IL CUORE DI CRISTO È IL CUORE DEL MONDO
Divo Barsotti
Cosa significa riparare?
Divo Barsotti
Un testo profondissimo sul Sacro Cuore di un altro profeta dei giorni nostri: don Divo Barsotti. Tratto da un ritiro predicato a Bologna 21 giugno 1968.
Terza meditazione

Io non vorrei escludere dalla dottrina della riparazione la volontà, da parte dell’uomo, di offrire un certo compenso alla giustizia e all’amore di Dio per i peccatori del mondo. Sembra che Nostro Signore, nelle parole che ha rivolto a santa Margherita Maria, sottolinei questo aspetto. Eppure a me sembra che sia molto secondario nella dottrina stessa della riparazione.
A me sembra che nella dottrina della riparazione non tanto si debba considerare il Cristo quanto considerare l’uomo che viene a perdere questo amore e che, offendendolo, viene a escludersi dall’essere amato. Cioè, per dirla in altre parole, l’offesa degli uomini non toglie nulla a Dio, ma toglie tutto a coloro che lo offendono. E allora riparare che cosa vuol dire? In parte vuol dire quello che ha fatto Gesù nei confronti di tutti gli uomini: ha risarcito la giustizia divina, si dice comunemente, ma è un pochino ridicola questa espressione, quasi che fra il Padre e il Figlio si dovessero fare dei conti. Non si tratta di questo. La riparazione che ha fatto il Signore nei riguardi dei nostri peccati è stata questa: ha preso sopra di Sé tutto il peso della nostra responsabilità per toglierlo a noi e per rendere possibile a noi questa comunicazione di grazia, questo rapporto di amore; per rendere possibile agli uomini, che erano peccatori, una loro alleanza con Dio.
L’Agnello di Dio, che porta sopra di Sé i peccati del mondo, distrugge la nostra responsabilità personale, distrugge quella inimicizia, quella rottura che ormai opponeva l’uomo a Dio e fa sì che gli uomini risorgano nella sua amicizia. È quello precisamente che dobbiamo fare noi con la riparazione. Non siate così presuntuosi da credere di dover consolare il Cuore di Nostro Signore! Nostro Signore è infinitamente beato, cosa può farsene di quello che noi possiamo offrirgli? È nei confronti degli uomini che noi ripariamo. È perché vi è questa massa umana che, senza rendersene conto, da se stessa si priva della beatitudine, della pace, della gioia, dell’amicizia con Dio. È per questo che noi vogliamo accettare, almeno in parte, il peso della loro responsabilità morale perché, attraverso il nostro atto, i nostri fratelli, tutti i nostri fratelli, celebrino con noi la festa stessa dell’amore. È proprio questo punto che noi molto spesso non approfondiamo e non sappiamo vedere.
Si diceva dianzi che la festa del Sacro Cuore è, sì, la festa dell’alleanza, e certo l’alleanza ha un carattere personale, proprio perché l’amore non può non avere un carattere personale ma, nel Cristianesimo, il carattere personale non è mai esclusivo; può essere personale e intimo quanto si vuole, ma non può essere mai esclusivo come invece nel matrimonio. Noi non possiamo amare donandoci a un’altra creatura se non escludendo le altre creature. Ma possiamo amare Dio pretendendo di essere così soli da non volere che un altro lo ami? Ma possiamo noi accettare di essere amati da Dio ed escludere che altri siano amati da Lui? Il fatto che Egli ami tutti toglie forse qualche cosa al suo amore per me? Dio non è come l’uomo che, siccome la misura del suo amore è limitata, se ama, ama uno e non ama l’altro, se ama tanto l’uno ama poco l’altro; Dio non è così! Egli può amare ciascuno di un amore infinito come se fosse solo al suo amore, e ama ugualmente tutti senza sottrarre nulla ad alcuno. Ecco perché, se io vivo la mia alleanza d’amore col Cuore di Cristo, se io vivo questa festa d’amore, che è la mia comunione eterna col suo Cuore divino, io non posso però pensare a questa mia festa senza che essa sia nello stesso tempo la festa di tutta una umanità redenta, di una creazione invasa dalla gloria di Dio.
Noi possiamo celebrare la festa della nostra consacrazione, ma saremmo veramente cristiani se la festa della nostra consacrazione non fosse anche la festa di tutta un’umanità che finalmente conosce Dio e lo ama? Che finalmente accetta di essere amata da Dio ed è sommersa da quest’oceano di carità? Riparare vuol dire questo. Noi vogliamo, attraverso precisamente quella che si chiama la riparazione, togliere gli ostacoli che impediscono a quest’oceano di carità di effondersi su tutto l’universo, di riempire tutti i vuoti e tutti gli abissi della creazione divina.
La riparazione ha questo senso, ed è per la riparazione, vedete, che noi diveniamo i collaboratori dell’amore stesso di Dio, perché riparare per noi che cosa vuol dire? Vuol dire partecipare all’amore stesso del Cristo, il quale per primo ha riparato. E per il fatto che ha riparato per tutti, per questa medesima ragione ha tolto anche ogni muro di separazione – come dice san Paolo – che opponeva Dio all’uomo, che impediva a Dio di effondersi nell’umanità e all’umanità di conoscere Dio e di poterlo amare (cfr. Ef 2, 14). È stato l’atto di riparazione della morte di croce che ha fatto la pace fra gli uomini e Dio, ma sono i peccati personali di ciascuno che impediscono, in atto secondo, che tutti gli uomini di fatto partecipino di questa immensità di amore. E Dio chiama noi a collaborare all’atto stesso della sua redenzione quando, celebrando la festa del Sacro Cuore, Egli chiede che noi stessi ripariamo per i nostri fratelli. Io non posso essere beato fintanto che con me non è beato l’universo. Io non accetto di entrare in Paradiso se in Paradiso non entrano tutti con me. E se Dio veramente mi ama, Lui non può sottrarmi dagli altri ai quali io voglio rimanere legato, come il Cristo.
Ecco, di qui nasce il dovere della riparazione. Nasce, cioè, non soltanto dal nostro amore per Iddio, ma dal fatto di una nostra solidarietà con gli uomini, che noi non vogliamo minimamente spezzare. Noi vogliamo essere veramente una sola cosa con l’universo. L’universo è nel peccato: noi vogliamo essere veramente fratelli di un’umanità che ancora non lo conosce, che ancora non Io ama. Che cosa possiamo fare dunque? Da una parte, infatti, l’amore di Dio ci reclama per sé e dall’altra, la solidarietà per gli uomini ci vorrebbe invece separare da Cristo. Che cosa possiamo fare? Dobbiamo riparare. Prendere sopra di noi il peccato degli altri perché nel nostro atto di riparazione, che è atto di amore, venga cancellato e non più noi soli ma tutti, possiamo penetrare nel suo Cuore e celebrare eternamente la festa dell’amore.
Il Sacro Cuore: festa dell’amore universale
Che bello! La festa del Sacro Cuore dunque è la festa della pace universale, è la festa dell’amore universale. Ma dell’amore che è universale a spese tue, come lo fu a spese di Cristo. Non possiamo pensare che si possa veramente ottenere per gli altri questa salvezza senza che noi paghiamo, come un giorno ha pagato Gesù per il nostro peccato.
Allora vedete la grandezza della festa del Sacro Cuore? Se noi celebrassimo nella festa del Sacro Cuore soltanto l’amore di Dio, non dovremmo celebrarla dopo il Corpus Domini. Potremmo celebrarla il Venerdì Santo, quando celebriamo il mistero della redenzione del Cristo perché è in questo mistero che ci si manifesta l’amore infinito di Dio e che l’amore infinito di Dio si riversa nel mondo. Noi la celebriamo invece dopo la Pentecoste. Perché? È semplicissimo: perché nelle feste dopo la Pentecoste, più che celebrare il mistero del Cristo celebriamo la partecipazione e la collaborazione degli uomini al mistero del Cristo.
Nella festa del Sacro Cuore noi, chiamati alla riparazione, viviamo l’esigenza di un amore divino che vuole effondersi su tutto, e non può farlo se noi, come Lui un giorno ha pagato per tutti, non vogliamo noi stessi pagare per i nostri fratelli. Che bello! Pensate un poco: ci sono tanti uomini che non conoscono più Dio, che non lo amano più; ci sono tante anime religiose che perdono la fede, tanti preti che sembrano non credere più in nulla. Oggi veramente la crisi che la Chiesa attraversa è terribile. Ebbene, ripara tu per loro! Paga nelle tentazioni che tu stesso avrai contro la fede, nelle desolazioni di spirito che il Signore ti manderà e che ti faranno partecipe dell’abbandono del Cristo sulla croce; paga con le sofferenze del corpo, paga con le sofferenze dell’anima.
Nessuno dei tuoi fratelli deve andare perduto: è la consegna che il Signore ti dona. Le parole che Gesù dice a santa Margherita Maria non sono certamente parole che vogliono escludere coloro che sono ingrati, coloro che Io bestemmiano, coloro che Io offendono, da quest’amore divino! Egli altrimenti non amerebbe davvero se accettasse che questi uomini, che pur l’offendono, che pur l’oltraggiano, che pur ripagano l’amore divino con tanta ingratitudine e mancanza di riconoscenza, dovessero per sempre rimanere separati da Lui. Ma se si manifesta questo male del mondo è perché tu, come una volta l’Agnello di Dio ha portato sopra di sé il peso del peccato del mondo, oggi possa portare questo peso. Egli non può portarlo più nella sua umanità; l’umanità gloriosa del Cristo non può più soffrire, dice san Paolo: «Egli è morto una volta sola e risorgendo da morte Egli non è più soggetto alla morte, la morte non avrà più dominio su di Lui» (cfr. Rm 6, 9).
Ma la morte può avere dominio su di noi! Ed ecco, Signore, noi siamo sopra al tuo altare come vittime: immolaci Tu, fai di noi quello che vuoi. Abbiamo un corpo: te l’offriamo, per poter soffrire. Abbiamo un’anima: pestala quanto vuoi; noi te la diamo per poter soffrire, perché nessuno di quelli che ci hai dato si perda. Saranno i nostri parenti, saranno i nostri amici, sono i nostri fratelli comunque, lontani e vicini. Hanno offeso te, possono aver offeso anche noi: che si manifesti davvero in questo la presenza di Dio nel nostro cuore, in un amore che esige la morte. «Noi dobbiamo dare la vita per i nostri fratelli» (cfr. 1 Gv 3, 16), ci diceva l’Epistola di domenica scorsa.
Eccoci: abbiamo questo corpo, abbiamo quest’anima, te l’offriamo perché Tu ci immoli, vittime tue di riparazione sopra l’altare. In noi deve continuare il mistero della tua agonia riparatrice perché continui, attraverso di noi, il mistero della tua redenzione universale. Che nessuno vada perduto! Ci sono tanti che crediamo precipitino nell’Inferno: non accetto che ci precipiti nessuno. Ma si fa presto a dire: «non accetto». Affinché questo non avvenga devo pagare. È certo che l’atto del cristiano ha valore immenso, ha un valore infinitamente più efficace del peccato degli uomini, così come l’atto del Redentore ha un’efficacia infinitamente maggiore del peccato dell’uomo. E noi siamo nel Cristo, e in noi il Cristo continua la sua riparazione divina: ecco perché noi non ci scoraggiamo, noi non abbiamo nessun timore riguardo all’umanità.
L’umanità sarà salva a un prezzo, e il prezzo, ecco, sono qui che lo pago. Signore, prendimi, sono tuo, prendimi come prendesti il tuo Figlio. Prendimi, possiedimi Tu, come possedesti il tuo Figlio nella sua morte. Anch’io ho un corpo, anch’io ho un’anima, e queste le offro a Te perché Tu ne faccia quello che vuoi, perché l’amore trionfi.
Questa è la festa del Sacro Cuore! Se stamani si parlava di festa dell’amore e di gaudio e di beatitudine, come vedete questa beatitudine bisogna un po’ pagarla. Ecco perché la festa del Sacro Cuore è legata al mistero della riparazione. Perché, di fatto, non vi può essere nel Cristianesimo un amore personale che sia anche esclusivo; nel Cristianesimo l’amore personale più intimo implica anche la massima universalità. Se tu escludi l’universalità dall’intimità, l’intimità stessa non c’è; se tu escludi dall’universalità l’intimità, non c’è più l’amore. Ma le due cose debbono essere insieme: volere Dio tutto per te, donarti tutto a Dio, far sì che Dio tutto sia per te e tu tutto per Lui ma anche fare in modo che questa intimità nulla sottragga all’ultimo dei tuoi fratelli. Quello che è vero per te deve essere vero per tutti. L’ultimo dei miei fratelli deve godere la mia stessa gioia, deve possedere il mio medesimo amore, perché altrimenti io non amerei.
E allora, se stamani vi dicevo che la festa del Sacro Cuore non si può celebrare che rinnovando la nostra consacrazione a Lui, l’alleanza di ciascuno di noi con Lui, come il matrimonio divino nel quale l’uno si dona all’altro per sempre, vi dico di più: la festa del Sacro Cuore implica sì il dono a Dio di noi stessi, ma un dono che continua il dono stesso che Gesù Cristo ha fatto a Dio per pagare il peccato del mondo. È una festa d’amore, sì, ma una festa d’amore che viene celebrata in un mistero di morte, in un mistero d’immolazione, in un mistero di donazione totale. Ma la donazione, nel Cristianesimo, equivale a morire.
«E noi dobbiamo dare la nostra vita per i nostri fratelli» (1 Gv 3, 16), dice san Giovanni: vuol dire che dobbiamo morire per loro. Ecco dunque che l’amore e la morte sono un medesimo atto, non solo per Cristo, che ci rivela l’amore infinito di Dio proprio nella sua morte di croce, ma anche per noi. E noi amiamo i fratelli e amiamo Dio soltanto nella misura che sappiamo morire.
Ritiro a Bologna 21 giugno 1968
Tempo liturgico: Solennità del Sacro Cuore.
Giovanni 19,31-37
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