Comboni – MCCJ

Formazione Permanente
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EVANGELIZZAZIONE E VITA CONSACRATA

P. Carmelo Casile

Il rapporto tra evangelizzazione e vita consacrata 
è l’asse attorno a cui deve ruotare la vita dell’Istituto Comboniano.

l. L’EVANGELIZZAZIONE È ESSENZIALE ALLA VITA CONSACRATA 

Esaminando attentamente la dottrina della Chiesa sulla vita consacrata, come appare negli ultimi documenti (LG Cap. V e VI; PC; ET; EN), non è difficile renderci conto che la missione, nel senso più ampio del termine, non è estranea alla vita consacrata, ma appartiene alla sua stessa natura, fino al punto da potersi affermare che la missione è la vita consacrata in atto. Difatti la vita consacrata è un dono che Dio Padre fa al cristiano nella Chiesa, avendo come obiettivo, oltre il bene spirituale di chi lo riceve, il bene universale della Chiesa e del mondo. 

Dobbiamo pertanto affermare che il primo postu1ato della vita consacrata è la missione. Fuori di tale visione, la vita consacrata corre il pericolo di diventare astratta, di essere fraintesa, incomprensibile e sterile. 

2. LA VITA CONSACRATA INCLUDE LA MISSIONE AD GENTES

Compresa come missione, la vita consacrata nella estensione della sua azione apostolica include l’attività evangelizzatrice ad Gentes. La vita consacrata, infatti, realizza la sequela di Cristo in tutti i suoi aspetti, nella totalità del suo mistero, e così partecipa intimamente alla missione evangelizzatrice della Chiesa, suo Corpo Mistico (LG 46). 

Il Concilio enumera, nel numero citato, vari carismi che possono dare origine a differenti famiglie religiose, ma letto in una visione di insieme, è legittimo vedere qui una presentazione comp1eta delle attività specifiche della vita missionaria ad Gentes. Tutti coloro che professano i consigli evangelici “si consacrano in modo speciale al Signore… si uniscono a Cristo con questa donazione di sé che abbraccia tutta la vita… e vivono sempre più per Cristo e per il suo Corpo che è la Chiesa” (PC l), cioè vivono per la realizzazione della sua opera salvifica in tutta la sua estensione e in tutti i suoi aspetti (cfr. EN 63; ET49 e 50). 

La donazione di sé a Dio mette il cristiano in uno stato di totale disponibilità, che si traduce in servizio a Dio stesso e ai fratelli nella Chiesa e nel mondo: la donazione totale di sé a Dio è pertanto un servizio genuinamente apostolico. Per questo “tutti i Religiosi diffondano in tutto il mondo la Buona Novella di Cristo… in modo che la sua testimonianza sia palese a tutti e sia glorificato il Padre nostro che è nei cieli” (PC 25). 

Così il religioso è quel cristiano che prende coscienza di essere chiamato da Dio a unirsi in modo speciale al mistero di Cristo e della sua Chiesa. La meta del consacrato è quella di vivere unicamente di Dio e per Dio attraverso una sempre più profonda unione a Cristo e al Suo Corpo che è la Chiesa (PC 5). Il religioso, pertanto, è veramente tale quando prende coscienza che il significato della sua consacrazione non si esaurisce nella santità personale, e che esiste una relazione intima tra la sua santità e la vitalità e missione apostolica della Chiesa (cfr. LG 44; PC l). 

La consacrazione è autentica quando il religioso percepisce che ha un dovere da compiere verso la Chiesa, secondo il speciale genere di vita (LG 45) e che consiste nell’attuare la missione salvifica della Chiesa (LG 43), per radicare e consolidare il Regno di Cristo nelle anime e dilatarlo per tutta la terra (LG 44). 

L’aspetto missionario “ad Gentes” scaturisce, quindi, dal naturale dinamismo della vita consacrata (LG 44). L’ambito dell’attività del religioso è la vita della Chiesa e le mete che essa si prefigge nei diversi settori, incluso quello missionario (PC 2c). La vita consacrata, dunque, per essere autentica, deve tradursi in impegno apostolico, col quale il religioso si sforza di collaborare nell’opera di Redenzione e di espansione del Regno di Dio (PC 5).

3. VALORE MISSIONARIO DELL’INDOLE ESCATOLOGICA DELLA VITA CONSACRATA

La vita consacrata nel suo aspetto escatologico entra in pieno nel dinamismo delle attività evangelizzatrici della Chiesa. Infatti la consacrazione religiosa è nella Chiesa un segno qualificato nell’aiutare gli altri membri nel cammino della santità (LG 44) e nel diffondere la Buona Novella di Cristo nel mondo intero. “Il raggiungimento della carità perfetta per mezzo dei consigli evangelici, … appare come una splendida caratteristica del Regno dei Cieli” (PC 1). 

La vita religiosa appare come un segno che dimostra a tutti gli uomini la preminente grandezza della virtù di Cristo. Infatti “lo stato religioso imita più fedelmente e continuamente rappresenta nella Chiesa la forma di vita che il Figlio di Dio abbracciò e propose ai discepoli che lo seguivano” (LG 44). 

“Tutti coloro che professano i consigli evangelici seguono Cristo che vergine e povero redense e santificò gli uomini con la sua obbedienza” (PC l). La testimonianza è pertanto per il fedele consacrato una esigenza di capitale importanza che deriva dal fatto della sua consacrazione e implica una dimensione missionaria indissolubile e permanente (cfr. PC 25). I numeri 13 e 15 della PC sottolineano il valore collettivo della testimonianza religiosa. 

I religiosi proiettano così nel mondo l’immagine della Chiesa e le prestano un servizio inequivocabile attraverso la castità, la povertà. l’obbedienza, la carità reciproca e la totale disponibilità. Tutto ciò dimostra la forza evangelizzatrice della vita consacrata considerata in se stessa, cioè come forma di vita cristiana, e la responsabilità che gli deriva di fronte a tutto il popolo di Dio e del mondo ancora non evangelizzato. Se la sua testimonianza si impoverisce, alcuni aspetti importanti della vita della Chiesa verranno sfigurati e la sua missione evangelizzatrice ne soffrirà. 

Non è esagerazione, alla luce di queste considerazioni conciliari, affermare che la vita consacrata in se stessa è missione evangelizzatrice, perché “proclama e spiega il Vangelo, suscita la fede viva dei non-cristiani e aumenta la fede dei Cristiani” (Doc. del Sinodo 1973). 

“La vita religiosa è stata sempre compresa dalla Chiesa come consacrazione totale a Dio. Per questo implica rinunce al mondo. I consacrati sono ‘riservata’ a Dio, come porzione santa che sceglie di vivere non ‘secondo gli schemi del mondo’. Ma la consacrazione come separazione non significa che Dio necessiti gli uomini per sé, perché egli è l’Assoluto e basta a se stesso. Tuttavia, se riserva per sé delle persone e le consacra, lo fa per inviarle di nuovo con più profondità in missione divina nel mondo. La consacrazione come servizio e culto di Dio, significa che dio sceglie i consacrati e li costituisce segni e strumenti della sua presenza tra gli uomini” (La vita secondo lo Spirito, ed. EDB, p. 34). 

4. GLI ISTITUTI RELIGIOSI E LA MISSIONE “AD GENTES” 

Il Concilio afferma senza mezzi termini che il carisma della vita consacrata differisce essenzialmente dal carisma della missione “ad Gentes”. “Di fatti sono insigniti di una missione speciale coloro, che forniti di naturale attitudine, e capaci di qualità e di ingegno, si sentono pronti ad intraprendere l’attività missionaria, siano essi indigeni o stranieri: si tratta di religiosi, sacerdoti, laici” (AG 23,2; cfr. AA 2). 

Il Concilio, prendendo come punto di partenza la verità che l’impegno di diffondere la fede investe ogni seguace di Cristo secondo le sue capacità, puntualizza che di fatto “Cristo Signore chiama sempre dalla moltitudine dei suoi discepoli quelli che Egli vuole, per averli con sé e inviarli a predicare alle genti” (AG 23,1; EN 53). Possono essere soggetto di questa chiamata tutti i membri e categorie del Popolo di Dio. Infatti il dovere missionario è comune a tutti i battezzati, essendo la vocazione cristiana, per sua natura, anche vocazione all’apostolato (cfr. AA 2). Difatti però la vocazione missionaria “ad Gentes” è un dono che Dio dà a chi vuole.

I religiosi non sono esclusi. Al contrario si trovano nella situazione più favorevole in ordine all’evangelizzazione dei fedeli non-cristiani. La vocazione missionaria è una realtà che può motivare la vita consacrata in se stessa e dare origine ad Istituti Religiosi esclusivamente missionari, o far sì che Istituti Religiosi assumano il carisma missionario attraverso alcuni dei suoi membri che sentono la chiamata alla vita missionaria (cfr. AG 23 e 27; EN 69). Anzi il Concilio insiste perché gli Istituti Religiosi prendano coscienza dell’urgenza del problema missionario e del relativo dovere di impegnarvisi, siano essi Istituti di vita contemplativa, sia di vita attiva (AG 40; 18; 27; 45; GS 84). 

L’Ad Gentes, pertanto, è coerente con la dottrina sulla vita consacrata della LG e del PC. Nella vita consacrata, Dio si comunica in modo speciale al fedele, mettendolo in uno stato di totale disponibilità di se stesso a Dio e ai fratelli nella Chiesa in spirito di servizio, che nel vasto campo di azione può concretizzarsi esclusivamente o anche nella attività evangelizzatrice “ad Gentes”. 

La dottrina dell’Ad Gentes sugli Istituti Missionari sarà capita in profondità solo se sarà integrata con la dottrina generale del Concilio sulla vita consacrata. 

In questa prospettiva gli Istituti Missionari affondano le loro radici su base evangelica-teologica ben solida; i vantaggi pratici che offrono all’apostolato missionario sono frutto di una realtà profonda che impegna costantemente le persone fino ai limiti estremi della loro generosità che si manifesta nella professione dei consigli evangelici. Così la consacrazione è la linfa e l’attività, “ad Gentes” il frutto da essa alimentato; la consacrazione è la radice e l’attività “ad Gentes” la pianta che da essa nasce ed è sostenuta. Tra le due realtà non esiste contrapposizione, né successione tra “prima e poi”: c’è compenetrazione, reciprocità, e identificazione in persone e istituzioni mossi dallo Spirito Santo a rendere presente Cristo Salvatore nel mondo. 

5. IL RINNOVAMENTO DELLA VITA RELIGIOSA

Per capire il valore della vita consacrata come missione della chiesa, bisogna eliminare un equivoco: la vita consacrata in se stessa nel suo dinamismo con il suo incontro con il Padre e i fratelli attraverso il Figlio nello Spirito Santo dentro la Chiesa non si può confondere né con i voti né con le forme concrete della stessa vita consacrata che si esprimono in una struttura giuridica. La norma unica della vita consacrata è il discepolato di Cristo (cfr. PC 2,a). 

I voti sono l’espressione storica che ha preso nella Chiesa la sequela esclusiva di Cristo. La pratica dei consigli evangelici non è fine a se stessa, ma porta il cristiano a seguire e a conformarsi a Cristo; è cammino che conduce alla carità, che è l’essenza della perfezione cristiana. Tanto più, quindi, appare evidente che la struttura giuridica della vita consacrata non è la vita consacrata. 

Con ciò non si vuole affermare che la vita consacrata non abbia bisogno di strutture: esse sono un aiuto indispensabile per la sua stabilità e per il raggiungimento del fine comune per i quali i suoi membri si trovano riuniti. 

Non identificandosi la vita consacrata con la sua struttura giuridica, ne consegue che non ci sono strutture assolute e universali della vita consacrata; il carisma che specifica la vita consacrata dentro la Chiesa e la natura stessa della consacrazione determineranno il tipo di strutture da adottare, che mai potranno essere definitive, perchè il mondo, e con esso la Chiesa, sono in continua evoluzione. Questo principio tocca naturalmente anche la pratica dei consigli evangelici. La Chiesa si mostra cosciente di ciò e per questo, mentre afferma i principi basilari della sua fede, non si stanca di fare appello per il rinnovamento delle Famiglie Religiose e degli Istituti Missionari, affinché adeguino il loro stile di vita alle esigenze della fedeltà alla consacrazione e alla missione del mondo attuale (cfr. PC; AG 27; ET; EN).

6. LA SPECIFICITÀ DELL’ISTITUTO COMBONIANO 

L’Istituto Comboniano deve prendere coscienza che è una comunità cristiana consacrata per la sua professione dei consigli evangelici all’amore di Dio e dei fratelli, in modo speciale dei fratelli non-cristiani. Questa realtà è l’elemento catalizzatore della vita personale di ogni membro dell’Istituto e deve determinare la struttura della comunità Comboniana.

La vita consacrata nell’Istituto Comboniano non può essere considerata una dimensione a se stante e la missione un’altra. Missione e consacrazione sono una realtà unica, nel Comboniano si identificano. La missione si alimenta nella consacrazione e la consacrazione si esprime nella missione. Missione e consacrazione sono, nel Comboniano, i due elementi costitutivi del suo “essere consacrato” a Dio per i fratelli non-cristiani. 

7. LA VITA RELIGIOSA NON È UNA REALTÀ STATICA 

La consacrazione fonda l’ “essere-in-Cristo” del missionario comboniano, la sua struttura esistenziale; la missione è l’attuazione di questa maniera di essere, è il “fare e agire” del Comboniano, così che il Comboniano può vivere e vive di fatto, quando vive la missione “ad Gentes”. L’attività missionaria è la consacrazione in atto. 

La consacrazione, però, non è una realtà statica, non si realizza una volta per sempre; ma è una realtà quotidiana, è continua novità che nasce dal fatto di essere vita “nascosta con Cristo in Dio”; per questo è conversione continua (EN 15). 

Infatti la consacrazione è un dono gratuito di Dio, che l’uomo riceve nella fede, e al quale deve corrispondere liberamente in ogni momento della vita. Per il fatto di essere “vita nascosta con Cristo in Dio”, è un dialogo difficile e sempre nuovo. L’opzione fondamentale, infatti, è unica; ma la attuazione concreta è successiva, variabile e in continua trasformazione, secondo la natura limitata dell’uomo e la ricchezza infinita di Dio. Il rischio, l’incertezza, la precarietà fanno parte della consacrazione. Nessuno pertanto può dispensare il consacrato dal lavoro e dall’impegno personale per perseverare nella consacrazione, che diventa così un avvenimento, sempre vivo e nuovo in una esistenza personale, un continuo mettere in gioco se stesso, causato dalla adesione alla Parola di Dio. C’è consacrazione autentica se e nella misura in cui esiste questa vitalità sofferta, questo tentativo di risposta a Colui che chiama, la percezione cosciente di trovarsi di fronte al Vivente che interpella continuamente. 

8. LA MISSIONE COME CONSACRAZIONE-CONVERSIONE 

La missione che non sia consacrazione-conversione, corre il rischio di trasformarsi in pura attività sociale ed umanitaria, perdendo così il suo significato più vero e profondo. Il Missionario che vive il dinamismo della consacrazione è persuaso che “se in granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo” (Gv 12,24) e che soltanto spinto dalla carità – infatti “nessuno ha amore più grande di colui che sacrifica la propria vita per i suoi amici” (Gv 15,13) -, potrà acquisire quella disposizione interiore fondamentale che lo rende realmente capace di darsi per i fratelli non-cristiani. E l’uomo può amare, può ristabilire l’unità in se stesso, con gli altri e con tutta la creazione, perché “la carità di Dio si è diffusa nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci ha donato”. Possiamo donare tutti i nostri beni ai poveri e non conoscere l’amore (cfr. lCor 13, 1-3). 

Ecco come in realtà la consacrazione è la linfa che nutre e fa crescere l’opera evangelizzatrice del Missionario Comboniano. È vero che la visione del campo di lavoro può essere punto di partenza della vocazione missionaria comboniana, ma la sua attuazione in pienezza lo porta alla Consacrazione, sicché i due elementi diventano interdipendenti e inseparabili nella vita consacrata. 

A volte i punti di partenza potrebbero venire dalla consacrazione, cioè il desiderio di una maggiore intimità con Dio; ma questa conduce a sua volta necessariamente alla missione come attuazione della consacrazione stessa (cfr. lGv 3,14; 4,7-21; Giac 2,1-9,14-26), 

Ho l’impressione che esiste nella Congregazione una dissociazione di tipo spirituale, c’è la tendenza a vivere separatamente la vita religiosa e la vita missionaria. Da qui, a mio avviso, nascono molti malesseri individuali e comunitari, tra cui la tensione tra Fratelli e Sacerdoti. Se si indebolisce la base fondante della consacrazione per la missione, allora c’è la possibilità di contrapporsi, gli uni correndo verso “il clericalismo” e gli altri verso “il professionismo” o verso altri “-ismi” preferiti. Una visione chiara della vita missionaria consacrata è indispensabile per l’identità dell’Istituto Comboniano nei suoi membri e nelle sue strutture. 

9. CONCLUSIONI 

La consacrazione missionaria comporta donazione totale e definitiva che il cristiano, come membro della Chiesa, fa di se stesso a Dio e ai popoli fedeli non-cristiani o cristiani bisognosi di essere rievangelizzati, nell’Istituto Comboniano. L’uomo però mai arriva al definitivo immediatamente, e anche quando arriva ad un impegno totale riesce a mantenerlo attraverso la vigilanza e la costanza. Così nella vita missionaria consacrata l’iniziale donazione a Dio per le missioni, manifestata con l’entrata in Noviziato, va approfondendosi interiormente e radicalizzandosi anche esteriormente attraverso atteggiamenti sempre più impegnativi, fino all’impegno ultimo e più radicale di tutti, che è la totale donazione a Dio nella consacrazione missionaria perpetua, che raggiunge il suo apice nella età anziana ela partenza per l’Eternità…(cfr. RV 42.5). La consacrazione è un fatto che dipende dall’iniziativa divina e che richiede da parte del cristiano una risposta libera e responsabile. L’iniziativa nella consacrazione non è mia, ma è di D io: è Lui che mi chiama. Io posso corrispondere o rifiutare. 

L’attività o azione consacrante è di Dio: è Lui che mi consacra, non sono io che mi consacro; io prendo un atteggiamento di disponibilità, di accettazione dell’azione divina in me, di risposta perfettamente personale (cosciente e libera): è solo in questo senso che posso affermare che “mi consacro”. 

La consacrazione è ordinata ad una missione, alla quale Dio chiama ed alla quale Lui stesso invia. Alla radice di ogni missione c’è la vocazione (= chiamata ad una certa vita di intimità ed amicizia con Dio), che quindi, è sempre ordinata ad una missione; a sua volta la missione esige la consacrazione: Dio prende possesso della persona in vista di una missione particolare che l’inviato deve realizzare nella Chiesa e nel mondo. 

Gesù è il Consacrato (= il Cristo), che realizza in pienezza la sua missione: Gesù è un uomo per gli altri; è l’uomo che è totale rapporto di amore, che crea il Corpo Mistico, compaginato ed animato dal suo Spirito. Ogni membro della Chiesa è fatto partecipe di questa consacrazione di Cristo nella consacrazione battesimale: è la vocazione comune dei credenti. In virtù di questa consacrazione battesimale ogni Cristiano è chiamato a realizzare la missione di Gesù attraverso il suo particolare carisma: la vocazione comune si esplicita nella varietà di missioni e consacrazioni, Per ogni missione speciale è necessaria una vocazione speciale e una speciale consacrazione, cioè una trasformazione operata da Dio nel profondo dell’essere umano in ordine ad una determinata missione. Ora l’elemento determinante della nostra consacrazione è “l’essere inviati ad Gentes”, secondo il carisma e lo stile dì Daniele Comboni, già confermato dalla Chiesa Gerarchica. 

La consacrazione missionaria comboniana comporta il portare fino alle estreme conseguenze la consacrazione battesimale nella sua dimensione missionaria, sotto la guida di san Daniele Comboni. È Dio stesso che mi vuole missionario così, che mi consacra missionario così. La professione dei voti costituisce la manifestazione e l’impegno pubblico della mia consacrazione personale, cioè una maniera concreta di realizzare la radicalizzazione della mia donazione a Dio per le missioni. 

In questa prospettiva i voti, la vita comunitaria, non sono strumenti che favoriscono la mia attività missionaria. I voti, con le loro conseguenze concrete, non sono accessori della mia consacrazione missionaria comboniana; al contrario, sono genuinamente miei, autenticamente comboniani, perché scaturiscono come esigenza di concretizzazione, radicalizzazione e manifestazione della mia donazione a Dio per la causa missionaria, esprimono e consolidano questa mia consacrazione di fronte a me stesso e alla Chiesa. 

Il fatto che i voti non ci sono stati proposti espressamente dal nostro Fondatore non costituisce difficoltà alcuna. Ogni vocazione, infatti, è dinamica perché ricevuta in germe; per questo è naturale che ci sia un continuo approfondimento nella sua comprensione e nel modo di viverla. Le circostanze sempre nuove nelle quali una vocazione è vissuta assumono un ruolo molto importante come stimolo per un maggior approfondimento nella dimensione della conoscenza e dello stile di vita. Dimenticare ciò e riferirsi soltanto al modo concreto come il Comboni ha vissuto e iniziato i suoi a vivere la vita missionaria, significa tradire lo stesso Comboni, seppellire quell’unico talento ricevuto, di cui ci parla Gesù nella parabola, e non lasciarlo fruttificare. Il Comboni ha lanciato nel campo, che è la Chiesa e il mondo, un seme e non pianta già adulta. Sta a noi scoprire il tesoro e valorizzarlo al massimo. A questo punto però sorge una domanda alla qua ogni comboniano deve rispondere con la massima onestà e generosità: il Comboni, nel suo stile di vita, nei suoi Scritti, soprattutto le Regole, non è una profezia in atto della vita missionaria consacrata nel modo in cui è presentata dalla Chiesa d’oggi? 

Nella Chiesa c’è un dovere missionario universale, che riguarda cioè ogni battezzato, c’è una vocazione missionaria specifica, che può essere rivolta a qualunque membro del Popolo di Dio senza distinzione alcuna; il modo di realizzare questa vocazione specifica, non è e non può essere identico per tutti i chiamati: c’è chi, per dono di Dio, la vuole vivere fino alle ultime conseguenze derivanti dalla consacrazione battesimale, personalmente e/o in comunità: in questo ultimo caso nascono le Famiglie consacrate esclusivamente alla evangelizzazione dei fedeli non-cristiani. La Famiglia Comboniana è una di queste. Non è frutto della “carne”, ma dello “Spirito”; non si è sviluppata così per caso, ma per intervento della Provvidenza. 

NB: La riflessione sopra esposta è impostata sui Documenti del Concilio Vat. II e sul successivo Magistero della Chiesa: nella Evangelica Testificatio (1971), nel Sinodo dei vescovi del 1973 e nella Evangelii Nuntiandi (1975) e anche sulla scia dei Documenti Capitolari dei MCCJ del 1969. 

Appare chiaro che le indicazioni di questi documenti sono confluiti nella Regola di Vita dei MCCJ, approvata in via provvisoria nel 1979 e definitiva nel 1988, e che attualmente è in via di revisione…

Il binomio “evangelizzazione e vita consacrata” si è ulteriormente irrobustito con i successivi Documenti del Magistero, come “Vita Consacra” (25/3/1996), fino al magistero di Benedetto XVI e Papa Francesco, che sono confluiti nei documenti finali dei vari Capitoli Generali dei MCCJ. 

Su tale binomio è degno di nota un articolo di P. Aldo Gilli MCCJ, pubblicato in “Vita Consacrata. Rivista per Istituti Religiosi e Secolari”, (ed. Ancora, 32,1996/2,220-232), dal titolo: “UN IDEALE DI CONSACRAZIONE ALLE MISSIONI / DANIELE COMBONI MAESTRO DI VITA MISSIONARIA” 

È un articolo molto stimolante ancora oggi, elaborato in sintonia con l’insegnamento del Concilio Vat. II e il successivo Magistero della Chiesa, e corroborato dall’approfondimento del tema della consacrazione missionaria, come vissuta da Comboni e lasciata in eredità ai suoi figli e figlie. 

P. Carmelo Casile

Casavatore, luglio 2022