12 Aprile
Zeno di Verona.
Il pastore «africano» che fu maestro di umiltà

La figura di san Zeno (o Zenone) appartiene all’identità profonda della comunità cristiana veronese e ancora oggi indica alla città veneta la via da percorrere per la santità. La sua origine è incerta, ma c’è consenso nell’indicare la Mauretania (la regione costiera oggi tra Algeria e Marocco) come sua terra natale. Giunto a Verona visse per un certo numero di anni da monaco per diventare nel 362 l’ottavo vescovo della comunità locale. Nella novantina di sermoni giunti a noi si coglie la preoccupazione principale di questo pastore santo: l’insegnamento della corretta fede minacciata da un paganesimo ancora diffuso. Viene ricordato anche per la sua umiltà, radicata in un autentico senso di povertà. La data della morte è incerta e varia tra il 371 e il 380. Verona lo festeggia il 21 maggio, giorno della sua traslazione avvenuta nell’anno 807.
Altri santi. San Damiano di Pavia, vescovo (VII-VIII sec.); san Giuseppe Moscati, laico (1880-1927)
Matteo Liut
Avvenire
San Zeno (o Zenone) è il Santo Patrono della città di Verona. Africano originario della Mauretania, da cui deriva il soprannome di Vescovo Moro, fu il primo vero evangelizzatore della città scaligera e suo ottavo Vescovo cristiano, dal 362 fino alla morte nel 380.
Come numerosi vescovi cristiani dell’epoca visse in austerità e semplicità, pescando spesso nell’Adige il pesce per il proprio pasto; per questo è considerato IL SANTO PROTETTORE DEI PESCATORI DI ACQUA DOLCE. Pur essendo molto semplice nelle abitudini era comunque persona colta ed erudita, formatosi alla scuola di retorica africana, i cui maggiori esponenti furono Apuleio di Madaura, Tertulliano, Cipriano e Lattanzio. Sono giunti fino a noi numerosi suoi sermoni, di cui sedici lunghi e settantasette brevi, che testimoniano come egli, nella sua opera di evangelizzazione, si confrontò con il paganesimo ancora diffuso e si applicò per confutare l’arianesimo. Il sermone quindicesimo, ad esempio, traccia un parallelo tra la figura di Giobbe e quella di Gesù Cristo. A lui i devoti veronesi hanno dedicato la grande BASILICA DI SAN ZENO, che da molti autori è ritenuta il principale capolavoro del romanico in Italia. Sulle formelle in bronzo del portale, sui bassorilievi in pietra a sinistra e a destra dell’ingresso e in alto sul protiro è raffigurata la vita di san Zeno con i suoi miracoli. Mentre nel dipinto in alto san Zeno compare tra cavalieri (a destra) e fanti, simboli dell’aristocrazia e del popolo riuniti nella fede cristiana. All’interno della chiesa il Santo è raffigurato sorridente anche in una statua di bronzo inserita in una piccola abside che si trova sulla sinistra del presbiterio.
La sua festa è fissata nel martirologio al 12 aprile ma la Diocesi di Verona lo celebra il 21 maggio, nel giorno della traslazione del corpo ad opera dei santi Benigno e Caro, dalla temporanea sepoltura nella Cattedrale lo portarono nella zona dell’attuale Basilica il 21 maggio 807. Numerosi sono i miracoli e le leggende che i fedeli attribuiscono al Vescovo Moro. Una curiosa riguarda UNA SCOMMESSA CHE IL SANTO AVREBBE FATTO CON IL DIAVOLO: con la vittoria in una partita a palla, giocata con la punta di una montagna, egli avrebbe ottenuto in premio una fonte battesimale in porfido (quella oggi visibile all’entrata della chiesa) che il diabolico rivale fu costretto a portare sulle spalle fin da Roma. Un’altra leggenda racconta di come San Zeno riusci a guarire la figlia indemoniata del magistrato Gallieno di Rezia, ricevendo dal padre in dono una preziosa corona. Il miracolo più straordinario è quello riferito da Papa Gregorio e narra di un improvviso straripamento delle acque del fiume Adige che sommersero tutta la città; quando le acque arrivarono a minacciare la cattedrale, dove il longobardo Re Autari si era appena sposato con la bella principessa Teodolinda, esse vennero fermate dal Santo sulla porta. Qui rimasero per alcuni giorni, alte e minacciose ma incapaci di invadere l’interno, ed i veronesi si salvarono aspettando nella cattedrale che la piena scemasse.