La vita missionaria di San D. Comboni è legata al mistero dell’Epifania e alla figura dei Magi. Il mistero della Nascita/Epifania del Signore ha segnato definitivamente Comboni nel pellegrinaggio in Terra Santa. Il pellegrinaggio, infatti, è un itinerario del cristiano verso le proprie radici spirituali per poter continuare con fortezza, saggezza e speranza il cammino dell’esistenza quotidiana.

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IL MISTERO DELL’EPIFANIA
nell’itinerario missionario di San Daniele Comboni

P. Carmelo Casile

A. Epifania: buona notizia per tutti gli uomini…

Ricerca avventurosa, speranza compiuta nell’incontro gioioso con il Signore Gesù, condivisione con tutti della nostra esperienza di salvezza in Lui.

Il mistero del Natale si estende fino alla festa dell’Epifania, della manifestazione del Signore. Dio che si manifesta in Gesù, che si manifesta in un bambino, nel nostro linguaggio. Questa è l’Epifania, la festa del dono infinito di Dio alla mia esistenza. Sembra un sogno vedere Dio in un bambino piccolo e tenero, comprensibile, visibile e palpabile. Dio sa fare i doni. Ci parla nella nostra lingua… Così Dio si manifesta e ci salva.

Dei Magi conosciamo l’essenziale: una stella cambiò la direzione delle loro vite. Un cammino, un deserto da attraversare, difficoltà e luci che li portano fino a Betlemme. L’incontro con Gesù trasformò la loro esistenza e ripartirono da Betlemme prendendo nuovi cammini, quelli di Dio. Di ritorno alla loro patria, sono stati essi stessi epifania, manifestazione del Signore per i loro concittadini.

Nei Magi che arrivano dall’Oriente per cercare il Bambino Divino, il popolo ha riconosciuto se stesso e ha sviluppato la loro storia traducendola in innumerevoli leggende. I Magi vengono dall’Oriente, da dove nasce il sole. Contemplano la notte, studiano le stelle. Sono gli uomini che scrutano il proprio mondo interiore, gli aneliti e aspirazioni dei loro cuori. Lì, nel firmamento del loro cuore, brilla una stella che annuncia loro la nascita di un Bambino Divino. E si mettono in cammino, seguono la stella. Non spengono i loro presentimenti con numerosi argomenti ragionevoli, come Erode, che si dirige immediatamente ai maestri della Legge, alla ragione, per non lasciarsi sfuggire il controllo della vicenda e così poter dominare. Sente paura di fronte alla notizia di un Bambino Divino. Un bambino gli mette paura. Perché? Un bambino vive spontaneamente, non si lascia comandare, dominare né classificare, ed Erode deve dominare tutto per reprimere la paura dalla quale lui steso è tirannizzato; la paura precisamente di non poter disporre di sé e del mondo intero, ma di dipender da un altro più grande. Erode ha bisogno di far piccolo l’altro per poter credere nella propria grandezza. Tanto i Magi come Erode ci mostrano come dobbiamo reagire di fronte ai desideri del nostro cuore: la festa dell’Epifania ci vuol invitare a metterci in cammino come i Magi e a seguire la stella che ci conduce fino al Dio Bambino.

Il Bambino non nascerà nella grande città, dove facciamo i nostri affari, dove raggiungiamo i nostri successi e dove siamo conosciuti, ma a Betlemme, nella provincia, negli angoli più insignificanti e trascurati della nostra anima. Lì trovano i Magi la casa con Maria ed il Bambino, dove veramente possono sentirsi in casa, perché lì dimora, si trova, il mistero. E cadono in ginocchio davanti al Bambino e lo adorano.

Gli artisti hanno dipinto nei loro quadri come gli anziani Magi tendono verso il Bambino delle mani delicate e tenere, come brillano i loro occhi, come il loro volto risplende allo steso modo di quello di un bambino. E offrono i loro doni: l’oro come segno dei loro beni. Ormai non hanno più bisogno delle loro ricchezze: a loro basta il Bambino. Lui li arricchisce più che tutto l’oro. L’incenso è simbolo dell’ardente desiderio del loro cuore di camminare verso Dio: desiderio che finalmente è appagato, perché sono arrivati alla loro vera dimora. La patria si trova là dove abita il mistero. L’incenso onora il mistero, Dio. Così ce lo spiegano i Santi Padri: Come l’incenso sale fino al cielo, così il nostro cuore desidera con ardore il mistero, che si trasforma in nostra patria. La casa dove abitano Maria ed il Bambino è la dimora dove c’è permesso di vivere. E i Magi portano mirra, un’erba medicinale che, secondo la leggenda, proviene dal paradiso. Davanti al Bambino si dimenticano di se stessi e si abbandonano all’adorazione, non sentono più le loro ferite e presentono qualcosa dell’autentico inizio del paradiso.

Sviluppando la simbologia dei doni, viene ancora messo in evidenza che i Magi portano alla presenza del Dio invisibile l’oro del loro amore, l’incenso del loro desiderio e la mirra dei loro dolori; e così come arrivarono spariscono dall’orizzonte della storia sacra. Ma colui che è arrivato a versare sull’altare della stella fino all’ultima goccia del suo cuore, costui ha già superato l’avventura della sua vita, egli è arrivato al suo traguardo finale, anche se il cammino continua.

Il centro della celebrazione è Gesù. Riferiti a Lui, nella Liturgia dell’Epifania i doni acquistano un significato cristologico: l’oro proclama la regalità di Cristo, l’incenso la sua divinità, e la mirra la sua passione e morte.

È un’Epifania, cioè una manifestazione, che è riconosciuta non tanto dai membri del popolo dell’Alleanza, ma da uomini che cercano con cuore sincero come i Magi. In loro si riassumono tutti coloro che non si accontentano del loro piccolo orizzonte e delle soluzioni modeste ma si mettono in cammino per andare oltre, rischiando, sperando, interrogandosi. Gli ostacoli non li bloccano, le oscurità temporanee non li impauriscono, le risposte reticenti non li scoraggiano, e alla fine “provano una grande gioia e vedono il bambino con Maria sua madre”. La meta è raggiunta, lo scopo della vita è trovato, la ricerca è premiata. I Magi trovano in quest’incontro “il nodo divino” che mette insieme i frammenti dispersi della vita. Ed allora tutto acquista sapore, tutto dà serenità, tutto è affrontato con coraggio, anche la persecuzione, anche il “ritorno al proprio paese”, cioè all’esistenza continua e quotidiana.

La professione del Vangelo che facciamo come battezzati e ratifichiamo con la consacrazione missionaria comboniana (cfr. PC 2a), ci mette sulla scia dei Magi. La nostra storia è simile alla loro. Tra luci e ombre, tra deserti e sfide, tra dubbi e domande, uscendo in continuazione dalla nostra terra pagana, dietro la stella che brilla nel cielo. Ci chiama e ci seduce perché cerchiamo il volto del Signore. Alla fine sempre arriviamo a Betlemme, dove ci incontriamo con Gesù nelle braccia di Maria. La nostra vita è cercare il volto del Signore, e la storia del Signore è manifestarci il suo volto. Due vite che si cercano e s’incontrano. La mia, povera, semplice e segnata da luci e ombre. Sono la mia ricchezza. La sua, luminosa, piena e trasparente. È la sua ricchezza. In Gesù la mia vita s’illumina, si pienifica e si trasforma. Dopo ogni Epifania ritorno alla mia vita. Quella d’ogni giorno e nella mia terra. Ma per altri cammini. Quelli di Dio. E continuo io, quasi senza saperlo né notarlo, ad essere epifania, manifestazione del Signore. È questa la professione del Vangelo che, ratificata e sottolineata con la consacrazione mediante la professione dei consigli evangelici, mi trasforma in suo annunciatore.

B. Epifania: Mistero di luce, che illumina l’itinerario missionario di Comboni

La vita missionaria di San D. Comboni è legata al mistero dell’Epifania e alla figura dei Magi:

– L’inizio della vita cristiana di Daniele Comboni, come lui stesso ricordava, è legato ai gesti e alla pietà di una donna semplice, quando “piccino imparava sulle ginocchia della mia madre a fare il segno della croce” (Cf S 342). Quest’inizio si sviluppò anzitutto con le raffigurazioni che arricchiscono ancor oggi la sua chiesa parrocchiale di Limone. Certamente hanno avuto un particolare influsso nel suo cuore di fanciullo il bel Crocifisso in legno di bosso custodito su un altare laterale, e un magnifico dipinto collocato ben in vista in un lato dell’altare maggiore, che rappresenta precisamente l’Adorazione dei Magi.

– Il 6 gennaio 1849, Daniele Comboni, giovane liceale, all’età di 17 anni, con un gesto che consistette in un giuramento fatto alla presenza del suo superiore don Mazza, consacrava la sua persona e la sua vita all’evangelizzazione dell’Africa (S 4083; 4797).

È un fatto che Comboni contava gli anni della sua vita a partire da quell’atto di donazione.

Tale donazione, formulata davanti al superiore, ha un carattere di giuramento, con il quale Daniele s’impegnava con il suo Istituto a consacrarsi all’attività missionaria. E siccome non s’impegnò genericamente all’evangelizzazione di non-cristiani, bensì all’apostolato dell’Africa Centrale, egli contrasse un vincolo religioso anche con l’Africa nera.

Era un gesto religioso di donazione, una sorta di professione religiosa dentro la vita del proprio Istituto, che possiamo comprendere richiamando alla mente il concetto di voto di religione (= votum religionis), che sta all’origine della professione religiosa.

In fatti, il voto di religione nella tradizione più antica esprimeva anzitutto non un vincolo giuridico ma l’aspirazione di vivere una vita incentrata in Dio e dedicata al suo servizio nella Chiesa, che si manifestava assumendo un genere particolare di vita.

Nel caso di Daniele Comboni, il voto di religione assunse la forma di Voto di Missione orientato all’Africa: Comboni faceva così di Dio l’Assoluto della sua vita donandogli tutto se stesso per l’evangelizzazione dell’Africa. E questo avveniva nella festa dell’Epifania (Cfr. Vostro per sempre, pp. 76-77).

– Al fondare l’Istituto delle Missioni per la Nigrizia, scelse come protettori anche “i Santi Re Magi” (Cf. Regole 1871, Cap. I; S 2649).

– Nelle sue varie presenze a Roma, Comboni si recò moltissime volte al palazzo di Propaganda Fide(ora Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli), per raccomandare vivamente la causa della Nigrizia ai responsabili di quel dicastero.

All’interno del palazzo c’è una Cappella a carattere missionario dedicata ai Re Magi: all’altare, infatti, è collocata l’Adorazione dei Magi, e più in alto, La missione degli Apostoli; tra le immagini distribuite lungo le pareti dell’edificio, La vocazione degli Apostoli Pietro e Andrea, S. Francesco Saverio.

Questa Cappella, ha fatto da splendida cornice e d’auspicio alla consacrazione episcopale di Mons. Daniele Comboni, che ebbe luogo il 12 agosto 1877.

Il mistero della Nascita/Epifania del Signore ha segnato definitivamente Comboni nel pellegrinaggio in Terra Santa. Il pellegrinaggio, infatti, è un itinerario del cristiano verso le proprie radici spirituali per poter continuare con fortezza, saggezza e speranza il cammino dell’esistenza quotidiana.

“Il pellegrinaggio riporta alla condizione dell’uomo che ama descrivere la propria esistenza come un cammino. Dalla nascita alla morte, la condizione di ognuno è quella peculiare dell’homo viator. La Sacra Scrittura, da parte sua, attesta a più riprese il valore del mettersi in cammino per raggiungere i luoghi sacri: sottomettendosi volontariamente alla Legge, anche Gesù con Maria e Giuseppe si fece pellegrino alla città santa di Gerusalemme (cf Lc 2,41). Il pellegrinaggio è sempre stato un momento significativo nella vita dei credenti… Esso evoca il cammino personale del credente sulle orme del Redentore: è esercizio di ascesi operosa, di pentimento per le umane debolezze, di costante vigilanza sulla propria fragilità, di preparazione interiore alla riforma del cuore… [cfr. Incarnationis Misterium, 7].

Il pellegrinaggio in Terra santa marcò la vita missionaria di san Daniele Comboni e divenne l’Icona del suo camminare missionario.

In effetti, “Comboni che “visita” la Terra Santa si manifesta chiaramente “visitato” dai misteri della vita di Cristo celebratisi in quei luoghi”. Ne sono un segno le lettere scritte ai genitori sul viaggio a Gerusalemme e la “Lettera Pastorale per la Consacrazione del Vicariato al S. Cuore”, nella quale presenta il Cuore di Cristo nel suo cammino di amore per l’umanità dalla “sacra culla di Betlemme” al sepolcro del Crocifisso-Risorto in Gerusalemme:

Questo Cuore adorabile divinizzato per l’ipostatica unione del Verbo con l’umana natura in Gesù Cristo Salvatore nostro, scevro mai sempre di colpa e ricco d’ogni grazia, non vi fu istante dalla sua formazione, in cui non palpitasse del più puro e misericordioso amore per gli uomini. Dalla sacra culla di Betlemme s’affretta ad annunziare per la prima volta al mondo la pace: fanciulletto in Egitto, solitario in Nazaret evangelizzatore in Palestina divide coi poveri la sua sorte, invita a sé i pargoli e gl’infelici conforta, risana gl’infermi e rende agli estinti la vita; richiama i traviati e ai pentiti perdona; morente sulla croce mansuetissimo prega pei suoi stessi crocifissori; risorto glorioso manda gli Apostoli a predicare la salute al mondo intero” (S 3323).

In questo testo Comboni descrive il Mistero globale del Cuore di Cristo, costituito dall’Incarnazione-Esistenza-Pasqua del Signore. In questa descrizione possiamo cogliere una chiara carica affettiva che fluiva nello spirito di Comboni dalla sua contemplazione dei Misteri della vita di Gesù, che certamente ha avuto un momento di particolare intensità nel suo pellegrinaggio in Terra Santa e poi ha influito nel resto della sua vita. Quando Comboni condivide la sua esperienza di pellegrino nella Terra di Gesù, appare particolarmente coinvolto nell’evento del Calvario e della Tomba vuota (Crocifissione-Risurrezione) e della “sacra culla di Betlemme”.

I testi che seguono ci rivelano i sentimenti di Comboni di fronte a questa “sacra culla”. È interessante notare come mette in rapporto la “grotta fortunata” con il Calvario.

Un’altra gita feci a Betlemme, nella quale impiegai 2 giorni. Uscendo da Gerusalemme per la porta di Betlemme giungemmo nella valle della voragine, celebre perché quivi furono uccisi dall’Angelo 185000 soldati di Senaccheribbo. In cima a questa valle, prima di discendervi v’è il monte del mal consiglio, così detto, perché ivi congregaronsi i principi dei sacerdoti coi seniori del popolo, e vi decretarono la morte di Gesù. Dalle falde di questo monticello comincia una spaziosa pianura detta nelle sacre pagine la valle di Rafaim, o dei Giganti. Fu in questa valle, che si accamparono due volte i Filistei provocando a battaglia Davidde, il quale, consultato il Signore li sconfisse. A un miglio di distanza v’è un albero di terebinto, che segna il luogo, ove riposò la Sacra Famiglia andando a Gerusalemme: ma qui non v’è annessa indulgenza. (S 106)

Dopo altri 100 passi trovasi la cisterna dei Tre Magi, in memoria di quei tre Re che furono i primi fra i gentili che andarono ad adorare il Bambino Gesù; i quali giunti in questo luogo, videro comparire sopra di essi quella fulgida stella, che avea loro servito di guida nel loro viaggio fino a Gerusalemme ed era scomparsa. In questa cisterna come in tutti i luoghi che son per dirvi, v’è indulgenza quasi sempre plenaria. Dopo 4 miglia v’è il monastero dedicato a S. Elia Profeta: è in mano dei greci. (S 107)

Finalmente giungemmo alla sera tardi in Betlemme. Mio Dio! ove mai volle nascere G. C.? Ancora quella sera volli discendere alla Grotta fortunata, che vide nascere il Creatore del mondo. Vi entrai, e quantunque la nascita sia più gioconda della morte, nulladimeno restai più commosso che sul Calvario, nel pensare alla degnazione di un Dio che si esinanì fino a nascere in quella stalla. La grotta di Betlemme, ove nacque G. C. è lunga circa 10 passi, e metà è larga come il corridoio, ove voi abitate; l’altra metà e come la vostra cucina. Vi sono tre altari: l’uno ove Maria Vergine partorì il divino Infante, e questo è in mano degli Armeni e Greci Scismatici; l’altro due passi più sotto è il luogo del S. Presepio, ove Maria Vergine reclinò il bambino, e questo è in man dei Cattolici; l’altro a un passo di distanza è il luogo ove stavano inginocchiati ad adorarlo i tre Re Magi, e questo è pure in mano dei Frati. (S 111)

Io vi celebrai Messa la notte seguente; e mi fu caro di trattenermi fino alla mattina in questa beata grotta, che forma la delizia del cielo. Oh in questa grotta nel silenzio della notte godetti di ripetere più volte quell’orazione, che compose S. Girolamo, e qui recitava sovente: “O anima mia, ecco che in questa piccola buca della terra nacque colui che fabbricò il cielo; qui fu involto in poveri panni; qui fu adagiato sopra un po’ di paglia in una mangiatoia d’animali; qui vagì Bambinello nel rigore dell’invernale stagione: qui fu riscaldato dal bue e dell’asinello: qui fu trovato dai vigilanti pastori; qui fu indicato dalla stella; qui fu adorato dai Magi; qui cantarono primieramente gli Angeli: Gloria in excelsis Deo, et in terra pax hominibus bonae voluntatis. [S 112]

O mille volte beata te, che quantunque miserabile peccatore, sei stato fatto degno di vedere ciò che desiderarono ardentemente e non videro i Patriarchi e Profeti, e contempli cogli occhi tuoi questo ineffabile luogo, che non è concesso di vedere a tante anime giuste, che si trovano ora nel mondo etc.”. Così S. Girolamo. Tra il luogo dei Magi, e il luogo del Presepio (che è a Roma) v’è il luogo ove sedeva Maria Vergine dopo che adagiò il Bambino nel presepio. Io mi sedetti pure, e poi baciai mille volte quel luogo. Baciai quasi tutta la grotta; né sapea distaccarmi, perché veramente faceami risvegliare quel beato momento in cui ebbero luogo in questa grotta i misteri della natività di N. S. G. C.[S 113]

Il giorno dopo visitammo i luoghi rimarchevoli fuori della mura, cioè 1º. la grotta del latte, ridotta in una chiesa, nella qual grotta stette ed allattò il Bambino fuggendo in Egitto: qui aggiungono ancora che M. V. mentre allattava il Bambino Gesù in questa grotta, le cadde in terra una goccia di latte; e quella terra serve assai bene ai circonvicini per far venir latte a quelle donne, che ne son senza. 2º. la casa di S. Giuseppe, di cui non si veggono che le fondamenta. 3º. distante una mezz’ora il villaggio dei pastori, che adorarono il neonato Redentore. 4º. Il vasto campo di Booz, dove la Moabitide Ruth andava dietro le pedate dei mietitori di quel ricco proprietario raccogliendo le spighe: in questo campo, v’era anticamente la torre del gregge, dove Giacobbe figlio d’Isacco adescato dall’abbondanza del pascolo piantò i suoi padiglioni dopo la morte della bella Rachele. [S 116]

In mezzo a questo campo v’è la grotta, ove si trovavano quei vigilanti pastori, che stavan di notte facendo la ronda al loro gregge, quando apparve loro l’Angelo del Signore, ed abbagliandoli di celeste splendore, annunziò loro la lieta notizia, che era nato il sospirato Messia. Io baciai il luogo ov’apparve l’Angelo, e il luogo ove erano i Pastori, a cui v’è annessa ind.a plen.a: in questi luoghi sonvi due altari, e questi, come la chiave della Grotta è in mano dei Greci scismatici. Sotto alla Grotta dei Pastori evvi la spelonca di Engaddi che ricorda il fatto ivi accaduto fra Davidde e Saulle. (S 117)

Alla sera tornammo affaticati a Betlemme, ove progettammo il viaggio del giorno seguente. Ribaciata e venerata la santa Grotta, partimmo all’alba del 10 alla volta di Ain-el-Qarem, che è S. Giovanni in Montana, per visitarvi i santuari del Precursore, nel qual viaggio col ritorno a Gerusalemme impiegammo due giorni». (S 119).

Preghiera di S. Girolamo

O anima mia,
ecco che in questa piccola buca della terra
nacque colui che fabbricò il cielo;
qui fu involto in poveri panni;
qui fu adagiato sopra un po’ di paglia in una mangiatoia d’animali;
qui vagì Bambinello nel rigore dell’invernale stagione:
qui fu riscaldato dal bue e dell’asinello:
qui fu trovato dai vigilanti pastori;
qui fu indicato dalla stella;
qui fu adorato dai Magi;
qui cantarono primieramente gli Angeli:
Gloria in excelsis Deo,
et in terra pax hominibus bonae voluntatis.

O mille volte beata te,
che quantunque miserabile peccatore,
sei stato fatto degno di vedere
ciò che desiderarono ardentemente e non videro i Patriarchi e Profeti,
e contempli cogli occhi tuoi questo ineffabile luogo,
che non è concesso di vedere a tante anime giuste,
che si trovano ora nel mondo.

P. Carmelo Casile
Casavatore (NA), 23 dicembre 2009