La Santa Famiglia di Nazareth ha avuto un forte influsso nella vita spirituale e nel servizio missionario di san Daniele Comboni e dei suoi primi compagni; è certamente uno degli elementi dell’ispirazione originaria del Fondatore. Per Comboni Gesù, Maria e Giuseppe sono i «tre cari oggetti del nostro amore». San Giuseppe, così profondamente presente nel vissuto spirituale di Comboni, salvo qualche caso, mai è nominato da solo o «accanto» agli altri membri della «Sacra Famiglia», ma è normalmente nominato «unito a Gesù e Maria», con i quali costituisce «una Triade santissima».
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A. – San Daniele Comboni
«Al Bambinello Gesù (….) ed alla sua Mamma Regina della Nigrizia, ed al mio caro economo S. Giuseppe (….), a questi tre cari oggetti del nostro amore io fo una novena, per ottenere la grazia che … il caro Nones P. Sembianti sia installato nel suo importante ufficio di Rettore degli Istituti Africani di Verona e S. Giuseppe, che è il tipo dei galantuomini, non mi ha mai negato nessuna grazia temporale; ma unito a Gesù e Maria, forma una Triade santissima che non negherà certo questa grazia spirituale che domando» (S 5805).
Il rapporto di Comboni con la Sacra Famiglia, iniziato negli anni della formazione nell’Istituto Mazza, si approfondisce con il pellegrinaggio in Terra Santa e poi in Egitto, dove la Sacra Famiglia guidata da Giuseppe, fugge dalla persecuzione di Erode e dimora per 7 anni.
Nel pellegrinaggio in Terra Santa Comboni che la “visita”, rimane chiaramente “visitato” dai misteri della vita di Cristo che si sono realizzati in quei Luoghi. Ne sono un segno le lettere scritte ai genitori sul viaggio a Gerusalemme e la “Lettera Pastorale per la Consacrazione del Vicariato al S. Cuore”.
In questa Lettera, infatti, Comboni presenta il Cuore di Cristo nel suo cammino di amore per l’umanità “dalla sua formazione … dalla sacra culla di Betlemme” al sepolcro del Crocifisso-Risorto in Gerusalemme:
“Questo Cuore adorabile … non vi fu istante dalla sua formazione, in cui non palpitasse del più puro e misericordioso amore per gli uomini. Dalla sacra culla di Betlemme s’affretta ad annunziare per la prima volta al mondo la pace: fanciulletto in Egitto, solitario in Nazaret evangelizzatore in Palestina divide coi poveri la sua sorte…; risorto glorioso manda gli Apostoli a predicare la salute al mondo intero” (S 3323).
In questo testo, in cui Comboni descrive il Mistero globale del Cuore di Cristo, costituito dall’Incarnazione-Esistenza-Pasqua del Signore, è evidente il riferimento alla Sacra Famiglia, indicata dalla “sacra culla”, dalla figura di Gesù “fanciulletto in Egitto”e “solitario in Nazaret”.
Dietro questa descrizione non è difficile ascoltare la eco del suo pellegrinaggio a Betlemme, dove protagonista del Mistero contemplato è appunto la Sacra Famiglia. È significativo il fatto che i sentimenti che Comboni condivide con i suoi genitori di fronte a quella “sacra culla”, mettono in rapporto la “grotta fortunata”e “beata” di Betlemme con il Calvario. Così la casa che ospita i Tre santi personaggi, si proietta verso il sepolcro e l’altare del sacrificio, culmine della manifestazione dell’amore di Dio per l’umanità, che comincia a manifestarsi proprio in seno alla Sacra Famiglia (S 111-113).
A questo punto è interessante rilevare come il pellegrinaggio alla grotta di Betlemme può aver evocato in Comboni le sue umili origini di «un povero figlio di uno scartator di Limone, nato nelle grotte, e vissuto all’ombra di S. Carlo, che ha mangiato per molti lustri la proverbiale polenta » (S 4680; cfr. anche S 642; 981-982).
Il ricordo di essere nato nelle grotte non è dovuto alle sole condizioni materiali dell’abitazione, ma anche al fatto che in casa sua si respirava l’aria evangelica della grotta dei pastori, e anche della casa di Nazaret.
La formazione spirituale ricevuta da Comboni in casa è frutto della sintonia spirituale esistente tra i suoi genitori, che sfociava in un amore familiare fondato su una grande fede in Dio. Nei suoi genitori questa fede diviene coinvolgimento nella vocazione missionaria del loro unico figlio, e in lui certezza della vocazione e unità di misura per verificare la sua fedeltà ad essa; l’esempio del loro sacrificio nel donare il figlio alle missioni diviene in lui sprone a dedicarsi con altrettanta generosità ai fratelli dell’Africa.
Comboni incontra ancora la Sacra Famiglia e il ruolo provvidenziale di san Giuseppe al Cairo, in occasione delle prime fondazioni (1867). Si tratta degli Istituti del Cairo, chiamati: Istituto Sacro Cuore di Gesù, filiale dell’Istituto di Verona (S 2895) e Istituto del Sacro Cuore di Maria:
«Ho preso a pigione … il Convento dei Maroniti a Cairo Vecchio che ha annessa una casa antica, a cento passi dalla grotta della B. V. M., ove è tradizione che abbia dimorato la S. Famiglia durante il suo esilio in Egitto. Nelle due case che divide una Chiesa abbastanza comoda ho aperto ed iniziato due piccoli Istituti, che camminano per grazia di Dio assai bene». (S 1578; S 1804).
In questi Istituti Comboni si impegna a far respirare l’aria salutare della Sacra Famiglia, dove si vive in maniera sublime il mistero della comunione con Dio-Trinità. Egli, infatti, svolge il servizio di animatore che, tra elementi “tutti eterogenei”, è chiamato a creare “perfetta armonia, e ridurre ad unità di intenti e di bandiera” (S 2508).
Siamo in presenza del «Cenacolo di Apostoli» abbozzato sulle orme della Sacra Famiglia, che gradualmente si va approfondendo in vita di comunione per la missione, all’insegna della comunità di Gesù con i Dodici e della prima comunità cristiana di Gerusalemme:
«Noi quattro siamo un cuor solo, un’anima sola: l’uno va a gara per compiacere l’altro: io so e sono convinto di non essere degno nemmeno di baciare i piedi a’ miei compagni; ma essi sono tanto buoni e caritatevoli che non solamente mi compatiscono, ma mi circondano del rispetto e dell’amore dovuto a un superiore: essi sono compresi dell’altezza della divina missione che vanno a compiere. (S 1507).[…] Noi siamo in un Eden di pace: quello che vuole l’uno vuol l’altro (S 1562). […] Le Suore sonno animate da uno spirito ottimo, esemplari nella loro vita religiosa e piene di dedizione e di zelo per l’opera nostra. E noi da parte nostra non tralasciamo di fortificarle nella loro vocazione» (S 2523).
In questo «Cenacolo di Apostoli» in fieri appare chiara l’identità del Missionario: colui che vive una “vita di spirito e di fede” in un clima di famiglia creato mediante un forte vincolo di “familiarità” con Dio, affinché possa vivere il “suo essere consacrato” per il servizio del Regno con totale e perseverante dedizione:
«Siamo tutti disposti, o Eminenza, di morire anche martiri della Fede; ma vogliamo morire con giudizio, e con sommo giudizio, cioè coll’operare saviamente per la salvezza dell’anime le più derelitte della terra, ed esporci per esse ai più grandi pericoli della vita con quella prudenza, discrezione, e magnanimità, che si addice ai veri apostoli e martiri di Gesù Cristo (S 2225).
La Regola di Vita dei Missionari Comboniani non si riferisce esplicitamente alla comunità di Nazareth come modello ispiratore della comunità comboniana, ma nel concepire l’Istituto come una “comunità di fratelli” o “un piccolo cenacolo di apostoli” (S 2648) secondo l’ispirazione originaria del Fondatore (RV 10-12), oltre che al modello della Comunità di Gesù con i Dodici (RV 21) e della Comunità di Gerusalemme (RV 39; 164), si ispira anche ad elementi che certamente ricevono una luce particolare dal mistero della Famiglia di Nazareth.
B.- Il beato Carlo de Foucauld
Il beato Carlo de Foucauld ha fatto del Mistero della Santa Famiglia di Nazareth il fulcro della sua esperienza spirituale; la sua vita è una esegesi esistenziale di questo Mistero, da cui è scaturito uno stile di vita, che è stimolante per ogni cristiano.
Per noi, missionari comboniani, è particolarmente utile avere un approccio con i tratti fondamentali dello stile di vita di questo discepolo di Gesù, per cogliere la lezione missionaria che sotto la sua guida ci viene dalla contemplazione del Mistero della Santa Famiglia di Nazareth; nello stesso tempo ci aiuta a capire più in profondità il significato missionario del particolare legame che san Daniele Comboni ha coltivato con la «Triade santissima» della Santa Famiglia e che ha influito nella sua azione apostolica e di animatore della Famiglia missionaria da lui fondata.
Carlo de Foucauld nacque a Strasburgo da famiglia nobile il 15 settembre 1858, mentre Comboni si trovava alla stazione missionaria di S. Croce nel cuore dell’Africa, dove viveva con intensa partecipazione apostolica il primo contatto con la Nigrizia e dove ben presto veniva colpito da attacchi di febbri intermittenti, che lo condussero più volte sull’orlo del sepolcro, così che, per obbedienza, dovette rimpatriare (17 giugno 1859).
Persi a 6 anni entrambi i genitori, Carlo de Foucauld visse una giovinezza scapestrata, «senza niente negare e senza niente credere», impegnandosi solo nella ricerca del proprio tornaconto. Intraprese la carriera militare, ma fu congedato con disonore «per indisciplina aggravata da cattiva condotta». Si dedicò allora a viaggiare, esplorando una zona sconosciuta del Marocco, impresa che gli meritò una medaglia d’oro dalla Società di Geografia di Parigi. Tornò in patria scosso dalla fede totalitaria di alcuni musulmani conosciuti in Africa. È una conoscenza che lo riavvicina al cristianesimo e si converte radicalmente, accettando di accostarsi per la prima volta al sacramento della confessione: qui scopre quel Dio misericordioso e pieno di tenerezza che aveva sempre cercato senza saperlo.
“Dio costruisce sul nulla” – affermava Carlo de Foucauld – “È con la sua morte che Gesù ha salvato il mondo; è con il niente degli apostoli che ha fondato la Chiesa; è con la santità e nel nulla dei mezzi umani che si conquista il cielo e che la fede viene propagata”. Può parlare così perché ha fatto esperienza di essere niente. E nel fallimento più totale viene ritrovato da Dio nel deserto in mezzo agli arabi.
Deciso a «vivere solo per Dio», entrò dapprima tra i monaci trappisti, ma ne uscì dopo alcuni anni per recarsi in Terra Santa e abitarvi come Gesù, in povertà e nascondimento. Ordinato sacerdote, con l’intento di poter celebrare e adorare l’Eucaristia nella più sperduta zona del mondo, tornò in Africa, si stabilì vicino a un’oasi del profondo Sahara, indossando una semplice tunica bianca, sulla quale aveva cucito un cuore rosso di stoffa, sormontato da una croce. A cristiani, musulmani, ebrei e idolatri, che passavano per la sua oasi, si presentava come «fratello universale» e offriva a tutti ospitalità. In seguito si addentrò ancora di più nel deserto, raggiungendo il villaggio tuareg di Tamanrasset. Vi trascorse tredici anni occupandosi nella preghiera (a cui dedicava undici ore al giorno) e nel comporre un enorme dizionario di lingua francese-tuareg (usato ancor oggi), utile alla futura evangelizzazione.
Annuncia il Vangelo ai Tuareg, servendo e assistendo i poveri del Sahara: è più povero di loro, ma la porta della sua abitazione è sempre aperta a ogni incontro, li istruisce e li difende dai predoni. E durante un assalto dei predoni resta ucciso la sera del primo dicembre 1916: cercavano il suo tesoro, di cui spesso parlava. Non avevano capito che quel tesoro era Gesù nel Tabernacolo. Carlo de Foucauld aveva fatto dell’Eucaristia il centro della sua esistenza.
Presso il suo cadavere fu ritrovata la lunula del suo ostensorio, quasi per un’ultima adorazione.
Nella sua dedizione missionaria Carlo de Foucauld ha come compagna e modello la Vergine Maria. Come Maria che, portando in sé Gesù nascosto nel proprio grembo, l’ha portato nella casa di Zaccaria e l’ha santificata, così anche Carlo de Foucauld si sentiva chiamato a portare Gesù nell’Eucaristia e nel Vangelo in mezzo ai popoli che ancora non lo conoscono, cercando di essere fratello di tutti, di essere vicino all’atro, andando alle periferie del mondo, come in quel momento erano i Tuareg.
Tale missionarietà la viveva centrandola nella preghiera di intercessione, perché tutti si salvino.
Dal profilo biografico di Carlo de Foucauld si possono individuare tre tratti peculiari della sua spiritualità: anzitutto la fraternità, cioè mettere il centro della vita nella relazione con il Signore Gesù, di modo che l’ ”io” e il “tu” possono cercarsi e trovarsi in Lui, che mediante il suo Spirito è il nodo che stringe insieme le vite e crea il “noi” dei fratelli, che vivono l’uno per l’altro, con l’altro e nell’altro; poi la testimonianza cristiana, cioè essere noi stessi Vangeli viventi e testimoniarlo con la vita, con il modo di fare; e in fine essere prossimo, Eucaristia per gli altri, dono per gli altri: essere dono nelle comunità ecclesiali e religiose, nella vita familiare, nel lavoro, nell’incontro e nelle relazioni con gli altri, nel dialogo tra le religioni, le culture…; sta qui il fondamento e l’apice della vita cristiana e in particolare del discepolo missionario.
Per tanto, portare Gesù secondo lo stile di Nazareth non è anzitutto predicarlo, ma è “diventare Vangelo vivente”, gridarlo con la propria vita, quindi una vita evangelica, uno stile di vita, un modo di comportarsi che susciti negli altri alcune domande: – Chi sei? Perché sei così? Perché operi, ti comporti, fai così?
A questo punto, alla luce della vita di Carlo de Foucauld vissuta all’insegna del Mistero della Santa Famiglia di Nazareth e del Cuore di Gesù, possiamo cogliere più in profondità la ricchezza spirituale che Comboni riceve dal legame con la « Triade santissima» della casa di Nazareth, in particolare con il Cuore di Gesù dal suo concepimento nel grembo della Madre fino al vetta del Calvario.
La vita spirituale dell’uno e dell’altro è certamente peculiare e si esprime in uno stile di vita missionaria ben caratterizzato: Carlo de Foucauld rimase affascinato dalla vita che “viveva la Santa Famiglia di Nazaret”, così che iniziò una vita conforme allo “stile di Nazaret”, basata sulla preghiera, il silenzio, il lavoro manuale e l’assistenza ai poveri, e andò a viverla in un villaggio dell’Africa; Daniele Comboni, trasportato dal suo impeto missionario, portava disegnato sul suo stemma episcopale l’intero continente africano, sormontato dai Cuori di Gesù e di Maria, a indicare l’amore di cui egli voleva interamente avvolgerlo.
I due hanno, per tanto, una comune passione missionaria per l’Africa, che scaturisce dal Cuore di Gesù e si alimenta nel Mistero della vita della Santa Famiglia di Nazareth, ma che ciascuno vive con uno stile proprio.
Carlo de Foucauld si prodigò a esprimere e a proporre la sua esperienza anche attraverso scritti specifici e sulla base di questa esperienza e degli scritti sono sorte varie esperienze religiose; da parte sua Comboni vive una profonda esperienza spirituale, ma la esprime, con chiarezza ed entusiasmo, solo nei contatti normali della vita con il solo fine di dare ragione della sua energica azione di Apostolo della Nigrizia e solide motivazioni alla sua opera di Fondatore.
Fulcro dell’esperienza religiosa di ambedue, è il Cuore di Gesù. Ognuno dei due però la vive a suo modo: Carlo de Foucauld fa vita eremitica nel deserto tra i Tuareg, dividendo il tempo tra l’adorazione eucaristica accompagnata dalla contemplazione del Vangelo e il servizio e l’assistenza ai poveri che lo circondano.
Comboni vive l’esperienza del Cuore di Gesù “strada facendo”, alimentandosi nella contemplazione dei Misteri della vita di Gesù, che rendono Comboni partecipe del cammino di amore di Gesù per l’umanità “dalla sua formazione … dalla sacra culla di Betlemme” al sepolcro del Crocifisso-Risorto in Gerusalemme: S 3323.
Per Comboni, il Cuore di Gesù è l’energia “di quella Carità accesa con divina Vampa” sgorgata dal Cuore trafitto di Cristo, che lo spinge ad attraversare sette volte il deserto per raggiungere i più poveri e abbandonati dell’Africa Centrale e farli protagonisti di un processo di “rigenerazione”.
Presente nella sua vita fin dalla giovinezza, approfondita nel pellegrinaggio in Terra santa, la presenza del Cuore di Gesù esplode nella vita di Comboni nell’introduzione del “Piano per la rigenerazione dell’Africa”, che viene intuito nei momenti dei suoi “più caldi sospiri” verso la Nigrizia, quando non può resistere all’idea di vederla abbandonata alla sua desolazione e sente l’urgenza di aprire una via sicura per offrire finalmente ad essa l’abbraccio cristiano “di pace e di amore”: S 2754; 2742.
Un altro punto di incontro molto significativo tra l’esperienza religiosa di Carlo de Foucauld e quella di Daniele Comboni, si trova nel testo delle Regole del 1871, in cui Comboni propone al missionario la vita in comunità alla maniera di “un piccolo cenacolo di apostoli”(S 2648) come scuola per la vita missionaria (S 2737) e gli prospetta la necessità di assumere la psicologia di “una pietra nascosta sotterra”(S 2701).
Qui la proposta di Comboni ha caratteristiche di profondità vicine allo stile di vita che “viveva la Santa Famiglia di Nazaret”, e che ha affascinato Carlo de Foucauld.
In effetti, nella prospettiva di Comboni, una vita da “pietra nascosta sotterra” non è affatto una vita rassegnata o puramente formale, ma una vita immersa con Cristo in Dio, cioè, coinvolta nei misteri dell’annientamento del Verbo Incarnato, che culminano nel Trafitto-Risorto; una vita quindi in cui Comboni accetta che il Dio-con-noi annunciato dall’Angelo a Nazareth ed elevato sul monte Golgota, lo racchiuda nel suo Cuore. È, per tanto, una vita pienamente attiva, resa creativa dall’obbedienza come fu quella dei “tre cari oggetti” della famiglia di Nazareth.
In quest’ottica, una vita da “pietra nascosta sotterra” si può ricondurre a due atteggiamenti di fondo, che caratterizzano l’esperienza religiosa del Comboni. Il primo è quello della fiducia radicale in Dio; fiducia che diventa obbedienza senza il timore che l’obbedienza a Dio tolga qualche cosa della responsabilità e della libertà dell’uomo. E il secondo è quello dell’amore per gli uomini e quindi di un’esistenza che diventa una esistenza “per”, cioè di un’esistenza che non mette al primo posto il bisogno di difendersi, di affermarsi, ma che si prende cura degli altri, della vita e del bene dell’altro, fino a mettere in gioco se stesso.
Così, “il Missionario della Nigrizia spoglio affatto di tutto se stesso, e privo di ogni umano conforto, lavora unicamente pel suo Dio, per le anime le più abbandonate della terra, per l’eternità. Mosso egli dalla pura vista del suo Dio ha in tutte queste circostanze di che sostenersi e nutrire abbondantemente il proprio cuore…… Anzi il suo spirito non cerca a Dio le ragioni della Missione da lui ricevuta, ma opera sulla sua parola, e su quella de’ suoi Rappresentanti, come docile strumento della sua adorabile volontà, ed in ogni evento ripete con profonda convinzione e con viva esultanza: servi inutiles sumus; quod debuimus facere fecimus. Luc. XVII.” (S 2702).
C’è ancora un altro punto di incontro tra l’esperienza religiosa di Carlo de Foucauld e quella di Daniel Comboni; lo troviamo nel loro rapporto con la Vergine Maria, che prendono come compagna e modello di vita missionaria.
Riguardo a Carlo de Foucauld abbiamo già accennato come Maria era una presenza esemplare nella sua vita di discepolo missionario.
Riguardo a Comboni, immaginiamo di incontrarlo e di chiedergli di narrarci il suo rapporto con Maria; immagino che ce lo formulerebbe così:
«Ho percorso il mio pellegrinaggio missionario segnato dall’incontro e in compagnia di Maria, la madre del Signore, “volto materno di Dio”, presenza ineffabile di un amore che si dona costantemente. Ella ha un posto privilegiato nella mia vita, perché è Madre degli apostoli, Prezioso conforto del Missionario sul quale veglia per difenderlo dai pericoli, Stella Mattutina del missionario che si interna nel cuore dell’Africa, Maestra nei dubbi, Salute e fortezza nelle infermità, Guida nei viaggi, Luce degli erranti, Porto dei pericolanti, Madre della Consolazione.
È la pietosa Regina e la Madre amorosa della Nigrizia, la madre degli Africani, dei crocifissi di ieri e di oggi sul Gólgota del mondo, dove li riceve come figli stando ritta accanto al Figlio Crocifisso. Con la sua potente intercessione li libererà dalla sfortuna e li tufferà nelle gioie della fede, della speranza e della carità (cfr. S 1644).
La vivo come l’Immacolata, la “donna senza peccato, la “tutta santa”, la “tutta pura”, “prodigio della grazia di Dio” e “miracolo dell’onnipotenza divina”, “santuario della Trinità” e immagine ideale dell’uomo e della donna, segnale della vita vera, “terra promessa” alla Nigrizia; quella Nigrizia che si profila al mio sguardo smarrita in un “buio misterioso” che la rende “una viva immagine della desolazione di un’anima abbandonata da Dio”, ma che, accogliendo Cristo, sarà nella Chiesa la “perla bruna”, che brilla incastonata nel diadema dell’Immacolata.
Vivendo in sua compagnia, Maria – Figlia prediletta dell’Eterno Padre, domicilio dell’Eterno Figlio, abitazione ineffabile dell’Eterno Divino Spirito (S 4003) – mi spiega che cosa è essere Tempio di Dio, cella interiore dove si vive senza interruzione la comunione con le Persone divine della Trinità, casa dove il dialogo con Dio e la preghiera per l’avvento del suo Regno è incessante.
La compagnia di Maria, la vergine del “Sì”, la fedele Serva del Signore che tiene sempre aperto il Cuore di Gesù, tiene aperto anche il mio, riversando in esso il desiderio dell’ascolto della Parola, la pedagogia del servizio, della pietra nascosta che forse mai verrà alla luce, la passione di far causa comune con gli Africani, in un atteggiamento di rispetto e di fede in essi, che mi metta a servizio della loro capacità di essere soggetti della propria rigenerazione.
La compagnia di Maria mi rivela ancora la dignità e l’abilità della donna e l’indispensabilità del suo ruolo nella mia ardua missione. Attribuisco alla presenza di Maria nella mia vita il fatto che sono io il primo a far concorrere nell’apostolato dell’Africa Centrale “l’onnipotente ministero della donna del Vangelo, e della Suora della Carità, che è lo scudo, la forza, e la garanzia del ministero del Missionario” (S 5284).
L’incontro con Maria mi ricorda come l’inizio della mia vita cristiana è legato ai gesti e alla pietà di una donna semplice, quando “piccino imparava sulle ginocchia della mia madre a fare il segno della croce” (Cf S 342). Da questa esperienza che mi lega a Maria attraverso mia mamma, nasce la mia convinzione della necessità della formazione della donna africana, perché da essa dipende in gran parte la rigenerazione della grande famiglia dell’Africa»1.
In conclusione, lasciamoci condurre da san D. Comboni e dal beato C. de Foucauld alla scuola della Santa Famiglia di Nazareth e lì in compagnia di Maria e Giuseppe «fissiamo lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede» (Eb 12,2).
Gesù, infatti, è «la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana…. Egli è l’uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio. […] Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato. Egli è l’Agnello innocente che col suo sangue … ci ha meritato la vita» (GS 10 e 22).
Carmelo Casile
Casavatore, settembre-dicembre 2016
1 Da: Comboni, da dove vieni? Certificato di garanzia della vita e del messaggio di san D. Comboni in forma di intervista.