La vita non è un equilibrio, cari, non è un equilibrio. E se tu trovi uno che pensa: “io sono equilibrato perfetto”, a questo direi: tu non sei niente! Perché l’equilibrio, che lo faccia quello che lavora nel circo, che fa quelle cose, che fa l’equilibrista.

Il 24 ottobre Papa Francesco ha incontrato in Vaticano i Seminaristi e i Sacerdoti che studiano a Roma. Qui di seguito degli estratti del dialogo con i presenti all’udienza.

Domanda
Buongiorno, Santo Padre. Il sacerdote è un segno dell’amore di Dio per gli uomini. Tuttavia, purtroppo, tante volte tale segno viene sfigurato a causa delle nostre mancanze. Santità, come fare per trovare un equilibrio tra l’esperienza della misericordia per le nostre mancanze e lo sforzo per vivere la virtù e raggiungere la santità? Quali, secondo Lei, sono gli aspetti più urgenti nella formazione dei seminari che vanno sottolineati e presi in considerazione affinché i seminaristi di oggi, ma pure quelli di domani, possano rispondere alla chiamata di Dio?

Papa Francesco

Grazie. Ci sono due cose diverse, in quello che hai detto. Prima hai usato una parola che a me non piace – non ti rimprovero, l’hai usata, ma non mi piace –: la parola “equilibrio”. La vita non è un equilibrio, cari, non è un equilibrio. E se tu trovi uno che pensa: “io sono equilibrato perfetto”, a questo direi: tu non sei niente! Perché l’equilibrio, che lo faccia quello che lavora nel circo, che fa quelle cose, che fa l’equilibrista. Ma la vita è uno squilibrio continuo, perché la vita è camminare e trovare, trovare difficoltà, trovare cose belle che ti portano avanti e queste ti squilibrano, sempre. Anzi, se tu hai delle pratiche da fare, è vero, hai bisogno di un equilibrio nella pratica, ma che non manchi anche quello tuo affettivo, diciamo così, che ti bilancia da una parte e dall’altra, e dire: “Io mi sento di questa parte”. Ma l’equilibrio, nella vita, è anche l’equilibrio con l’esperienza di perdono e di misericordia per il peccato. Ma grazie a Dio che siamo peccatori, caro, e grazie a Dio che abbiamo bisogno di andare tutte le settimane o ogni quindici giorni – io lo faccio ogni quindici giorni – dal confessore perché ci perdoni. E questo è uno squilibrio grande perché ti porta all’umiltà. La vita cristiana è un continuo camminare, cadere e alzarsi. Camminare un po’ solo un po’ con gli altri: non c’è una tabella di marcia. Certo, tu metti lì il navigatore sulla macchina e vai. Ci sono dei consigli di preghiera, di cose che ti aiutano a crescere. Questo è lo squilibrio. Anzi, direi il contrario: come vivere nello squilibrio, nello squilibrio quotidiano. Non avere paura dello squilibrio: siamo umani. E nello squilibrio fare il discernimento. Una persona “equilibrata” non può fare il discernimento, perché non ha mozioni di spirito. Nello squilibrio ci sono delle mozioni di Dio che ti invitano a qualcosa, alla volontà di fare il bene, a rialzarsi dopo la caduta nel peccato… Saper vivere nello squilibrio: lì si porta un equilibrio diverso. Parlerei di un equilibrio dinamico, che non sono io a poterlo reggere: lo regge il Signore. Ti va portando avanti, con l’unzione dello Spirito. Questo riguardo all’equilibrio e allo squilibrio.

Poi, la formazione dei seminari. Io credo che qui il Cardinale [Prefetto del Dicastero per il Clero] può parlare meglio di me dei seminari perché nel Dicastero sono specialisti. Per esempio, incomincio col dire: il seminario dev’essere di un certo numero di seminaristi, che insieme facciano dire “la comunità”. “No, noi siamo cinque in diocesi”: questo non è un seminario, questo è un movimento parrocchiale. Il seminario dev’essere un numero – 25, 30 – un numero moderato. Se sono 200, divisi in piccole comunità: un numero umano di gruppo, di comunità, questo è importante. I seminari grossi – 300, tutti insieme – non vanno più! Erano l’espressione di un’altra epoca. No, piccole comunità dove si lavora, ma piccole comunità inserite in una più grande.

La formazione dei seminaristi: i seminaristi devono avere una buona formazione spirituale. “Io vado al seminario, sto imparando filosofia, teologia…”. Sì, ma lo spirito, che cos’è? Prima di tutto, una buona formazione spirituale. Anche nel propedeutico. Il fine del propedeutico, oggi, è questo: abituare il seminarista al discernimento spirituale, alla formazione spirituale, alla scienza, alle scienze dello spirito. Secondo, una seria formazione intellettuale. Questo non vuol dire che siano maestri delle idee, no. Che sappiano ragionare e che sappiano la teologia di base, con questo sono tranquillo, e ci vogliono quattro anni per la teologia di base. Che sappiano questo. Ma con una bella formazione spirituale. Per questo è necessario, a volte, aggregare piccole comunità seminaristiche in una, perché ci siano professori e formatori adatti. Ho detto spirituale e intellettuale. Adesso: comunitaria. In piccoli gruppi, sì, ma vita comunitaria, devono imparare a vivere comunitariamente, e non cadere dopo nella critica uno dell’altro, nei “partiti” dentro il presbiterio, e tutto questo. Questo si impara, in un seminario. E poi, la vita apostolica. Ogni seminario ha la pratica propria della vita apostolica. Di solito, il fine settimana vanno in parrocchia: questo è molto importante, perché la vita apostolica ti dà anche questa capacità, “l’odore delle pecore” di cui tu parlavi. Ti dà la capacità di situarti nella realtà. E forse ti tocca andare con un parroco nevrotico, in una parrocchia dove ci sono dei problemi, e tu vedrai come gestire questo. E la gente delle parrocchie dove voi andate vi conosce meglio – a volte – dei superiori. La mia esperienza: quando chiedevo informazioni per promuovere uno agli ordini, sia al diaconato sia al presbiterato, quando ero gesuita, chiedevo ai fratelli coadiutori, a tanti ma sempre ai fratelli coadiutori e alla gente della parrocchia; e le migliori informazioni non mi venivano dai professori: erano buone, ma le migliori venivano dai fratelli coadiutori e dalle donne delle parrocchie. È curioso: hanno il fiuto. Ricordo un caso, un bravo ragazzo, intelligente, che doveva essere ordinato diacono, questo lo ricordo bene. Una donna della parrocchia mi disse: “Io lo farei aspettare un po’ perché è bravo, ha tutte le qualità, ma c’è qualcosa che non mi convince”. Basta. E un fratello coadiutore mi ha detto: “Padre, lo faccia aspettare un anno, non gli farà male”. Gli altri, a tutto incenso. Ho seguito quella strada, e dopo quattro mesi se n’è andato di sua volontà: era scoppiata una crisi. Questo è importante. Il popolo di Dio ti capisce bene. Dunque, la formazione in seminario ha quattro cose: la formazione spirituale dev’essere seria, direzione spirituale seria; formazione intellettuale seria, non da manuale; formazione comunitaria tra i seminaristi; e formazione apostolica.