XXV Settimana del Tempo Ordinario (anno pari)
Testo Introduzione al libro dei Proverbi

Introduzione al libro dei Proverbi
1. La composizione e la struttura del libro dei Proverbi
1.1 La composizione del libro
Il libro dei Proverbi appare come un’opera composita, che è stata elaborata in tempi diversi e nella quale confluiscono proverbi di varie epoche e provenienti anche da fuori Israele. Esso può essere considerato come il primo corpus sapienziale, una sorta di antologia letteraria della sapienza di Israele, una concentrazione della riflessione sapienziale prolungata per secoli. L’opera è il risultato di un redattore finale che ha messo insieme materiale eterogeneo, raccogliendo l’attività della sapienza di Israele durata parecchio tempo.
Sulla scorta di un consenso ampio, si può riconoscere nel libro dei Proverbi un grande corpo centrale, composto da sette collezioni di proverbi, preceduto da una lunga introduzione e seguito da un epilogo, costituito dal ritratto della donna ideale. In modo più particolareggiato possiamo analizzare la struttura del libro.
a) 1,1 9,18: La sezione introduttiva
a) 1,1-7: Il titolo: «Proverbi di Salomone, figlio di Davide, re d’Israele», seguito dallo scopo del libro stesso.
b) 1,8 9,18: Sapienza e stoltezza: è la grande introduzione al libro dei Proverbi, un testo molto diverso dal resto del libro, sia per il contenuto che per la forma. Lo si deduce in particolare da alcune caratteristiche:
L’espressione «figlio mio» ricorre in questa parte in più punti strutturando il testo1; è l’invito del padre al figlio perché acquisti la sapienza, ossia il senso e la prudenza nella vita e ne fugga i pericoli.
La seconda caratteristica sta nella forma letteraria di questi capitoli. In essi il discorso è assai ampio ed esteso. Per esempio, il cap. 2 è composto di 22 versetti (quante sono le lettere dell’alfabeto) e costituisce un solo periodo. Inoltre, troviamo i discorsi della Sapienza e dell’anti-Sapienza, alcuni lunghi e alcuni brevi: 1,20 33; 8,4 36; 9,1 6 (parla la donna saggezza); 9,16 18 (parla la donna follia). Dal capitolo 10 in poi, invece, il libro è in gran parte composto di “distici”: in tal modo si ha il massimo di significato con il minimo di parole.
– Un segnale di unità della sezione è dato dal riferimento all’inizio e alla fine (inclusione) al tema del timore di Dio, che si ritrova in 1,7 e 9,10.
Questa prima collezione ha la funzione di introdurre tutto il libro, rimarcando soprattutto la prospettiva religiosa in cui il redattore finale l’ha collocato.
b) 10,1 31,9: Il corpo centrale
In Pr 9,1 si dice che «la Sapienza ha intagliato le sue sette colonne»; in questa grande sezione, che copre i due terzi dell’intero libro, si possono riconoscere sette parti di diversa lunghezza. Il Redattore ha pensato alla raccolta dei Proverbi come a una casa, ad un Tempio, dove veniva raccolto tutto il tesoro sapienziale delle tradizioni precedenti. Le sette colonne / collezioni sono:
* 10,1 22,16: prima collezione. È qualificata dal redattore come «Proverbi di Salomone». Si contano qui 375 proverbi, tutti in forma di distici, tranne 19,7 (tre stichi). Questa raccolta è la parte più antica e originaria del libro dei Proverbi e, data l’antichità, i temi trattati sono vari e si riferiscono alla vita quotidiana. Dominante è lo sforzo e il desiderio di riconoscere nel mondo un ordine e di elaborare, di conseguenza, norme di condotta per il saggio, che vuole vivere in sintonia con il cosmo e l’umanità. La fonte della sapienza è la riflessione sulla esperienza.
* 22,17 24,22: seconda collezione. Come dice l’inizio di questa sezione, qui abbiamo le «parole dei saggi». Si tratta di una collezione di 30 proverbi (corrispondente a un mese solare) redatti in stile diretto per il lettore e quindi troviamo la caratteristica della descrizione e dell’argomentazione. Questa sezione rientra nel genere della istruzione (del maestro al discepolo). Essa può essere divisa in due parti, di cui la prima (22,17 23,14) ha un parallelo con il testo sapienziale egiziano L’insegnamento di Amenenope2.
* 24,23 34: terza collezione. Si dice che «anche queste sono parole dei saggi». Troviamo le medesime caratteristiche della seconda collezione (per questo alcuni autori la uniscono alla precedente).
* 25,1 29,27: quarta collezione. Comincia con «anche questi sono proverbi di Salomone trascritti dagli uomini di Ezechia re di Giuda». Questa colonna la si considera come la seconda raccolta di Salomone. È difficile stabilire se sia una composizione o una trascrizione fatta alla corte di Ezechia. È pure difficile stabilire se siano proverbi di Salomone o un espediente letterario per dare autorità alla raccolta. Ad ogni modo possiamo dire che esiste una inequivocabile parentela con la prima raccolta di Salomone (infatti anche qui si trova il distico). La prima parte di questa quarta colonna (capp. 25-27) è caratterizzata soprattutto dalla teoria della retribuzione: ad ogni atto segue una conseguenza proporzionata, quasi automatica, in obbedienza a un ordine universale stabilito da Dio3. La seconda parte (28 29) si distingue invece per lo spirito religioso: sono frequenti le allusioni a YHWH, frequenti sono gli inviti a osservare la Torah e insieme la contrapposizione fra giusti e malvagi. Questa quarta colonna, insieme alla prima, costituisce la parte principale del libro.
* 30,1 14: quinta collezione. Questa raccolta è catalogata dal Redattore come le parole di Agur. Agur è un personaggio ignoto la cui località di provenienza, Massa, viene identificata con una regione dell’Arabia del Nord. Questa colonna raccoglie materiali eterogenei, molto vicini al libro di Giobbe; può essere utile leggere questa colonna come un dialogo tra uno scettico e un credente.
* 30,15 33: sesta collezione. Raccolta di proverbi numerici senza titolo; si tratta di detti proverbiali impostati in sequenze numeriche. Tali sentenze sono adatte a esprimere lo stupore e l’interrogativo di fronte ai misteri della vita quotidiana.
* 31,1 9: settima collezione. Sono le parole di Lemuel, re di Massa. Questa sezione contiene dei consigli di una madre al proprio figlio, il re. Vengono portati due esempi di tentazioni – il sesso e il vino – che possono far perdere la lucidità e l’equilibrio, necessari in chi ha una responsabilità sociale.
c) 31,10 31: L’epilogo: La donna forte
Questa pericope si stacca dal resto. Infatti, non consta di una raccolta di proverbi, ma è una composizione poetica, composta come un acrostico (ogni capoverso comincia con una lettera dell’alfabeto ebraico, secondo il suo ordine). È situata alla fine del libro a modo di inclusione con la sapienza descritta nei primi nove capitoli. Pr 1 9 e 31,10 31 formano, così, la cornice del libro che è dovuta al Redattore finale.
1.2 La struttura del libro
1) 1,1-9,18 Sezione introduttiva
- 1,1-7 Titolo e prologo
- 1,8-9,18 La Sapienza e la Follia (la via del bene e del male)
2) 10,1-31,9 Le “sette colonne” della casa della Sapienza
- 10,1-22,16 Prima raccolta di Salomone
- 22,17-24,22 Sentenze dei saggi
- 24,23-34 Continuazione delle sentenze dei saggi
- 25,1-29,27 Seconda raccolta di Salomone
- 30,1-14 Massime di Agur
- 30,15-33 Raccolta dei proverbi numerici
- 31,1-9 Massime di Lemuel
3) 31,10 31 Epilogo: La donna perfetta
2. La formazione del libro dei Proverbi
È difficile offrire una valutazione circa la storia della formazione del testo. Le sette raccolte contenute nella parte centrale del libro mostrano come le origini del libro non possano essere attribuite ad uno stesso autore e ad una stessa epoca. La parte più antica è verosimilmente costituita dalla prima raccolta dei saggi (Pr 10-22) attribuita, nel libro stesso, a Salomone. Tale raccolta non è così antica da poterla far risalire al tempo di Salomone, ma è comunque di epoca monarchica. La quarta raccolta (Pr 25-29) inizia con questa soprascritta: «Anche questi sono proverbi di Salomone, trascritti dagli uomini di Ezechia, re di Giuda» (Pr 25,1). Se accettiamo come storica questa soprascritta, si potrebbe affermare che l’epoca di Ezechia appare il periodo più probabile di formazione delle raccolte più antiche, attribuite al re Salomone. Per le altre cinque raccolte è difficile stabilire con certezza una data di composizione. Le raccolte attribuite a stranieri, Agur e Lemuel, potrebbero essere postesiliche, le altre preesiliche; ma si rimane nel campo delle ipotesi.
La sezione introduttiva di Pr 1-9 e il poema finale sulla donna perfetta (Pr 31,10-31) appartengono al periodo postesilico, per qualcuno alla prima epoca persiana (V sec. a.C.), per altri anche a metà del IV sec. a.C., poco prima dell’epoca ellenistica. Al di là di questo, è importante sottolineare lo scopo chiaramente didattico di questi capitoli. Nel postesilio, mentre le riforme di Esdra e Neemia cercheranno di porre alla base del nuovo Israele la Legge di Mosè e i sacerdoti marcheranno il valore del culto e del Tempio, i saggi ripropongono ai giovani la sapienza antica, ossia la via dell’esperienza. Essi riprendono in mano i testi delle sette raccolte, li rielaborano e li inseriscono in un nuovo contesto, scrivendo quelli che oggi sono i primi nove capitoli del libro dei Proverbi come introduzione, oltre al poema sulla donna perfetta, come conclusione dell’intera opera. La sapienza dei padri serve così ai figli come base per ricostruire la società e rifondare i valori più autentici, di fronte al rischio di una perdita dei valori tradizionali.
È importante cogliere l’articolazione tra le due sezioni del libro dei Proverbi. Pr 1-9 si presenta come una sorta di “guida ermeneutica” a tutto il libro, che significativamente comprende una linea di sapienza più antica (capp. 10-31) ispirata ad un procedimento più empirico, impegnata a misurarsi direttamente con l’esperienza, da cui ricavare le conclusioni in ordine agli atteggiamenti fondamentali da assumere. La premessa di Pr 1-9, racchiusa dal riferimento al «timore del Signore» come principio della sapienza, mette in luce come questa capacità sapienziale dell’uomo è dono di Dio da acquisire anzitutto con il Suo «timore», come atteggiamento di fondo. Tutta la sapienza antica viene assunta dagli autori di Pr 1-9 e come “canonizzata” mediante la proposta che la donna Sapienza fa nei suoi discorsi all’interno di questi capitoli.
Chi ha composto Pr 1-9 e lo ha posto come prologo dell’intero libro è, quindi il responsabile della redazione conclusiva del libro, colui che ha messo insieme le sette raccolte dei detti propri della sapienza antica, offrendole ai suoi lettori all’interno di un preciso progetto educativo: valorizzare il materiale proveniente dalla sapienza antica ed elevarlo al rango di parola di Dio.
3. Il libro dei Proverbi e la letteratura sapienziale extrabiblica
Il problema del rapporto tra il libro dei Proverbi e la letteratura sapienziale extrabiblica, in particolare egiziana, è universalmente riconosciuto. Ciò che viene messo in discussione è la portata e la natura di questo rapporto. La discussione si è accesa soprattutto dopo la pubblicazione nel 1923 del testo egiziano L’insegnamento/Le Istruzioni di Amenenope, che mostra una chiara relazione con Pr 22,17-24,22.
Fin dal III millennio a.C. l’Egitto conosce un tipo di letteratura definita oggi Istruzione. Si tratta di testi composti per l’educazione di funzionari pubblici. Dietro alle regole pratiche che vengono date sta la convinzione che esiste un ordine del mondo nel quale il discepolo deve inserirsi. Chiave di volta della sapienza egiziana, infatti, è l’idea di Ma’at, la dea della sapienza che personifica la giustizia e l’ordine del mondo cui il saggio deve sapersi conformare. La descrizione della Donna Sapienza in Pr 8,1-9,6 risente, per molti aspetti, di questo modello.
In rapporto alla sapienza biblica interessa ricordare gli Insegnamenti di Ani e l’Insegnamento di Amenenope (XIII-XII sec. a.C.); soprattutto quest’ultima opera è importante per il libro dei Proverbi. Il punto centrale di Amenenope è il rapporto tra moralità e religione: solo l’uomo fedele a Dio può essere anche giusto. I valori più importanti proposti da Amenenope sono la capacità di controllarsi e di frenare la lingua, il parlare a tempo debito, il saper beneficare il prossimo, in opposizione al un atteggiamento focoso e collerico che causa la propria rovina.
La seconda raccolta del libro dei Proverbi (Pr 22,17-24,22) è una rielaborazione israelita di questo Insegnamento di Amenenope. I saggi di Israele hanno riconosciuto la fondatezza dei valori proposti dai saggi egiziani e li hanno riproposti. (…)
4. La “forma” dei proverbi
4.1 Il valore del ‘proverbio’
Ci si può chiedere cosa sia un proverbio e quali siano, nel libro dei Proverbi anzitutto, le forme del suo linguaggio. Il «proverbio» suona spesso come quanto di più ‘banale’ ci sia, perché viene inteso quale “verità universale” e semplicemente “convenzionale”.
Occorre recuperare lo sfondo da cui nasce il proverbio e la prospettiva verso cui guarda: l’esperienza in quanto oggetto di comprensione, in quanto patrimonio comunicabile.
I latini chiamavano adagium, adagia i proverbi, ossia “detti” (ad + verbo aio, dire). Una paraetimologia tardiva di Sesto Pompeo Festo, un grammatico del II sec. d.C., nel trattato De verborum significatu, spiega il termine adagia con l’espressione ad agendum (parole adatte per l’agire). Filologicamente non esatto, tuttavia ciò suggerisce la direzione giusta: una parola breve, magari enigmatica, facilmente memorizzabile, che sollecita a trasformare attivamente la propria esistenza, invitando alla responsabilità.
Dietro il proverbio cosa c’è? C’è senz’altro il ‘racconto’, ossia la memoria dell’esperienza vissuta, reiterata, confrontata, ripetutamente narrata e infine sintetizzata in forma aforistica, secondo un linguaggio ‘poetico’. È un modo di ‘lavorare’ l’esperienza, è il suo senso finale, conclusivo, da tesaurizzare. Brevi osservazioni affiorano allora come risultato di un lungo cammino.
Un’esperienza prolungata, fatta di tensioni, disillusione, ecc., presuppone il proverbio di Pr 10,10: «Chi chiude un occhio causa dolore, chi riprende a viso aperto procura pace». Forse una più breve, distaccata e comune esperienza – e una più ovvia conclusione – sta dietro, ad esempio, al proverbio di Pr 10,4: «La mano pigra fa impoverire, la mano operosa arricchisce».
L’esperienza umana, quale si svolge nel tempo, è spesso confusa ed opaca, contraddittoria e complessa. Ad un certo punto diventa più luminosa e trasparente, come prima non era; il proverbio si pone allora come questo momento più chiaro e luminoso dell’esperienza.
Il proverbio non intende ‘dimostrare’ nulla, ma suggerisce e ricorda, anche attraverso usi stilistici e abilità retorica. Inoltre, ciò che appare importante non è tanto quel che viene detto, ma il processo conoscitivo stesso che viene posto in atto e che invita ad andare oltre il proverbio stesso. In particolare ciò avviene quando il proverbio suscita sorpresa, come in Pr 25,15: «una lingua dolce spezza le ossa» (cf. anche 27,7). Inoltre, il proverbio mette spesso in luce l’ambiguità del reale e può pertanto avere più livelli di significato. Il proverbio è così anche un rischio, come si può vedere a proposito dell’apparente contraddittorietà di Pr 26,4-5: «Non rispondere allo stupido secondo la sua stupidità, perché tu non diventi simile a lui! Rispondi allo stupido secondo la sua stupidità, perché non si creda di essere saggio!». Entrambi i consigli sono veri; ma spetta al lettore il discernimento della situazione.
Queste brevi considerazioni permettono di concludere circa il modo con cui leggere i proverbi: non si tratta di imparare dai proverbi, ma con i proverbi, recuperando la loro intenzione di strappare l’esperienza dal caos, dall’insignificanza, dal fallimento, e di cogliere la configurazione della vita secondo il suo senso autentico, come verità che si svela e si compie a determinate condizioni. Si tratta di ritrovare il senso e il valore della loro opportunità; il valore di un proverbio sta ‘nel venire a proposito’, al momento opportuno. La loro verità non è detto che emerga subito, chiede di essere custodita fino al suo momento opportuno; quando accade, è un ‘evento’.
4.2 Le “forme” del linguaggio “proverbiale”
Come si dirà subito dopo a proposito dell’analisi di Pr 1,1 e del termine māšāl, il proverbio non si identifica con una particolare e determinata forma letteraria sapienziale, ma si applica a diverse forme letterarie e poetiche.
Qualche osservazione sulla “forma” (diverse tipologie) dei proverbi senza alcuna pretesa di completezza, premettendo che nella parte centrale del libro dei Proverbi predomina la forma del singolo proverbio composto da uno o due emistichi articolati nella modalità tipica della poesia ebraica, ossia il parallelismo, che può assumere fondamentalmente una triplice modalità:
– parallelismo sinonimico: la seconda parte del versetto ripete l’idea del primo con termini simili: «È meglio comprare sapienza che oro / meglio comprare intelligenza che argento» (Pr 16,16), «Il falso testimone non resterà impunito / chi dice menzogne non se la cava» (Pr 19,6);
– parallelismo antitetico: la seconda parte del versetto contrappone all’idea precedentemente espressa un’altra in termini ad essa contrari: «C’è chi si crede ricco e non ha niente e chi passa per povero e possiede una fortuna» (Pr 13,7); «La donna saggia edifica la sua casa / la stolta la distrugge con le sue mani» (Pr 16,7);
– parallelismo sintetico: la seconda parte del versetto sviluppa o completa la prima: «Rispettare il Signore è fonte di vita, allontana dai lacci della morte» (Pr 14,27).
a. Proverbi di constatazione e di ammonimento
Nel libro dei Proverbi si hanno due fondamentali tipi di sentenze: il “detto di constatazione” e il “detto di ammonimento”, che hanno a che fare con «due fondamentali movimenti dello spirito», entrambi destinati ad un processo di comunicazione e di trasmissione. Il detto di constatazione mira a ‘constatare’; coglie i fatti della realtà e li fissa in elenchi e proposizioni enunciative. «Fissare» va qui inteso nel suo senso letterale: ciò che vuole sfuggire, che appare in movimento ed inafferrabile, viene fermato, preso e «fissato». Con il detto di ammonimento, invece, il saggio rivolge all’uomo ciò che è stato prima «fissato», che è stato reso afferrabile; ora egli rende udibile nella forma imperativa o iussiva in che modo un uomo si può comportare rettamente in conseguenza della constatazione fatta e che cosa debba fare rispetto ad essa.
– Il proverbio più frequente è il detto di constatazione, che presenta l’esperienza sedimentata, condensata. Un tipo di questi proverbi è introdotto dall’enunciato: “c’è / non c’è” (ad esempio: Pr 11,24: «C’è chi largheggia e la sua miseri aumenta; c’è chi risparmia oltre misura e finisce nella miseria», cf. 13,7; 16,25; 21,30; 25,3, ecc). Altre volte si trova un termine come “uomo/donna” (‘ish/’isshah), “uomo” (‘adam), “generazione” (dor) spesso accompagnati da un aggettivo qualificativo (…).
– Il detto di ammonimento presenta una struttura di questo genere: ammonimento (positivo o negativo), motivazione, conclusione che mostra l’esito dell’agire proposto: «Figlio mio, temi il Signore e il re, e con i ribelli non immischiarti / perché improvviso sorgerà il loro castigo / e la rovina mandata da entrambi chi la conosce?» (Pr 24,21-22). (…)
b. Proverbi di beatitudine
A metà fra constatazione e ammonimento si colloca la beatitudine. Si tratta di una forma sapienziale, prediletta dai Salmi (cf. Sal 1); anche Gesù privilegerà questa forma espressiva, vera e propria proclamazione di una felicità già attuale (e futura) che, sollecitando il desiderio della felicità, assume una forte carica emotiva. Questa forma ritorna alcune volte all’interno del libro dei Proverbi.
c. Proverbi di valutazione
– La forma fondamentale di questa tipologia di proverbio è il detto comparativo, che esprime una sorta di ‘ricerca del meglio’. La prospettiva di tali proverbi è ‘assiologica’, nel senso che si tratta si stabilire una scala di valori, prendendo due o più realtà e mettendole a confronto per valutare ciò che è meglio delle due. Al saggio compete la valutazione delle diverse e migliori possibilità. Normalmente tale forma viene introdotta dall’espressione “… è meglio… di …” (tôb… min); il maestro guida verso un bene superiore, facendo leva su un bene più facilmente appetibile come termine di comparazione (ad esempio Pr 15, 16: «È meglio un piatto di verdura con l’amore che un bue grasso con l’odio»; cf. Pr 12,9; 15,17; 16,8.19.32). questa forma sarà frequente anche nel libro di Qohelet che utilizza una formula particolare: «non c’è niente di meglio per l’uomo che….» (cf. Qo 2,24; 3,12; 12.22; 5,17; 8,15).
– Ci sono poi proverbi che segnalano una cosa non buona, introdotti da espressioni tipo: “non è bene/giusto” (Pr 17,26; 18,5; 19,2); “non conviene” (Pr 17,7; 19,10); “… è abominevole (al Signore)…” (Pr 11,1.20; 15,8; 16,5; 17,15).
d. Proverbi di paragone
Si tratta di proverbi che mettono in campo la capacità di vedere analogie. Possiamo segnalare qui due tipologie.
– Il proverbio di paragone in senso stretto, che fa leva sulla somiglianza. Due fenomeni osservati (anche appartenenti ad ambiti diversi) vengono messi in paragone di somiglianza, di analogia. L’accostamento esprime un guadagno di conoscenza in quanto viene colto un ‘ordine superiore’ presente nelle cose. Tale forma di proverbio è frequente soprattutto nella collezione salomonica antica di Pr 25,1-27,27 (ad esempio Pr 25,3:«I cieli per la loro altezza, la terra per la sua profondità e il cuore dei re sono inesplorabili»; cf. Pr 25,13-14.18.23; 27,8.19; 26, 1.2.21.27.28; 28,15, ecc.).
– Il proverbio numerico. Si tratta di un tipo particolare di proverbio di paragone che segnala la capacità di stabilire analogie e gettare ponti tra le varie realtà. Esso serve a mettere insieme realtà che, prese individualmente, sono nettamente differenti nella loro specifica identità, ma, una volta accostate, manifestano un qualcosa che le rende somiglianti. È un modo per mettere ordine anche tra fenomeni tanto disparati, anche al limite del comprensibile. Si tratta della forma che segue lo schema: tre elementi + un quarto oppure sei elementi + un settimo. Il 4 e il 7 segnalano una prospettiva di totalità (i 4 punti cardinali, il 7 come sinonimo di perfezione). La struttura di questa forma può prevedere:
+ una introduzione con l’enumerazione generica di un certo gruppo di fenomeni (tre cose …. anzi quattro)
+ la serie di questi fenomeni, in cui gli elementi sono prevalentemente in funzione dell’ultimo.
Si tratta di cogliere una omogeneità di valori, ma anche un vertice di valori all’interno di un tutto, dove non tutto conta allo stesso modo. (…) Interessante il testo di Pr 30,18-19: «Tre cose sono troppo ardue per me, anzi quattro, che non comprendo affatto: la via dell’aquila nel cielo, la via del serpente sulla roccia, la via della nave in alto mare, la via dell’uomo in una giovane donna»! (…)