Vi invito a leggere questo articolo del noto teologo Victor Codina, che ci aiuta a fare il punto sulla situazione della vita religiosa e ci prospetta possibili sviluppi per il futuro. Trovate qui alcuni estratti.
Vedi articolo:
La vita religiosa: dal caos al “kairos”?

Victor Codina
Rivista La Civiltà Cattolica
Quaderno 4118pag. 167 – 179Anno 2022Volume I
15 Gennaio 2022

Una crisi inedita nella storia occidentale

Gli storici della vita religiosa sanno bene che nel corso della storia della Chiesa alcuni istituti religiosi, sia maschili sia femminili, dopo anni di vita feconda, sono scomparsi. Constatano, inoltre, che ogni nuovo ciclo di vita religiosa – il passaggio dal monachesimo ai mendicanti, quello dai mendicanti alle congregazioni apostoliche moderne ecc. – ha messo in crisi, in qualche modo, quello precedente, che ha avuto bisogno di tempo per riprendersi e adattarsi. È una realtà positiva: la vita religiosa occidentale ha tratto arricchimento dall’esperienza del deserto, della periferia e della frontiera.

Oggi, tuttavia, nel mondo occidentale sta accadendo qualcosa di diverso e di nuovo, che colpisce tutti gli istituti religiosi: carenza di vocazioni, piramidi demografiche invertite, con molti anziani nel vertice e pochi giovani alla base, nonché molte uscite dalla vita religiosa. Ma la domanda è: perché quelle persone abbandonano?

Questa situazione generalizzata causa incertezza sul futuro della vita religiosa e, in molti casi, ingenera un clima di paura, di panico: la vita religiosa sparirà dalle Chiese dell’Occidente cristiano? Fra un certo numero di anni si verificherà lo stesso fenomeno in quelle dell’Asia e dell’Africa? Ci si deve incamminare verso nuove comunità di religiosi? I nuovi movimenti laicali sostituiranno la vita religiosa tradizionale?

Se volessimo sintetizzare questa congiuntura in una parola, forse dovremmo parlare di «situazione caotica», ovvero di un mix di confusione e disordine. Ne derivano conseguenze di ogni tipo: non soltanto pastorali e spirituali, ma istituzionali, economiche, sociali e così via. Che fare allora delle proprie opere educative, pastorali, sanitarie e sociali, quando mancano il personale religioso e le risorse economiche per mantenerle? Come far fronte ai costi notevoli delle infermerie per i religiosi? Come formare la gioventù religiosa in questo clima di insicurezza? Quale futuro attende i giovani che entrano in comunità religiose assai invecchiate? È possibile continuare a sognare?

Rispetto al quadro che abbiamo tratteggiato, all’interno della vita religiosa coesistono posizioni divergenti. Per alcuni, si tratta di un fenomeno passeggero, di una crisi temporanea, che presto si risolverà. E si portano gli esempi di alcune comunità religiose che di recente hanno visto aumentare le loro vocazioni. Altri, invece, adottano un atteggiamento apocalittico: non c’è più niente da fare, non c’è futuro, non possiamo continuare a sognare.

Dobbiamo allora approfondire la situazione attuale, per cogliere eventuali alternative, né ingenue né catastrofiste.

Spiegazioni insufficienti

Spesso si cerca di spiegare questo fenomeno in chiave personale e soggettiva: le generazioni più mature della vita religiosa non hanno dato un’adeguata testimonianza evangelica e, d’altra parte, alla gioventù odierna interessa soltanto godersi la vita e divertirsi.

Non c’è dubbio che noi, religiosi maturi, non siamo sempre stati segni evangelici trasparenti. Ma non si può affermare che la vita religiosa attuale costituisca in sé una decadenza rispetto a quella del passato, quando c’erano molte vocazioni. Non si tratta di un problema soltanto personale: in epoche precedenti, nella vita religiosa c’erano molte persone sante, ma ce ne sono anche adesso. Il problema non è numerico, ma più complesso, più formale che materiale, più istituzionale che individuale, più di processi nel tempo che di spazi (cfr Evangelii gaudium [EG], nn. 225-230), più di struttura che di specifiche azioni concrete.

Al tempo stesso, è vero che tra i giovani si contano alcuni più interessati alla dimensione economica e materiale, meno sensibili ai valori spirituali. Ma ce ne sono altri generosi, disposti a sacrificarsi per grandi cause sociali, ecologiche, sanitarie, per la migrazione, i diritti umani, la giustizia e via dicendo, tanto da dedicarsi a esperienze di volontariato lunghe e molto impegnative. E molti di loro si aprono alla dimensione della trascendenza, al silenzio e alla preghiera. Nemmeno in questo caso possiamo dare giudizi di valore sulla qualità morale della gioventù odierna rispetto a quella del passato. Sono tempi diversi.

Ma è chiaro, comunque, che la gioventù di oggi non vuole impegnarsi in comunità strettamente vincolate a un passato che non ha più futuro. L’attuale crisi della vita religiosa in Occidente è un dato così diffuso dappertutto che non lo si può spiegare con le situazioni personali. Poiché la crisi tocca simultaneamente tutti gli istituti, deve esserci una causa oggettiva, storica, generale, strutturale. Non si tratta di un dato puramente quantitativo o numerico, bensì essenziale e vitale. Non è questione di particolari, ma una situazione formale, una sorta di Gestalt.

Quali porte, oggi, schiude lo Spirito alla vita religiosa?

Prima di parlare di quali porte si aprano alla vita religiosa, segnaliamo che oggi molte istituzioni religiose si stanno preoccupando più di riaprire le porte che si chiudono, che non di cercare le nuove porte che si aprono. E in molti casi le giovani vocazioni vengono destinate a spendere tante energie nel riaprire o nel tenere aperti dei battenti che ormai si stanno chiudendo, invece di esercitare la loro immaginazione e la loro creatività nel cercare di aprire nuove porte. Può esserci di esempio il testo del Primo libro dei Re in cui Elia comanda al suo giovane servo di salire per sette volte sul monte per vedere se dal mare appaia una nuvoletta annunciatrice di pioggia; nel frattempo lui, gettatosi a terra, rimane in preghiera (cfr 1 Re 18,41-46). Le vocazioni giovani devono scrutare l’orizzonte delle nuove possibilità, mentre gli altri pregano in silenzio.

Questo compito di osservare i segni dei tempi e l’orizzonte ora è favorito dall’impegno di Francesco per una riforma della Chiesa. Il Papa sogna una Chiesa dalle porte aperte, accogliente, un ospedale da campo, una Chiesa in uscita, per portare a tutti la fede e per avviarsi verso le periferie esistenziali e geografiche dove la gente vive e soffre. Una Chiesa che odori di pecora, che non sia doganiera ma misericordiosa, e che non sia autoreferenziale ma una piramide invertita, poliedrica, sinodale. Una Chiesa in cui i poveri e la loro pietà siano un luogo teologico privilegiato (cfr EG 197-201). Sono altrettante vie per una nuova vita religiosa, aperta al futuro, al kairos, e frutto dello Spirito. Cerchiamo ora di considerare in concreto alcuni aspetti in cui può tradursi la sua conversione.

Tornare alla piccolezza e alla minorità delle origini

Alle origini di ogni nuova comunità religiosa, al momento della sua fondazione, ci sono pochi membri poveri, deboli, sconosciuti, che si autodefiniscono piccoli: fratelli minori, minimi, minima compagnia, piccoli fratelli e sorelle ecc. Con gli anni, questa piccolezza spesso si è trasformata in grandezza e in ostentazione. Abbiamo scelto l’opzione per i poveri, ma non siamo stati più poveri. Oggi le circostanze ci riportano alla minorità delle origini: siamo pochi, deboli e poveri, non abbiamo un futuro assicurato, come non l’hanno neppure i poveri. Non possiamo offrire alle giovani vocazioni sicurezza e complete garanzie: possiamo invece promettere loro una grande avventura evangelica, aperta al futuro e al soffio dello Spirito.

Ci tocca vivere la piccolezza del granello di senape e del lievito (cfr Mt 13,31-33), seguire un Gesù che non ha dove posare il capo (cfr Lc 9,58). La vita religiosa non è un privilegio, ma è un’avventura emozionante, un rischio evangelico, aperto alla novità dello Spirito Santo. Il nostro aiuto ci viene dal Signore e dalla presenza vivificante del suo Spirito.

Entrare nel dinamismo sinodale

Consideriamo ora un aspetto complementare al precedente. «Sinodo» significa etimologicamente «camminare insieme», e questa è, secondo Giovanni Crisostomo, la definizione della Chiesa (cfr PG 55, 493). Sinodalità è entrare in questo camminare insieme con tutto il popolo di Dio che, nato dal battesimo e con l’unzione dello Spirito, possiede un senso della fede tale da renderlo infallibile nel credere (cfr LG 12). La sinodalità è il cammino che Dio attende dalla Chiesa nel terzo millennio, come ha affermato papa Francesco nel discorso del 17 ottobre 2015, in occasione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi.

Anche la vita religiosa deve entrare nella prospettiva di un cammino di sinodalità. Ciò implica che ci gettiamo alle spalle privilegi e aristocrazie economiche, culturali e spirituali, per inserirci nel santo popolo di Dio che ha ricevuto lo Spirito. Non si tratta di rinunciare alla nostra identità carismatica, ma di condividerla con altri, senza chiesuole e senza settarismi, senza elitarismi. In qualche modo la sinodalità implica un protagonismo dei laici, che costituiscono la maggioranza del popolo di Dio.

Recuperare la dimensione mistica della vita religiosa

Un noto testo di Benedetto XVI afferma che «all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Deus caritas est, n. 1).

Se ogni vita cristiana nasce dall’incontro con la persona di Gesù, la vita religiosa, che ha un’origine profetica, non può sorgere e prosperare senza una dimensione profondamente spirituale e mistica, con l’unzione dello Spirito. Ciò significa che essa, spesso sovraccarica di lavoro, deve favorire ampi spazi personali e comunitari di preghiera e di silenzio, la lectio divina, la liturgia ecc., affinché la vita e la società, in un mondo lontano da Dio, s’impregnino sempre più di valori e atteggiamenti evangelici. Ma è altrettanto necessario porsi accanto ai crocifissi della storia, incontrare Dio nei poveri, per evitare che la nostra preghiera sia una fuga dal mondo alienante. La mistica è parte essenziale della vita religiosa: questa non è possibile, se non ci si appassiona in prima persona per il Signore Gesù e per il Vangelo. L’attuale trasformazione a cui essa è chiamata non sarà attuabile senza una conversione alla mistica.

Conclusione

Si può passare dal caos al kairos? Questo passaggio è possibile, ma non è un salto istantaneo o magico. È invece un passaggio pasquale: implica che si passi, personalmente e comunitariamente, dalla morte alla risurrezione; richiede di non aggrapparsi a un passato caduco e di aprirsi all’azione innovativa, traboccante e vivificante dello Spirito di Gesù, che agisce dal basso in momenti di crisi e di morte, chiude alcune porte, ma ne apre altre. Uno Spirito che non è mai in sciopero, né nella Chiesa né nella storia dell’umanità.

La vita religiosa attuale assomiglia all’esperienza del salmista del de profundis (cfr Sal 130): un salmo che inizia nell’oscurità della notte, gridando con angoscia al Signore, e termina aperto alla speranza, quella della sentinella che attende l’aurora.