Venerdì della V settimana di Pasqua
At 15,22-31   Sal 56   Gv 15,12-17: Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.
Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

Commento

di Silvano Fausti
Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici. E Voi siete miei amici”.
Tenete presente che questi amici sono: Giuda (è appena uscito e l’ha chiamato “amico”); Pietro (rinnega) e gli altri (lo lasceranno solo).
Lui li chiama “amici”.
Perché si parla di amici dove c’è amore reciproco. Gli amici sono “pari”. Quindi Gesù chiama suoi amici, suoi pari, quelli che lo tradiscono, rinnegano e fuggono, perché? Perché sa che in fondo in fondo, sotto sotto, risponderanno al suo amore.
Quando lo vedranno innalzato, quando scopriranno il suo amore, crederanno a questo amore.
E allora siamo chiamati a diventare suoi amici conoscendo il suo amore per noi. Ed è bella questa parola: “Non vi chiamo servi, ma amici”, perché i “servi” – schiavi in greco – per sé è un titolo onorifico, sono i servi del re, dell’imperatore, sono i primi ministri. Quindi è il massimo dopo di lui. Il massimo, dopo Dio, sono i servi di Dio, i profeti, i santi. Voi non siete “servi”, neanche i più grandi. No,no, siete qualcosa di più. Gli amici sono pari tra di loro. Noi siamo chiamati a diventare uguali a Dio. Perché? Perché l’amore che il Padre ha per il Figlio, il Figlio l’ha dato a noi e noi possiamo amare con lo stesso amore di Dio e diventiamo come Dio che è amore. Quindi siamo amici, pari a pari.
E’ proprio questo amore dei fratelli che ci rende uguali a Dio.
Sarete miei amici, se fate le cose che vi comando, cioè quello di amarvi gli uni gli altri.
Quindi non siete servi, perché il servo non sa. E voi sapete cosa fa il Signore, sì, so cosa fa il Signore. Sapere in senso esperienziale, ho esperienza, il Signore è amore. E amo col suo stesso amore. E tutte le cose che Gesù, il Figlio, ha ascoltato dal Padre, il Figlio le ha donate a me con la sua vita, e mi ha donato la sua vita e il suo Spirito, perché anch’io possa amare con il suo stesso amore.
Ecco, vi prego di tornare su queste parole, perché capisco che vanno oltre la comprensione non solo immediata. Cioè, la comprensione di queste parole è quando inizia un silenzio, direi estatico, perché hai capito che c’è qualcosa che eccede ogni capacità di comprensione e che però ti accorgi che ti sazia nel profondo.


di Paolo Curtaz
Un solo comando, un solo precetto. Uno. Spazzate via le seicentotredici mitzvoth che il pio israelita doveva osservare. E anche le dieci parole donate da Mosè sul Sinai. E anche il doppio comandamento consegnatoci dai Sinottici. Secondo Giovanni Gesù dona un unico comandamento e lo fa durante il lungo discorso che precede l’arresto, un intenso testamento spirituale da mandare a memoria. Un solo comando: amarci dell’amore con cui siamo amati dal Signore. Imitare il suo amore nelle nostre relazioni, chiederci, davanti ad una scelta da operare, un’azione da compiere, cosa avrebbe fatto il Signore al nostro posto. Siamo stati scelti dalla tenerezza di Dio per diventare suoi testimoni, per raccontare ad ogni uomo la novità di un Dio che si dona e che dona la vita. Questo amore riponiamolo al centro della nostra predicazione, della nostra catechesi, di ogni azione pastorale perché sia il motore e l’anima della Chiesa. Solo così potremo rendere vivo e credibile il vangelo: rendendolo attuale e vivo con l’amore che ci doniamo.

Meditazione di Papa Francesco
“Il rapporto con Dio è gratuito, è un rapporto di amicizia”

Nel Libro degli Atti degli Apostoli vediamo che nella Chiesa, all’inizio, c’erano tempi di pace, lo dice tante volte: la Chiesa cresceva, in pace, e lo Spirito del Signore si diffondeva (cfr At 9,31); tempi di pace. C’erano anche tempi di persecuzione, cominciando dalla persecuzione di Stefano (cfr capp. 6-7), poi Paolo persecutore, convertito, poi anche lui perseguitato… Tempi di pace, tempi di persecuzioni, e c’erano anche tempi di turbamento. E questo è l’argomento della prima Lettura di oggi: un tempo di turbamento (cfr At 15,22-31). «Abbiamo saputo che alcuni di noi – scrivono gli apostoli ai cristiani che sono venuti dal paganesimo – abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi – a turbarvi – con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi» (v. 24).

Cosa era successo? Questi cristiani che provenivano dai pagani avevano creduto in Gesù Cristo e ricevuto il battesimo, ed erano felici: avevano ricevuto lo Spirito Santo. Dal paganesimo al cristianesimo, senza alcuna tappa intermedia. Invece questi che si chiamano “i giudaizzanti”, sostenevano che non si potesse fare questo. Se uno era pagano, prima doveva farsi ebreo, un buon giudeo, e poi farsi cristiano, per essere nella linea dell’elezione del popolo di Dio. E questi cristiani non capivano questo: “Ma come, noi siamo cristiani di seconda classe? Non si può passare dal paganesimo direttamente al cristianesimo? Non è che la risurrezione di Cristo ha sciolto l’antica legge e l’ha portata a una pienezza ancora più grande?”. Erano turbati e c’erano tante discussioni tra loro. E quelli che volevano questo erano persone che con argomenti pastorali, argomenti teologici, anche alcuni morali, sostenevano che no, che si dovesse fare il passo così! E questo metteva in discussione la libertà dello Spirito Santo, anche la gratuità della risurrezione di Cristo e della grazia. Erano metodici. E anche rigidi.

Di questi, dei loro maestri, dei dottori della Legge, Gesù aveva detto: “Guai a voi che percorrete cielo e mare per fare un proselito e quando l’avete trovato lo fate peggio di prima. Lo fate figlio della Geenna”. Più o meno così dice Gesù nel capitolo 23° di Matteo (cfr v. 15). Questa gente, che era “ideologica”, più che “dogmatica”, “ideologica”, aveva ridotto la Legge, il dogma a un’ideologia: “si deve fare questo, e questo, e questo…”. Una religione di prescrizioni, e con questo toglievano la libertà dello Spirito. E la gente che li seguiva era gente rigida, gente che non si sentiva a suo agio, non conosceva la gioia del Vangelo. La perfezione della strada per seguire Gesù era la rigidità: “Si deve fare questo, questo, questo, questo…”. Questa gente, questi dottori “manipolavano” le coscienze dei fedeli e, o li facevano diventare rigidi o se ne andavano.

Per questo, io mi ripeto tante volte e dico che la rigidità non è dello Spirito buono, perché mette in questione la gratuità della redenzione, la gratuità della risurrezione di Cristo. E questa è una cosa vecchia: durante la storia della Chiesa, questo si è ripetuto. Pensiamo ai pelagiani, a questi… questi rigidi, famosi. E anche nei nostri tempi abbiamo visto alcune organizzazioni apostoliche che sembravano proprio bene organizzate, che lavoravano bene…, ma tutti rigidi, tutti uguali uno all’altro, e poi abbiamo saputo della corruzione che c’era dentro, anche nei fondatori.

Dove c’è rigidità non c’è lo Spirito di Dio, perché lo Spirito di Dio è libertà. E questa gente voleva fare dei passi togliendo la libertà dello Spirito di Dio e la gratuità della redenzione: “Per essere giustificato, tu devi fare questo, questo, questo, questo…”. La giustificazione è gratuita. La morte e la risurrezione di Cristo è gratuita. Non si paga, non si compra: è un dono! E questi non volevano fare questo.

È bella la strada [il modo di procedere]: gli apostoli si riuniscono in questo concilio e alla fine scrivono una lettera che dice così: «È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo…» (At 15,28), e mettono questi obblighi più morali, di buon senso: di non confondere il cristianesimo con il paganesimo, con l’astenersi dalle carni offerte agli idoli, eccetera. E alla fine, questi cristiani che erano turbati, riuniti in assemblea hanno ricevuto la lettera e, «quando l’ebbero letta, si rallegrarono per l’incoraggiamento che infondeva» (v. 31). Dal turbamento alla gioia. Lo spirito della rigidità sempre ti porta al turbamento: “Ma questo l’ho fatto bene? Non l’ho fatto bene?”. Lo scrupolo. Lo spirito della libertà evangelica ti porta alla gioia, perché è proprio questo che Gesù ha fatto con la sua risurrezione: ha portato la gioia! Il rapporto con Dio, il rapporto con Gesù non è un rapporto così, di “fare le cose”: “Io faccio questo e Tu mi dai questo”. Un rapporto così, dico – mi perdoni il Signore – commerciale, no! È gratuito, come è gratuito il rapporto di Gesù con i discepoli. «Voi siete miei amici» (Gv 15,14). “Non vi chiamo servi, vi chiamo amici” (cfr v. 15). «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (v. 16). Questa è la gratuità.

Chiediamo al Signore che ci aiuti a discernere i frutti della gratuità evangelica dai frutti della rigidità non-evangelica, e che ci liberi da ogni turbamento di coloro che mettono la fede, la vita della fede sotto le prescrizioni casistiche, le prescrizioni che non hanno senso. Mi riferisco a queste prescrizioni che non hanno senso, non ai Comandamenti. Che ci liberi da questo spirito di rigidità che ti toglie la libertà.

Venerdì, 15 maggio 2020