SanLucaLectio divina sul Vangelo di Luca
Silvano Fausti
Capitoli 3-4

Messaggio del testo nel contesto


Testo doc Lectio Luca Cap 3-4 Fausti (2)

Testo pdf Lectio Luca Cap 3-4 Fausti (2)


12. CHE DUNQUE FAREMO?
(3,1-20)

Giovanni è il prototipo dell’uomo che Dio si è preparato per stare davanti al suo volto, che è Gesù, e per aprirne agli altri la via di accesso. È la persona pronta ad accogliere il Signore che viene. Sintesi vivente dell’AT, in lui vediamo la caratteristica fondamentale di tutta la storia d’Israele: l’attesa. Frutto di una fede assoluta nella promessa, è la condizione indispensabile per il compimento. Dio ha tanto tardato a compiere la sua promessa, perché aspettava di essere “atteso” da qualcuno. Se non è atteso, non può venire; e, se viene, è come se non fosse venuto. Chi attende “tende a” ciò che ancora non c’è. Giovanni è tutto proteso verso il futuro di Dio e chiama gli uomini a rompere i loro equilibri per volgersi ad esso. Egli è “eccentrico”: ha il suo centro fuori di sé; il pondus del suo cuore sta nella promessa di Dio. Questo sbilanciamento costituisce la caratteristica fondamentale dell’uomo in cerca del suo volto perduto: creato a immagine e somiglianza di Dio – sua icona vivente troppo grande per bastare a se stesso, ma anche troppo piccolo per soddisfare il suo bisogno, necessariamente l’“homme dépasse l’homme” (Pascal). Per questo solo in Dio può trovare se stesso, ed essere salvo.

Il primo annuncio di Giovanni è la salvezza universale (vv. 1-6). A condizione però di volgersi a Dio (vv. 7-14). Diversamente si è perduti, perché è giunto il momento decisivo. Il giorno del Signore, la venuta di Cristo, introduce la storia nel suo senso ultimo (vv. 15-17). La predicazione di Giovanni è chiamata “consolazione” e “vangelo” (v. 18) e il suo destino sarà identico a quello di colui che egli precede (vv. 19-20). Il centro della sua predicazione è Is 40, dove si consola il popolo che ormai sta per essere liberato dalla schiavitù e lo si esorta a preparare la via del ritorno dall’esilio alla patria della libertà. La predicazione di Gesù invece sarà Is 61 (cf. 4,18ss), dove si proclama giunto l’“oggi”, in cui questo ritorno avviene. Giovanni e Gesù stanno tra loro come AT e NT, come promessa e compimento, come legge (cf. 3,3-17) e grazia (cf. 4,22). Attraverso Giovanni, Luca vuol condurre il cristiano ad accogliere il Signore che viene. Si può dire che nella figura di Giovanni viene sbalzato un abbozzo di “antropologia cristiana”: si descrive come si deve comprendere l’uomo in rapporto al Cristo, il quale viene per donargli la sua vera identità di figlio di Dio.

13. TU SEI IL FIGLIO MIO
(3,21-38)

Giovanni è in carcere, Gesù nel Giordano. Il Battezzatore è immerso nella prigione, il Salvatore imprigionato nell’acqua. Il battesimo è il luogo comune tra Gesù, Giovanni e tutti gli uomini; è la verità di ogni uomo: la morte! Nel suo battesimo però si apre il cielo e la lunga generazione di figli del serpente (v. 7) è ricondotta alla sua condizione di figli di Dio (v. 38), perché colui che è sceso e risalito dall’abisso è il Figlio, pieno dello Spirito santo.

I vv. 21-22 sono il centro del c. 3. Gesù si mischia tra la gente, in fila con coloro che riconoscono la loro creaturalità e peccaminosità, accettando il loro limite e la loro morte. L’immersione nell’acqua, quasi liquida tomba prenatale (cf. Ger 20,17), è il ritorno all’abisso che attende ogni uomo. Sarà pure il termine, qui anticipato, di tutto il cammino terreno di Dio in ricerca dell’uomo perduto. È il gesto di amore di chi, non conoscendo peccato, si è fatto per noi maledizione e peccato (2Cor 5,21). Mentre Adamo affogò nella morte per essersi innalzato nella disobbedienza, Gesù si annega nell’obbedienza al Padre che l’ha mandato a cercare ciò che era perduto (19,10): per questo si abbassa nella solidarietà con l’uomo malato di morte, e trova Adamo nel luogo dove si era nascosto. “C’è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato finché non sia compiuto!” (12,50). Sul capo di Gesù, immerso nell’abisso, c’è il peso di tutte le generazioni che l’hanno preceduto e sono morte per la lontananza dal Padre. Sono 76 generazioni, con lui 77! E per lui, che sta sul fondo come ultimo anello della catena, tutte sono finalmente agganciate al cielo. Nella sua obbedienza, Adamo disobbediente che generò tutti nella disobbedienza, torna ad essere, con tutti i suoi figli, “di Dio” (vv. 23-38). Gesù è il nuovo Adamo, il giusto obbediente, la creatura nuova che Dio aveva creato fin dal principio. In Luca il battesimo, a differenza dagli altri sinottici, è descritto come già avvenuto. Infatti si rivolge ai credenti che già sono stati battezzati in Cristo. Richiama loro alla mente la scelta battesimale, perché non se ne dimentichino e ne perdano i frutti. Il battesimo rappresenta la scelta di fondo del Figlio che conosce il Padre: la solidarietà con tutti i fratelli perduti, in una simpatia estrema che lo condurrà alla croce.

14. FU TENTATO: “SE SEI FIGLIO DI DIO”
(4,1-13)

Il racconto nella tradizione evangelica serviva per illustrare il messianismo di Gesù, con il suo rifiuto di prendere il potere politico (cf. moltiplicazione dei pani: Mc 6,45; Gv 6,15), di fare un segno divino che costringesse tutti a credergli (cf. 11,16; Mc 8,11) e di seguire una via umana (satanica) che evitasse la croce per ottenere il Regno (cf. Mc 8,31-33). Probabilmente si rifà a confidenze di Gesù che spiega ai suoi discepoli come anche lui ha incontrato le loro stesse tentazioni e resistenze fin dal principio. Nei Vangeli il racconto assume un valore programmatico più ampio, che abbraccia tutto il ministero di Gesù e il suo significato salvifico alla luce di tutta la storia della salvezza.

Dopo il battesimo, che corrisponde al passaggio del Mar Rosso, Gesù ripercorre nel deserto il cammino di Israele; ma, mentre tutto il popolo cadde nella prova e morì, egli la supera definitivamente e apre l’ingresso alla terra promessa, al Regno. Oltre a quest’allusione a Israele, si può fare un accostamento ad Adamo, “figlio di Dio” disobbediente, che, dopo la prova e la caduta, dal paradiso finì nel deserto; lui, il nuovo Adamo, partendo dal deserto, vince la prova e riporta nel paradiso l’uomo perduto (cf. 23,43).

Le tentazioni, modulate su quelle di Israele, sono storicamente da connettere con il battesimo. Questo costituisce la scelta fondamentale del Cristo: la solidarietà coi fratelli, in obbedienza al Padre. Le tentazioni presentano i costi di questa scelta, sotto forma di lotta contro la scelta contraria. Questa, ovvia e comune a tutti, consiste nel ricercare il potere di qualsiasi tipo, a fin di bene. Ma ciò è contrario alla solidarietà coi fratelli e quindi disobbedienza al Padre! Questo testo ci mostra quanto pecchiamo a fin di bene; ce lo mostra per convertirci e giustificarci. Il discernimento non è un genere che abbonda sul mercato. Tante volte, per amor di Cristo, facciamo scelte contrarie alle sue. La scelta di vita costa tutta la vita; siamo quindi sempre esposti a cadere e cadiamo spesso. Le tentazioni non sono da relegare solo all’inizio del ministero di Gesù. Esso fu tutto tentazione e lotta, fino alla fine.

Mentre Marco accentua l’aspetto di Gesù come nuovo Adamo e Matteo quello di nuovo Israele, Luca presenta il Cristo nella sua vittoria pasquale sul nemico, satana. Questa vittoria la vediamo realizzata negli esorcismi, nei miracoli stessi e nella passione. Si spiega così chi è il “Figlio” di cui Dio si compiace: è il Figlio obbediente alla sua parola, che con l’obbedienza ha vinto il male e creato nella storia uno spazio libero dal suo potere, nel quale tutti gli uomini possono essere salvati.

Le stesse tentazioni in cui Israele è caduto, invece di ineluttabile luogo di perdizione, diventano promessa di salvezza a causa di colui che le ha vinte. Quel nemico, che fu all’opera al tempo di Israele, è all’opera ancora adesso nella vita della chiesa. Ma il suo dominio sull’uomo è stato rotto e vinto da Gesù. In lui il credente passa attraverso la breccia ed entra nell’“oggi” della salvezza. Gesù che ha vinto, vince ancora “oggi” nella fede del discepolo che lo ascolta per essere salvato.

Le tentazioni costituiscono il tessuto della vita quotidiana cristiana: sono la lotta necessaria contro il male e i costi stessi del bene. Hanno un valore positivo: sono segno che si è nel mondo, ma non del mondo e si appartiene a Cristo Signore (cf. Eb 12,8; Gc 1,2; 1Pt 1,6ss; 2Cor 12,10; Mt 5,11s). Il diavolo che tenta l’uomo ha dapprima un solo potere: rubargli la Parola (8,12), in modo che non obbedisca a Dio. È quanto tenta di fare anche con Gesù. Ma se uno obbedisce, la Parola attecchisce nel suo cuore e porta frutti di salvezza. Per questo il diavolo lo tenta poi mediante la tribolazione, perché si scoraggi e cada nella sfiducia (8,13). Se non riesce a scoraggiarlo, cammin facendo cerca di soffocare la parola di Dio, fomentando preoccupazioni per la ricchezza e i piaceri, suoi alleati nel sedurre l’uomo alla disobbedienza (8,14).

15.OGGI SI È RIEMPITA QUESTA SCRITTURA NEI VOSTRI ORECCHI
(4,14-30)

Nelle tentazioni, abbiamo visto i mezzi che Gesù rifiuta per mostrare di essere Figlio di Dio; ora vediamo quali usa: l’annuncio della parola di fraternità che vive, da Nazareth al Giordano e dal Giordano alla croce.

Nella potenza dello Spirito inizia il suo ministero e inaugura l’anno giubilare in cui si vive la paternità di Dio nella fraternità fra gli uomini: è l’ingresso nella terra promessa. Egli si presenta come compimento della “parola di grazia”, che porta la benedizione di Dio e realizza la promessa (vv. 16-19). L’evangelista vuol far incontrare il suo lettore con questa parola di grazia annunciata “oggi”, (vv. 20s). Essa ha la sua radice nel passato – la promessa di Isaia e le figure di Elia e di Eliseo – e si attualizza “oggi”, nell’oggi eterno di Dio che si è realizzato una volta per tutte in Gesù e si attualizza sempre ogniqualvolta la Parola è annunciata nel suo nome.

La Scrittura trova il suo compimento nell’orecchio di chi ascolta Gesù che l’annuncia (v. 21): ciò che essa promette si annuncia come realizzato in lui e l’ascolto della sua parola, in quanto detta da lui, ne è il pieno compimento nella fede, che fa accadere “anche qui” oggi ciò che lui ha fatto a Cafarnao allora (v. 23).

Infine, il mistero di Gesù, respinto dai suoi e accolto altrove (vv. 22-30), anticipa il suo destino di rifiuto e di “segno contraddetto” (2,34ss), che però sarà luce che illumina le genti e mostra al mondo la gloria di Israele (2,30ss). L’inizio del ministero di Gesù ne contiene anche la fine.

Gesù ci appare fin dall’inizio più che scriba e profeta: non solo spiega la parola di Dio, ma l’attualizza. Quest’attualizzazione non consiste nell’adattarla al proprio tempo, ma nel “renderla attuale”: traduce in atto quanto la Parola dice e, nell’obbedienza, rende la sua vita attuale, contemporanea ad essa. Egli è l’ascoltatore che la compie, il perfetto ascoltatore in cui la parola di Dio trova la sua esecuzione piena. Egli, il Figlio obbediente, è il compimento di ogni parola.

Così, anche per noi, attualizzare la Parola significa ascoltare il vangelo. L’obbedienza ad esso ci rende attuali all’oggi di Dio, odierni a Gesù, il Figlio, nel quale la storia di ogni Adamo trova compimento. L’annuncio della parola di grazia ha il potere di farsi obbedire e di rinnovare nell’ascolto la nostra realtà vecchia secondo la promessa.

A Dio è piaciuto salvare il mondo con l’annuncio evangelico (1Cor 1,21). La parola, mezzo debole e strumento di comunione libero, è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede (Rm 1,16).

In questo discorso inaugurale abbiamo la spiegazione autentica del ministero di Gesù: quale il fine (l’essere figli del Padre nell’essere fratelli tra noi), quale il mezzo (l’ascolto della parola del Padre), come agire (nella forza dell’amore, che è lo Spirito di Dio), quando agire (oggi) e per chi (per chi ascolta).

16. LA SUA PAROLA ERA CON AUTORITÀ
(4,31-32)

Dopo l’inaugurazione dell’“oggi” della salvezza e prima dell’esorcismo, Luca ci parla dell’autorità della parola di Gesù.

Dal contesto si capisce che questa autorità consiste nel potere che essa ha di compiere quanto dice, di farsi obbedire e di liberare dal male. Luca intende dire al lettore che anche lui, che non ha visto il Signore, può sperimentare “oggi” il potere della sua parola ed essere liberato dal male mediante l’obbedienza all’annuncio. In esso infatti è presente Cristo e tutto il suo potere di salvezza. Questo breve brano ci offre una teologia narrativa di ciò che sta alla base del cristianesimo: l’annuncio opera ciò che dice, la salvezza del Signore. Ma solo l’obbedienza della fede ne conosce la verità. La parola di Dio è sempre efficace: chi obbedisce, la conosce positivamente, cogliendo i frutti che promette; chi disobbedisce, la conosce negativamente, restandone privo.

17. E GESÙ SGRIDÒ: “ESCI DA LUI”
(4,33-37)

La parola di Gesù è efficace: vince il male. Gli esorcismi sono la continuazione della sua vittoria su satana, riportata nelle tentazioni. Ora, nella sua azione, si estende agli altri; poi, nella sua passione, raggiungerà il cosmo intero: la sua croce sarà la lotta e la vittoria definitiva sul nemico.

A differenza dei miracoli, gli esorcismi avvengono fra molte resistenze; si presentano sempre più difficili nel seguito del Vangelo. Prima di perdere definitivamente, il nemico si impegna con tutte le forze.

Gli esorcismi contengono il più alto annuncio evangelico: la buona notizia che il male dell’uomo è vinto. Per questo Luca ne pone uno all’inizio del ministero di Gesù, come atto programmatico, incluso tra la duplice annotazione sul potere della sua parola (vv. 32 e 36). Indica il frutto primo e maturo di questa parola: la riduzione al silenzio e la messa in rotta (“taci ed esci!”) del male.

Il Vangelo presenta la verità, per altro assai palese, che l’uomo non è libero. È invece abitato, talora posseduto e devastato, dal male. Ne ascolta la voce, lo esegue, vi si avviluppa e imprigiona dentro come un baco da seta nel suo bozzolo. Ha bisogno quindi di esserne liberato per uscirne e volare nella luce.

Gli esorcismi rappresentano l’attività principale di Gesù e danno il senso di tutta la sua azione: è venuto nel mondo per liberare l’uomo schiavo del male.

La lotta avrà il suo culmine sulla croce, dove si scateneranno contro Gesù tutte le forze avverse e saranno vinte nella sua morte da sconfitto per amore. È una lotta continua di tutta la vita, sempre più dura e senza quartiere; il male, messo alle corde, reagisce con tutta la sua violenza prima di perdere. L’esorcismo fondamentale della vita cristiana è il battesimo, che ci associa per tutta la vita al combattimento e alla vittoria della croce.

Ma cos’è questo spirito del male? Cerchiamo di capirlo dalla descrizione che ne fa il Nuovo Testamento. Si manifesta come ladro della Parola (8,12), ha il suo volto visibile nell’idolo della ricchezza che seduce (8,14. 18-24s; 16,13; Ef 5,5; 1Tm 6,10), entra nel cuore di Giuda (22,3), negli esorcismi è descritto come colui che possiede e tortura l’uomo. È chiamato satana, il diavolo (l’accusatore, il divisore), il forte (11,21), il maligno (Mt 13,19), il tentatore (4,2); il leone (1Pt 5,8), l’omicida fin dal principio, perché “padre della menzogna” (Gv 8,44); è il principe di questo mondo (Gv 14,30), ha il suo regno (11,17s), può addirittura dire con sincerità: “Tutto è posto nelle mie mani” (4,6). Secondo Gn 3, fin dal principio ha suggerito all’uomo la falsa immagine di Dio e lo fa disobbedire, lo fa nascondere da lui e glielo fa temere. Così l’uomo, allontanandosi da Dio, perde se stesso: ha vergogna e disistima di sé, si copre e si aliena da sé, dagli altri e dalla natura; fallisce la propria vita, sacrificandola agli idoli, che lo riducono a loro immagine e somiglianza: muto, cieco, sordo, senza gusto, incapace di muoversi e di realizzarsi (cf. Sal 115= 113b, 4-8). Da depositario della gloria di Dio, si spezza, si dissocia e si frantuma nei vari idoli, viene abitato e devastato dalle tenebre e si identifica coi propri cocci, con la legione del male che gli fa male (cf. 8,30). Persa la fiducia nell’amore di Dio, l’uomo deve badare a se stesso. Diventa egoista, perché tutto intento a salvare se stesso (cf. 23,35.37.39). Proprio così fallisce miseramente e fa ogni male. E si tratta di un male senza fondo, abissale all’infinito, come è infinito Dio da cui l’uomo si allontana. Questo male si solidifica, esteriorizza e organizza in istituzioni e reti malefiche, vere macchine moltiplicatrici di iniquità, di cui l’uomo, dopo averle costruite, si fa semplice ingranaggio. Si pensi alle stesse istituzioni positive, per tacere delle negative, che hanno la tendenza a diventare il contrario di ciò per cui sono nate. Per il male che l’uomo paventa, egli si mette a servire ad esse, invece che servirsene; si guardi per esempio la famiglia, la fabbrica, la scuola, gli ospedali, il capitale, il benessere, la casa, la città, i mass media, ecc. Anche la chiesa e lo stato ne sono sempre insidiati! Si pensi solo alla beffa: ciò che più inquina sono i detersivi (per tacere il resto!); ciò che più minaccia la sicurezza sono i sistemi di difesa; chi più froda il fisco sono stati i capi della finanza; negli affari più insidiosi e loschi per la società, troviamo i servizi segreti. C’è anche chi ha sostenuto che senza scuola aumenta il livello di cultura, senza medici cresce il livello di salute pubblica. I politici poi amano addirittura essere chiamati benefattori, non di se stessi, ovviamente, ma degli altri (22,25).

Tutto questo male non è necessario. È frutto della perversione dell’intelligenza dominata dalla paura: invece del vero, cerca l’utile; invece del bene, il piacere; invece dell’amore, l’interesse. Questo perché l’uomo, che ha perso Dio, si sente angosciato dal suo nulla. Per questo fagocita tutto, nella volontà di possedere e mangiare ogni cosa buona, bella e desiderabile (cf. Gn 3,6; 1Gv 2,16). La natura stessa, dono di Dio, fatta oggetto di possesso, si stacca dalla sua sorgente e, morendo, rende la vita impossibile all’uomo. L’ultimo risvolto del male è proprio quello della natura, “sottomessa alla caducità, non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa”, cioè l’uomo (Rm 8,20). Essa “geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto”, nell’attesa impaziente che all’uomo venga resa la sua immagine di figlio di Dio (Rm 8,22.19). La morte stessa, senza il peccato, non sarebbe un male, ma solo il passaggio alla vita. È solo per il peccato che la morte avvelena tutta la vita (cf. 1Cor 15,56; Sap 2,24). Gesù è venuto a liberare l’uomo da tutte le forme di male, personale e sociale, semplice e strutturale, morale e naturale, fin dalla morte stessa. Il male, da potenza cosmica che schiavizza, è riportato alla responsabilità dell’uomo liberato da Gesù. Invece di obbedire alla suggestione del nemico, può obbedire alla parola del Signore. Questa gli riaffida, gli restituisce la sua dignità di padrone del creato. Gesù è il Salvatore. La salvezza non è un ornamento dell’anima bella. È salvezza dell’uomo come tale, che senza Cristo è perduto e non si realizza, al di là di ogni pretesa del contrario.

Il senso profondo dell’esorcismo è rendere l’uomo a se stesso, e quindi a Dio di cui è immagine, liberandolo da quel male che gli fa perdere Dio e quindi se stesso. Il male, vero tiranno, temuto e ipnotizzante, paventato e inevitabile, viene defatalizzato. All’uomo è resa la speranza. Ora non agisce più per il “male minore”, ma per “il maggior bene”, che è la “maggior gloria di Dio”; e la gloria di Dio è l’uomo vivente (Ireneo). Quel male forte e sottile, che avvolge e penetra l’umanità avvelenandone la vita, che fa paura e incanta, scompare come le tenebre all’apparire del sole.

18. LI SERVIVA
(4,38-39)

Il Primo miracolo è così irrilevante e così breve che rischia di passare inosservato. All’inizio ci si aspetterebbe qualcosa di più spettacolare. La sua piccolezza il più piccolo del Vangelo – ci costringe a riflettere non tanto sull’entità del miracolo, quanto sul suo significato. È infatti un segno, che indica qualcosa d’altro. L’insignificanza del segno – una semplice guarigione da febbre – concentra tutta l’attenzione sul suo significato, posto nel finale: “li serviva”. All’inizio del Vangelo abbiamo quindi un piccolissimo segno e un grandissimo significato, che fa da chiave interpretativa per tutti i miracoli che seguono. Se allo stolto si indica la luna, lui ti guarda la punta del dito. Cerchiamo allora, oltre la punta del dito, il grande luminare che illumina la notte. Se la potenza della sua parola vince oggi il male (cf. brano precedente), una volta liberati dal male, si è finalmente liberi per il bene, che è il “servizio”. Questo servizio, con il quale conclude il racconto del miracolo, è il programma messianico di Gesù: renderci come lui, che è tra noi “come colui che serve” (22,27).

19. BISOGNA CHE IO EVANGELIZZI
(4,40-44)

Si completa il primo abbozzo del volto di Gesù: gli uomini lo vedono come il salvatore, i demoni lo gridano Figlio di Dio e lo conoscono come Cristo. Gesù, da parte sua, si proclama come l’evangelizzatore del regno di Dio, spinto da una misteriosa necessità: “Bisogna che io evangelizzi”.

È un sommario, sintesi teologica del “giorno” di Gesù. In questo giorno programmatico vediamo la sua azione, che nella sera ha il compimento, nella notte attinge alla sua sorgente, per dilagare altrove in un nuovo mattino. La sera della croce non è il fallimento, ma la pienezza gloriosa di tutta l’opera salvifica di azioni e miracoli; la notte della morte non è l’annullamento, ma comunione col Padre, sorgente della vita, che dilaga vittoriosa nel giorno nuovo.

Questa presentazione di Gesù, prima della chiamata dei discepoli, rende più plausibile la loro risposta.

La cornice del racconto è il buio della notte, tra il termine di un giorno e l’inizio di un altro, dal calar del sole al sorger della luce. È il tempo indisponibile per l’uomo. Tutto piomba nelle tenebre; cessa ogni attività umana che lì confluisce e si placa. La notte è simbolo della morte, notte definitiva, tempo assolutamente indisponibile, che anche Gesù conoscerà, dall’oscurarsi del sole il venerdì di pasqua al suo sorgere nuovo il mattino dopo il sabato.

Il fatto strano è che la sua azione si svolge proprio al buio. Infatti, se di giorno aveva operato qualcosa, di sera opera un’infinità di prodigi in favore di “tutti gli uomini” che accorrono a lui, che “si prende cura di ciascuno” (v. 40).

Ciò significa che Gesù agisce definitivamente alla fine del suo giorno: è infatti la sua croce che salva tutti e ciascuno. Egli ci salva nella nostra notte mediante la sua notte, ci visita nel nostro male mediante la sua croce.

Se la prospettiva del giorno dell’uomo è la sera, l’oscurità e la morte, la prospettiva di Dio in Cristo è la vittoria sulla notte e sulla morte.

La notte è il luogo della verità dell’uomo, che riconosce il proprio nulla. Ma è anche il luogo della verità di Dio, che dal nulla fa tutte le cose. Come fu il luogo della creazione, così è il luogo della salvezza nella fede. Dio infatti agisce proprio quando l’uomo, impossibilitato, rinuncia ad agire e dice: “Ora basta, Signore!” (1Re 19,4). Poiché “nulla è impossibile a Dio” (1,37).

Estratti da:
Silvano Fausti, “Una Comunità legge il Vangelo di Luca”
Edizioni Dehoniane Bologna 1991