V Settimana del Tempo Ordinario (anno dispari)
GENESI capitoli 1-11
INTRODUZIONE
Don Antonio Schena
I capitoli (1-11) costituiscono una introduzione necessaria alla storia dei Patriarchi, che a sua volta ci condurrà all’apice di tutta la narrazione dell’Antico Testamento: l’Esodo e l’Alleanza. In questi capitoli sono prevalenti due Tradizioni: Jahwista e Sacerdotale.
La “Creazione” e la “Caduta”, sono gli atti determinanti di ciò che seguirà: la graduale avversione a Dio da parte dell’uomo, e il definitivo intervento di Jahwè nella nuova creazione: quella del suo Popolo.
Anche se la Bibbia si apre col Libro della Genesi, Israele non ha scoperto Dio a partire dall’universo creato, bensì attraverso gli interventi di Jahwè nella storia del suo Popolo.
Dal Dio delle teofanie, dal Dio incontrato nella storia di Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè; dalla liberazione dall’Egitto, dalla conquista della terra promessa: da questo Dio, Israele è risalito al Dio Creatore.
Jahwè si è fatto conoscere prima come liberatore di un Popolo che ha fatto suo con l’Alleanza. Poi questo popolo ha scoperto che questo Dio Salvatore era anche il Dio Creatore, cioè Colui che aveva creato il cielo e la terra.
PRIMO RACCONTO DELLA CREAZIONE
(Genesi 1, 1 – 2, 4a)
Questo primo racconto della Creazione è un Inno della Tradizione Sacerdotale, che scandisce ogni opera con un ritornello : “Dio vide che ciò era buono”.
L’intenzione dell’autore è quella di inculcare nella mente del Popolo “il riposo del Sabato”, che era tradizione in Israele; perciò i sei giorni, si intendono come normali periodi di ventiquattrore.
La cosmologia primitiva del tempo dell’agiografo viene usata per insegnare che Dio ha creato tutte le cose, attraverso la Sua assoluta potenza e trascendenza.
Mentre i poemi epici descrivevano la Creazione come il risultato di una lotta tra gli dei e le forze del caos, il racconto biblico pone in risalto l’attività senza sforzo dell’unico Dio.
Le immagini prese in prestito da altre narrazioni, soprattutto babilonesi (per es. “sole” e “luna” vengono chiamati “luminari”, perché questi nomi semiti ricordavano gli dei pagani, adorati a volte dallo stesso Israele), diventano elementi di polemica dell’autore sacro contro i miti.
Il verbo “barà” = “creò”, usato esclusivamente per Dio, non suggerisce, qui, alcuna materia preesistente.
Paragonando le opere della prima metà, con quelle della seconda metà, scopriamo un parallelismo perfetto, nei sei giorni della Creazione: alla luce creata nel primo giorno, corrispondono il sole, la luna e le stelle, del quarto giorno.
Alla creazione del firmamento e delle acque superiori e inferiori nel secondo giorno, corrisponde la creazione degli uccelli e dei pesci del mare del quinto giorno.
Alla formazione della terra del terzo giorno, corrisponde la creazione degli animali nel sesto giorno.
Il parallelismo si vede ancora confrontando le due serie tra loro. Nella prima serie, Dio compie esclusivamente una “separazione” tra le cose create: nel primo giorno vengono separate la luce dalle tenebre; nel secondo giorno è separato il firmamento, dalle acque di sopra e di sotto (acque piovane e oceano); il terzo giorno c’è la separazione tra la terra e il mare.
Ad ogni separazione compiuta nella prima serie, corrisponde un “dominio”, cioè la “popolazione”, nella seconda serie: così i corpi celesti, dominano la luce e le tenebre; gli uccelli e i pesci si muovono nell’aria sotto il firmamento e nell’acqua; gli animali (bestiame e bestie selvatiche) popolano la terra.
IN SINTESI
Separazione | Dominio |
1 LUCE | 4 SOLE, LUNA, STELLE |
2 FIUMI, ACQUE | 5 UCCELLI, PESCI |
3 TERRA | 6 ANIMALI |
Il firmamento veniva considerato come una calotta di metallo martellato, che tratteneva le acque che stavano sopra.
La Tradizione Sacerdotale fa notare che l’apice della Creazione è raggiunto nell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio. I Semiti (così chiamati, perché discendenti di Sem), non conoscevano alcuna dicotomia (il concetto di corpo e anima fu introdotto dalla filosofia greca), quale la conosciamo noi: l’uomo intero, quindi, aveva l’immagine di Dio, che si manifestava soprattutto nella conseguente facoltà di dominare sulla creatura.
L’uomo, come immagine di Dio, è il Suo rappresentante sulla terra; a differenza degli antichi Re, Jahwè non ha bisogno di controfigure; difatti in quelle regioni dell’Impero dove il Sovrano non poteva essere presente di persona, faceva innalzare delle statue che raffiguravano la sua persona. Per l’autore biblico, invece, nel volto di ogni uomo c’è l’immagine di Dio.
La Tradizione Sacerdotale aggiunge la convinzione che la distinzione dei sessi è di origine divina e pertanto buona.
Il pieno significato di “umanità” (‘adam) si realizza solamente quando vi sono l’uomo e la donna.
SECONDO RACCONTO DELLA CREAZIONE
(Genesi 2, 4b – 25)
La narrazione Jahwista differisce grandemente dalla Tradizione Sacerdotale. Il genere letterario è quello del racconto popolare, con elementi che hanno più stretta dipendenza da fonti extra-bibliche. Lo stile è più vivace e concreto; la presentazione di Dio più antropomorfica, la prospettiva è terrestre ed umana piuttosto che cosmica e divina.
La fusione Jahwè-Eloìm (Signore-Dio), è da attribuirsi al redattore finale.
Abbiamo visto che per la Tradizione Sacerdotale, il caos delle acque diluviali, viene sostituito da un cosmo ordinato; mentre per la Tradizione Jahwista, il caos della desolazione desertica sarà sostituito da un giardino fruttifero.
Mentre la Tradizione Sacerdotale inizia il racconto della Creazione, con il cielo, la terra, il firmamento, e solo alla fine fa apparire l’uomo; la Tradizione Jahwista, comincia subito il racconto con l’uomo; dall’inizio alla fine è lui in primo piano.
La terra è presentata come una pianura spoglia, senza erbe o alberi e senza animali. Solo quando fu plasmato l’uomo col fango di questa pianura, in essere vivente, solo allora Dio piantò per l’uomo un “giardino” e dopo che l’uomo fu trasportato nel giardino, Dio modellò dal fango gli animali della terra e gli uccelli del cielo: tutto viene fatto esclusivamente per l’uomo.
L’uomo diventa “essere vivente” solo quando Dio “soffiò nelle sue narici un alito di vita
“Alito di vita”
Dall’ebraico “nishmah” rimanda al “soffiare” e “respirare”. Nell’A.T. questo termine indica la spiritualità dell’uomo, cioè un dono che Dio fa all’uomo per permettergli di conoscere, di entrare in relazione con gli altri e con Lui stesso. L’altro termine, invece, “ruah” = “vento”, indica lo Spirito di Dio. Quest’alito di vita non designa “l’anima” (termine sconosciuto all’autore sacro; infatti è stato introdotto tardivamente con la filosofia greca), ma qualcosa simile a ciò che noi chiamiamo “coscienza”. L’uomo, perciò, è contemporaneamente legato a Dio (alito di vita) e al mondo (argilla-materia), e questa unità è la sua grandezza e la sua bellezza.
“ Il Signore Dio plasmò l’uomo con la polvere del suolo”
La creazione dell’uomo è rappresentata con l’immagine del vasaio che plasma la creta. Non per nulla in ebraico “uomo” è “’adam” e la terra “adamah”. Adamo, perciò, non è un nome proprio, ma indica ogni uomo che è legato all’argilla (la parola ebraica “adamah” letteralmente indica qualcosa si “rossastro” come l’argilla), cioè alla materia. L’ebraico oltre al termine “adam” (che, abbiamo visto, indica l’essere umano nella sua totalità, oppure umanità), ha un altro termine che traduce la parola “uomo”, ed è il vocabolo “ish”, con il quale si vuole indicare l’essere umano “maschio” e spesso anche il “marito”. A questo termine corrisponde il femminile “isshàh”, cioè la “donna”, ma anche la “moglie”.
“Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, ad Oriente”
“Giardino” è il senso originale ebraico: “gan”. L’antica versione greca della Bibbia, ha tradotto questo termine con “paràdeisos”, vocabolo di origine persiana, dal quale è derivato il nostro termine corrente ““Paradiso”. Il “giardino” non ha una collocazione precisa, ma è un’immagine che rappresenta il mondo in armonia con l’uomo e l’universo intero. L’autore biblico, infatti, fa diramare da quel punto i quattro fiumi che, come i quattro punti cardinali, definiscono tutto il mondo nella sua bellezza e fecondità. Il Tigri e l’Eufrate sono ben noti, come fiumi della Mesopotamia; gli altri due: Pison e Ghicon sono ignoti (l’Indo e il Nilo?). Il racconto al di là dei simboli e delle immagini, dice semplicemente che Dio ha creato l’uomo in una condizione di felicità, in un “paradiso”; questo termine però va inteso nel giusto senso: Dio ha creato la felicità, e il paradiso è nell’uomo stesso. Peccato, che abbiano voluto cercare il Paradiso su una carta geografica, in terre più o meno lontane: la felicità paradisiaca si trova nel cuore dell’uomo.
“Per coltivare e custodire”
I verbi qui usati sono molto importanti e frequenti nella Bibbia.
Il verbo “coltivare”, nell’originale ebraico (abàd), significa: “servire”, “lavorare”, ma è anche il verbo usato per indicare il “servizio” liturgico nel Tempio. Il verbo “custodire” (shamar), significa “osservare”, ed è riferito alla sentinella che vigila, ma anche e soprattutto al “custodire” e “osservare” la Legge e la parola del Signore. Il compito dell’uomo è, allora, quello di custodire il dono di Dio, il creato, riconoscendo in esso la Sua opera.
“L’albero della vita”
E’ l’albero di cui nell’antico mondo orientale, bisognava mangiare regolarmente i frutti per ottenere l’immortalità. Nell’Epopea di Ghilgamesch, il frutto dell’albero della vita è chiamato significativamente “ il vecchio diventa di nuovo giovane”. Ghilgamesch è un eroe della mitologia babilonese, che va alla ricerca dell’albero della Vita per cibarsi dei suoi frutti e così evitare la morte. Mentre nell’Epopea di Ghilgamesch, l’albero della Vita è smarrito per circostanze esterne; il testo biblico pone l’accento sulla colpevole disobbedienza dell’uomo.
“L’albero della conoscenza del bene e del male”
La “conoscenza” per la Bibbia, non è solo un’attività mentale, ma anche vitale e della volontà, è simile alla decisione. “Bene” e “male” sono le due facce della realtà morale. Quell’albero è, quindi, il simbolo delle scelte morali. E’ solo Dio che decide ciò che è bene e ciò che è male: questo è il senso di quel comando. Se violato, l’uomo sperimenterà la morte, che non è solo l’esperienza fisica del morire, ma soprattutto la separazione dal Dio della vita.
“Creazione della donna”
L’uomo nel giardino o “Eden” (= piacere) è solo. Questa solitudine è parzialmente superata con la creazione degli animali a cui l’uomo “impone il nome” (nella Bibbia significa dare un ordine a tutte le realtà; sottrarla al caos e al nulla e quindi poterla controllare e dominare per il proprio benessere; questo è il momento della scienza e della tecnica, del lavoro che trasforma e domina il mondo e le sue creature). Ma giunto a sera della sua giornata, l’uomo si sente ancora solo. Gli “animali” e le “cose” non sono “un aiuto degno di lui”. Egli allora entra in un sogno-visione, ove Dio, con la stessa materia di cui è costituito l’uomo (la “costola” in alcune lingue semite indica: “vita”, “femminilità”), forma una Nuova creatura umana fatta dalla stessa realtà, e dotata della stessa dignità. Il “sonno profondo” dell’uomo, suggerisce la natura altamente misteriosa ed importante dell’attività divina. “Osso delle mie ossa, carne della mia carne”. Tra i due si è stabilita una comunione profonda, così da essere una sola “carne”. Questa espressione rimanda non solo all’atto sessuale matrimoniale, ma anche all’unità della vita (la “carne” è simbolo dell’esistenza, nella Bibbia).L’autore conclude questa prima parte della sua narrazione, con un principio generale; l’unione matrimoniale e il suo carattere monogamico, sono voluti da Dio. Il primo atto del racconto si chiude con l’uomo e la donna nudi e sereni. La “nudità” nella Bibbia è segno dell’essere creatura: l’uomo non peccatore si accetta così, con serenità. Dopo il peccato, la “veste” sarà il tentativo di ritrovare la dignità perduta, perché allora l’uomo non potrà più accettarsi come egli è. La prima parte di questo nuovo racconto della creazione ha ribadito la bellezza della realtà uscita dalle mani di Dio. Essa è come un tessuto di armonie: l’uomo è in armonia con Dio, a cui è legato dall’alito di vita; è in armonia con la materia e gli animali a cui “impone il nome”; è in armonia con il suo simile, cioè la “donna”.
Don Antonio Schena
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