Seconda settimana del Tempo Ordinario
Marco 2,18-3,35
p. Filippo Clerici e p. Silvano Fausti
Marco 2, 18-22
Lo Sposo è con loro
Il cristiano non digiuna come Giovanni, che aspetta il Messia, o come i farisei, attaccati alla legge. Vive nella pienezza di gioia, perché il Messia, lo Sposo, è già presente e in comunione con lui. Il suo digiuno sarà seguirlo fino alla croce, per vivere con il “vestito nuovo e il vino nuovo” dell’amore. Perché Gesù, come già anche HYWH, si chiama “Sposo”? Che relazione c’è tra sposo e sposa? Perché dobbiamo vivere la novità dell’amore, senza mettere pezze nuove su vestiti vecchi o vino nuovo in otri vecchi?
18E c’erano i discepoli di Giovanni e i farisei che digiunavano; e vengono e gli dicono: Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano? 19E disse loro Gesù: Possono forse i figli delle nozze digiunare, mentre lo sposo è con loro? Per quel tempo in cui hanno lo sposo con loro, non possono digiunare! 20Ma verranno giorni quando sarà loro tolto lo sposo, e allora digiuneranno in quel giorno. 21Nessuno cuce una toppa da uno scampolo greggio su un vestito vecchio, se no il rattoppo strappa da questo, il nuovo dal vecchio, e si fa uno sbrego peggiore. 22E nessuno getta vino nuovo in otri vecchi, se no il vino romperà gli otri, e si perde il vino e gli otri. Ma vino nuovo in otri nuovi.
Abbiamo visto la volta scorsa che Gesù mangia con i peccatori e vive con loro. Mangiare e vivere. Ora si spiega che questo banchetto non è un banchetto qualunque, è un banchetto di nozze. E adesso,attraverso delle immagini molto semplici Gesù esprime quella vita nuova che vive il peccatore.
Le metafore che usa sono le più semplici: le nozze, cioè l’amore, il matrimonio, il cibo, il mangiare, il vestito e il vino. Cose molto semplici e molto elementari che esprimono questa pienezza di vita che si vive.
18E c’erano i discepoli di Giovanni e i farisei che digiunavano; e vengono e gli dicono: Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?
Giovanni aspettava il Messia, colui che avrebbe salvato il mondo. Allora per lui il banchetto è al futuro, quindi digiuna, perché verrà il Messia. Come molte persone religiose dicono: poi verrà la vita eterna, non si sa bene cosa c’è, ma c’è la vita eterna, cioè importante è il futuro. I farisei invece dicono: l’importante è il passato, la legge, la norma, quel che è stato, bisogna esser fedeli alla tradizione; e quindi per loro il presente è insignificante, digiunano.
Sono due forme di religiosità tipica tutta rivolta al futuro o tutta rivolta al passato, mentre invece i discepoli di Gesù mangiano, cioè vivono ora, al presente. Perché? E questa è la novità del Cristianesimo. Dio non è uno che c’era o ci sarà. Dio è presente. Il tempo migliore che esiste non è quello che c’è stato o che ci sarà. È questo. Perché questo è l’unico tempo che c’è. E Dio è presente ora.
Le prime parole di Gesù se ricordate nel Vangelo di Marco sono: Il tempo è finito. Cioè è in questo tempo che tu vivi tutto. La vita non è quella che vivrai dopo. Dopo vivrai se vivi adesso. La vita è vivere sempre adesso.
Qui c’è sotto qualcosa di molto grosso, perché noi siamo abituati a vivere in un modo che ci porta a essere sempre proiettati sul dopo, l’ansia del dopo. Oppure sul passato. Il ricordo: com’era una volta, come sarà dopo. E intanto ci sfugge la realtà come è adesso. E la vita è solo adesso. Perché il dopo non c’è ancora, il prima non c’è più, se non vivi adesso non c’è niente. Cioè vivi nell’illusione del futuro o nella delusione del passato. Cioè digiuni. Cioè non vivi. Sacrifichi la vita ai ricordi o ai sogni.
Forse i giovani pensano più al futuro sono più impressionati da questo futuro; invece le persone più anziane di fronte alla complessità del nostro mondo dicono che i tempi migliori sono quelli passati dove le cose erano più semplici e chiare; per tutt’e due le categorie di persone di cui si parlava, il presente non è vissuto; quindi non si vive, non si è noi stessi, ci vuole qualcosa; non si può vivere digiunando, fuori del tempo.
Se voi analizzate le vostre preoccupazioni, paure e angosce, sono sempre su qualcosa o che c’era e non c’è più, o che ci sarà e chissà cosa sarà. Sul presente in genere non c’è nè paura nè angoscia. Il presente devi viverlo. Ma normalmente non lo viviamo. Cioè digiuniamo.
Si potrebbe spiegare cos’è il digiuno, perché il digiuno fa parte un po’ di tutte le culture ed è un’espressione: se il mangiare è vivere, digiunare vuol dire morire. Ora l’uomo sa di non avere la vita. Quindi col digiuno simboleggia la morte, cioè accetta che la vita non è infinita. Quindi il digiuno ha anche un grosso significato se fatto, simbolico, cioè accetti di esser mortale, vuol dire questo. La vita la ricevi come dono. Quindi il digiuno sottolinea che il cibo che ricevi è un dono, non te ne appropri, lo ricevi come dono di Dio. E come ricevi come dono la vita, sai anche che la vita cessa, sei creatura. Quindi ha un significato profondo. Così anche il digiuno ha un significato nella nostra società che è una società a imbuto, che consuma tutto mangia tutto. Il digiuno è segno anche di una certa libertà dalla società. Allora il vero digiuno è qualcos’altro: è una sobrietà di vita.
Qui si contrappone il digiuno al mangiare, perché? Noi viviamo oggi al tempo presente quella venuta del Signore: una pienezza di vita che ormai ha superato il digiuno, cioè: noi col digiuno riconosciamo di essere limitati e mortali. Ora con la presenza del Signore, il nostro limite, la nostra morte è pienezza di vita. Allora già ora banchettiamo sempre. Cioè noi viviamo questa vita come un banchetto eterno. Non è che dobbiamo affannarci a prendere l’attimo fuggente perché poi c’è più niente. No, quest’attimo fuggente che vivo è la presenza di Dio, che posso vivere quindi come valore assoluto e come amore, che è definitivo. Questo è il momento presente.
Quindi non viene distrutto. È come aver messo via un tesoro. Ogni istante è un tesoro. Che è la tua divinità, cioè la tua capacità di amare Dio e il prossimo. La puoi vivere ora. E questo non è mai perso. E lo puoi vivere solo ora, non lo vivrai domani, domani vivrai domani. Lo vivi ora. Quindi questa coscienza del valore del tempo presente. Il versetto 19 è la risposta di Gesù alla domanda:
19E disse loro Gesù: Possono forse i figli delle nozze digiunare, mentre lo sposo è con loro? Per quel tempo in cui hanno lo sposo con loro, non possono digiunare!
Ora Gesù dice il motivo per il quale non si digiuna: perché sono giunte le nozze, le nozze tra l’uomo e Dio. Gesù si presenta come lo sposo e questa è la più bella immagine di Dio, lo sposo.
Cosa vuol dire lo sposo? Questa relazione, questo amore, questa intimità, questo dialogo, questo esser l’un per l’altro, questa gioia, questa pienezza di vita è ciò che è Dio per l’uomo. Il rapporto uomo-donna perfettamente riuscito è un riflesso della realtà di Dio che si dona all’uomo. Ed è questa la dignità dell’uomo. L’uomo è la sposa di Dio, è l’altra parte di Dio. Per questo allora non solo mangiamo, ma il nostro banchetto è un banchetto nuziale, cioè viviamo in pienezza. Perché ogni istante della nostra vita è davvero un luogo di unione e di comunione col Signore e coi fratelli. È piena. Forse uno non pensa, ma la cosa più strepitosa è che Dio ha comandato all’uomo di amarlo. Perché? Perché Dio è amore infinito per l’uomo, Dio è passione per l’uomo. E l’uomo diventa Dio amando Dio. Come Dio è diventato uomo perché ama l’uomo.
Noi siamo abituati a pensare Dio come giudice, come creatore, come signore, come sovrano… tutto quel che volete. Dio è anzitutto lo sposo. Dio come padre e madre… è vero anche questo; c’è una differenza: nei confronti del padre e della madre, c’è una dipendenza; nei confronti dello sposo invece, c’è parità, c’è una risposta libera d’amore ed è uguale. Quindi l’ultimo livello di amore con Dio è questo amore paritario. Siamo chiamati a diventare come lui, l’altra sua parte. Ed è la cosa più sconvolgente che possa toccare all’uomo. E noi lo comprendiamo da una cosa che l’uomo è così: dal fatto che l’uomo è infelice e angosciato. Perché nessuna cosa lo appaga. Perché è fatto per l’infinito. Se no, avrebbe dovuto esser contento.
Quindi questa sospensione del tempo, questa eliminazione del presente che si diceva prima, commentando il versetto precedente, è come una sospensione dalla vita che è un non saper bene chi si è. Quindi quando Gesù dice: il tempo è compiuto e queste nozze avvengono, qui c’è un ricupero della verità e dell’autenticità di ogni persona ed è per questo che si fa festa ed è una festa che può continuare.
E una cosa che forse non siamo abituati a considerare: pensiamo sempre la religione come obblighi, impegni, chissà che cosa… la religione cristiana è essenzialmente la gioia della comunione con Dio, cioè il vivere in questo amore. Lui è con noi, lo sposo è con noi, allora mangiamo, facciamo festa. Tant’è vero che nel Cristianesimo il giorno festivo non è come, nell’ebraico, e anche nelle altre religioni, l’ultimo giorno della settimana: la Domenica è il primo giorno della settimana. Il Lunedì sarebbe la festa seconda, in latino si dice “feria secunda”, feria vuol dire festa, festa terza, festa quarta, cioè ogni giorno è festa. Fino alla festa definitiva.
Ora mi chiedo quanti di noi sanno che quel che cerchi c’è ora. Ed è ora che puoi vivere nella gioia. Noi invece pensiamo sempre a come sarà dopo. Dopo, quel che semini raccogli. Quindi sarà più grande di quello che c’è adesso. Ma già adesso c’è questo incontro. E anche prendere coscienza, uno stenta a crederci, che Dio mi ama infinitamente, molto di più di quanto mi ami la persona che mi vuol più bene al mondo, un amore tale che dà la vita per me, che è tutto per me: è questo il senso profondo della rivelazione: l’uomo è un unico, è l’altra parte di Dio. È questa la dignità.
Il comandamento che è il riassunto di tutti i comandamenti è amare il Signore con tutto il cuore, con tutta l’anima, che vuol dire: perché amare? perché mi ama. Me lo comanda, fa anche tenerezza un Dio che ti comanda: per favore, amami! È l’unico comandamento che fa. E tutta la Bibbia non è altro che questo! alla fine tutta la Bibbia si sintetizza nella rivelazione del suo amore. È incredibile la passione di Dio per l’uomo. Diceva Santa Caterina che Dio è innamorato della sua creatura, che è il senso poi di tutta la vita.
20Ma verranno giorni quando sarà loro tolto lo sposo, e allora digiuneranno in quel giorno.
È probabilmente un’allusione al digiuno del Venerdì santo, lo sposo è tolto, è stato messo in Croce, poi è asceso al cielo, e allora c’è il ricordo che si digiuna il Venerdì santo. Però vuol dire anche qualcos’altro. Perché lo sposo è già con noi, però non è ancora del tutto con noi. Ci sono dei momenti in cui non lo trovi, non lo vedi, non lo senti. Sono quelli i momenti di digiuno. Sono allora i momenti di ricerca. Come nel Cantico dei Cantici c’è la sposa che lo cerca, la nostra vita è un gioire della presenza e un cercare questa presenza a un livello più profondo quando si sottrae. E Dio fa con l’uomo dei giochi strani di amore, come si usa spesso, che poi non sono neanche così belli. Che uno si nasconda per farsi cercare, lo fa anche Dio, ma per farci crescere nell’amore e nella ricerca. Questi sono i momenti di digiuno che uno sopporta. Se Dio un po’ si eclissa, vuol dire che va bene così. Che probabilmente desidera che lo cerchi un po’ più in profondità. Così mi educa ad andare più in profondità dell’amore. Quindi si accettano anche questi momenti di digiuno, ma momentaneo, che fanno parte del gioco della vita.
21Nessuno cuce una toppa da uno scampolo greggio su un vestito vecchio, se no il rattoppo strappa da questo, il nuovo dal vecchio, e si fa uno sbrego peggiore
Il tema delle nozze dello sposo, richiama il tema del vestito nuovo, della veste nuova nella sua visibilità, nella sua vita concreta, nelle sue relazioni con gli altri. Ora non solo si mangia, non solo il banchetto è banchetto nuziale perché lo sposo è con noi. Ora tutto è nuovo. Il vestito è proprio il segno della vita, i cieli sono il manto di Dio, tutto il mondo è nuovo perché è pervaso dall’amore. E allora dobbiamo avere il coraggio di vivere una vita nuova. Mentre noi cerchiamo sempre di combinare un po’ di vecchio e un po’ di nuovo. Il vecchio è ancora il nostro egoismo, i nostri opportunismi. Cerchiamo di mettere su delle pezze, si strappano. Quindi aver coscienza che c’è una novità bella, saper anche decidere per questa novità. Perché se tu appunto cuci un pezzo di stoffa grezzo su un panno vecchio, si strappa quello vecchio. È proprio un modo nuovo di vivere che non è una vita che va in un altro luogo, in un altro tempo, sono le stesse cose di tutti i giorni, ma viste e interpretate in un altro modo. Il mangiare e il digiunare diventano un’altra cosa perché siamo noi che abbiamo scoperto di essere altri.
22E nessuno getta vino nuovo in otri vecchi, se no il vino romperà gli otri, e si perde il vino e gli otri. Ma vino nuovo in otri nuovi.
Se il vestito richiama il corpo, la concretezza della vita, il vino richiama lo spirito, l’ebbrezza. C’è una vita nuova, perché c’è uno spirito nuovo, questo spirito di amore. E allora questo spirito nuovo va messo in otri nuovi e spiega. Non puoi vivere lo spirito di amore nelle strutture precedenti del tuo egoismo, devi decidere di metterle in otri nuovi. Questo spirito nuovo che hai un po’ alla volta ha bisogno di avere un recipiente, ha bisogno che la vita si trasformi, per contenerlo, e così diventa nuova anche la tua vita. Quindi bisogna anche saper decidere. Se non decidi cosa capita? Rompi gli otri. Che va anche sempre bene. Perché in fondo, il vino qui va perso, si dice; però se si rompono i nostri vecchi otri, Dio di vino ce ne dà sempre, alla fine impariamo a dire: questo vino nuovo, questo amore, devo viverlo anche in una novità di vita che lo sa contenere, lo sa godere, in una pienezza di vita nuova.
Marco 2, 23-28
Signore è il Figlio dell’uomo anche del sabato Con il Figlio dell’uomo, l’uomo entra nel “sabato”: gli è donata la vita stessa di Dio.
23E avvenne che lui di sabato passava per i seminati, e i suoi discepoli cominciarono a fare cammino cogliendo le spighe. 24 E i farisei dicevano a lui: Vedi cosa fanno di sabato, che non è lecito? 25E dice loro: Non avete mai letto cosa fece David, quando ebbe bisogno ed ebbe fame lui e quelli con lui? 26Come entrò nella casa di Dio sotto Abiatar sommo sacerdote, e mangiò i pani della proposizione, che non è lecito mangiare se non ai sacerdoti, e diede anche a quelli che erano con lui? 27E diceva loro: Il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato. 28E così Signore è il Figlio dell’uomo anche del sabato.
È un brano un po’ misterioso questo che chiude il capitolo secondo. Il capitolo che si apriva con il Figlio dell’uomo che perdona i peccati. Ecco la gente si domanda “Chi è costui?”, costui che perdona e il capitolo 2° è una rivelazione di Gesù come questo Figlio dell’uomo. La prima cosa che fa è quella di perdonare e perdonare è il potere di Dio, ciò che Gesù è venuto a portare sulla terra è il potere del perdono, quel potere che fa camminare l’uomo invece che giudicarlo, inchiodarlo al suo male, lo sblocca: fa camminare il paralitico all’inizio del capitolo.
Poi vediamo che chiama Levi il peccatore, non solo perdona, ma il peccatore è chiamato all’intimità con Dio. Non è escluso, non è semplicemente perdonato, è chiamato, ma non solo chiamato così – chiamiamo tutti, chiamiamo anche lui – Gesù si ferma a casa sua e magia con lui, cioè Gesù entra in intimità con lui. È chiamato all’intimità con il Signore, non solo mangia con lui in modo qualunque: Gesù spiega che è il banchetto nuziale, è il vestito nuovo, è il vino nuovo. Il Figlio dell’uomo è Colui che porta il perdono di Dio, si dona ai peccatori, mangia con loro, inizia la festa delle nozze del mondo nuovo ed ora in questo brano c’è il compimento, questo Figlio dell’uomo è il Signore del sabato. Ora il sabato è il giorno di Dio. Uno che è Signore del giorno di Dio è qui a far festa con noi.
Entriamo in questo brano che è la penultima discussione di Gesù, dopo la discussione successiva decidono di ucciderlo, perché dicono “questo è troppo”. Ora ci fermiamo su questa discussione che parla del sabato.
Il tema del sabato c’è in tutte le religioni. La festa. L’uomo è fatto per la festa, per la pienezza di vita. Ecco Gesù dice il contrario: l’uomo non è fatto per la festa, è la festa ormai che è fatta per l’uomo, è il sabato per l’uomo. L’uomo desidera sempre la festa, ma non la raggiunge mai, sempre dopo, Gesù dice no, ormai il sabato che è la festa, il compimento è qui ora per l’uomo. Praticamente il sabato è il simbolo di Dio, non è che Dio verrà chissà quando nella nostra vita, Dio è già qui ora con noi e noi possiamo mangiare.
Questo brano racconta attraverso immagini molto semplici come adesso possiamo fare ciò che non è lecito, cioè mangiare di sabato. Il sabato è Dio, mangiare vuol dire vivere, possiamo vivere di Dio. Questo è il senso profondo del brano e vediamo di capirlo. Riprendiamo il testo al versetto 23:
23E avvenne che lui di sabato passava per i seminati, e i suoi discepoli cominciarono a fare cammino cogliendo le spighe.
La scena è molto semplice, ci sono dei campi seminati che ormai germogliano ed hanno il grano maturo. Siamo quindi verso Pasqua in Israele, è la stagione in cui matura il grano, il giorno della festa, questo campo seminato che germoglia, i discepoli che camminano, lui con loro e loro che mangiano cogliendo spighe.
Come vedete ci sono dei simboli molto grossi, il primo è il sabato. Il sabato è il giorno della festa e il grande desiderio dell’uomo è di raggiungere la festa, cioè di raggiungere Dio, la pienezza di vita. In Israele il sabato era ed è regolato ancora da leggi molto precise, in cui non si può lavorare, non si può far niente. Perché? Perché il sabato è il giorno del riposo di Dio, in cui si gode e basta, è finita la fatica, è finito il lavoro, si gode semplicemente del frutto del lavoro, si gode della presenza di Dio.
L’uomo è fatto per raggiungere il settimo giorno, cioè per raggiungere Dio e il senso del riposo è questo, non c’è nulla da fare, è già tutto fatto. Dio non lo devi fare, c’è già, l’altro non è da fare, è fatto, ti si concede, la realtà e la natura non la devi fare, c’è già. Quindi il sabato è quel momento in cui tu capisci il valore profondo della realtà come dono, come vita, come amore, come festa, come gioia.
Il regolamento, le regole, le norme molto severe che regolano il sabato ebraico ancora adesso osservato dagli ebrei ortodossi e osservanti è tale da sconcertare. Ad esempio a parte il fatto che non si poteva cucinare, quindi si doveva preparare il cibo il giorno prima, addirittura anche non si potevano accendere le lampade e anche nei nostri tempi con la luce elettrica in alcune famiglie molto osservanti si chiamano dei bambini non ebrei che vengono chiamati appositamente per accendere l’interruttore.
Ma questo cosa vuol dire ? Che noi siamo sempre abituati ai risultati di un’azione fatta attraverso la nostra abilità. Tutto quello che noi facciamo è opera delle nostre mani, è opera del nostro lavoro. Il sospendere tutta l’attività voleva dire esprimere l’assoluta gratuità. Noi siamo abituati anche a lavorare durante la festa, cioè a riposare o divertirci lavorando, ore e ore di auto poi al mare oppure giù per le piste con code, cioè anche il nostro godere è una fatica. Queste regole in fondo volevano eliminare ogni gesto perché il risultato volesse dire “questa è la festa”. Quindi una festa che non fosse il risultato di un fare, ma pura accettazione. Allora queste regole così strette e questo far niente, voleva proprio dire che era qualcosa che si riceveva, si riceve totalmente.
Cosa vuol dire questo allora? Tutta la creazione è stata fatta in cinque giorni, al sesto giorno è fatto l’uomo, l’uomo cosa deve fare? Perché non fa niente al settimo? Al settimo semplicemente gode del dono che gli è stato fatto della creazione e di se stesso. Gode di Dio che glielo ha dato, entra nella dimensione divina, nella gioia, nella pienezza senza far nulla. Il far nulla è profondissimo. Vuol dire che sei fatto per gioire, non per fare, se no sei condannato ai lavori eterni che è l’inferno. Siamo destinati alla gioia e il fare va bene ha la sua funzione, però non è tutto. Il togliere il riposo domenicale vuol dire che non si sa più riposare, non si sa più godere, non si sa più gioire.
Vuol dire che l’uomo è semplicemente ciò che produce, mentre io non sono ciò che produco, posso fare anche niente, anzi l’uomo è fatto alla fine per riposare e gioire. Le relazioni non le produci, le accogli, l’altro non lo produci, lo accogli, tutta la vita non la produci, la accogli. Quindi le dimensioni più profonde sono preservate dal sabato, che è il senso della vita. Perché si vive e si lavora? Per gioire e per godere della festa, per stare in relazione, riposare, per avere la pienezza di vita.
Ecco, quindi avviene di sabato e Gesù passa per i seminati. È interessante, c’è quasi una sovrimpressione di Gesù che cammina sui campi, i discepoli mangiano le spighe, Gesù ha appena parlato del banchetto nuziale, Gesù parla del pane, della casa, del prendere, del dare. Vi richiama qualcosa la casa, il pane, il prendere, il dare? L’Eucaristia, cioè c’è quasi una sovrimpressione tra questi campi seminati e Gesù che passa, è lui questo pane. Di fatti subito dopo dal capitolo quarto Gesù parla del seme, poi dal capitolo sesto all’ottavo parlerà del pane che è lui.
Cioè Dio è pane, è vita e allora cosa fanno? Cominciano a camminare cogliendo le spighe. Il cammino è il tema del capitolo secondo: “va a casa tua”, questi possono camminare perché mangiano il grano. L’episodio per sé è banale, la gente osserva “perché i tuoi discepoli fanno questo?”. Gesù poteva rispondere “perché sono maleducati, non rispettano bene la legge”. Invece Gesù si serve di questo per arrivare molto in profondità. Cosa vuol dire quel mangiare le spighe in giorno di sabato? Perché l’uomo di sabato non deve fare nulla? Perché il sabato è Dio e allora noi possiamo fare una cosa di sabato: mangiare il grano, mangiare il pane di sabato.
Ora questo pane è Dio stesso, il Figlio dell’uomo è Signore del sabato, cioè io posso ora vivere di Dio, perché? Perché lui mi ha perdonato, perché lui è venuto a casa mia, perché lui si è preso cura di me, perché lui celebra le nozze con me. Ora io posso vivere di Lui come Lui vive di me. Quindi è abolita la separazione tra uomo e Dio. Questo è il senso del sabato abolito. È abbastanza consolante a questo punto del Vangelo che i discepoli appunto cominciano a fare queste cose, come dire erano stati appena chiamati, facevano i primi passi dietro a Gesù e anche se noi conosceremo nel seguito tutte le loro false immagini del Messia, tutti i loro inciampi e le loro difficoltà, qui dimostrano già di avere un certo attaccamento a Gesù. Cosa vuol dire? Vuol dire che ognuno di noi di fronte a Gesù può cominciare questo cammino e sente che è qualcosa di essenziale che può essergli ricordato e donato.
24E i farisei dicevano a lui: Vedi cosa fanno di sabato, che non è lecito? 25E dice loro: Non avete mai letto cosa fece David, quando ebbe bisogno ed ebbe fame lui e quelli con lui? 26Come entrò nella casa di Dio sotto Abiatar sommo sacerdote, e mangiò i pani della proposizione, che non è lecito mangiare se non ai sacerdoti, e diede anche a quelli che erano con lui? 27E diceva loro: Il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato. 28E così Signore è il Figlio dell’uomo anche del sabato.
Cosa fanno i discepoli di sabato? Mangiano di sabato. Non è lecito perché di sabato non si può fare il minimo lavoro per gli ebrei, mentre i discepoli fanno il lavoro di cogliere le spighe e mangiare. Gesù prenderà questo gesto in un senso più profondo. Cosa vuol dire mangiare di sabato? Se il sabato è Dio, mangiare di sabato è mangiare di Dio, cioè vivere di Dio. Ora Gesù utilizza questo gesto per dire che ormai l’uomo può vivere di Dio. Il sabato che è il grande desiderio dell’uomo non è più il giorno lontano, Dio non è più lontano, ora ne puoi vivere, ne puoi mangiare, è nelle spighe, è nel pane. Il tuo pane è Dio, la tua vita è Dio. E per gli ebrei non è lecito far nessun lavoro di sabato perché profanare il sabato è profanare Dio, cioè vuol dire che non riconosci che è dono di Dio la vita, quindi è proibito lavorare. Invece i discepoli possono non lavorare, ma mangiare che è un’altra cosa. Allora Gesù risponde molto indirettamente con un esempio dell’antico testamento sul quale adesso ci fermiamo.
È interessante la domanda è: non è lecito. Gesù risponde che c’è qualcosa che non è lecito eppure l’ha fatto Davide, cioè qualcosa che non è lecito, eppure lo stiamo facendo ed è giusto e non è lecito. Non so se capite l’importanza! Qualcosa di illecito è molto giusto. Qualcosa di contro la legge ed è molto giusto. Che cos’è contro la legge? La legge separa l’uomo da Dio: non è lecito all’uomo raggiungere Dio, perché Dio è Santo, è Diverso. Ora non solo va bene, si fa questo. È la più grande trasgressione che si possa fare corrompere il sabato. Il cristianesimo è la grande trasgressione dove Dio non è più separato dall’uomo.
Abbiamo visto all’inizio del capitolo quando Gesù perdona, dicono: “Costui bestemmia, non è lecito perdonare i peccati, il peccatore va condannato, se no che giustizia è se Dio perdona?”. Dio è il primo che trasgredisce, cioè che fa il passo oltre sé incontro all’uomo. Noi viviamo di questa trasgressione, facciamo ciò che non è lecito: vivere di Dio. Perché Dio è venuto, si è fatto uomo, ha toccato noi, è entrato nella nostra situazione perché noi entriamo nella sua. Quindi il cristianesimo è radicalmente trasgressione. È il passaggio dalla legge che separa Dio dall’uomo alla libertà nel rapporto tra uomo e Dio, per cui si mangia, si vive con Lui, si vive la sua vita. È il dono dello Spirito raffigurato dal frumento che è il pane, è la vita nel sabato che è Dio. Cioè in modo molto velato qui c’è il senso profondo della rivelazione cristiana.
Gesù ricorre ad un episodio dell’antico testamento citando Davide. Chi è Davide? Davide è il grande re, prototipo del Messia e, quindi, indirettamente dice se lo fece lui prototipo del Messia, lo faccio Io che sono il Messia. E cosa fece Davide? “Avete letto cosa fece Davide?” Gesù cita l’Antico Testamento per dire che l’Antico Testamento è qualcosa da leggere. C’è una storia che parla di Dio. Cioè il pericolo è di leggere l’Antico Testamento come una legge: è lecito, non è lecito. Invece, non è solo una legge, è una storia e una storia, come ogni storia, ha un principio e ha un compimento. Quindi l’Antico Testamento è qualcosa da leggere in modo simbolico ancora per noi oggi.
Quindi puoi prendere Davide come una figura morta e fossilizzata: è così ed ha fatto così, oppure prendere Davide come figura del Messia, di ciò che sempre si farà. Quando uno ha bisogno, quando uno ha fame ed è con gli altri, che cosa fa? Fa quello che fan tutti, mangia, cioè fa ciò che non è lecito secondo la legge, mangia i pani della Proposizione. Quindi già anche Davide avrebbe trasgredito. La trasgressione di Davide è figura della trasgressione che farà il Messia. Cioè cosa farà il Messia? Porterà Dio nell’umanità e l’umanità in Dio. Questo è il bisogno, è la fame profonda di Davide che è il prototipo del Messia e di tutti i suoi compagni, perché questa è la fame dell’uomo: la fame del sabato, la fame di Dio.
Però l’uomo chiaramente non può mai raggiungere Dio con nessuna legge. Solo con il figlio dell’uomo, con Gesù che è il Signore del sabato e che ci tocca come tocca il lebbroso e ci fa camminare e ci perdona come col paralitico e mangia con noi come con Levi, solo allora noi mangiamo di sabato, se no noi non mangeremmo mai di sabato, cioè vivremmo sempre nell’attesa che venga. Credo che la difficoltà ad entrare nella pienezza della vita nuova portata da Gesù sia proprio dovuta al fatto che anche senza saperlo ci si ferma all’Antico Testamento e si continuano a coltivare i segni quando è già avvenuto ciò che i segni prefiguravano. Quindi si assolutizza l’attesa e non si riconosce il compimento. Per questo Gesù all’inizio del Vangelo dice: “Il tempo è compiuto, convertitevi”. Perché l’accogliere il compimento vuol dire proprio superare questo ostacolo. Non irrigidirsi nell’osservanza di qualcosa che annunciava una realtà che adesso c’è, e allora, bisogna sapere fare il passo, accogliere ed entrare pienamente in questa vita nuova.
Provate a notare le parole che sono in questa reminiscenza. Si parla di Dio, di pani dell’offerta, di mangiare, di dare con quelli che sono con Lui. Sono tutte parole che usciranno nell’ultima cena quando si parla dell’Eucaristia dove Gesù dona a noi addirittura se stesso, la sua vita, il suo Spirito. Quindi in questa libertà che hanno i discepoli di mangiare di sabato le spighe, può sembrare una cosa banale, ma c’è sotto invece la capacità nella concretezza della vita di ogni giorno di vivere ormai la dimensione di Dio, cioè di vivere il sabato.
Per me è interessante che quella che può sembrare una semplice trasgressione, magari anche banale – mangiare un po’ di spighe di sabato cosa sarà mai, perdonali anche se non è lecito – ha invece un significato profondissimo. È la grande libertà che porta Dio a noi. Cioè ormai viviamo della libertà dei figli, ogni giorno. Ed è questa l’interpretazione che dà Gesù. Come Davide coi suoi compagni mangiò i pani riservati ai sacerdoti – i pani di Dio che stavano lì davanti all’Arca – così oggi, questi miei compagni, di sabato mangiano tranquillamente, che cosa? Quello che abbiamo visto la volta scorsa, il banchetto nuziale promesso da Isaia, l’unione dell’umanità con Dio: vivono la pienezza di vita anche nei gesti minimi.
Potremmo dire, usando un’espressione e rifacendoci ai fenomeni che osserviamo riguardo alla religione, che qui assistiamo ad un superamento della tentazione di un fondamentalismo, di una lettura fondamentalistica non dico della scrittura, ma dell’interpretazione fondamentalistica di una legge. Perché vediamo che gli estremismi in ogni religione, con la giustificazione di portare veramente l’uomo a Dio, di fatto lo separano. È questo che avviene qui: una regola fatta per mettere in comunione l’uomo con Dio di fatto diventa un ostacolo, di fatti questi sono gli effetti di non libertà, di oppressione e di non felicità che danno queste assolutizzazioni.
27E diceva loro: Il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato.
Fermiamoci su questo versetto. Dove il primo senso è che il sabato rappresenta la legge e la legge è per l’uomo, non l’uomo per la legge. Quindi è posto un principio di critica radicale ad ogni legge anche religiosa. Ogni legge vale nella misura in cui aiuta l’uomo a vivere. La legge è data per la vita, non per la morte. La legge non è fatta per punire nessuno, quindi è un ridimensionare la legge, cioè ogni legge è in funzione dell’uomo, non l’uomo in funzione della legge. Quindi è un principio di critica radicale a tutte le leggi. Questa è utile davvero all’uomo o non è utile? Qual è il principio della validità delle leggi? Non è il lecito o non è lecito. Cioè il valore della legge non è la legge, è se giova o no alla libertà dell’uomo, se fa crescere l’uomo nella sua verità. Quindi è il principio della libertà dalla legge ed è una cosa grossissima perché di solito uno ritiene il bene e il male nell’osservanza o meno della legge e invece no, il bene e il male sta nell’uomo se cresce nella sua libertà di amare oppure no. La legge deve servire a questo se non serve, è sbagliata. Quindi questo principio dichiara la libertà dalla legge, non il libertinismo del faccio ciò che voglio, ciò che mi pare e piace, ma il dare alla elegge la sua vera dimensione. La legge è in funzione dell’uomo, non l’uomo in funzione della legge.
Quindi tutte le forme di legalismo anche religioso sono contrarie a questo principio: questa è la religione della libertà dei figli. Le leggi ci sono, ma perché? Perché servono all’uomo. Cioè la legge di tenere la destra in Italia è utile, se tieni la sinistra vai contro gli altri che vengono, quindi è utile osservarla. Dopo c’è sotto un senso anche più profondo sul quale si può tornare, perché la libertà della legge in fondo ce lo ha chi sa amare, fino a quando non sappiamo amare siamo schiavi giustamente della legge, perché la legge mi dice che se fai così sbagli, quindi mi denuncia l’errore ed è un’azione positiva. Come nell’educazione ha funzione positiva, fa scontrare con la realtà. Anche la legge di gravità, per cui non ti puoi buttare dall’ultimo piano perché se no ti fai male, è importante saperla. La legge rappresenta il principio di realtà, quindi è utile nell’educazione.
Poi, invece, per quella che è non più la legge come principio di realtà che mi pone il limite, ma come vivere positivamente i miei limiti nell’amore e nello sviluppo, qui non c’è legge che tenga. È proprio l’intuito dell’amore nella libertà ed è l’uomo adulto. Questo è il primo senso sul quale magari torniamo ancora. Poi c’è il secondo: il sabato rappresenta anche Dio. Allora proviamo a tradurre: Dio è fatto per l’uomo e non l’uomo per Dio. In tutte le religioni si sacrifica l’uomo a Dio, l’uomo è osservante, è zelante. Nel cristianesimo invece è Dio che fa così con l’uomo, va incontro all’uomo, si sacrifica per l’uomo, dà la vita per l’uomo. Dio è per l’uomo. È Dio che serve l’uomo non è l’uomo che serve Dio, Lui per primo ci ha serviti e amati. Quindi rappresenta in fondo la libertà davanti a Dio. Paradossalmente, intendiamo bene, è meglio uno che bestemmia e che è un peccatore, piuttosto che uno che è osservante per paura di Dio. Perché l’osservante per paura di Dio dice “Dio è cattivo e mi punisce” . L’altro che trasgredisce implicitamente dice “Dio mi ha fatto per la libertà, quindi mi capirà”. È la parabola del fratello maggiore, non la sto inventando io, lo ha detta Gesù! Quella dei due fratelli, del minore e del maggiore. Cioè è più vicino alla verità quello che sbaglia non perché sia giusto l’errore, ma perché ha capito la libertà, quindi di essere figlio, rispetto a quello che è schiavo e suddito della legge e non capisce di essere figlio. Non perché sia sbagliato far bene: è giusto far bene, è sbagliato l’atteggiamento moralistico, cioè della paura di Dio.
Questo fa la differenza radicale come abbiamo già detto varie volte tra cristianesimo e le varie religioni. Nelle varie religioni si presenta Dio come punto d’arrivo di una grande ascesi. Se uno osserva bene le leggi e fa il bravo, è un uomo di Dio, è figlio di Dio. Il cristianesimo rappresenta invece esattamente un Dio che viene incontro all’uomo, così com’è, non l’uomo incontro a Dio. Dio che serve l’uomo, non l’uomo che serve Dio. Non c’è nessun sacrificio nel cristianesimo; tutte le religioni hanno sacrifici a Dio, nel cristianesimo l’unico sacrificio è la Messa che è il sacrificio di Dio all’uomo. È Lui che dona se stesso a noi. Non è l’uomo che deve amare Dio, paradossalmente, è Dio che deve amare l’uomo. Tant’è vero che quando si usa la parola “deve” nel Nuovo Testamento si intende sempre il dovere che ha Dio di cercare l’uomo per dare la vita per lui se necessario. Perché è il dovere del genitore di amare.
Come vedete allora con questa semplice affermazione “il sabato è fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato” Gesù capovolge tutta la forma di religiosità che è propria di tutte le religioni e, invece della legge, pone la libertà di chi ha creduto all’amore di Dio. Allora puoi cogliere il grano a camminare, puoi magiare di sabato, mangiare di Dio e camminare da figlio di Dio, se no sei sempre schiavo del “è lecito, non è lecito”, sei sempre fatto per il sabato e per la gioia ma la gioia non è mai per te. Sei sempre fatto per Dio, ma Dio non è per te, cioè ti escludi sempre. No, è Dio che è per te, non tu per Lui. Quindi, è grandissima questa semplice affermazione. Poi si dice il perché di questo.
28E così Signore è il Figlio dell’uomo anche del sabato.
Il sabato è il giorno di Dio, è il giorno del Signore e Gesù qui si proclama Signore del sabato. Chi è allora Gesù? Quest’Uomo, questo Figlio dell’Uomo? È il Signore del sabato. Siccome il Signore del sabato si è fatto uomo, ha toccato il lebbroso, ha perdonato il peccatore, mangia con i peccatori, sta con noi, siccome questo Figlio dell’Uomo che è il Signore del sabato sta con noi, allora il sabato è per noi, allora Dio è per noi, non possiamo più dubitarne. In questo Uomo che è il Signore del sabato, cioè che è Dio, noi vediamo come Dio ci viene incontro. Ci viene incontro come al lebbroso, come al paralitico ci fa camminare, come a Levi ci chiama, come agli altri peccatori con lui mangia insieme e con loro celebra le nozze. Perché c’è questo Figlio dell’Uomo con noi, allora comprendiamo che Dio è per noi, il sabato è per noi e noi possiamo ormai vivere la pienezza della vita divina, noi peccatori oggi. Per cui viviamo ormai sempre di sabato, sempre di festa. C’è un detto antico attribuito a Gesù che dice “bisogna sabatizzare ogni giorno”, cioè far festa ogni giorno ormai, perché lui è sempre presente.
Nel brano parallelo di Luca c’è un codice antico che continua il racconto: “E Gesù camminando vide un uomo che lavorava il giorno di sabato e gli disse: – Se sai quello che fai, beato te, se no, sei un semplice maledetto e trasgressore della legge -“. È molto chiaro, se sai quello che fai, beato te – sei libero – , se no sei semplicemente un maledetto trasgressore che lavora anche di festa. Come vedete il brano con immagini molto semplici, ma molto evocative – questo sabato che è la festa, è la gioia, questi campi seminati con la gioia del frutto della terra, camminare sui campi, mangiare le spighe e i farisei dietro “Non è lecito” – e Gesù che dice : “Certo che non è lecito, anche Davide fece ciò che non è lecito” e fa ciò che non è lecito perché c’è qualcos’altro di diverso tra ciò che è lecito e l’illecito. C’è che il sabato, Dio e ogni legge è ormai fatta per l’uomo, perché il Figlio dell’Uomo è con voi e Dio stesso è per voi. Allora il problema non è lecito o non lecito, il problema è vivi e non vivi di questo amore? di questo mondo? di questa libertà? È questa la nuova legge: vivi di sabato, cioè vivi della festa, della gioia di Dio? Oppure sei ancora lì a vedere è lecito, non è lecito? Cioè ancora schiavo della legge? Oppure vivi la nuova economia della libertà, di uno che sa amare perché è amato, quindi mangia di sabato.
Questo brano è un invito ad entrare in modo più pieno nel sabato, nella gioia di Dio. Perché? Perché ormai quest’Uomo è il Signore stesso del sabato, quello che sta con noi, che ci perdona, ci tocca e ci chiama. Come vedete Gesù è venuto a dare un’immagine nuova di Dio. Un’immagine molto umana, che – se volete – risponde anche al desiderio più profondo dell’uomo, di vivere di Dio. Però che contraddice tutta una forma di religiosità che si basa sulla distinzione tra uomo e Dio, sulla legge, sulle norme, non sulla comunione di vita tra l’uomo e Dio. Questo brano, invece, parla della comunione di vita: mangiare di sabato è questo, comunione di vita con Dio da vivere qui è ora, per cui non siamo persone che stanno in attesa di un futuro in cui se facciamo i bravi Dio ci concederà qualche cosa, siamo persone che nel presente vivono nella gioia di Dio che si dona, che ci perdona dove sbagliamo e nella gioia di poter vivere la libertà dell’amore verso di Lui e verso gli altri – questo è il senso del pane, cioè di una vita vivibile.
Marco 3,1-6
Tendi la mano
Il sabato è per l’uomo significa che Dio è tutto per l’uomo. Egli ci offre il suo “pane”, la sua vita: se stesso. È Gesù il campo di grano che mangiamo! Dio, lo Sposo, ci offre di vivere di lui, del suo amore. Di più non può darci. Solo ci apre la mano, per accoglierlo e donarlo. Cosa vuol dire che il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato? Che “pane” mangiamo noi cristiani? Che cosa è per me la mano chiusa e il cuore indurito? Perché aprirci il cuore e la mano costa la vita a Gesù?
“Tendi la mano”. Qui punta tutta l’azione di Gesù: guarirci la mano, chiusa nel possesso e stecchita nella morte, perché accolga il dono del sabato. Questo miracolo, dice Gesù, è questione di vita o di morte. Se lo fa, ci salva; se non lo fa, è come ucciderci, perché ci lascia nella nostra morte. Non basta che lui ci faccia il dono; ci deve dare anche la mano per prenderlo. Diversamente cade a terra. Tutto ciò che finora ha fatto, e che culmina nel cibo sabatico, immagine della vita divina, Gesù lo vuol donare a me personalmente. Guarisce quindi la mia mano, perché la tenda, libera il mio desiderio, perché si protenda al suo dono. “Apri la tua bocca: la voglio riempire” (Sal 8 1,11).
È il miracolo più difficile di Gesù: gli costerà la vita. Infatti subito dopo il potere religioso si allea con quello civile per eliminarlo. Ma la sua croce sarà insieme il più grande male e il massimo bene: smaschererà satana e il male che ci fa impedendoci questo desiderio, e insieme rivelerà Dio e il bene che ci vuole, capace di intenerire anche il cuore più indurito. Le sue mani inchiodate scioglieranno la nostra mano rigida. Si profila all’orizzonte l’albero dal quale penderà quel frutto verso cui possiamo e dobbiamo tendere la mano, per diventare come Dio.
Questo racconto chiude una tappa del vangelo, in cui Gesù ci ha rivelato chi è lui in ciò che fa per noi. Segna anche una svolta decisiva nella sua vita: sarà costretto a “ritirarsi” definitivamente “presso il mare” (v. 7). Lì, con la potenza della sua parola, Inizierà il nuovo esodo (c. 4). Libererà il popolo dalla schiavitù del male, della malattia e della morte (c.5) e lo convocherà nel deserto, dove lo nutrirà con la sua manna (cc. 6-8).Sono i sacramenti fondamentali della Chiesa: l’annuncio, il battesimo e l’eucaristia, che sono rispettivamente la chiamata alla vita nuova, il dono e lo sviluppo di essa.
Gesù completa la sua rivelazione: colui che vuol mondarci dalla lebbra è il Figlio dell’uomo che perdona e dà piedi per seguirlo, mangia coi peccatori e si proclama medico e sposo, fa il dono del sabato e guarisce la mano per riceverlo. È lo stesso che finirà in croce portando su di sé la nostra lebbra, il nostro peccato, la nostra paralisi, il nostro digiuno, il nostro silenzio, la nostra durezza di cuore. In cambio dei bene che ci dà, avrà tutto il male che ci spetta.
Discepolo è colui al quale il Signore apre il cuore e la mano, per desiderare quanto lui è venuto a dare. L’uomo, fatto per amare, è di sua natura desiderio. Gli manca sempre l’essenziale, l’infinito di cui è bisogno. Tutto quanto produce non lo riempie: è inferiore a lui. Fatto per l’altro, non può produrlo, ma solo accoglierlo. Il desiderio non fa nulla; eppure tutto accoglie, ed è capace di tutto, anche di Dio. Questi, che non è raggiunto da nessuna nostra azione, è attratto dal nostro vuoto.
Togliere all’uomo il desiderio, è togliere all’uccello un’ala: invece di spiccare il volo, gira goffamente su se stesso.
(Silvano Fausti, Commento al Vangelo di Marco)
Marco 3, 7-12
Una barca piccola per non essere schiacciati dalla folla
Le crisi sono un momento di crescita. Dopo la decisione di uccidere Gesù nasce la Chiesa: è una piccola barca, dove il Signore non è schiacciato, ma accolto.
7 E Gesù con i suoi discepoli si ritirò verso il mare; e una grande moltitudine lo seguì dalla Galilea 8 e dalla Giudea e da Gerusalemme e dall’Idumea e da oltre il Giordano e dai dintorni di Tiro e Sidone; una moltitudine grande, ascoltato quanto faceva, venne a lui. 9 E disse ai suoi discepoli di mantenergli una barchetta a causa della folla, perché non lo schiacciassero. 10Infatti aveva curato molti, così che gli cadevano addosso per toccarlo quanti avevano piaghe. 11E gli spiriti immondi, quando lo vedevano, gli cadevano davanti e gridavano dicendo: Tu sei il Figlio di Dio. 12E li minacciava molto, perché non lo facessero manifesto.
Questo brano non fa un racconto specifico come i brani precedenti che abbiamo fatto finora; è un brano redazionale, cioè cuce insieme i vari elementi e serve per passare dalla sezione che abbiamo appena finito sulla polemica contro la legge alla sezione successiva. Questi brani redazionali sono importanti perché come nei giornali la colonna di redazione è quella che dà il tono a tutto il resto, così l’evangelista, quando deve fare un brano redazionale non deve raccontare un fatto specifico; racconta tanti fatti, allora l’importante è il perché racconta tanti fatti e il perché li mette lì. Cioè praticamente questi episodi sono un po’ come la chiave interpretativa del redattore che ci fa capire cosa pensava lui, ed è interessantissimo sapere qual era la fede dell’evangelista e lui lo dice apposta per suggerirci come leggere il testo. Quindi questo brano redazionale è proprio il punto dove l’evangelista gioca a carte scoperte sulla sua teologia, sulla sua fede, si manifesta.
Di fatti questo brano vuol significare molte cose e il significato del brano redazionale lo si capisce soprattutto da quel che precede e da quel che segue. Precede questo brano la decisione di uccidere Gesù, cioè la sua morte. Segue subito dopo la costituzione dei dodici, della chiesa, allora questo brano segna il passaggio tra Gesù e la chiesa, tra lui e noi. E come è stato lui, siamo anche noi e allora si tirano fuori le caratteristiche fondamentali della chiesa attraverso dei piccoli episodi che qui vengono narrati. E in concreto i versetti 7 e 8 ci fanno vedere l’inizio della chiesa, tutta questa gente che viene addosso a Gesù. Al versetto 9 cos’è la chiesa: è una piccola barca per non essere schiacciato. Al versetto 10 chi c’è all’interno della chiesa? Tutta questa moltitudine che vuol toccarlo per essere guarita, la chiesa è fatta di gente ferita, nei suoi limiti, che vuol toccare, entrare in comunione. E dall’altra parte ci sono i demoni che sanno tutto e vorrebbero annunciare chi è Gesù, ma Gesù lo proibisce perché il problema non è saper tutto, il problema è toccarlo.Vediamo per ordine i vari elementi.
7 E Gesù con i suoi discepoli si ritirò verso il mare; e una grande moltitudine lo seguì dalla Galilea Gesù con i suoi discepoli.
Questa frase l’abbiamo sentita infinite volte nel Vangelo, è una della frasi più usuali: è Gesù con i suoi discepoli. Ecco, in realtà questa frase molto usuale è densa di significati. Chi è Gesù? È quello che sta “con” i suoi discepoli, questo “con” è il complemento di compagnia: è uno che sta in compagnia. In compagnia di chi? Di quelli che imparano da lui a vivere da figli e da fratelli. Questa è già la chiesa. Che cos’è la chiesa? È la comunità di quelli che stanno con Gesù, Gesù è Dio con noi. Essere in compagnia di Gesù è il senso della vita. Lui è Dio, è il Signore, essere con lui vuol dire aver raggiunto il senso della vita. È la prima qualifica della chiesa e la chiesa nasce stranamente da Gesù che si ritira, la parola “ritirarsi” in greco vuol dire anacoreta, è il ritiro definitivo. D’ora in poi Gesù non apparirà più in pubblico, cioè apparirà ma di traverso. Praticamente ormai tutta la sua vita sarà un nascondersi; fino a metà Vangelo lui si ritira, fino a Cesarea di Filippi che è all’estero, molto lontano; lì si manifesta ai suoi discepoli poi comincia il cammino verso Gerusalemme dove si manifesta sei giorni e al sesto lo uccidono. Quindi la sua vita è tutta un ritirarsi.
Ora questa strategia di Gesù che si ritira coi suoi discepoli è interessante: perché si ritira? Hanno deciso di ucciderlo; quindi è una misura anche prudenziale, non è bene star lì se ti vogliono ammazzare. Però sotto c’è qualcosa di interessante: cioè il fatto che lui si ritiri non è il fallimento di tutto, come il fatto che lo vogliano ammazzare non è il fallimento. Cioè quando uno fa il bene sperimenta le difficoltà ma non è il fallimento; è nel fare il bene che hai difficoltà, nel fare il male non ce ne sono poi tante. Così anche Gesù, come abbiamo visto, ha voluto dare la libertà all’uomo. È perché vuole dare la libertà che lo vogliono uccidere. Non è che la sua uccisione, il suo doversi ritirare per non essere ucciso sia un fallimento, no. Di fatti la chiesa nasce da questo ritiro, in pratica tutti accorrono a lui.
Il mare ricorda sempre il passaggio del Mare Rosso, il mare per eccellenza, cioè il mare del passaggio verso la libertà. Ora, se ricordate, anche Mosè cercò di liberare il suo popolo uccidendo l’egiziano che si era azzuffato con un suo fratello ebreo; questo però fu un fallimento, questa non era la strada e allora dovette passare molto tempo e poi Mosè liberò il popolo sulla parola del Signore e con la fede in questa parola. Anche Gesù ci vuole ricordare che lui minacciato di morte non si è messo ad organizzare degli attentati per poterla spuntare, ma ecco che si allontana e viene a lui tutta questa gente. Ed è ancora interessante il fatto che il suo sembrare sconfitto, il suo dover ritirarsi, in realtà è una vittoria. Mentre Lui si ritira, tutti vanno da Lui. Quindi quello che sembra il suo fallimento è il grande successo. E mentre era lì, aveva fatto qualcosa; adesso che va via, tutti vanno da Lui. Questo vuol dire che l’efficacia del bene è un’efficacia strana. Il bene vince proprio quando sembra che perda, anche quando sembra che sia sconfitto. Anzi il bene passa attraverso forme di sconfitta, si scontra con il male e non usa le stesse armi, ma questo anche all’interno di noi.
Cioè il bene ci sembra spesso perdente; in me la cattiveria vince subito, è il bene che è perdente. Eppure questo bene pur essendo perdente sotto molti aspetti, in realtà è qualcosa di grande, perché non perde mai. È efficacissimo, anche quando perde, tutti accorrono da Lui, ha vinto. È un grande mistero da capire nella vita. È la stessa presenza del bene che sembra suscitare la reazione malvagia che è questa lotta tra qualcosa che si vorrebbe ma non si riesce a raggiungere e si ricade nel negativo, come vediamo con gli indemoniati che quando Gesù appare, accorrono da Lui, si gettano ai suoi piedi, gridando di non tormentarli.
8e dalla Giudea e da Gerusalemme e dall’Idumea e da oltre il Giordano e dai dintorni di Tiro e Sidone; una moltitudine grande, ascoltato quanto faceva, venne a lui.
Qui esce una grande moltitudine che viene dai quattro punti cardinali, questa moltitudine che accorre a Lui che si ritira, rappresenta la chiesa. La chiesa è fatta da quella moltitudine dai quattro punti cardinali che sono tutti i popoli, stranieri e pagani, che accorrono a Lui che si è ritirato. Gesù si è ormai ritirato dalla mentalità di questo mondo, perché usa una mentalità diversa, la mentalità della libertà, dell’amore. Tutti accorrono a Lui, la chiesa è fatta da quelle persone che seguono il Gesù di quel tipo lì, uscendo. È un nuovo esodo. Perché lo seguono? Perché hanno ascoltato quanto faceva. Anche noi abbiamo ascoltato e siamo invitati ad accorre a Lui.
Praticamente questi due versetti ci danno l’immagine della chiesa, di Gesù che sta con i discepoli, sta facendo un altro cammino rispetto a quello del mondo. Si ritira dai criteri mondani e tutti accorrono a Lui e lo seguono, ascoltano e questo modo di fare interessa anche a loro. Quindi, il suo fallimento, il suo doversi ritirare, in realtà è la vittoria, tutti vanno a Lui e così va bene; questa è la prima caratteristica. È bello vedere come è feconda la sua sconfitta. Cioè mentre si deve ritirare, guarda cosa capita!
Sperimenterete tante volte nella vita quanto siano feconde anche le sconfitte, se sono giuste, se no saranno feconde in altro modo, se le prenderemo bene e le renderemo feconde; ma non c’è mai una parola definitiva di male che vinca. Addirittura come vedete, la chiesa nasce dal male, cioè dalla sconfitta di Cristo. Così probabilmente le cose più profonde in noi escono da quelle che noi chiamiamo le nostre sconfitte, dai limiti, dalle difficoltà, non c’è nulla da scartare in noi.
9 E disse ai suoi discepoli di mantenergli una barchetta a causa della folla, perché non lo schiacciassero. 10Infatti aveva curato molti, così che gli cadevano addosso per toccarlo quanti avevano piaghe. 11E gli spiriti immondi, quando lo vedevano, gli cadevano davanti e gridavano dicendo: Tu sei il Figlio di Dio. 12E li minacciava molto, perché non lo facessero manifesto.
Ecco, la barca diventerà d’ora in poi simbolo della chiesa. La barca è un piccolo pezzo di legno che è sospeso tra abisso e cielo, che galleggia sopra l’abisso, cioè non è travolto dall’abisso e dalla morte e che serve per compiere la traversata. Ecco la chiesa in fondo è questa comunità in esodo, in cammino, sospesa tra cielo e abisso, non siamo ancora nè su, nè giù, col pericolo sempre d’andare giù, però si sta su. È di legno come la Croce di Cristo. Sulla barca si sta insieme, nessuno va fuori a passeggio, se non ogni tanto Uno risorto. È il segno della comunità. È il segno della comunità ed ha una caratteristica: è piccola; ha le caratteristiche della piccolezza. Anche se nella chiesa siamo un miliardo o due o tre, la chiesa è sempre piccola; è sempre la persona che ti è vicina ed è tuo fratello, non è mai qualcosa di grande anche se è universale. L’universale vive nel concreto, nel piccolo, nel familiare, nel domestico, nella relazione.
Su questa barca i suoi discepoli vivranno due momenti in cui dimostreranno la loro incapacità di capire la presenza del Signore. Addirittura, in questa barca, che pur è così piccola, sembrerà che Lui non ci sia. Vuol dire che si fa fatica a concepire la piccolezza di questa comunità, di questa chiesa, si vorrebbe che ci fosse una visibilità, un riconoscimento, una capacità di incidere con mezzi umani. Allora ogni volta che si fa così di fronte alle difficoltà e alle tempeste, agli spiriti contrari, siccome non si vorrebbe accettare la piccolezza e nemmeno il nascondimento, Gesù sparisce, non c’è più perché non è questo il suo stile. Quindi, questa barca non è un transatlantico, è una barchetta che avrà sempre queste caratteristiche di piccolezza, di fragilità, di debolezza, di non potere, come appunto Cristo da cui nasce. E quando per caso questa chiesa ha i caratteri di grandezza e di transatlantico andrà un po’ a fondo, fino a quando diventa piccola, allora le scialuppe stanno su. Perché ciò che tien su è la piccolezza, perché Dio è piccolo, perché Dio è amore e l’amore è piccolo, non è il potere che schiaccia. E la chiesa ha le stesse caratteristiche; i periodi migliori della chiesa sono sempre quando è piccola, non quando è forte.
Ricordo a proposito un episodio: in un convegno sulla chiesa in Asia, un vescovo del Laos raccontava che era stato cacciato e poi raccontava cosa avevano fatto le comunità dopo che non avevano avuto più né vescovi, né preti, ma erano solo dei fedeli che si trovavano a pregare. Non erano affatto diminuiti, anzi erano ancora di più di quando c’era tutto l’apparato. Un altro vescovo ha raccontato del Vietnam e così via. A un certo punto un monsignore italiano disse che anche in Italia ci sarebbe voluta un po’ di persecuzione, visto il diminuire dei fedeli.
E in questa chiesa c’è una caratteristica: Gesù la vuole perché le folle non lo schiacciano; esce un tema che poi tornerà di nuovo. Gesù può essere toccato o schiacciato, come ogni persona. Noi quando siamo costretti al contatto con gli altri, ci si tocca, siamo vicini e i modi di esseri vicini sono due: o ci si schiaccia, ci si prende e ci si possiede, oppure ci tocchiamo, allora è comunione, scambio di energie, di amore, di dono reciproco. Sono due modi opposti; la chiesa è il luogo dove Lui è toccato e non schiacciato, verrà fuori al capitolo 5 dove una donna dice “se lo tocco” e Lui domanda “chi mi ha toccato?” E gli apostoli “ma ti toccano tutti …”. “No, tutti mi schiacciano, una sola mi ha toccato”. È diverso. Tante volte questo impulso di toccare c’è, perché alla persona che si vede e si ritiene piena di potenza, piena di forza e di energia, si vorrebbe prendere un poco di questa forza. Invece il contatto che sana e che è comunione, avviene a partire dalla debolezza, non in un desiderio di appropriarsi di una potenza, ma manifestando il proprio limite. Gesù tocca i malati, la donna quando lo tocca con fede per essere guarita, avviene una profonda comunione. Questo toccare, lo vedremo meglio al capitolo 5, è il senso della fede. La fede è toccare Lui, o meglio essere toccati.
Noi comprendiamo bene cosa voglia dire toccare ed essere toccati. Certe cose non mi toccano, certe cose non le tocchiamo. Una cosa è quando ci tocca, la sentiamo ed è vera per noi, allora l’abbiamo dentro. Uno può dirmi cose infinite che non mi toccano, uno può esistere e schiacciarmi, ma non mi tocca, non mi tange. Invece c’è qualcosa che mi tocca. È questo toccare interiore che è la forma fondamentale di conoscenza e di amore. Il contrario è schiacciare e non ci sono molte alternative. Le persone o le schiacciamo o le tocchiamo e viceversa, ci schiacciano o ci toccano. Su questo tema usciremo dopo ancora, le prossime volte, comunque la chiesa è una piccola barca, dove non si è schiacciati, ma toccati. E adesso si dice che composizione di persone c’è.
10Infatti aveva curato molti, così che gli cadevano addosso per toccarlo quanti avevano piaghe.
Gesù “aveva curato”, la chiesa è fatta da coloro che lui ha già curato. È importante la parola “curare”, è la parola “terapeo” vuol dire rispettare, venerare; le persone che lui ha rispettato e venerato. La vera terapia è il rispetto della persona. Uno che si sente rispettato, venerato, amato è curato dal suo male radicale che è il disprezzo di sé e, quindi, degli altri, ed è qui il principio di ogni guarigione. Quella stima che abilita l’altro ad essere se stesso, figlio di Dio. Facciamo sempre il male per disistima nostra e altrui. Quello che sperimentavano tutti in Gesù è la stima. Ci ha stimato tanto da dare la vita per noi quando l’abbiamo messo in Croce! La cosa difficile da avere è la stima di sé e dell’altro; ed è la cosa più divina. Dio stima molto l’uomo. Nel primo libro della Bibbia, la Genesi, al capitolo 1 nella creazione si dice sempre di ogni cosa che Dio “vide che era buona”. Quand’ero piccolo mi chiedevo sempre cosa Dio avrebbe detto quando fosse arrivato all’uomo. Per l’uomo si dice “vide che era molto buono”. C’è questa stima, nonostante sapesse già cosa avrebbe fatto: l’avrebbe messo in Croce, eppure “molto buono”. Deve vedere molto in profondità Dio!
Mentre noi facciamo consistere la nostra stima in tante cose stupide, per questo ci disprezziamo noi stessi e gli altri, non rispettando la nostra verità che è sublime: siamo figli di Dio. Il mistero dell’uomo è grandissimo, è divino. Uno che capisce questo di sé e degli altri – chi lo capisce di sé lo capisce anche degli altri – davvero ha stima. Sant’Ignazio dice “se giuri – non bisogna mai giurare – ma se giuri, non giurare mai per l’uomo perché rischi di sbagliare perché non hai la stima sufficiente”.
Quindi, molti ne aveva curati e gli altri “gli cadono addosso”. È interessante, perché noi lo tocchiamo, entriamo in comunione con lui – “quanti avevano piaghe”- cioè proprio nel nostro limite, nelle nostre ferite entriamo in comunione con lui, non nella nostra bravura. Prima si parlava della stima. Mi viene in mente che giustamente molte persone vanno dallo psicologo e da tanti terapeuti perché ormai si è capito che il punto è quello; ma poi bisogna scoprire come possa fare uno a stimarsi, perché se proprio non trova niente di buono in lui, siamo al punto di partenza.
Qui vediamo che addirittura questa ritrovata stima di sé, questa ritrovata dignità parte proprio dalla debolezza, dal limite. Non è andare a cercare chissà quale piccolo bagliore se non il fatto che ci viene offerta la vita stessa di Dio. E questi che lo riconoscono, vanno per restare in comunione con lui. È interessante che lo toccavano quanti avevano piaghe. Le nostre piaghe, le nostre ferite sono un luogo che in genere nascondiamo, dal quale ci difendiamo, in cui ci induriamo, litighiamo con gli altri. Normalmente se di una persona qualcosa mi dà fastidio è perché ce l’ho anch’io e, quindi, mi dà molto fastidio! Se questo male invece di essere il luogo della divisione, diventa il luogo della comunione è diverso e per sé è così, perché è nel mio limite che ho bisogno dell’altro, è lì che entro in contatto con l’altro, è lì dove l’altro mi può accettare e viceversa. Quindi i nostri limiti, i nostri peccati, i nostri difetti, non sono quelle cose che purtroppo ci sono e allora speriamo che Dio chiuda un occhio e andiamo avanti. No! Ci sono, grazie a Dio.
Come appunto nel moto l’attrito è importante, se non ci fosse attrito non ci si muoverebbe, si girerebbe a vuoto, così questi attriti, queste cose che non vanno, sono utilissimi, ci fanno andare avanti e ci allargano sulla realtà, creano contatto con gli altri, ci permettono di vivere la misericordia, l’accettazione, ci permettono di ridimensionarci, di capire che il nostro vero valore non è l’avere più o meno una cosa o un’altra. Ma il valore è più profondo: è che siamo figli e fratelli. Non sono “più bravo” perché faccio “più cose”. Il mio essere bravo è che sono figlio di Dio e fratello degli altri. I miei limiti me lo evidenziano di più perché l’altro mi accetta e viceversa. Solo Dio è senza limite e si è fatto il più piccolo di tutti per essere accettato e noi nei nostri limiti dobbiamo imparare ad accettarci: il divino è l’accettazione, per cui il limite mi permette l’accettazione e ci fa stare insieme. Per questo allora lo toccano.
11E gli spiriti immondi, quando lo vedevano, gli cadevano
Ci sono i malati che gli cadono addosso e lo toccano, mentre gli spiriti immondi gli cadono davanti, non lo toccano, ma lo conoscono e dicono “Tu sei il Figlio di Dio”. Mi sembra che molto spesso siamo così anche noi, non lo tocchiamo, ma lo conosciamo, sappiamo chi è ma non lo tocchiamo. Invece il problema non è sapere chi è, ma toccare. C’è una conoscenza che non è comunione che non fa bene, fa solo male: è la conoscenza di distacco: “so chi sei e mi difendo da te”. Quindi c’è tante volte un modo demoniaco di conoscere Dio che è quello di sapere chi è per difenderci; il problema non è sapere chi è lui, ma sapere chi siamo noi e, invece di difenderci, toccarlo. Tra l’altro gli unici a sapere chi sia Gesù nel Vangelo sono i demoni – spero che chi spiega la scrittura non rientri tra questi! Me c’è il pericolo di non toccarlo. Ed è interessante la risposta che dà Gesù perché ci mette da un punto di vista nuovo. Appunto a questo grido Gesù risponde:
12 E li minacciava molto, perché non lo facessero manifesto.
Gesù non vuole che i demoni gli facciamo propaganda. Lo conoscono, conoscono che lui è Dio, che lui è grande e proclamano la sua grandezza. Gesù non vuole che sia riconosciuta la sua grandezza, la sua divinità. Strano! Ma non è venuto per questo? Sì, lui è venuto per farsi riconoscere, ma per farsi riconoscere come Dio e Dio lo si conosce solo dalla Croce, quando lui stesso sarà ferito e debole come tutti noi. Allora lì ci si rivela come Dio: uno vicino a noi, allora riconosciamo chi è lui e ogni conoscenza che voglia evitare la debolezza di Dio, è diabolica perché rifiuta Dio. Perché Dio è debole perché è amore a l’amore si fa debole. Quindi non solo noi tocchiamo lui nella nostra debolezza, ma anche lui ci tocca nella sua debolezza con la Croce. Ed è sulla Croce che si può dire che è Dio; per la prima volta sarà riconosciuto come Dio, da un uomo, sulla Croce; i demoni sempre prima, lo fanno apposta prima per rivelarne la gloria in modo che non finisca male, perché prenda il potere come l’avevano tentato, così che diventi un Dio diabolico; invece lui è Dio vicino alle nostre ferite, vicino a noi in tutti i modi e la Croce è la vicinanza a tutti i maledetti della terra, peggio di così non c’è nessuno, ecco che lì si rivela Dio.
Come vedete allora, questo brano molto semplice e redazionale è ricchissimo di temi teologici: il primo è il tema stesso della chiesa. La comunità cristiana, la comunità dei fratelli nasce dalla debolezza di Cristo: hanno deciso di ucciderlo. Però proprio questo ritirarsi diventa un esodo per tutti, tutti vanno da lui. Questa è la prima caratteristica della chiesa, della comunità. La seconda caratteristica che è una piccola barca che ha sempre le caratteristiche della debolezza, dove, però, è toccato e non schiacciato. Di questa comunità che lo tocca fanno parte tutti coloro che hanno avuto la cura, il rispetto di Dio e tutti quanti desiderano averlo. E ci sono dall’altra parte, invece, i demoni che lo conoscono, ma non vogliono accettare il limite e la debolezza, né propria, né sua.
Marco 3, 20-35
Chi sono mia madre e i miei fratelli?
I nemici di Gesù pensano male di lui, per non convertirsi. Ma anche noi, che siamo suoi amici, dobbiamo convertirci: pensiamo che sia “pazzo” fare quello che dice. Fa parte della sua famiglia solo chi, ascoltandolo, fa quello che lui dice. La casa è simbolo della chiesa: cosa devono fare, anche i suoi parenti, per entrare? Perché facendo la volontà di Dio, diventiamo madre di Gesù e suoi fratelli?
20E viene in casa e si raduna di nuovo la folla così che essi non possono neppure mangiar pane. 21E, avendo udito, suoi andarono fuori per impadronirsi di lui, poiché dicevano: È fuori di sé! 22 E gli scribi, scesi da Gerusalemme, dicevano: Ha Beelzebul, e: In forza del principe dei demoni scaccia i demoni. 23E, chiamatili appresso, diceva loro in parabole: Come può satana scacciare satana? 24 Se un regno è diviso contro se stesso, non può reggersi quel regno; 25e se una casa è divisa contro se stessa, quella casa non potrà reggersi. 26E se il satana è insorto contro se stesso ed è diviso, non può reggersi, ma è alla fine. 27Ma non può nessuno entrare nella casa del forte e saccheggiare i suoi beni, se prima non ha legato il forte, e allora saccheggerà la sua casa. 28Amen, vi dico:Saranno rimessi ai figli degli uomini tutti i peccati e le bestemmie, quante ne bestemmieranno. 29Ma chi bestemmi contro lo Spirito Santo non ha remissione in eterno, ma è reo di peccato eterno. 30Poiché dicevano: Ha uno spirito immondo. 31E viene sua madre e i suoi fratelli, e, stando fuori, mandarono da lui a chiamarlo. 32E sedeva attorno a lui una folla e gli dicono: Ecco la tua madre e i tuoi fratelli (e le tue sorelle) di fuori ti cercano. 33E, rispondendo loro, dice: Chi è la mia madre e i (miei) fratelli? 34E, guardato intorno quelli seduti in cerchio intorno a lui, dice: Ecco la mia madre e i miei fratelli: 35chi fa la volontà di Dio questi è mio fratello e sorella e madre.
Questo brano ci dice appunto come si fa a far parte della famiglia di Gesù. Tutto il capitolo terzo è un capitolo di crisi e si chiama la “crisi galilaica”. Gesù dopo aver fatto le cose buone che ha fatto, con tutti i miracoli – ha annunciato il Regno, lo realizza, e l’ultimo miracolo è quello di aprire la mano per accogliere il dono di Dio – comincia ad aver contro tutti. . I farisei decidono di ucciderlo e sono le persone religiose. . Gli erodiani – sono quelli che hanno il potere – si mettono d’accordo coi farisei per ucciderlo. Gli scribi – sono quelli che capiscono, i teologi – cosa dicono? È indemoniato. . I suoi – che gli vogliono bene – cosa dicono? È scemo! Non gli va particolarmente bene! È la situazione di crisi.È utile saperlo, perché noi siamo abituati a vedere che va di gloria in gloria e invece tutti sono contro. Fin che sono i farisei, possiamo dire: sappiamo chi sono i farisei e gli scribi e gli erodiani … ma anche i suoi. E in questa crisi, lentamente, abbiamo visto, nasce la Chiesa. Gesù si fa tenere a disposizione una piccola barca per non essere schiacciato, questa piccola barca è la comunità sono i Dodici che Lui chiama per essere con Lui.
E adesso questo brano ci dice come facciamo ad essere con Lui. E ce lo dice in due modi: anzitutto come non si è con Lui. Non sono con Lui i suoi. E per essere con Lui, non basta sapere come gli scribi e i teologi che sanno tutto, non basta neanche volergli bene come i suoi che certamente gli vogliono bene, lo capiscono, ci vuole qualcos’altro: bisogna ascoltarlo. Questo brano è importante perché ci fa vedere come nella casa – ormai sta nascendo la casa, il luogo dove si vive insieme, la comunità che è la casa di Dio e nostra che siamo fratelli – nella casa ci sono dei criteri di appartenenza, che non sono quelli normali. Può esser “fuori casa” anche uno che “sta” in casa. E chiunque, per quanto lontano sia, in realtà, può far parte della casa. Perché c’è una vera parentela diversa, ormai, fondata non più sul sangue, non più sul buon senso, neanche sulla teologia, sulle idee che abbiamo, ma su qualcos’altro che scopriremo adesso.
20E viene in casa e si raduna di nuovo la folla così che essi non possono neppure mangiar pane.
Ci si trova in casa, e la casa comincia a diventare adesso un luogo teologico. La casa è qualcosa di preciso. A casa stanno insieme i familiari, si condivide il pane, cioè si condivide la vita, si condivide la fatica, si condividono gli affetti, la casa è il luogo della condivisione, dove l’uomo vive. Ora questa casa è piena di folla e la folla nel Vangelo ha sempre un connotato negativo o neutro. Cioè il popolo è una cosa, la folla è un’altra cosa. La “folla” è il luogo indeciso che diventa bestia, fatta di “individui”, a meno che comincino a ragionare, allora diventa “popolo” fatto da “persone”. Qui è ancora folla e i discepoli non possono mangiar pane.
Cosa vuol dire mangiare? Mangiare vuol dire vivere e del pane si parlerà dal capitolo sesto in poi. Il pane è l’Eucaristia, il pane è far la volontà di Dio, ciò di cui si vive. Cioè, in mezzo a questa folla non si può mangiare pane, non si può fare la volontà di Dio, si è travolti. E adesso si mostra come non si mangia pane pur stando in casa. Per cui noi possiamo stare in casa, far parte della Chiesa e non mangiare il pane. Non essere dei suoi, pur essendo suoi parenti.
21E, avendo udito, suoi andarono fuori per impadronirsi di lui, poiché dicevano: È fuori di sé!
Chi sono questi “suoi” li trovate al versetto 31: sono sua madre e i suoi fratelli. Fratelli sono i cugini nella lingua ebraica. Si parla di sua madre perché Giuseppe era già morto e allora assume la patria potestà il cugino maggiore o lo zio. Ecco, allora c’è stato un consulto di famiglia su questo caso: è una persona molto brava che ha 30 anni, non si è sposata, però fa bene il suo lavoro; poi ha cominciato ad annunciare il Regno di Dio, ha anche successo e credo siano contenti del successo tutto sommato, però quando si accorgono che questo successo comincia a mettergli contro i farisei, gli erodiani e gli scribi e tutti gli altri, dicono: datti una calmata, anzi dicono qualcosa di più. Vanno per impadronirsi, vogliono internarlo, perchè è pazzo. E vanno non perché sono cattivi, gli vogliono bene. Questo qui, ha 30 anni, potrebbe far tante belle cose, non è stupido, non è sprovveduto, come mai fa queste cose, ha anche i numeri per avere successo? Potrebbe avere anche tanto successo, come mai va a inguaiarsi così? Basterebbe un po’ di … magari lo aiutiamo a rinsavire un po’, a usare meglio le qualità che ha, in modo che sia anche successo nostro. Gli vogliono bene e vogliono impadronirsi.
Ora è interessante: i suoi non sono persone qualunque: sua madre e tutti i suoi parenti più stretti che gli vogliono bene. Non basta neanche essere madre di Gesù, neanche essere cugino o zio o nipote per far parte della Chiesa. Bisogna ascoltare la Sua Parola. Cioè l’appartenenza alla Chiesa non è una appartenenza di sangue. Anche Maria non capiva la Parola ricevuta e allora cosa fa? La custodisce nel cuore fino a quando la capisce. E lei diventa madre, non perché l’ha generato, ma perché l’ha ascoltato. Dicono i Padri antichi che la maternità di Maria non sta nel ventre, ma nell’orecchio. Ed è chiamata in un inno antico siriaco “la tutta orecchio”. La madre è quella che ascolta e concepisce nell’orecchio. Perché l’orecchio vuol dire la mente e il cuore. È lì che lo concepisci, lo ascolti e lo accogli. Non solo nel tuo ventre, ma nel tuo cuore e nella tua testa, così com’è Lui, com’è diventato.
E la nostra accoglienza di Gesù che ci fa sua madre è proprio questo ascolto. Mentre invece Maria con tutti i suoi fratelli pensano: è Lui che ci deve ascoltare. Un po’ di buon senso! almeno ascoltare il buon senso! Gesù non ha gran buon senso! Questo buon senso è quello che fa essere con Gesù, ma fino a un certo punto. E così ciascuno di noi lo sperimenta di fronte a Gesù. E poi anche vediamo il credente come viene accolto o la Chiesa stessa come si muove. Facciamo un esempio: ci sono sondaggi di opinione che dicono che la Chiesa è molto stimata per il suo impegno sociale, perché un po’ si dà da fare, così, non c’è più quella critica di prima. La Chiesa prende anche la parte degli ultimi, questo va bene. Però altra cosa è il parere quando la Chiesa parla della vita eterna, parla della passione e morte del Signore, lì allora, i sondaggi darebbero un’altra percentuale. Per dire che su quelle cose che ci sembrano più importanti, che ci toccano più direttamente, allora sì sono d’accordo. Poi da un certo punto in poi…
Ed è interessante questo aspetto perché effettivamente gli vogliono bene, ma non capiscono. Abbiamo visto la volta scorsa che Lui fece Dodici per essere con Lui. E questi Dodici cosa vogliono? Non vogliono essere con Lui, vogliono che Lui sia con loro. Che è ben diverso! E il tentativo costante che facciamo noi non è quello di essere con Gesù, è che Lui sia con noi. È pericoloso. Dio non è con noi, siamo noi che dobbiamo essere con Dio. Se Dio fosse con noi, poveri noi e povero Dio! Siamo noi che dobbiamo essere con Lui. Il tentativo costante della nostra vita è ridurre Dio nei canoni del nostro buon senso. Poi il buon senso che cos’è? è il mio interesse, cioè il mio egoismo e Dio non risponde a questo. Perché ha altri canoni. Ha il canone dell’amore, del dono, del perdono, della misericordia.
Noi siamo un po’ abituati, istintivamente, a vedere se, non dico ci guadagniamo qualcosa, ma almeno non ci perdiamo! Quindi qualcosa per cui valga o non valga la pena. In questo caso, per i suoi, è guadagnarci la tranquillità; per altri potrebbe essere guadagnare una posizione maggiore. Che cosa si guadagna con Gesù facendo così. Ricordate anche Pietro quando Gesù predice la sua passione e Pietro dice: non sia mai! E proprio anche tutti i discepoli costantemente capiscono che Gesù è fuori di sè. Ci insegna un’altra via. Ci insegna la via della Sapienza. Noi consideriamo invece Sapienza la nostra stoltezza, che è l’interesse, l’egoismo, i fatti nostri, l’impadronirci delle persone, delle cose. Dio non è così, per questo ci salva! Ed è interessante che siano i suoi. Perché questa conversione, i primi a farla, devono proprio essere i suoi più stretti: Maria, Giacomo, Giuda, Joses, che possono essere i capi della Chiesa di Gerusalemme, Pietro. Sono i primi che devono convertirsi.
22 E gli scribi, scesi da Gerusalemme, dicevano: Ha Beelzebul, e in forza del principe dei demoni scaccia i demoni.
I suoi gli vogliono bene, allora dicono: è buono, ma è scemo! Quelli che gli vogliono mali, dicono: è furbo e cattivo. È uno furbo che strumentalizza i suoi poteri, addirittura diabolici, per dominare su tutti e vince il demonio peggiore, come capita in questo mondo. Quando uno è prepotente, vince. Ed è interessante. Vedete, ognuno legge con i suoi occhiali. Chi ha affetto verso Gesù lo interpreta bene, ma dice: però, poverino, bisogna internarlo, aiutarlo, aiutarlo a superare un po’ la crisi, forse è una crisi di depressione, poi gli andrà meglio, curiamolo! Chi invece è cattivo e lo combatte, vede con i suoi occhiali e dice: certamente è cattivo anche Lui. Noi vediamo sempre il Signore con l’occhio di ciò che siamo noi.
23E, chiamatili appresso, diceva loro in parabole: Come può satana scacciare satana? 24 Se un regno è diviso contro se stesso, non può reggersi quel regno; 25e se una casa è divisa contro se stessa, quella casa non potrà reggersi. 26E se il satana è insorto contro se stesso ed è diviso, non può reggersi, ma è alla fine. 27Ma non può nessuno entrare nella casa del forte e saccheggiare i suoi beni, se prima non ha legato il forte, e allora saccheggerà la sua casa.
Qui Gesù ore risponde agli scribi che dicono che ha Beelzebùl. E gli dice: come può satana scacciare satana? Supponiamo pure che io scacci satana in forza di satana. Vuol dire che satana è diviso in se stesso. Quindi il Regno di satana è diviso. Ora un regno diviso è già finito. Cioè la divisone è il principio della morte. Se satana lotta contro satana, si disfano tra di loro. Quindi Gesù approfitta dell’accusa per dire: “allora capite che è vero che è finito il regno di satana. È quel che dico io: viene il Regno di Dio. Quindi anche voi con le vostre interpretazioni cattive, mi date ragione. Quindi Gesù risponde in modo rabbinico e sottile dicendo: ammettete pure che sia vero, che sono di Beelzebùl. Vuol dire che Beelzebùl litiga contro se stesso, quindi è finita. Quindi vedete che è vero quello che vi dico? che è arrivato il Regno di Dio perché finisce il Regno del male”.
Questa è la prima risposta che dà. Poi ne darà una più profonda. Poi continua anche a dire: “nessuno può entrare nella casa del forte, se prima non ha legato il forte”. Praticamente Gesù è il più forte che entra nella casa del forte, cioè di satana che tiene tutti sotto il dominio, e ci libera dal dominio di satana. Quindi Gesù è venuto a legare, a ridurre in schiavitù il male e così liberare l’uomo.
28Amen, vi dico:Saranno rimessi ai figli degli uomini tutti i peccati e le bestemmie, quante ne bestemmieranno. 29Ma chi bestemmi contro lo Spirito Santo non ha remissione in eterno, ma è reo di peccato eterno. 30Poiché dicevano: Ha uno spirito immondo.
Qui ci fermiamo un momento di più. La prima affermazione è interessante: tutti i peccati e tutte le bestemmie sono perdonati. Tutti! Non c’è male, non c’è peccato che non sia perdonato. Gesù è venuto a perdonare i peccati. Dio è amore e perdono, non può non perdonare. Quindi tutto è perdonato. Solo un peccato non viene perdonato, quello contro lo Spirito Santo. Cosa vuol dire? Dio perdona tutto, perché è amore, lo Spirito di Dio è l’amore. Ma c’è un peccato che non è perdonato: è quello contro lo Spirito Santo, è quello contro l’amore. Cioè il non accettare l’amore di Dio che perdona. Tutto è perdonato, tranne una cosa, il non accettare di essere perdonato. Questo Gesù non può perdonarlo, perché sono io che non voglio essere perdonato. E chi non vuole essere perdonato? Chi ritiene di aver fatto bene. Quindi il peccato contro lo Spirito Santo è il peccato tipico di chi si ritiene a posto. Io ho fatto nulla di male.
Proprio adesso mi cade l’occhio su una immagine del 1360, di una crocifissione, dove si vede il Cristo in Croce e tutti con grandi devozione, chi lo trafigge, chi lo inchioda e chi con devozione raccoglie il sangue! Tutti quelli che l’hanno ucciso, capiscono che han bisogno del perdono, perché gli hanno fatto del male, allora ricevono il perdono, quindi raccolgono l’eredità. Solo c’è vicina una persona, una donna, che è bendata e si gira dall’altra parte dove ci sono le tavole della legge e dice: no, io sono a posto, io non l’ho ucciso, io seguo la legge! Ed è l’unica che non riceve il perdono perché non ne ha bisogno.
Vorrei tradurre un po’ questo peccato contro lo Spirito Santo per capirlo meglio. Posso fare tanti peccati, fin che ne prendo coscienza, va bene. C’è un peccato molto grave, che è il più grave di tutti, che io chiamo “la buona fede”: quando io mi ritengo in buona fede. Il più grande dono di Dio è scoprirsi in malafede! So che sbaglio e allora ho bisogno del perdono. Cercherò di cambiare nella misura del possibile per rispondere a questo perdono. Ma quando io mi indurisco perché sono a posto, perché ho ragione, basta! è finita! ho ragione! Divento duro. Se Dio dicesse: ho ragione! cosa farebbe a questo mondo tutte le volte che sbagliamo? E almeno una volta nella vita abbiamo sbagliato tutti! Almeno una volta in vita ci ucciderebbe tutti, perché avrebbe ragione! E invece Dio non ha ragione, ha misericordia, si muove al perdono, conosce la fragilità, la debolezza. E noi se cominciamo a vivere di perdono e di grazia, allora vediamo che tutte le nostre fragilità e le nostre debolezze, non sono il luogo in cui ci dobbiamo difendere, sono il luogo dove riceviamo il perdono, la comunione, il coraggio, la forza da parte di Dio e da parte degli altri. E così anche nei confronti degli altri, anch’io dico: se Dio mi tratta così, comincerò anch’io a fare così, come posso. È chiaro che manco mille volte!
Allora il peccato contro lo Spirito che non ha il perdono è quel non voler essere perdonati perché io sono a posto! È il vero peccato! Si può arrivare a sentirsi a posto quasi a partire da una esperienza molto valida e autentica. Noi possiamo anche renderci conto del male che facciamo, ma pensando che non c’è perdono, non c’è una soluzione. Qual è la soluzione per non vivere con l’angoscia del peso del male fatto? È quella di dire: in fondo non conta tanto! È un altro modo per arrivare alla stessa conclusione: cioè rifiutare questa possibilità. È un “mettersi a posto”, magari non sentirsi a posto, ma mettersi a posto in qualche modo. E anche questo è pericoloso perché chiude al perdono, cioè a scoprire un Dio col quale non si mercanteggia, ma che dona gratuità, anzi più che dono è perdono. Quindi non bisogna neanche aver paura di rendersi conto del male che facciamo e non cercare di sfuggire con delle giustificazioni, ma sapere che tutti i peccati e le bestemmie verranno perdonati. Quindi c’è una via d’uscita! E non è nè la rimozione nè la giustificazione a tutti i costi.
È interessante che a fare questo peccato sono gli scribi. In noi c’è sempre uno scriba. E lo scriba è quello che sa bene come stanno le cose, che ha la verità. Lo scriba è colui che ha la verità della Parola di Dio. Cioè: questo nostro presumere di avere la verità in tasca, questa certezza è ciò che ci impedisce di accogliere Dio che è molto diverso dalla mia verità, dalla mia certezza, è sempre più grande. Anche la realtà che capita, è sempre più grande di ogni mia certezza. Allora, cosa faccio, se la realtà è diversa? La violento perché sia secondo la mia certezza? Non dobbiamo mai scambiare le nostre certezze, le nostre realtà, con la verità. Devo sempre essere disposto a cambiare la mia opinione, la mia certezza, perché ce ne sono tante altre, diverse dalle mie. Quella è la mia esperienza che deve confrontarsi con quella degli altri con molta umiltà e crescere. Non è un caso che sono gli scribi, perché loro hanno già un’immagine precisa di Dio, di cose da fare e di cose da non fare e allora, in base a quelle, dicono: Gesù non risponde ai parametri. Per un motivo molto semplice: che Gesù perdona; il termine bestemmia viene fuori proprio quando Gesù perdona; mentre la legge, se è giusta non perdona, ma condanna.
Come vedete c’è una conversione dalla legge al Vangelo. C’è una conversione dalla giustizia al perdono che è il bisogno che ho io di perdono. E riconoscere questo che mi mette nell’economia nuova, mi fa entrare nella casa a mangiar pane, vivere. Il brano si chiama “inclusione” : si parla prima dei suoi e poi si riprende e in mezzo si mette questa scena, per dire che in fondo anche i suoi hanno dentro questa stessa cosa degli scribi. Sono i due modi con cui noi ci opponiamo alla chiamata di Dio: una è quella dell’affetto che vuole sequestrare l’altro: so io cosa è bene, devi farlo anche tu. E l’altro che è dire: se tu non fai così, davvero sbagli. Questo aspetto di minaccia, come in tutte le minacce che si leggono nella Scrittura, da quelle dei profeti in poi, è sempre un grido del padre che non vuole che il figlio si faccia male! Questo fatto della non remissione è un invito pressante, uno scongiurare perché non sia così, non è che Dio voglia che noi teniamo su questo muro!
31E viene sua madre e i suoi fratelli, e, stando fuori, mandarono da lui a chiamarlo.
Adesso si riprende la scena dei suoi, si specifica chi sono, la madre e i fratelli, che stanno “fuori,” non dentro in casa, stanno fuori e sono i suoi. E lo mandano a chiamare. Gesù aveva chiamato. Loro lo mandano a chiamare. Lui ci chiama a essere con Lui e noi a nostra volta stiamo fuori e lo mandiamo a chiamare: vieni tu con noi! Ti vogliamo sequestrare e mettere dentro, così impari bene la lezione e poi sarai utile meglio. E questo tentativo di sequestrarlo è costante da parte nostra, come singoli, come persone, come comunità, come Chiesa. Addomesticarlo. Stiamo fuori dalla sua chiamata e lo chiamiamo: adesso vieni tu dove siamo noi. Sono esperienze che tutti abbiamo. Lo mandano a chiamare.
32E sedeva attorno a lui una folla e gli dicono: Ecco la tua madre e i tuoi fratelli (e le tue sorelle) di fuori ti cercano.
Guardate quante volte lo si ripete, prima i suoi, sua madre e i suoi fratelli; adesso di nuovo: tua madre e i tuoi fratelli, le tue sorelle; e poi Gesù risponderà: chi è mia madre e i miei fratelli? e Poi concluderà: mia madre e i miei fratelli sono… Sei volte viene ripetuto! Il tema è proprio l’esser suoi fratelli e sua madre. L’essere parenti suoi stretti. Ecco, tua madre e i tuoi fratelli, di fuori, ti cercano. Neanche gli parlano direttamente, ti cercano stando fuori.
33E, rispondendo loro, dice: Chi è la mia madre e i (miei) fratelli? 34E, guardato intorno quelli seduti in cerchio intorno a lui, dice: Ecco la mia madre e i miei fratelli: 35chi fa la volontà di Dio questi è mio fratello e sorella e madre.
Ecco la risposta di Gesù. Gesù indica le persone che stanno sedute attorno a Lui. Lo star seduto è l’atteggiamento del discepolo che ascolta. Sta seduto per ascoltare. Gesù dice: chi è mia madre e i miei fratelli? Chi fa la volontà di Dio. Cosa vuol dire fare la volontà di Dio? Vuol dire ascoltare Gesù. Fare come questi che ascoltano. Mentre i suoi e gli scribi non vogliono ascoltarlo, vogliono che Lui ascolti le loro opinioni, i loro interessi. Come vedete in questo brano viene smascherato il tentativo che facciamo di capovolgere da fede. Invece di ascoltare la sua chiamata, vogliamo che Lui ascolti la nostra. Lo chiamiamo noi fuori. Invece che lasciarci prendere da Lui, vogliamo prenderlo noi, portarlo noi dove vogliamo noi. Invece che ascoltare noi Lui, vogliamo che Lui ascolti noi; invece che fare noi la sua volontà, vogliamo che Lui faccia la nostra volontà. È la tentazione costante.
Allora per diventare padre e madre – e madre vuol dire in generale Dio, la sua presenza nel mondo, come ha fatto Maria – per diventare madre bisogna ascoltare Lui. Perché? Perché se tu lo ascolti generi in te il Figlio, tu diventi figlio e quindi diventi suo fratello e sua sorella. Proprio mediante l’ascolto. E questo brano serve da aggancio con il precedente dove si dice: Gesù fece i Dodici per essere con Lui. Essere con Lui vuol dire Vangelo di essere con Lui in questo modo: ascoltandolo, amandolo e facendo la sua volontà. E poi apre il capitolo 4 che comincia subito dopo, dove si parlerà della Parola. Cosa significa ascoltare la Parola? Tutto il capitolo 4 sarà sull’ascolto della Parola. E in questo capitolo 3, se notate, si dice che cosa è la Chiesa. È questa piccola barca, questa piccola comunità che Gesù ha fatto per non essere schiacciato, che ha chiamato ad essere con Lui; questa piccola barca sulla quale si incontra sempre la tentazione contraria: quella di chiamarlo noi a essere Lui con noi, di sequestrarlo. Possiamo interrompere qui, il brano è molto ricco.
Trascrizione non rivista dagli autori
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