Comboni – MCCJ

Formazione Permanente
File PDF:

EVANGELIZZATI PER EVANGELIZZARE (1)
P. Carmelo Casile

«I missionari hanno un incessante bisogno di essere evangelizzati: RV 99b

La riflessione sulla Regola di Vita che segue, è nata negli anni 1976-1978, destinata ai Novizi, e ha ricevuto vari ritocchi fino all’inizio del mese di febbraio del 2019. Mi sembra che essa può fare da cerniera tra l’Anno della Regola di Vita e l’Anno dell’Interculturalità.

A questa conclusione sono giunto in questi giorni pensando alle dinamiche proposte per i due processi, mettendole a confronto con l’avventura “interculturale” di santa Giuseppina Bakkita. Dalle sue memorie autobiografiche risulta che fu guidata fin da bambina da un intenso desiderio di vedere, conoscere e prestare omaggio al Padrone delle cose belle in cui si veda immersa e poi dall’esperienza del Catecumenato, dove conobbe quel Dio che fin da piccola sentiva in cuore senza sapere chi fosse.

Dal progresso nell’esperienza religiosa Bakkita capì sempre meglio se stessa, la sua storia dolora ma segnata dalla mano della Previdenza, si fece capire e capì gli altri.

Animata da questo anelito verso Dio e da questa formazione penetrata nel suo cuore, viveva nella convinzione che «Dio non ci abbandona e conosce le nostre sofferenze, perché lui è nostro Padre e noi siamo…suoi figli e figlie, non fa distinzione se siamo bianchi o neri, se siamo stati… schiavi. Verità rivoluzionaria capace di darle un nuovo e completamente diverso orizzonte di vita. “Io sono amata da Dio, che è mio Padre”, ecco la verità affascinante e incoraggiante, che l’aveva portata ad amare non solo Dio “el bon Paron” ma anche ogni prossimo, perfino i suoi rapitori e torturatori» (Mario Scudu). «Portinaia del convento di Schio, lei imparerà a conoscere la gente e la gente ad apprezzare il docile sorriso, la bontà e la fede di quella “morèta”, “moretta”, e i ragazzini a voler assaggiare la “suora di cioccolata”» (comboni.org).

L’esempio di santa Bakkita ci può aiutare a ricordare che «i missionari hanno un incessante bisogno di essere evangelizzati (RV 99b) per farsi capire e capire gli altri, a partire dai membri della propria comunità. Per tanto, il primo destinatario dell’attività evangelizzatrice è lo stesso missionario. La continua conversione di sé alla Buona Notizia, che è chiamato ad annunciare, fonda e dà credibilità alla sua attività.

1. SIGNIFICATO DELLA MISSIONE

1.1. Il fine specifico dell’attività missionaria è l’effusione dello Spirito Santo1.

Di fronte alla Chiesa, che “esiste per evangelizzare”, sorge un mondo che ancora deve essere evangelizzato quasi nella sua totalità (cfr. RMi 1). Per ciò, la preoccupazione missionaria per i non-cristiani, e l’inquietudine apostolica devono essere lo stimolo e l’alimento costante della nostra vocazione comboniana nella Chiesa (cfr. RV 56).

Ma qual è l’oggetto di questa preoccupazione missionaria?

Alle origini dell’attività missionaria constatiamo la presenza di un fatto: gli Apostoli hanno iniziato la predicazione evangelica, dopo che si sono visti trasformati dallo Spirito Santo. Le loro parole furono allora una manifestazione dello Spirito e della potenza di Dio:

«La mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio» (1Cor 2, 4-5).

In effetti, lo Spirito Santo è il dinamismo, cioè la potenza, la forza vivificatrice del mondo, che agisce nell’evangelizzatore e nell’ascoltatore (cfr. RV 56.2).

L’espressione “manifestazione dello Spirito e della sua potenza” corrisponde alla parola “dinamismo”, che ricorda l’effusione dello Spirito Santo e viene di solito tradotta per forza, potenza, virtualità, efficacia, vitalità, grazia; è implicita nel paragone della pioggia che feconda la terra (Is 55,10 ss.), del seme che feconda il campo (Mc 4, l4): pioggia o seme significano la parola di Dio, penetrante, dinamica, efficace; significano Gesù che penetra in noi mediante il suo Spirito o lo Spirito Santo che agisce nel cuore dell’uomo e gli rivela il mistero di Cristo Gesù (cfr. B. Rinaldi: o.c., pp. 118 e117; RV 56.2).

Per la comprensione di queste realtà sono significative le comparazioni:

– Luca ricorda le parole dell’angelo a Maria: «Lo Spirito Santo verrà sopra di te e il dinamismo dell’Altissimo ti adombrerà; perciò il nato Santo sarà chiamato Figlio di Dio» (Lc 1, 35).

– Paolo si sente dire da Gesù: «Ti basti la mia grazia; infatti, il (mio) dinamismo opera nella debolezza. Volentieri mi voglio gloriare delle mie debolezze, affinché abiti in me il dinamismo di Cristo» (2Cor 12, 9).

Consacrati dallo Spirito alla missione

In altre parole l’abitazione del Figlio di Dio in Maria per opera dello Spirito Santo, si attualizza in Paolo mediante la grazia-dinamismo che sprizza dal Signore Risorto. Così Maria Santissima e S. Paolo sono consacrati alla loro nobile missione mediante il dinamismo dello Spirito Santo. Vi è di più: lo stesso Verbo diventerà la parola salvifica del Padre mediante il dinamismo dello Spirito Santo. Secondo Paolo, infatti, è lo Spirito che rende Gesù “Spirito Vivificante” (1Cor 15, 45); forse meglio, è il Padre che manifesta Cristo quale suo Figlio “nel dinamismo secondo lo Spirito Santo mediante la risurrezione dai morti” (Rom 1,4).

Luca anticipa questa vitalizzazione del Verbo all’inizio della predicazione di Gesù, quasi per far toccare con mano che Cristo-uomo è sempre nello Spirito Santo che agisce:

«Egli (Dio) ha inviato la sua parola ai figli di Israele, annunziando la pace mediante Gesù Cristo; è lui il Signore di tutti. Voi sapete tutto quello che è avvenuto in tutta la Giudea: Gesù di Nazareth, i suoi inizi in Galilea, dopo il battesimo di Giovanni, come Dio lo ha unto di Spirito Santo e di dinamismo» (Atti 10, 36 ss.).

Questi testi biblici ci portano a concludere che il dinamismo è proprio di Dio Padre, l’Onnipotente, colui che è pieno di grazia e di benevolenza; scende su Gesù come uomo mediante lo Spirito Santo che avvolge tutta la vita del Redentore rendendola storia di salvezza; tale dinamismo gli viene comunicato proprio in quanto predicatore della parola del Padre, come vivificatore del Corpo dei credenti. Luca però è convinto che tale effusione dello Spirito è stata comunicata a tutta la Chiesa: è il miracolo della Pentecoste, che si ripercuote nella casa di Cornelio (Atti 10, 44). Ma non c’è nessun dubbio, gli Apostoli, i predicatori della Parola, ne sono particolarmente ripieni: per questo Pietro può commentare gli avvenimenti salvifici delle due Pentecoste, quella di Gerusalemme e quella della casa di Cornelio.

Paolo non è meno categorico nella sua epistola sopraccitata: egli sente il dinamismo del Cristo risorto nel proprio apostolato travagliato. Gli evangelizzatori, pertanto, prima di donare agli altri lo Spirito Santo, ne sono stati riempiti per effonderlo sugli altri2 . I missionari sono così i dispensatori dello Spirito, della sua grazia e del suo dinamismo che portano gli uomini infallibilmente al Verbo in Croce, e mediante lui al Padre, da cui tutto parte e a cui tutto deve risalire. Il Figlio e lo Spirito Santo, inviati nel mondo per condurre gli uomini con grazia e intelligenza al cuore di Dio, sono stati mandati perché l’umanità ritorni al Padre con loro.

Lo Spirito comunica alla Chiesa lo slancio missionario (cfr. RMi 21-30)

È questa la sostanza della dottrina del Decreto sulla Attività Missionaria della Chiesa (AG 2-4), secondo cui il piano di salvezza “scaturisce dalla ‘fonte di amore’, cioè dalla carità di Dio Padre”, si realizza storicamente nell’ “invio del suo Figlio a noi con un corpo simile al nostro”, si interiorizza con l’invio dello Spirito da parte di Cristo nella Pentecoste, mandato affinché la Chiesa desse “inizio alla predicazione fra le genti” fino a comprendere “tutte le lingue nell’amore”.

Più ancora: tutto questo è avvenuto secondo il piano amoroso del Padre: come lo Spirito Santo discese in Maria per prepararla alla missione di Madre di Dio, come discese su Cristo all’inizio della predicazione, così è disceso sulla Chiesa apostolica nella Pentecoste e discende su di essa “in ogni tempo” per comunicarle quello slancio missionario che caratterizzò la vita di Gesù (Ev. Nun. 6-l6).

Così la Parola del Padre, che “è diventata un uomo e ha vissuto in mezzo a noi uomini” (Gv 1, 14), diventerà “vita” di tutte le nazioni attraverso l’attività missionaria della Chiesa sotto l’influsso e l’azione dello Spirito Santo che la anima: dal Padre quale fonte di amore, attraverso il Verbo Incarnato, nella vitale-dinamica comunione dello Spirito Santo (cfr. 2Cor 13, 13).

Nella Storia della Salvezza, infatti, lo Spirito Santo è il protagonista, ad ogni passo Dio Padre ha preparato la venuta del suo Figlio con l’azione delicata e paziente dello Spirito Santo. A sua volta il Figlio continua a portarci al Padre e a chiamare a sé quelli che Egli vuole e mandarli a portare il suo Nome alle nazioni, sospingendo le nostre vele con lo spirare del vento dello stesso Spirito (cfr. RV 20; 56).

Per tanto, l’attività missionaria della Chiesa ha nello Spirito Santo il suo punto costante di riferimento ed é sempre impulso dello Spirito Santo nel cuore dei fedeli: «Avrete la forza dello Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra» (At 1, 8). L’opera dello Spirito Santo, protagonista di tutta la missione ecclesiale, rifulge nella missione ad Gentes, come appare nella Chiesa primitiva (cfr. RMi 31).

Questa forza dello Spirito Santo é in azione e mette in tensione verso la salvezza in Cristo tutti gli esseri umani, che con cuore sincero sono alla ricerca del senso ultimo della vita. Infatti, affermando che la vocazione ultima dell’uomo é quella divina, il Conc. Vat. II aggiunge che “perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, con il mistero Pasquale” del Cristo morto e risorto (GS 22).

Noi battezzati siamo inseriti in questa tensione d’ogni cuore umano verso la salvezza come segno e strumento di questa stessa salvezza. Di fatti, “la vocazione ultima dell’uomo é una sola, quella divina, e la Buona Novella della salvezza é per tutti” (cfr. GS 22). Ma la rivelazione di questa Buona Novella é stata fatta alla Chiesa e arriva a tutti coloro che cercano Dio con cuore sincero nelle varie religioni per mezzo della Chiesa. L’annuncio e la testimonianza dei cristiani sono determinanti, affinché i cuori si aprano a Cristo Salvatore e ricevano l’abbondanza della vita che Egli, Buon Pastore, é venuto a riversare dal suo Cuore Trafitto su tutta l’umanità.

Così la tensione dell’umanità verso la salvezza in Cristo e la “tensione missionaria” della Chiesa s’incontrano come frutto della silenziosa azione dello Spirito Santo, che fa convergere le aspirazioni degli uni e degli altri. Di fatti, fin dalle origini, la nascente comunità cristiana si é qualificata per la sua tensione di andare verso tutti, di aprirsi agli altri, che cercano Dio anche se a tentoni (cfr. At 17, 27), inaugurando un cammino missionario senza frontiere…

Pronunciare un’epiclesi sul mondo”3

Tra gli elementi primari che caratterizzano questa tensione missionaria della Chiesa, emerge la preghiera.

La preghiera come contributo per sollevare la vita del mondo intero e orientarla al Regno di Dio, consiste anzitutto nell’invocare lo Spirito Santo sul mondo, nel “pronunciare un’epiclesi sul mondo” conforme si esprime san Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica “Orientale Lumen” (n. 14):

«Nella sua orazione il monaco pronuncia una epiclesi dello Spirito sul mondo ed é certo che sarà esaudito, perché essa partecipa della stessa preghiera di Cristo. E così egli sente nascere in sé un amore profondo per l’umanità, quell’amore che la preghiera in oriente così spesso celebra come attributo di Dio, l’amico degli uomini che non ha esitato ad offrire suo Figlio perché il mondo fosse salvo. In quest’atteggiamento é dato talora al monaco di contemplare quel mondo già trasfigurato dall’azione deificante del Cristo morto e risorto».

Il monaco che pronuncia una epiclesi dello Spirito sul mondo é nella Chiesa figura d’ogni cristiano, che esprime per mezzo della preghiera la tensione missionaria della sua vita battesimale.

Coinvolto in questa tensione, il missionario prende coscienza con gioia che è stato scelto per effondere lo Spirito Santo, per dare agli uomini che cercano Dio con cuore sincero, il dono del Padre, il divino Paraclito, che lui stesso ha ricevuto per primo.

Per questo, il primo passo del missionario nel suo cammino di evangelizzatore è invocare lo Spirito Santo sul mondo e più concretamente sul popolo a cui è inviato.

Pronunciare una epiclesi missionaria, significa che prendo coscienza della presenza dello Spirito Santo che ricevo dal Cuore di Cristo soprattutto nell’Eucaristia, lo accolgo e ne faccio dono agli altri mediante l’invocazione.

Invoco lo Spirito Santo, perché si effonda sull’umanità d’oggi e con la sua potenza trasformatrice renda presente e attualizzi l’opera salvifica di Cristo; invoco lo Spirito Santo per affidare a Lui la fecondità dell’azione evangelizzatrice della Chiesa, il suo slancio e la sua creatività.

Quest’invocazione nasce dal fatto che lo Spirito Santo é il primo missionario e l’evangelizzazione é esclusivamente opera sua; il missionario é soltanto suo collaboratore. La Parola annunciata rimane sterile senza l’azione dello Spirito Santo. Per questo bisogna annunciarla e nello stesso tempo assicurare quest’effusione o presenza dello Spirito Santo. A questo deve dedicarsi prima di tutto il missionario che lavora in prima linea e la comunità che lo invia e l’accompagna.

Quest’invocazione dello Spirito Santo sul mondo é esaudita dal Padre del cielo, perché egli sempre dà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono (cfr. Lc 11, 13).

La nostra possibilità di accogliere ed effondere lo Spirito Santo sul mondo nasce dalla nostra condizione di battezzati, che ci fa partecipi della vita della Trinità.

Il Padre é l’ “Amore fontale” che ci dona il Figlio, il quale, accolto, prende dimora nei nostri cuori e alita in noi il suo Spirito, perché a nostra volta lo alitiamo ed effondiamo sul mondo.

Siamo strumenti di quest’effusione mediante una preghiera d’intercessione che abbracci il mondo intero. Lo Spirito Santo stesso ci avvolge nella sua luce e dilata il nostro spirito agli orizzonti del mondo, in atto di solidarietà con tutti gli esseri umani.

Quest’intercessione si concretizza e si approfondisce nella preghiera personale e, in modo particolare, nella Liturgia delle Ore e nella celebrazione e adorazione dell’Eucaristia. La preghiera liturgica, infatti, è:

  • strumento privilegiato di comunione con Dio e con gli uomini;
  • mezzo essenziale di evangelizzazione e santificazione personale;
  • fonte di contemplazione che alimenta la preghiera personale ed ispira l’attività missionaria (cfr. RV 51-52).

Per questo, la Liturgia delle Ore è un impegno serio verso Dio e verso il popolo; un impegno che il missionario assume e che gli proviene non solo dal sacramento dell’Ordine (Diacono o Sacerdote) ma anche dalla stessa consacrazione missionaria (RV 52).

Per mezzo della preghiera liturgica consacriamo il tempo e la vita a Dio per il Regno, non solo la nostra ma anche quella degli uomini, che noi amiamo e vogliamo servire e che a volte non sanno o non hanno la possibilità di consacrare un tempo alla preghiera per rendersi disponibili all’azione dello Spirito Santo o gli oppongono resistenza.

Invochiamo il dono dello Spirito cominciando dalle persone più vicine a noi fino alle più lontane sparse nei quattro punti cardinali, mentre ci chiediamo come ci rapportiamo con loro, come ne condividiamo gioie e dolori, come ci situiamo entro il mondo e la sua storia; invochiamo il dono dello Spirito su tutta la creazione che “attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio” (Rom 8, 19).

Pronunciare questa epiclesi missionaria é come fare una cura in alta montagna: respiriamo a pieni polmoni l’aria pura di Dio che é il suo Spirito e lo alitiamo effondendolo sul mondo, affinché sia rinnovato.

Questo modo di pregare ci mantiene sempre uniti alla sorgente della missione e in continua “tensione missionaria”. Sarà una preghiera insistente, fiduciosa, non per piegare Dio ai nostri desideri, ma per ottenere in primo luogo per tutta l’umanità il dono dello Spirito Santo, datore della vera vita; sarà una preghiera per impegnarci a fare quello che chiediamo sotto la regia, la guida dello Spirito Santo, forza attivante della nostra vita e della vita del mondo intero; sarà una preghiera per crescere nell’amore a Dio e al prossimo, per sollevare la vita del mondo e orientarla al Regno di Dio.

Esercizio di preghiera per “pronunciare un’epiclesi sul mondo”:
Invocare lo Spirito Santo al ritmo del respiro

Il respiro é come il sacramento dello Spirito Santo.

Questa relazione tra il respiro e lo Spirito Santo radica nell’esperienza che del respiro non ci possiamo appropriare: esso é dono, che dobbiamo consegnare così come lo riceviamo. Esso ci fa vivere se e nella misura in cui siamo disposti a lasciarlo defluire dopo che é affluito nel nostro organismo.

Possiamo, per tanto, interiorizzare un esercizio di preghiera, trasformandolo in mediazione per effondere lo Spirito Santo, seguendo il seguente processo:

  • Sediamoci in una posizione che ci consenta respirare comodamente; prendiamo coscienza del nostro respiro: una volta fattosi calmo, ritmato e profondo, entriamo in sintonia con l’ inspiro e l’espiro.
  • Ravvisiamo nell’alternarsi dell’inspiro e dell’espiro la duplice azione dello Spirito Santo, che penetra in noi e, purificandoci, ci rigenera a vita nuova e ci spinge a effondere questa stessa vita, ci invia a “respirare Spirito Santo” in mezzo al mondo. Questa duplice azione dello Spirito Santo può essere accompagnata dall’invocazione, che troviamo come variante al Padre nostro nel Vangelo di san Luca: “Venga il tuo Santo Spirito e ci purifichi” (cf Lc 11, 3), variante che starà a noi personalizzare in modo che faccia da supporto alla preghiera interiore.
  • Sostenuti dai due momenti del processo respiratorio, abbandoniamoci all’azione dello Spirito Santo in noi e pronunciamo la nostra epiclesi sul mondo.

Prima modalità:

  • Inspiro: Vieni Spirito Santo”con tutti i tuoi doni ( =sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timore di Dio; posso concentrarmi su un dono soltanto).
  • Espiro: Purificami”:lascio che lo Spirito Santo radichi la sua presenza con i suoi doni nelle profondità del mio spirito, in tutto il mio corpo.

Seconda modalità:

  • Inspiro: “Vieni Spirito Santo”: accolgo in me il dono dello Spirito Santo che ricevo dal Cuore Trafitto di Gesù.
  • Espiro: “Posati su…”: lo Spirito ricevuto lo faccio dono agli altri, lo alito, lo effondo sugli altri: persone vicine, intime, occasionali, sconosciute, lontane; tutti i popoli dei quattro punti cardinali; il cosmo che aspetta ansioso la redenzione…

É un modo di pregare che tonifica la nostra consacrazione missionaria e ci mantiene uniti alla missione sempre, anche quando le circostanze ci mantengono fisicamente lontani…

1.2. Il missionario ambasciatore del Verbo Incarnato

«È stato Dio, infatti, a riconciliare a sé il mondo in Cristo non tenendo più conto dei peccati degli uomini, e mettendo sulle nostre labbra la parola della riconciliazione. Noi siamo dunque ambasciatori per Cristo come se Dio vi consolasse mediante noi. Vi supplichiamo in nome di Cristo riconciliatevi con Dio» (2Cor 5,19-20).

Consolazione e speranza

Si osservi come la riconciliazione parta da Dio-Padre e ritorni al Padre, come Paolo si senta ambasciatore nella persona di Cristo e così del Padre consolatore. Non si dimentichi che Dio è presentato nell’esordio dell’epistola come: «Padre del Signore nostro Gesù Cristo, il padre delle tenerezze e Dio di ogni consolazione» (2Cor 1, 3).

Il clima della predicazione è dunque evidente: la riconciliazione avvenuta sul Calvario con il Padre: un clima di consolazione e di speranza.

In relazione alla persona dell’ambasciatore la parola di Dio sembra avere una maggiore profondità: il missionario è ambasciatore del Padre, come era Gesù che è il Figlio che lui ama e che invia (cfr. Mc 1, 11) per essere ascoltato dagli uomini (cfr. Mc 9, 1), e, come portavoce della volontà del Padre che lo vuole riconciliato a sé, il missionario esorta i suoi ascoltatori. Secondo S. Paolo tutti i cristiani, ma in primo luogo i predicatori sono Cristo in persona, per questo può affermare:

«ora io godo nei miei patimenti per voi e supplisco alle mancanze delle afflizioni di Cristo nella mia carne per il corpo di lui che è la Chiesa» (Col 1, 24).

Affiora qui il pensiero biblico che afferma l’identificazione tra Cristo e il suo Apostolo, per cui le sofferenze apostoliche sono sofferenze di Cristo. I due testi biblici, infatti, sembrano indicare una unica verità; quella dell’identificazione tra Cristo e il suo predicatore, e ci orientano a capire che per Paolo la persona del missionario è sacra come quella di Cristo; come Lui, l’apostolo è il Verbo di Dio. Paolo ne è così convinto da affermare che mediante la grazia del Signore risorto «abita in me il dinamismo di Cristo» (2Cor 12, 9).

Il missionario è l’annunciatore della volontà del Padre (cfr. RV 20)

II dinamismo è proprio la potenza di Dio Padre nell’azione salvifica sul mondo; passato a Cristo nella risurrezione, qui sembra incarnato nell’umanità dell’apostolo. Quando, pertanto, si definisce il missionario ambasciatore di Cristo, si vuol dire che, come il Verbo, egli è l’annunciatore della volontà del Padre perché continua nell’ufficio di ambasciatore del Padre, al posto di Cristo, ormai risorto e perciò reso invisibile agli occhi degli uomini. In altre parole: il missionario è un consacrato.

La consacrazione comporta l’intervento di Dio in una persona, che viene così “separata” per essere inviata in missione divina tra gli uomini suoi fratelli4.

Allo stesso modo che tutto l’essere di Gesù è stato sempre quello del Figlio di Dio, consacrato dal Padre, così anche tutto il suo essere è stato identificato con la sua missione tra gli uomini.

L’Incarnazione del Verbo

Gesù non è venuto a portarci un messaggio o a realizzare qualcosa in mezzo a noi. È venuto perché Lui è missione del Padre. E questa missione è effusione dello Spirito (Atti 2, 33). Gesù è il Figlio di Dio; come il Padre, possiede lo stesso Spirito di Vita e di Santità (Gv 16, 12-15).

Incarnandosi nel seno di Maria Vergine, lo Spirito comincia ad animare dal di dentro l’umanità di Cristo, che diventa strumento del Dono di Dio agli uomini.

Nei giorni della sua vita mortale, Gesù non potrà ancora comunicare questo Dono in tutta la sua pienezza. Ma una volta glorificato per la morte-risurrezione, riceverà dal Padre lo Spirito Santo e lo effonderà con pienezza sui suoi discepoli.

È stato proprio questo che ha proclamato euforicamente Pietro nel giorno di Pentecoste. Anche per gli Apostoli si è verificata la stessa identità che in Gesù tra missione e persona: dal giorno di Pentecoste la vita di ogni Apostolo è la sua missione, e la sua missione è la sua vita: configurati a Cristo per l’effusione dello Spirito Santo, effondono lo stesso Spirito che configura l’uomo a Cristo per la gloria del Padre.

1.3. La vocazione missionaria è dono del Padre (cfr. RV 20)

La vocazione missionaria è un dono assolutamente gratuito, fatto prima di tutto allo stesso individuo che la riceve (cfr. Mc 3, 13; Mt19, 10-12.21; Gv 15, 16; AG 23; RV 20)5. È puro dono, che si esprime come vita evangelica al seguito di Cristo, cioè vuole essere ciò che è stata la vita di Cristo: una vita unicamente data a Dio e agli uomini.

Gesù ha espresso il mistero di tutta la sua vita come dono totale all’amore e servizio di Dio e degli uomini (cfr. Mc10, 45; Mt 20, 28). Nella notte dell’ultima cena prima di mostrare il suo amore estremo, fino all’estremo impossibile della scelta, assolutamente libera, della morte di croce (Gv 13, 1; Fil 2, 8), Gesù ha definito il mistero della sua persona come essere-per (Mt 26, 28; Mc l4,24.; Lc 22, 19 s.; 1Cor 11, 24).

La sequela di Cristo che il missionario professa pubblicamente con la professione significa, pertanto, avere come obiettivo della propria vita quello di configurarla secondo l’esempio di Cristo: vivere una vita di abbandono totale all’amore del Padre, di sottomissione senza riserva al Padre, di amore e di servizio ugualmente senza limiti agli uomini ai quali è inviato. E ciò in tutti i momenti della vita, nei momenti di pienezza e nei momenti di vuoto, nelle ore luminose e nelle ore di grigia monotonia. Un amore così radicale e totale a Dio e agli uomini fino alla morte è possibile soltanto per la forza della grazia di Dio, che ci è data per l’effusione nei nostri cuori dello Spirito Santo.

L’accettazione della vocazione per vivere la vita evangelica in fraternità, per lasciare tutto e darsi totalmente al servizio di Gesù Cristo amato sopra ogni cosa fino alla identificazione con Lui, per “stare con Lui” e “per essere inviato” (Mc 3, 13-15) è possibile soltanto per chi crede che Gesù Cristo è l’incarnazione della grazia di Dio nel mondo (Gv 3, l6; Tito 3, 4-7), è il sacramento dell’amore misericordioso e salvifico di Dio per gli uomini, il cuore del mondo, lo “Spirito Vivificante” (1Cor 15).

Consacrazione e missione

Anche questa fede è puro dono e pura grazia. Nella vocazione missionaria, pertanto, prima di tutto Dio offre al missionario un’assoluta comunicazione di se stesso per il Figlio nello Spirito Santo, come grazia. Questa comunicazione è per sua natura interpersonale; è un dono gratuito che coinvolge e penetra la persona nella sua totalità, segna cioè il cuore del missionario in modo tale che egli, mosso da un continuo «ardore di santità» (RMi 90), conosce e sperimenta l’amore del Padre nella sua vita. La sua coscienza, segnata da quest’incontro forte e fondante con Dio, lo rende responsabile e creatore di un mondo nuovo, testimoniando e proclamando quest’amore del Padre (cfr. RV 46; 58; 81-82).

Consacrazione e missione si compenetrano in una relazione di reciprocità, così che l’opera d’evangelizzazione non può che scaturire dalla testimonianza viva dello Spirito Santo, che abita nei nostri cuori e che si lascia captare in una vita di fede feconda (Rm 8, 15-l6).

Il missionario non può mai dimenticare che lo Spirito Santo ha preso possesso di lui il giorno del Battesimo, della Cresima, nell’Ordinazione (se è Sacerdote) e nella Professione Religiosa; che il Padre e il Figlio, spirazione attiva dello Spirito Santo, spirano e riempiono del loro amore anche lui, in modo particolare, proprio perché deve dare agli uomini il dono del Padre, il Divino Paraclito (cfr. RV 56; 56.1-2).

1.4. Esigenza di conversione.

A/ II missionario è essenzialmente di Dio e per Iddio

Per vivere la vita apostolica con la radicalità che questa gli chiede, il missionario è chiamato a vivere in un continuo «ardore di santità» (RMi 90) e in una continua tensione verso la conversione, come corrispondenza al dono ricevuto. Quanto più il missionario è cosciente del dono ricevuto, tanto più intensamente avverte l’esigenza d’impegnarsi a corrispondere alla chiamata divina nelle scelte concrete della vita attraverso un cammino di continua conversione (cfr. RV 20; 82; 82.1; 85). L’essenza dell’uomo, e a titolo speciale del missionario, è essere-da-e-di-Dio ed essere-per-Iddio. Egli può realizzare la sua comunione con Dio e condurre i fratelli a questa stessa comunione, perché Dio l’ha amato per primo (1Gv 1, 3). Soltanto quando l’uomo corrisponde a quest’amore può diventare strumento di conversione per gli altri.

B/ Partecipazione al Verbo Crocifisso

Quanto più il missionario è cosciente del dono ricevuto, tanto più sperimenta e sente che deve vivere la verità liberatrice espressa dallo stesso Paolo:

«Noi portiamo in noi stessi questo tesoro come in vasi di creta, perché sia chiaro che questa straordinaria potenza viene da Dio e non da noi» (2Cor 4, 7).

Quando affermiamo “il missionario è Cristo in persona”, fermando la nostra attenzione sul termine Verbo o Cristo, potremmo correre il rischio di cadere in un certo entusiasmo trionfalistico; quando però fermiamo la nostra attenzione sull’altro termine della proposizione: “il missionario = l’uomo è Cristo in persona”, allora tutti gli entusiasmi cadono e la divinizzazione dell’inviato sembra svanire. Tuttavia non è lecito cadere nel pessimismo. È lo stesso Paolo a venirci in aiuto. Egli, infatti, sa che il dinamismo di Cristo abita nella sua debolezza, che è il mondo della carne, della miseria, del peccato. Ciò significa che il dinamismo di Cristo diventa realtà operante nella vita dell’apostolo in quanto accetta di entrare in un processo di conversione permanente. Sta appunto qui la partecipazione dell’apostolo al mistero pasquale, è in questo cammino di conversione permanente che la sua vita è una reale partecipazione del Verbo Crocifisso. Commentando 2Cor 12,9 s., Lyonnet, scrive:

«Questa legge generale dell’apostolato tuttavia non si verifica soltanto in un episodio particolare della vita di Paolo; essa ha guidato tutta la “Storia della salvezza”, e tutti i grandi servi di Dio ne hanno avuto esperienza, tutti coloro di cui Dio s’è degnato di “servirsi” per attuare il suo disegno salvifico».

San D. Comboni è uno di questi grandi servi di Dio, che accettò e visse fino in fondo il mistero evangelico della vita che nasce dalla morte (cfr. RV 3-4; 35.3).

C/ Il missionario, un uomo debole

Per farsi un’idea chiara e realistica della vita apostolica è necessario non dimenticare una verità fondamentale che investe ogni apostolo: «Anche lui è un uomo debole» (Ebrei 5, 2). Questa verità vissuta servirà al missionario per non diventare predicatore della propria parola, invece di impegnarsi e lasciarsi coinvolgere dalla Parola di Dio.

Normalmente si è portati a pensare che il ruolo del missionario è di impegnarsi per la conversione degli altri. Lo stesso missionario è convinto di ciò, si sente investito da Dio per questa missione e trova qui la ragion d’essere della sua vita. Ed è vero. Ma non è tutta la verità. Le considerazioni che siamo venuti facendo, ci devono aiutare a scoprire la vera natura e il significato della nostra missione in tutte le sue componenti. Ci devono aiutare ad assumere un atteggiamento di vera umiltà. Umiltà che nasce dalla constatazione di trovarci tanto diversi dal Verbo Crocifisso e che tanti nostri fratelli vivono più profondamente della scienza di Cristo e dell’amore del Padre di noi stessi, ambasciatori della Parola consolatrice di Dio.

La grande speranza della nostra vita missionaria non sta nelle tecniche moderne dell’apostolato o nelle tecniche di fraternità. La vita missionaria avrà un avvenire fecondo, se sapremo unire alle tecniche e al sapere umano ciò che è più radicale: la nostra conversione e la convinzione profonda della gratuità della presenza del Signore nella nostra esistenza (cfr. RV 20). Nella nostra vita missionaria è dello Spirito Santo che abbiamo bisogno.

In realtà, è lo Spirito Santo colui che ha cominciato a tessere la storia del Vangelo, attraverso i secoli. I numerosi missionari, fin dal nascere della Chiesa, mai sarebbero partiti, lasciando le loro famiglie, la loro patria se non avessero avuto la certezza che lo Spirito Santo, da cui erano nati alla vita nuova in Cristo, li accompagnava sempre, fortificandoli fino a sfidare la stessa morte. Il cuore dei non cristiani non è l’unico luogo dove opera lo Spirito Santo: Egli opera anche negli evangelizzatori, nel tessuto della loro vita quotidiana (cfr. RV 56; 56.2; 82.1).

Tutti noi missionari abbiamo bisogno di costante conversione, di ritornare continuamente al Signore. Lo Spirito Santo sarà il grande ed unico missionario capace di trasformarci in veri testimoni di Cristo (cfr. RMi 87; RV 58). Se in Gesù essere e missione s’identificano, nella Chiesa, nel missionario, in quanto pellegrino (cfr. RV 16), l’identificazione tra essere e missione è un progetto in via di realizzazione. Il cammino è la conversione. Per tanto, la prima attività del missionario è convertire se stesso: una conversione che lo porti ad una comunione intima con Gesù come “inviato” ad evangelizzare (RMi 88); una conversione che lo impegni nella via della santità, che è « un presupposto fondamentale e una condizione del tutto insostituibile perché si compia la missione di salvezza della Chiesa» (RMi 90).

P. Carmelo Casile
Casavatore, febbraio 2019

1 Per questa sezione ho attinto da: B. Rinaldi, “Le quattro dimensioni del mistero pasquale“, ed. Ancora 1968

2 B. Rinaldi, o. c. pp. 116-118

3 Cfr. Consacrati a Dio per la Missione nello spirito di Comboni, pp. 123-129

4 cfr. La vita secondo lo Spirito, EDB (1975), pp. 33-36

5 “Evangelizzare” è annunziare, comunicare, testimoniare una persona: il Cristo, dopo averlo ascoltato, accolto ed essersi lasciati da lui possedere; dopo aver beneficiato della sua rivelazione (cfr. Gal 1,15 ss.) e dopo aver attuato una intima comunione di vita con lui (cfr. Mc 3,13 s.). L’evangelizzazione in sostanza, è il ministero della parola, inteso come un possedere e donare il Cristo Gesù, parola di Dio, ultima e definitiva…. (cfr. Ramazzotti: Evangelizzazione e promozione umana nella luce della Bibbia, Verona (1977), pp. 11; 12).