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Parte 3:

CRISTIANI E MUSULMANI:
dialogo nella verità
(parte 3)

Tonino Falaguasta Nyabenda

Condizioni per un dialogo nella verità, secondo Papa Francesco

Il dialogo è l’atteggiamento privilegiato del Cristiano. Gesù ha condannato la violenza senza tentennamenti. Nell’orto del Getsemani, rivolgendosi agli Apostoli, e particolarmente a Pietro che aveva tagliato l’orecchio a Malco, servo del sommo sacerdote, ha detto: “Rimetti la tua spada al suo posto, poiché tutti quelli che mettono mano alla spada, di spada periranno” (Matteo 26, 52). Di fronte alla violenza che regna nel mondo, Gesù esige il perdono (Marco 11, 25). “Amate i vostri nemici – dice Gesù – e pregate per coloro che vi perseguitano” (Matteo 5, 44). Solo in questo modo si può spezzare la spirale della violenza.

E’ l’insegnamento che Papa Francesco ha cercato di spiegare ai partecipanti alla Conferenza internazionale per la Pace, il 28 aprile 2017, all’Università al-Azhar, al Cairo in Egitto. “Proprio nel campo del dialogo – ha detto Papa Francesco – e specialmente quello interreligioso, siamo chiamati a camminare insieme, nella convinzione che l’avvenire di tutti dipende anche dall’incontro tra le religioni e le culture”.

Ci sono tre orientamenti fondamentali, perché il dialogo sia sincero: il dovere dell’identità, il coraggio dell’alterità e la sincerità delle intenzioni. Non si costruisce dialogo autentico nell’ambiguità. Non si può trattare come un nemico da temere colui che è differente da sé. La sincerità delle intenzioni è necessaria, perché il dialogo “non è una strategia per realizzare secondi fini – dice il Papa, – ma una via di verità, che merita di essere pazientemente intrapresa per trasformare la competizione in collaborazione”. L’unica alternativa alla civiltà dell’incontro, che bisogna sostenere, “è l’inciviltà dello scontro – sostiene Papa Francesco. – E per contrastare veramente la barbarie di chi soffia sull’odio e incita alla violenza, occorre accompagnare e far maturare generazioni che rispondano alla logica incendiaria del male con la paziente crescita del bene: giovani che, come alberi ben piantati, siano radicati nel terreno della storia e, crescendo verso l’Alto e accanto agli altri, trasformino ogni giorno l’aria inquinata dell’odio nell’ossigeno della fraternità“.

La parola agli specialisti

Gli insegnamenti di Gesù sulla violenza sono chiari e fondamentali. I consigli di Papa Francesco sono da tener presenti. Comunque la via del dialogo, particolarmente con l’Islam, è necessaria. Ma sempre nella verità.

Primo specialista del dialogo con l’Islam: Alain Bésançon

Secondo Alain Bésançon, francese, specialista della storia delle religioni, il Corano non è una preparazione al Vangelo, come gli autori pagani della prima predicazione cristiana (= Omero, Platone, Aristotele, Plotino, Virgilio, Cicerone, ecc.). Per noi Cristiani, nella conoscenza e nel dialogo con l’Islam, grande importanza ha avuto Louis Massignon (1883-1962), islamologo francese e promotore del dialogo con l’Islam. Egli ha inculcato negli specialisti cristiani dell’Islam che il Corano è una rivelazione come la Bibbia e che l’Islam è di filiazione abramitica. Ciò non è vero. Abbiamo risposto a queste asserzioni di Massignon a pagina 43-44. Seguendo Massignon, si rischia di confondere fede e religione. Inoltre tanti Cristiani sono impressionati dal posto che Gesù (‘Isa) e Maria hanno nel Corano. Si arriva a dire che l’Islam sarebbe migliore dell’Ebraismo, perché onora Gesù e Maria, cosa che l’Ebraismo non fa. Ma abbiamo già detto che Gesù e Maria del Corano sono solo omonimi; non hanno niente in comune con il Gesù del Vangelo e con sua Madre Maria.

Bisogna stare attenti inoltre a non utilizzare queste espressioni come: le tre religioni adamitiche, le tre religioni rivelate, le tre religioni monoteiste. Abbiamo spiegato il perché a pagina 44. Anche l’espressione “le genti del libro” (Corano 5, 15) esige una chiarificazione. Ma di che libro si tratta? Non del Corano, né della Bibbia, ma del Libro-Madre, o libro celeste e increato. Il Corano ha semplicemente previsto per i Cristiani, per gli Ebrei, per i Sabelliani e per gli Zoroastriani una categoria giuridica. Essendo genti del “libro”, perché depositari di una rivelazione, possono rivendicare lo statuto di dhimmi e, pagando una tassa (= jiziya), salvare la loro vita, invece di conoscere la sorte dei kafir (= pagani).

Comunque l’Islam non è una religione semplicistica, una religione “dei cammellieri”. E’ una perfetta cristallizzazione del rapporto dell’uomo con Dio. Per questo il dialogo con l’Islam è difficile. Bisogna forse appoggiarsi su ciò che permane in esso della religione naturale e vedere come si può camminare insieme. Soprattutto cercare il bene dell’umanità, escludendo ogni violenza.

Secondo specialista del dialogo con l’islam: François Jourdan

Per François Jourdan, prete francese ( François Jourdan, “Dio dei Cristiani, Dio dei Musulmani”, 2010, p. 211 ss.), per un dialogo veramente proficuo, bisogna tener conto delle differenze, conoscere veramente l’altro, sottolineare ciò che è buono. Per esempio, in occasioni di feste cristiane, invitare i nostri vicini Musulmani. E reciprocamente, specialmente alla fine del mese sacro del Ramadan. Le liturgie cristiane impressionano fortemente i nostri amici Musulmani. Il patrimonio artistico che abbiamo ereditato dai tempi passati li lascia stupefatti. L’amore di Dio manifestato da Gesù, per tutti senza preferenze, li turba.

Il clima che deve esistere tra Cristiani e Musulmani deve essere quello del rispetto e dell’amicizia (Cristoforo Veglia, “Islam, nostro vicino di casa”, 2001, p. 17 ss.). Bisogna anche avere il coraggio di parlare delle dottrine che plasmano la nostra identità cristiana. Non aver paura di spiegare le catechesi della prima generazione cristiana. I nostri fratelli Musulmani, se cercano Dio con sincerità e rifiutano la violenza praticando la carità, meritano ciò che il Concilio Vaticano II ha detto: “Quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, ma che tuttavia cercano sinceramente Dio e, con l’aiuto della grazia, si sforzano di compiere con le opere la volontà di Lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna” (Lumen Gentium, & 16). Resta sempre vero che la chiave della comprensione e del dialogo sincero, tra Cristiani e Musulmani, consiste nell’amore di Dio e del prossimo, senza escludere nessuno.

Terzo specialista del dialogo con l’Islam: Giuseppe Scattolin

Giuseppe Scattolin è un missionario comboniano. Padre Scattolin ha passato la sua vita in Egitto e ha consacrato la sua intelligenza alla comprensione del mondo dell’Islam. Secondo lui, premessa per ogni vero dialogo è il principio della verità. Solo in questo modo il dialogo, soprattutto interreligioso, potrà essere sincero e vero ( Giuseppe Scattolin, “MCCJ BULLETIN”, n° 264. p. 53 ss.). Nella fede islamica, per esempio, la vera affermazione dell’unità di Dio (= tawhid) non è un’affermazione matematica, ma un mistero esistenziale, di fronte al quale la mente umana resta perplessa. Per i Cristiani la Trinità è un mistero che supera la ragione umana.

Il dialogo deve favorire un approccio rispettoso della fede dell’altro. Nell’Islam, tutta la vita umana deve essere regolata dalla shari’a ( = legge di Dio). Ma nelle società moderne la shari’a si mostra inadeguata. L’uguaglianza dei diritti per tutti i cittadini, in particolare la libertà di coscienza, interpella la shari’a. Molti sono i Musulmani che chiedono la riapertura della “porta dell’interpretazione” (= ijtihad), per dare alla giurisprudenza islamica un nuovo respiro che la metta all’altezza dei tempi moderni.

Ormai l’Islam non è più confinato in una regione precisa del mondo, ma è presente in tutti i continenti. Il dialogo quindi è estremamente necessario, anche all’interno dell’Islam. Infatti all’interno dell’Islam è in corso una lotta fra due tendenze di base, quella tradizionalista (= salafiyya), che guarda al passato come a un modello valido per sempre, e quella riformatrice (= islahiyya), che guarda al presente e al futuro e accetta lo sviluppo sociale e scientifico dell’umanità. E quindi si pone ora una domanda importante: è possibile una conciliazione fra civiltà islamica e mondo moderno? Il rapporto tra Cristianesimo e Islam si gioca anche nella risposta a questa domanda importante.

L’Islam non è solo un messaggio religioso e morale. Tutti gli aspetti della vita umana sono influenzati dal suo insegnamento, anche l’aspetto politico. L’Islam infatti è una religione totale, è religione e stato (= din wa-dawla). Molti oggi, specialmente fra gli uomini politici occidentali, tendono a dimenticare questa realtà. A Medina, Maometto ha fondato, nel 622 in occasione dell’egira, il primo stato islamico, che resta ancora oggi modello e punto di riferimento per ogni società islamica. Maometto aveva una chiara coscienza della missione universale dell’Islam. E su queste convinzioni che si può parlare ancora oggi di un vero imperialismo religioso islamico. Questo connubio fra religione e politica è l’aspetto più pericoloso (e stranamente ancora molto ignorato) della realtà storica dell’Islam. Questo connubio, sempre secondo Scattolin, fra religione e politica ha portato e porta a una sacralizzazione della politica o a una politicizzazione del sacro. Tale miscela pericolosa deve essere disinnescata dall’interno dell’Islam stesso, mediante i suoi movimenti riformatori.

Il dialogo interreligioso deve aiutare i nostri fratelli Musulmani a fare chiarezza sui molti equivoci dell’Islam politico. Bisogna liberare la mente islamica dal sogno di un imperialismo islamico storico, per aprirlo a una vera e positiva convivenza con l’altro, non più “dar al-kufr” (= casa della miscredenza), ma parte del villaggio globale nel quale vive l’umanità intera.

Un grande passo in avanti è stato fatto dal Consiglio superiore degli Ulema (= teologi e giureconsulti dell’Islam) del Marocco, secondo quanto pubblicato dalla stampa il 6 febbraio 2017. Hanno manifestato la loro decisione di non condannare a morte nessun apostata musulmano e hanno concesso finalmente la libertà religiosa. La loro decisione merita di essere trascritta per intero. Eccola: “La comprensione più accurata, e la più coerente, con la legislazione islamica e la Sunna del Profeta, è che l’uccisione dell’apostata significava l’uccisione del traditore del gruppo, l’equivalente di tradimento nel diritto internazionale, gli apostati in quell’epoca rappresentavano i nemici dell’Umma, proprio perché potevano rivelare segreti agli avversari”.

Secondo Karima Moual, giornalista marocchina al quotidiano “La Stampa“, la condanna a morte dell’apostata era giustificata da un contesto bellico e politico, al tempo di Maometto. “Se l’Islam – continua questa donna musulmana aperta al dialogo, – in tutti gli angoli del mondo, procedesse nell’analisi e nell’interpretazione (dell’Islam) su questa linea, si farebbero molti passi in avanti, di cui i Musulmani hanno urgente bisogno, oggi più che mai”.

Islam monolitico?

L’Islam è ancora un blocco monolitico? Non c’è nessuno fra i Musulmani che si decida di cambiare religione? Secondo il Pew Research Center di Washington (USA), l’Islam è destinato a crescere e a raggiungere, come diffusione, il Cristianesimo, prima della fine di questo secolo, e in seguito anche a sorpassarlo. Ma ci sono anche altre analisi della situazione, soprattutto nel rapporto tra Islam e Cristianesimo. Il battesimo di Cristiano Magdi Allam, il 22 marzo 2008, da parte di Papa Benedetto XVI, ha fatto notizia, ma sarebbe solo la punta dell’iceberg di un fenomeno che allarma anche le autorità di alcuni paesi musulmani. Secondo il “London Times“, giornale inglese, questo fenomeno sta sempre crescendo in Europa e nel resto del mondo. Il 15% dei Musulmani residenti in Europa hanno lasciato l’Islam.

Lo sceicco Ahmad al-Qataani, intervistato nel 2006 dalla televisione Al-Jazeera del Qatar, ha affermato quanto segue: “L’Islam è sempre stato la principale religione dell’Africa… Il numero dei Musulmani africani è attualmente di 316 milioni… Quando si pensa che l’intera popolazione dell’Africa supera un miliardo di persone, il numero dei Musulmani è diminuito notevolmente rispetto all’inizio del secolo… I Cristiani invece da un milione che erano nel 1902 sono passati a 516 milioni. Ogni anno milioni di Musulmani si convertono al Cristianesimo”. Anche il “New York Times“, quotidiano USA, si è occupato di questo fenomeno, che sembra ormai una tendenza confermata. La crescita numerica dell’Islam è dovuta principalmente all’alta natalità dei paesi musulmani. Per la crescita del Cristianesimo invece si parla piuttosto di conversioni di adulti.

Zakaria Botros e altri

Zakaria Botros è un sacerdote cristiano copto dell’Egitto, che conosce alla perfezione la lingua araba e le fonti islamiche. Egli produce dei programmi che sono trasmessi via satellite a partire dagli Stati Uniti e sono seguiti da milioni di spettatori, particolarmente nei paesi del Medio Oriente. Il giornale arabo “Al-Insan al-Jadid” lo definisce: “Il nemico pubblico numero uno dell’Islam”. Sulla sua testa pesa una taglia di 60 milioni di dollari. Che cosa ha di speciale padre Zakaria? Niente. Spesso egli afferma: “Non odio i Musulmani. E’ che non amo l’Islam“.

In un’intervista apparsa il 10 ottobre 2009, padre Zakaria riassume le sue critiche all’Islam in questo modo: “1°- Eliminare o correggere i versetti del Corano che negano la divinità di Gesù. 2°- Eliminare o correggere i versetti coranici che incitano a uccidere i Cristiani e gli Ebrei. 3°- Eliminare o correggere i versetti coranici che incitano al terrorismo. 4°- Smettere di attaccare ancora oggi Gesù e il Vangelo nelle moschee e nei media. 5°- Concedere la libertà di religione. 6°- Scuse per i Cristiani martirizzati, uccisi in tanti paesi del mondo”.

Padre Zakaria nei suoi programmi televisivi critica tutti gli aspetti dell’Islam e della vita di Maometto che sono inaccettabili per un Cristiano. Maometto, per esempio, ha avuto ufficialmente 11 donne e 2 concubine, più le occasionali. Dice allora padre Zakaria: “Il profeta Maometto era fatto di una materia differente rispetto agli altri uomini?”. La sua vita sessuale era senza regole? E’ normale per un profeta e uomo di Dio?

Raymond Ibrahim, di origine egiziana, specialista di arabo per conto del Governo Usa, afferma: “Molti critici occidentali non capiscono che per disinnescare l’islamismo radicale occorre proporre al suo posto qualcosa di teocentrico e di spiritualmente soddisfacente; non il secolarismo, non la democrazia, né il capitalismo, né il materialismo o il femminismo. Le Verità di una religione possono essere sfidate solo dalle Verità di un’altra religione. Padre Zakaria Botros combatte il fuoco con il fuoco. Ed è il metodo corretto”.

Sono soprattutto i Cristiani delle Chiese evangeliche che fanno evangelizzazione in mezzo ai Musulmani. Basti consultare il sito answeringislam. com; oppure conoscere la storia di Backtojerusalem movement. Backtojerusalem è un movimento sorto in Cina ad opera di una Chiesa evangelica negli anni 1920, nella provincia di Shandong. Il leader principale ne era Simon Zhao, che ha passato 31 anni in prigione sotto il regime comunista. Lo scopo era quello di inviare missionari in tutti i paesi che esistono tra la Cina e Gerusalemme e proporre quindi il Vangelo di Gesù ai Buddisti, agli Indù e ai Musulmani. Nonostante le persecuzioni e gli imprigionamenti, il lavoro di questo movimento continua. Da che cosa sono colpiti i Musulmani che hanno il coraggio di diventare Cristiani?

Prima di tutto, la maggior parte dei Musulmani non accetta più la violenza. Inoltre i Musulmani sono attirati dalla bellezza della liturgia ortodossa e cattolica.

L’atteggiamento dei Cattolici

Sono sempre più numerosi i Musulmani che arrivano come immigrati nei paesi dell’Europa. Padre Samir Khalil Samir, gesuita egiziano, esperto di Islam e consigliere del Papa Benedetto XVI, dice che di fronte al fenomeno dell’immigrazione sono possibili per i Cristiani due atteggiamenti. Il primo: gli immigrati, specialmente i Musulmani, ci stanno invadendo. Non è un atteggiamento evangelico. Essi vengono da situazioni tragiche, fuggono dalla guerra e dalla povertà.

Il secondo atteggiamento è la Missione. Il Vangelo di Matteo finisce con queste parole di Gesù: “Andate dunque e fate discepoli di tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutte le cose che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Matteo 28, 19-20). Non si tratta di fare propaganda, bisogna semplicemente essere fraterni, testimoniare affetto e amicizia, esercitare amore e carità.

Nell’esortazione apostolica di Papa Francesco “Evangelii Gaudium” del 2013, citando Papa Benedetto XVI, si dice: “Tutti hanno il diritto di ricevere il Vangelo. I Cristiani hanno il dovere di annunciarlo, senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile. La Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione” (EG n°14). Già san Francesco d’Assisi (1182-1226) diceva ai suoi “frati minori“: “Predicate il Vangelo sempre e, se è necessario, usate anche le parole“. Con chi è ben disposto, non esitare a parlare di Gesù, a fornire Bibbie e Vangeli e altro materiale per la catechesi, in arabo. Bisogna accogliere i Musulmani nelle parrocchie, nei vari gruppi cristiani, nelle scuole, nelle attività sportive, ecc. I Musulmani non sono i nostri nemici, ma, come dice Papa Francesco, citando Giovanni Paolo II, sono nostri fratelli, “perché viviamo sotto il sole di un unico Dio misericordioso”.

Dialogo nella verità

Papa Francesco, rivolgendosi ai partecipanti alla Conferenza internazionale per la pace, tenutasi all’Università Al-Azhar, al Cairo (Egitto), il 28 aprile 2017, ha detto, tra l’altro (e queste parole servono come conclusione di questo scritto): “La luce policromatica delle religioni ha illuminato questa terra (= Egitto): qui, lungo i secoli, ‘le differenze di religione hanno costituito una forma di arricchimento reciproco al servizio dell’unica comunità nazionale’. Fedi diverse si sono incontrate e varie culture si sono mescolate, senza confondersi, ma riconoscendo l’importanza di allearsi per il bene comune. Alleanze di questo tipo sono quanto mai urgenti oggi. Nel parlarne, vorrei utilizzare come simbolo il ‘Monte dell’Alleanza’ che si innalza in questa terra. Il Sinai ci ricorda anzitutto che un’autentica alleanza sulla terra non può prescindere dal Cielo, che l’umanità non può proporsi di incontrarsi in pace escludendo Dio dall’orizzonte, e nemmeno può salire sul monte per impadronirsi di Dio (Esodo 19, 12). Si tratta di un messaggio attuale, di fronte all’odierno perdurare di un pericoloso paradosso, per cui da una parte si tende a relegare la religione nella sfera privata, senza riconoscerla come dimensione costitutiva dell’essere umano e della società, dall’altra si confonde, senza opportunamente distinguere, la sfera religiosa e quella politica. Esiste il rischio che la religione venga assorbita dalla gestione di affari temporali e tentata dalle lusinghe di poteri mondani che in realtà la strumentalizzano. In un mondo che ha globalizzato molti strumenti tecnici utili, ma al contempo tanta indifferenza e negligenze, e che corre a una velocità frenetica, difficilmente sostenibile, si avverte la nostalgia delle grandi domande di senso, che le religioni fanno affiorare e che suscitano la memoria delle proprie origini: la vocazione dell’uomo, non fatto per esaurirsi nella precarietà degli affari terreni, ma per incamminarsi verso l’Assoluto a cui tende. Per queste ragioni, oggi specialmente, la religione non è un problema, ma è parte della soluzione: contro la tentazione di adagiarci in una vita piatta, dove tutto nasce e finisce quaggiù, essa ci ricorda che è necessario elevare l’animo verso l’Alto per imparare a costruire la città degli uomini. In questo senso, volgendo ancora idealmente lo sguardo al Monte Sinai, vorrei riferirmi a quei comandamenti, là promulgati, prima di essere scritti sulla pietra. Al centro delle ‘dieci parole’ risuona, rivolto agli uomini e ai popoli di ogni tempo, il comando: ‘Non uccidere’ (Esodo 20, 13). Dio, amante della vita, non cessa di amare l’uomo e per questo lo esorta a contrastare la via della violenza, quale presupposto fondamentale di ogni alleanza sulla terra. Ad attuare questo imperativo sono chiamate, anzitutto e oggi in particolare, le religioni, perché, mentre ci troviamo nell’urgente bisogno dell’Assoluto, è imprescindibile escludere qualsiasi assolutizzazione che giustifichi forme di violenza. La violenza, infatti, è la negazione di ogni autentica religiosità”. Non è possibile ogni dialogo, se non si guarda verso l’Alto, verso Dio. E questo Dio, come ci spiega Gesù, si interessa dell’umanità. “Dio ha tanto amato il mondo – ha detto Gesù a Nicodemo – che ha dato il Figlio suo Unigenito, affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia la vita eterna” (Giovanni 3, 16). Dio ha amato e ama tutta l’umanità: Cristiani, Musulmani e tutti gli altri, nessuno escluso.

“O Theòs agape estin”, che, tradotto in italiano dal greco, significa: Dio è amore (1 Giovanni 4, 8), come ha detto Papa Benedetto XVI nella sua enciclica, pubblicata il 25 gennaio 2006, dal titolo significativo: “Deus caritas est“. Appunto: Dio è amore!

Tonino Falaguasta

Missionari Comboniani – Cordenons (PN)