Vi invito a leggere un interessante articolo pubblicato di recente su La Civiltà Cattolica che ci aiuta a capire il pontificato di papa Francesco e la sua forma di governo:
Antonio Spadaro
www.laciviltacattolica.it
Quaderno 4085, pag. 350 – 364, Anno 2020, Volume III
5 Settembre 2020
Ecco qualche estratto:
Dopo sette anni, qual è la spinta propulsiva di questo pontificato? Alcuni commentatori e analisti si sono chiesti se questa spinta sussista ancora, altri hanno cercato di riflettere sulla sua sostanza. La domanda si potrebbe tradurre così: che tipo di governo è quello di Francesco, e come interpretarlo alla luce di questi anni?
Francesco è gesuita, e la sua idea di riforma della Chiesa corrisponde alla visione ignaziana.
Per questo, al di là di ogni altra riflessione su questo tema, una cosa è chiara: chi volesse tematizzare, nel pontificato di Francesco, un’opposizione tra conversione spirituale, pastorale e strutturale dimostrerebbe di non averne compreso il nucleo.
Il riformatore come «svuotato»
Per Francesco, la riforma si radica in questo svuotamento di sé, che egli riconosce in uno dei brani neotestamentari che più ama e più cita: Filippesi 2,6-11. Lì c’è la vera riforma. Se non fosse così, se essa fosse solamente un’idea, un progetto ideale, frutto dei propri desideri, anche buoni, diventerebbe l’ennesima ideologia del cambiamento.
Il discernimento non ideologico
Il progetto ignaziano di Francesco «non è una pianificazione di funzioni, non è un assortimento di possibilità. Il suo progetto consiste nel rendere esplicito e concreto ciò che egli aveva vissuto nella sua esperienza interiore».
Questo modo di procedere si chiama «discernimento»: è il discernimento della volontà di Dio nella vita e nella storia.
E soprattutto non si fa discernimento sulle idee, anche tra le idee di riforma, ma sul reale, sulle storie, sulla concreta storia della Chiesa, perché la realtà è sempre superiore all’idea.
Un appunto del Papa condiviso con «La Civiltà Cattolica»
Facendo riferimento al Sinodo per l’Amazzonia, riguardo all’ordinazione sacerdotale di viri probati, Francesco scrive: «C’è stata una discussione… una discussione ricca… una discussione ben fondata, ma nessun discernimento, che è qualcosa di diverso dall’arrivare a un buono e giustificato consenso o a maggioranze relative».
Un processo aperto e storico
Le decisioni di governo del Papa «sono legate a un discernimento spirituale», che «riscatta la necessaria ambiguità della vita e fa trovare i mezzi più opportuni, che non sempre si identificano con ciò che sembra grande o forte».
Il Papa ha ben chiaro il contesto, la situazione di partenza; è informato, ascolta pareri; è saldamente aderente al presente. Tuttavia, la strada che intende percorrere è per lui davvero aperta, non c’è una road map soltanto teorica: il cammino si apre camminando.
Un processo attento a trovare il massimo nel minimo
Il principio che sintetizza questa visione evolutiva è il motto: Non coerceri a maximo, contineri tamen a minimo, divinum est, che si potrebbe tradurre: «Non esser costretto da ciò che è più grande, essere contenuto in ciò che è più piccolo, questo è divino».
Un processo che affronta limiti, conflitti e problemi
Bergoglio non parla mai di un desiderio eroico e sublime. Non è «massimalista». Egli non crede a un idealismo rigido né a un «eticismo» né a un «“astrazionismo” spiritualista». Fanno parte integrante del cammino spirituale i limiti, i conflitti e i problemi.
Un processo che affronta tentazioni
La tentazione si annida spesso nelle istituzioni, specialmente in quelle alte, santamente sublimi. «Lo spirito cattivo – scrive Bergoglio – è abbastanza astuto da sapere che la sua battaglia diventa davvero difficile e ha scarse probabilità di vittoria quando deve affrontare uomini e comunità in cui il tratto dominante è la sapienza dello Spirito».
In questo caso esso agisce cercando di tentare sotto apparenza di bene. La finezza dell’argomentazione del «Nemico» si fa estrema, perché chi è tentato crede di dover agire per il bene della Chiesa.
Comprendiamo, quindi, che occorre evitare il rischio di piegare la volontà di riforma alla «mondanità spirituale».