È lo Spirito di vita e della misericordia di Dio per il perdono dei peccati. E quindi è Spirito di pace: con Dio e con i fratelli. È lo Spirito di unità nella pluralità. È lo Spirito dellamissione universale, anzi è il protagonista della missione che Gesù affida agli apostoli e ai loro successori (cfr. RMi cap. III; EN 75s.): “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi” (v. 21). Sono parole che vincolano per sempre la missione degli apostoli e dei fedeli cristiani con la vita della Trinità: il Figlio è il primo missionario inviato dal Padre a salvare il mondo, con l’amore (Gv 15,9); e lo Spirito impulsa tutta la Chiesa alla missione e nel cammino verso l’unità dei cristiani.

Il soffio di Gesù sugli Apostoli la sera di Pasqua (v. 22), per l’evangelista Giovanni è già la Pentecoste ed evoca la creazione nuova, che è opera dello Spirito: Egli trasforma dal di dentro ogni persona e la apre ad accogliere il dono della salvezza in Cristo. In modo vero, anche se per cammini a noi invisibili, lo Spirito dispone i cuori delle persone, anche dei non cristiani, per il necessario incontro salvifico con Cristo, come insegna il Concilio: “Dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale” (GS22; è un testo coraggioso che Giovanni Paolo II cita tre volte nella Redemptoris Missio, n. 6.10.28).

Strettamente legata all’opera creativa e rinnovatrice dello Spirito è anche la Sua capacità di sanare e guarire l’anima e il corpo delle persone. Si tratta di un’energia reale ed efficace, verso la quale esiste una particolare sensibilità nel mondo missionario, anche se spesso difficile da discernere. L’azione risanatrice raggiunge a volte anche il corpo, ma molto più spesso tocca lo spirito umano, sanandone le ferite interiori ed effondendo il balsamo della riconciliazione, della consolazione e della pace. La Chiesa ha davanti a sé campi sempre nuovi per la sua attività missionaria ed è chiamata a lavorarvi con crescente slancio e creatività. Fiduciosa nell’azione dello Spirito!