Venerdì della III settimana di Pasqua
At 9,1-20   Sal 116   Gv 6,52-59:
 La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.

In quel tempo, i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.

Commento

di L.M. Epicoco
Quanto possa creare scandalo e confusione qualcuno che ti dice che devi mangiare la sua carne e bere il suo sangue per salvarti. Sembra quasi un invito a un orribile cannibalismo. Ecco perché i Giudei si domandano ad alta voce:
Come può costui darci la sua carne da mangiare?”.
Ma Gesù non indietreggia nella Sua affermazione:
Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”.
È San Tommaso che ci spiega la differenza. Anche lui l’aveva appresa da Aristotele ma al di là di chi ce ne fornisce la spiegazione ciò che conta è comprendere che la realtà è fatta di due cose: sostanza e accidente. La sostanza è ciò che è una cosa nella sua realtà più profonda. L’accidente è la parte esterna. Banalizzando è un po’ come dire che quando qualcuno vuole dire a qualcun altro che lo ama, lo abbraccia. In sostanza è amore, esternamente un abbraccio. L’Eucarestia è la stessa cosa: in sostanza è realmente Gesù, esternamente è pane e vino, cosicché quel pane e quel vino sono la parte esterna di una realtà molto più profonda. In questo senso noi mangiamo e beviamo realmente il corpo e il sangue di Cristo. Non simbolicamente, ma realmente. Perché i sacramenti sono in sostanza delle cose pur poggiandosi esternamente su alcuni segni. La cosa però che conta è che molto spesso dobbiamo fare l’esperienza scandalosa del segno esterno. Capitò così anche nelle aspettative del popolo eletto. La richiesta di un Messia liberatore dovette fare i conti con la realtà di un bambino fragile, nato povero e quasi di nascosto. Eppure quel bambino è il Figlio dell’Onnipotente. Se è Onnipotente perché assume la forma della debolezza e della fragilità? Perchè la potenza di Dio non è mai prepotenza, è la “forza gentile” direbbe Newman di chi sa che la forza che può tutto è l’Amore. Ecco perché l’Onnipotenza si manifesta nel Figlio inchiodato sulla Croce, e anche questo è scandalo.
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di Paolo Curtaz
Ora esagera, il Signore, siamo seri. Ha chiesto alla folla di non cercare Dio per farsi riempire la pancia. Ha chiesto di fidarsi di lui e di credere in ciò che egli dice di Dio. Ha parlato di un Dio che sazia il cuore, che desidera intensamente comunicare all’uomo la sua stessa vita. Un Dio che chiama, che attira tutti a sé, che suscita in noi il desiderio di lui. Ha parlato di un cibo di cui nutrirsi per il cammino, un cibo che sostiene la fede, che anticipa ad oggi l’eternità. Ma ora esagera: chiede di nutrirsi di lui, di mangiare la sua carne e bere il suo sangue. Non chiede certo di diventare dei cannibali! Ma di entrare in intima comunione con lui (il sangue è segno della vita e della vitalità, la carne il segno della debolezza). Per incontrare Dio dobbiamo essere intimamente uniti a Cristo, diventare suoi contemporanei, fidarci delle sue parole, nutrirci della sua presenza nel segno dell’eucarestia. Sì: io mi fido del Signore Gesù. Fatico, sono preso da mille dubbi e domande, ma mi fido. So che lui e il Padre sono una cosa sola, ho deciso da tempo di non seguire il serioso volto di Dio che mi porto nell’inconscio, ma quello radioso di cui ho fatto esperienza ascoltando e seguendo il Rabbì di Nazareth.