MOSÈ E COMBONI:
TESTIMONI E GUIDE DEI CHIAMATI ALLA MINISTERIALITÀ SOCIALE
P. Carmelo Casile

II. COMBONI SULLA SCIA DI MOSÈ:
una vita a servizio della Rigenerazione della Nigrizia

La storia di Mosè liberatore mi ha fatto venire in mente la figura di san Daniele Comboni, che avevo tratteggiato in una intervista che ho immaginato di fargli in occasione della sua canonizzazione, rivolgendogli la domanda: «COMBONI, DA DOVE VIENI?» (cfr. http://www.comboni.org).

Gli ho posto questa domanda perché quando ci incontriamo con una persona che per qualche ragione si impone alla nostra attenzione ed entra in contatto esistenziale con noi, nasce subito in noi il desiderio di domandarle chi è o da dove viene, e come è arrivata ad essere la persona che è. La rivelazione della sua origine e del suo curriculum vitae costituisce il certificato di garanzia della sua vita e del suo messaggio, che ci apre la via ad un incontro fecondo con lei.

Certamente ognuno di noi ha sperimentato questo desiderio e durante il suo ministero missionario è stato più volte sollecitato con le stesse domande dalle persone tra cui è stato inviato a condividere la vita.

Ho posto queste domande a Comboni varie volte e in varie occasioni, soprattutto nei soggiorni a Limone, nella sua casa natale.

Dalle sue risposte mi sembra di aver ottenuto il “Certificato di garanzia” della sua vita come persona che si distinse per la sua dedizione totale alla causa della rigenerazione della Nigrizia (cfr. RV 2-5.)

Mi sembra di aver ascoltato e di continuare ad ascoltare un Comboni molto felice di condividere con me l’esperienza della sua avventura missionaria, cominciando col dirmi:

1. Vengo da Limone

Quando venni alla luce il 15 marzo 1831, Limone era un paese povero di poche centinaia di abitanti, circa 500, isolato dal resto del mondo, non raggiungibile per comode vie di terra, ma solo attraverso sentieri sassosi che calavano dalle montagne retrostanti17; chi voleva raggiungere Limone in poco tempo doveva farlo in barca, talvolta rischiando i pericoli del lago in burrasca.

17 La strada è giunta solo nel 1930

Dio solo poteva scoprire un paesino così inaccessibile e rintracciare in esso questo bambino povero, per sceglierlo come suo apostolo e rivestirlo dell’Ordine episcopale: nato nelle grotte del Tesöl, mi ha scelto per evangelizzare la grande Africa; il suo sguardo si è posato proprio su di me, figlio di poveri ed emigrati, per muovere i regnanti ad ascoltare gli oppressi; parrocchiano di una parrocchia insignificante, per illuminare Papa e Vescovi su problemi universali della Chiesa!

Confrontando le mie vicende missionarie con le mie umili origini di “un povero figlio di un giardiniere di Limone”, un senso di stupore ha sempre pervaso la mia anima; Dio mi ha sorpreso nei suoi disegni e mi muove a eterna riconoscenza18.

18 Cf. S 642; 981-982; 4680

La mia avventura missionaria per la rigenerazione della Nigrizia ha avuto inizio in questo piccolo paese quando la mia vita è stata nascosta con Cristo in Dio nel fonte battesimale della Parrocchia ed io “piccino imparavo sulle ginocchia di mia madre a fare il segno della croce” (Cf S 342).

2. Dalla certezza della mia vocazione

Vengo dalla certezza della mia vocazione a essere Apostolo della Nigrizia; vocazione che ho avvertito come desiderio nella mia infanzia e che ho coltivato nell’Istituto Mazza fino alla decisione definitiva della mia totale donazione a Dio per la rigenerazione della Nigrizia. Sta qui il segreto della tenacia con la quale ho vissuto la consacrazione alla causa della Nigrizia e la costanza con la quale son rimasto fedele a questo ideale contro tutte le difficoltà fino alla morte.

Vengo da una risposta vocazionale purificata e fortificata nel crogiolo del deserto. In effetti, non c’è risposta alla vocazione senza sacrificio. Così è avvenuto che ho lasciato tutto, mi son lasciato possedere dal Tutto e mi sono consegnato totalmente a Lui per l’opera a cui mi chiamava. Ho vissuto la vocazione come un pellegrinaggio, come un passare a un’altra sponda, in cui Dio mi ha fatto “sposo” e liberatore della Nigrizia.

3. Sì, vengo dal deserto.

Questa realtà mi è molto familiare sia nella sua dimensione fisico-geografica sia spirituale. Vengo, in fatti, dagli interminabili viaggi nel deserto, che ho dovuto attraversare ben 7 volte, per arrivare al cuore dell’Africa.

La grande superficie del deserto da Korosko a Berber è penetrata nella mia carne e nel mio spirito di “votato” alla Nigrizia. È un deserto “vasto” e “di orrido aspetto”, ma anche salutare, perché nella sua solitudine, nel silenzio, nello spazio senza fine, sotto un cielo terso, si solleva e si fortifica l’anima. Attraverso questo deserto ho camminato cercando quell’altra sponda dove Dio mi inviava, popolata da volti sfigurati di fratelli miei, sostenuto da Dio stesso, che col suo Volto paterno mi sorrideva e mi tendeva le braccia dall’Alto dell’Eternità…

Così il deserto delle grandi estensioni dell’Africa centrale è divenuto parte integrante della mia vita, simbolo del mio deserto interiore, cioè del mio “impeto” missionario purificato attraverso la estesa, arida e oscura esperienza del deserto della mia anima.

Ho vissuto il deserto della mia anima in modo molto intenso e perfino drammatico nelle varie tappe del mio itinerario missionario, culminato con la morte sulla breccia.

Il deserto interiore, infatti, è l’anima sola, vuota, in aridità e angustia… È l’anima mia innamorata-consegnata e senza comprensione, senza compagnia, senza acqua, senza vita… È la mia situazione di uomo “solo” disposto a dare mille vite per l’amata Nigrizia; è l’esperienza di una stretta al cuore provocata dall’impeto della Carità sgorgata dal Cuore di Gesù Trafitto sul Gólgota, per cui vengo a trovarmi distaccato da tutto e lontano da tutti e allo stesso tempo macinato come chicco di frumento per essere con Gesù pane che dia vita alla Nigrizia….

4. Vengo dalla mia interiorità, dove abita un forte sentimento di Dio

Non sono entrato nel deserto in cerca di avventure esotiche o di tesori nascosti, ma disposto a perdere tutte le sicurezze umane e desideroso di lasciarmi conquistare e amare da Dio solo e di cercare solo la sua Gloria.

Per me, Dio, solo Dio, è la ragione unica del mio essere missionario. La sua presenza in me è il mio Amore, la mia Ricchezza, la mia Libertà. La mia unica felicità è sentirmi continuamente abitato da questa Presenza Amorosa, che dà calore alla mia esistenza, anche se è di notte; la mia unica felicità è vivere per la gloria di questo Dio che si fa compagno nel viaggio della mia vita, accettando che si serva di me per la felicità degli Africani.

Sì, mi è rimasto solo LUI, unica certezza e garanzia del mio cammino missionario. Forse sei abituato a pensarmi come un uomo preoccupato per le cose di Dio: la Nigrizia da rigenerare, i viaggi di animazione missionaria, le fondazioni degli Istituti, i complicati problemi della gestione della Missione… In realtà sono appassionatamente occupato nelle cose di Dio, ma mai preoccupato; vivo, infatti, da innamorato di Dio, da appassionato ricercatore del suo Volto e del compimento fedele della sua volontà, per cui la mia prima occupazione è il tratto con Lui. È da Lui che prendo inspirazione e forza per gli affari della Missione. Ho cominciato fin dalla mia infanzia a cercare unicamente la volontà di questo Dio che mi ha “consacrato” alle missioni dell’Africa; sono vissuto e vivo sempre disposto a sacrificare tutto pur di compierla e con il proposito di vivere e morire compiendo unicamente questa volontà divina, sostenuto dalla certezza che compierla è l’unica consolazione nelle prove.

Nella mia sete di Infinito, la Missione mi appare in tutta la sua chiarezza come dono di Dio. Un Dio che ho cercato e trovato, ma che mi ha amato e cercato per primo e che, mentre mi salva, mi sceglie come strumento di questa stessa salvezza per i miei fratelli più lontani da essa. Ho imparato così a cogliere la mia vita tra le mani con gratitudine e gioia filiale e a offrirla in dono a questo Dio della vita per la rigenerazione dei miei fratelli più poveri ed oppressi.

La mia dedicazione totale alla causa della rigenerazione dell’Africa Centrale è nata nel “deserto” della mia anima, fatta ascolto e abbandono nelle mani della Provvidenza divina, disposta a tutto, perché appartiene definitivamente a Dio, desiderosa di narrare e testimoniare questa grande Storia d’Amore, fonte e destino ultimo di ogni vita umana.

5. Vengo dal Cuore di Cristo

Percorrendo il deserto della mia anima ho trovato un “pozzo”. Sì, perché anche se nel deserto non c’è altro che arena, anche se non vedi e non senti niente, si trova sempre nascosto da qualche parte un pozzo, dove puoi bere e riprendere le forze (cf Gen 21, 8-19).

Questo pozzo è il Cuore Trafitto di Gesù, Buon Pastore.

Inoltrandomi nel mio deserto sazio la mia sete bevendo in abbondanza da questo “pozzo”, che cammina con me.

L’acqua che scaturisce da esso, è quella “Virtù divina” che, penetrando nel mio mondo interiore, mi spinge a svilupparlo senza posa. È essa che rende in me sempre più forte il sentimento di Dio e sempre più saldo il legame di solidarietà con la Nigrizia.

È da essa che nasce in me quella vita esteriore esuberante, tenace e coerente che richiama la tua attenzione.

6. Vengo dal deserto della Nigrizia e dalla solidarietà con essa

Il deserto della mia anima si incrocia con il deserto della Nigrizia. In fatti, il deserto affascinante e orribile che dovevo attraversare per raggiungere la Nigrizia, si proietta su di essa come un “buio misterioso” che la avvolge. Un buio che nasce da un intreccio di fenomeni sconcertanti e che attanaglia gli Africani in una vicenda di “povertà radicale” di oltre quaranta secoli, tenendoli lontani dai benefici del progresso umano e della fede. È una povertà in tutte le direzioni: essa tocca l’ambiente naturale, fascinante e nello steso tempo ostile alla vita e alla missione, le anime, i corpi e il tessuto sociale, causando l’indole avvilita dei neri, “su cui pare che ancora pesi tremendo l’anatema di Cam”. In una parola, è una povertà che, come il deserto, scava un vuoto orribile tutto all’intorno ed in mezzo alla Nigrizia e la rende una viva immagine di un’anima abbandonata da Dio.

Tuttavia la meravigliosa aurora del deserto che imporpora come un incendio d’oro il cielo, i monti e il piano; il sole che puntualmente si alza maestoso e infuoca l’immenso vuoto del deserto, sono nel mio animo segni della presenza provvidente di Dio in tutti i luoghi, anche nel regno della morte. Questa presenza mi spinge a entrare e mi sostiene in questo “buio misterioso” della Nigrizia, per far causa comune con i suoi figli e figlie, nella certezza della loro rigenerazione.

Posso dirti allora che vengo da una vita vissuta in solidarietà con i popoli poveri e oppressi della Nigrizia; unito e in comunione con questi miei fratelli concreti. Vengo da questa vita di dimenticati e marginati della storia, che ancora oggi la società ricorda solo quando fanno notizia per qualche nuova disgrazia che li colpisce o quando trova qualche nuovo modo per sfruttarli.

7. Vengo dalla comunione con la Trinità

« Proseguendo il cammino del deserto della mia anima, coinvolto in questo “buio misterioso” che ricopre la Nigrizia e sostenuto dall’acqua che sgorga dal Cuore di Cristo, a un certo momento mi trovai sul Monte del Signore. Non so bene se fosse il monte Oreb, o quello della Trasfigurazione o del Calvario. Forse tutti e tre questi monti per una volta si sono ravvicinati e mi hanno stretto assieme nel loro abbraccio, comunicandomi qualcosa del Mistero di Dio di cui ciascuno di essi è testimone. Il fatto si verificò sul colle del Vaticano, mentre pregavo sulla tomba di S. Pietro, contemplando il Cuore di Gesù in occasione della beatificazione di Margherita Maria Alaquoque.

Si tratta di un momento di preghiera, nel quale mi vengono dall’Alto i singoli punti del Piano per la rigenerazione della Nigrizia, che imprimono una svolta definitiva e configurano il resto della mia vita missionaria. In esso è presente tutta la Sacrosanta Trinità. Di fatto, una intensa luce “dall’Alto” illumina nel mio spirito la comunione con la Trinità da me vissuta fino a questo momento. Comincio a esperimentare la comunione con la Trinità in un modo nuovo, in quanto la percepisco pellegrina nel cammino degli uomini… Questa percezione che inonda il mio spirito, è la vena nascosta che dà ragione e forma alla mia “passione” per la Nigrizia, per cui posso dirti con verità che vengo dal cuore della Trinità.

Vengo dal coinvolgimento nel dinamismo dello Spirito Santo, “Virtù divina”, che mi rivela nel Cuore Trafitto di Gesù sulla Croce il segno e lo strumento perenne dell’amore salvifico che eternamente sgorga dal cuore del Padre, e la via della solidarietà con la vita di tutti gli uomini. Vengo così introdotto nell’inesauribile dialogo e comunione tra il Padre che ama tanto il mondo da decidere di inviare il Figlio, e il Figlio che risponde con la sua obbediente consegna redentrice fino alla morte in Croce e mi merita il dono di questa stessa “Virtù divina” come fiamma di Carità che sgorga dal suo Cuore Trafitto.

All’essere coinvolto nell’azione salvifica della Trinità mediante questa fiamma di Carità, vengo tratto fuori dal “buio misterioso” che ricopre l’Africa e dalla paura del passato in cui “rischi di ogni genere e scogli insormontabili sgominarono le forze e gettarono lo sgomento” tra le file missionarie. La Nigrizia si trasfigura ora davanti al mio sguardo: comincio a vederla ”come una miriade infinita di fratelli aventi un comun Padre su in cielo”. L’abbraccio di Dio Padre lo esperimento segnato dalla sofferenza di questi suoi figli africani, e nel bisognoso africano scopro un fratello, che ancora non usufruisce della benedizione del Padre che scaturisce dalla Croce…, per cui ha bisogno di essere incamminato verso di Lui.

Sotto l’influsso dello Spirito Santo esperimentato come fiamma di Carità che sgorga dal costato del Crocifisso sul Gólgota, sento che i palpiti del mio cuore si fondono con quelli di Gesù e si accelerano. In questa sintonia di cuori percepisco come il Padre, attraverso il suo Figlio incarnato, morto e risorto, ascolta il grido di quella miriade di figli suoi che vivono in Africa ancor “incurvati e gementi sotto il giogo di Satana” ed entra con tutto il suo essere nella loro storia e nel loro dolore.

Questa Carità mi fa sentire figlio amato dal “comun Padre” che si prende cura di me allo stesso modo che dei miei fratelli più abbandonati fino alla consegna del suo proprio Figlio; è questa Carità che mi trasporta e mi spinge a stringerli tra la braccia e dar loro il bacio di pace e di amore; mi spinge, cioè, ad assumere la loro storia e il loro dolore divenendone parte e facendo “causa comune con loro”, anche con il rischio della mia vita.

È un incontro con dei fratelli in cui si cela il volto di Gesù nello sconcertante mistero della sua identificazione con gli esclusi della storia. Nei miei fratelli africani oppressi mi si rivela il volto dolorante e sfigurato del Crocifisso, che fissa il suo sguardo su di me e mi chiama a evangelizzarli e a lavorare per il loro progresso e per la liberazione dalla loro schiavitù. Nello stesso tempo continuo a tenere lo sguardo fisso sul Crocifisso, per “capire sempre meglio cosa vuol dire un Dio morto in croce per la salvezza delle anime”.

Sono i fratelli che ricevo dall’azione salvifica della Trinità, ai quali posso finalmente comunicare l’evento salvifico del Trafitto–Risorto, che rompe il loro esilio e li mette sul cammino della libertà, pregustazione della Patria Trinitaria. Così sarà piena la loro e la mia gioia.

8. Vengo dalla Chiesa, “mia signora e madre”

Come cristiano, come missionario e infine da Vescovo sono figlio della Chiesa, sono “uomo di Chiesa”. Da essa ho ricevuto tutto: in essa ho conosciuto il Signore Gesù, “che ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa” (Ef 5,26); in essa e per mezzo di essa ho ricevuto e vivo la mia vocazione all’apostolato missionario in Africa, per cui sono orgoglioso di essere Missionario Apostolico.

Alla scuola di don Nicola Mazza ho scoperto le sue dimensioni fondamentali: la santità, la ricerca della verità e lo slancio missionario. Mi convinsi così che appartiene in pienezza alla Chiesa solo chi gioca la sua vita su due opzioni: tendere alla santità e servire attraverso la scelta vocazionale. Non mi sfuggì il fatto che non tutti nella Chiesa entrano in profondità nel suo Mistero e quindi non sono all’altezza dei suoi alti ideali. Ciò contribuì a rendere sempre più consapevole la mia appartenenza alla Chiesa e a comprendere che devo amarla così com’è e a vivere in essa spiritualmente ai piedi della Croce, che è il “sigillo delle opere di Dio” (S. 994).

Questo atteggiamento mi ha dato la forza della fedeltà alla Chiesa. Ho superato le prove dell’incomprensione e perfino della calunnia, tenendo lo sguardo fisso in Gesù Crocifisso, per imparare ad amare con Lui e con il suo Cuore il popolo che Egli stesso mi affidava attraverso la sua Chiesa. Ma mi ha dato anche la spinta a praticare un’obbedienza all’insegna dell’intelligenza e della creatività, facendo così un uso maturo della libertà personale nella e con la Chiesa.

Vivo l’appartenenza alla Chiesa come un grande dono di Dio, che non è paragonabile ad alcun altro interesse. Senza di essa non sono me stesso. Essa è “mia signora e madre” (S 7001). Da essa mi sento amato e accolto. Per essa nutro rispetto, amore e lealtà nel cercare la verità; in comunione e partecipazione con essa desidero realizzare il Piano venuto dall’Alto. Sono intimamente convinto che io stesso, la missione, i miei progetti sono garantiti solamente nella e dalla Chiesa. Perciò alla sua autorità ho venduto la mia volontà, la mia vita e tutto me stesso, e in essa scorgo la mano provvidente di Dio che mi conduce lungo il sentiero del mio apostolato missionario. Amo la Chiesa con tutto me stesso, non per calcoli umani ma per espressa volontà di Gesù Cristo, che ad essa ha lasciato in deposito il Vangelo che mi ha mandato ad annunciare.

9. Vengo dall’incontro con la Vergine Maria

Vengo dall’incontro e in compagnia di Maria, la madre del Signore, “volto materno di Dio”, presenza ineffabile di un amore che si dona costantemente. Ella ha un posto privilegiato nella mia vita, perché è Madre degli apostoli, Prezioso conforto del Missionario sul quale veglia per difenderlo dai pericoli, Stella Mattutina del missionario che si interna nel cuore dell’Africa, Maestra nei dubbi, Salute e fortezza nelle infermità, Guida nei viaggi, Luce degli erranti, Porto dei pericolanti, Madre della Consolazione.

È la pietosa Regina e la Madre amorosa della Nigrizia, la madre degli Africani, dei crocifissi di ieri e di oggi sui Gólgota del mondo, dove li riceve come figli stando ritta accanto al Figlio Crocifisso. Con la sua potente intercessione li libererà dalla sfortuna e li tufferà nelle gioie della fede, della speranza e della carità (Cf S 1644).

La vivo come l’Immacolata, la “donna senza peccato, la “tutta santa”, la “tutta pura”, “prodigio della grazia di Dio” e “miracolo dell’onnipotenza divina”, “santuario della Trinità” e immagine ideale dell’uomo e della donna, segnale della vita vera, “terra promessa” alla Nigrizia; quella Nigrizia che si profila al mio sguardo smarrita in un “buio misterioso” che la rende “una viva immagine della desolazione di un’anima abbandonata da Dio”, ma che, accogliendo Cristo, sarà nella Chiesa la “perla bruna”, che brilla incastonata nel diadema dell’Immacolata.

Vivendo in sua compagnia, Maria – Figlia prediletta dell’Eterno Padre, domicilio dell’Eterno Figlio, abitazione ineffabile dell’Eterno Divino Spirito (S 4003) – mi spiega che cosa è essere Tempio di Dio, cella interiore dove si vive senza interruzione la comunione con le Persone divine della Trinità, casa dove il dialogo con Dio e la preghiera per l’avvento del suo Regno è incessante.

La compagnia di Maria, la vergine del “Sì”, la fedele Serva del Signore che tiene sempre aperto il Cuore di Gesù, tiene aperto anche il mio, riversando in esso il desiderio dell’ascolto della Parola, la pedagogia del servizio, della pietra nascosta che forse mai verrà alla luce, la passione di far causa comune con gli Africani, in un atteggiamento di rispetto e di fede in essi, che mi metta a servizio della loro capacità di essere soggetti della propria rigenerazione.

La compagnia di Maria mi rivela ancora la dignità e l’abilità della donna e l’indispensabilità del suo ruolo nella mia ardua missione. Attribuisco alla presenza di Maria nella mia vita il fatto che sono io il primo a far concorrere nell’apostolato dell’Africa Centrale “l’onnipotente ministero della donna del Vangelo, e della Suora della Carità, che è lo scudo, la forza, e la garanzia del ministero del Missionario” (S 5284).

Ecco i centri vitali da cui provengo per andare incontro alle persone a cui sono inviato: vengo dalla mia vita nascosta con Cristo in Dio e da tutto ciò che ho ricevuto da Lui in dono per la mia pienezza umana e la realizzazione della missione a cui mi chiamava, cioè il servizio missionario tra i popoli dell’Africa Centrale, dove tanti figli suoi e fratelli miei vivono ancora spogliati della loro dignità e dimenticati. Tuttavia il desiderio più vivo che ho nel cuore e che voglio trasmettere a tutti a partire dai più “necessitosi e derelitti” e anche a te, è che la mia stessa vita nella sua totalità sia una parola che parli di Dio Amore-Liberatore, una parola che nasca dal mio tu per tu con Lui!

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Dopo aver ascoltato san Daniele Comboni, che mi si presenta come un uomo tutto di Dio e tutto della Nigrizia, ricevuta da Dio come sposa, per la quale “parlò, lavorò, visse e morì”, mi rendo conto che mi parla di realtà che mi riguardano e mi aiuta a capire che l’esperienza di fede che mi è data ed è vissuta nella ministerialità missionaria, può essere narrata e diventare significativa anche per gli altri, come quella del Comboni lo è per me. Saper ascoltare l’esperienza di fede missionaria di chi ci ha preceduto e saper narrare la propria è il primo passo della ministerialità all’interno della comunità e davanti agli uomini e donne di oggi.

In questa prospettiva accolgo le testimonianze dei missionari e missionarie, che mi arrivano in modi diversi attraverso i vari mezzi di comunicazione, inclusi i necrologi di questo triste tempo di pandemia, e ultimamente attraverso il libro: “Noi siamo missione”, ecc…

Può essere di stimolo a tutti noi l’affermazione del teologo A. Hortelano: “Oggi il mondo ha più che mai bisogno di un ritorno alla contemplazione… Il vero profeta della Chiesa futura sarà colui che verrà dal “deserto” come Mosè, Elia, il Battista, Paolo e soprattutto Gesù, carichi di misticismo e di quello splendore particolare che hanno solo gli uomini abituati a parlare a tu per tu con Dio”.

Noi Comboniani possiamo includere tra i Profeti che vengono dal deserto e che ci incoraggiano e ci accompagnano nella corsa che ci sta davanti (cfr. Gaudete et exultate, 1), anche il nostro Padre Fondatore, san Daniele Comboni. Egli, infatti, ci apre il cammino alla ministerialità nel mondo di oggi, che è frutto del binomio da lui vissuto e proposto ai suoi missionari, spronandoli ad essere “santi e capaci”. Allora il missionario nella totalità della sua persona (= spirito, anima e corpo) è mosso da questi due dinamismi, e avanza nel suo cammino missionario spinto dal vivo desiderio di essere anch’egli, come Comboni, tutto di Dio e della missione che riceve da Dio, e quindi votato a “parlare, lavorare, vivere e morire” soltanto per essa.

In particolare queste due figure di Servi del Signore sono due ottimi testimoni e guide per iniziare i giovani alla ministerialità, perché «per un cristiano non è possibile pensare alla propria missione sulla terra senza concepirla come un cammino di santità, perché «questa infatti è volontà di Dio, la vostra santificazione» (1Ts 4,3). Ogni santo è una missione; è un progetto del Padre per riflettere e incarnare, in un momento determinato della storia, un aspetto del Vangelo» (Gaudete et exultate, 9).

P. Carmelo Casile

Roma, 04 / 07 / 1999 / Casavatore, 15 / 12/ 2020