Nemonte Nenquimo con anziani Waorani ( (foto Jeronimo Zuñiga, Amazon Frontlines)
Chi conosce Nemonte Nenquimo? È una donna determinata, come tante altre.
Nata nella Foresta Amazzonica, lungo le rive del fiume Curaray, è di etnia waorani.
Da piccola lascia la sua comunità per studiare nella scuola della missione, ma torna presto al villaggio per non sentirsi sradicata dal suo popolo. Grazie a questo contatto con il “mondo esterno alla foresta”, Nemonte ha mobilitato quasi 5.000 Waorani a difesa della propria terra: «Prima combattevamo con le frecce. Adesso lo facciamo con la penna. Anzi, il pc».
Nemonte ha una figlia di 4 anni, che già conosce tanti canti waorani; le tradizioni ancestrali si conciliano bene con ciò che serve oggi a difendere una vita dignitosa.
Dal 2018 questa giovane madre si è trovata faccia a faccia con il governo ecuadoregno in una causa legale di portata storica: lo scorso 26 aprile il verdetto ha impedito all’Ecuador di destinare quasi 200.000 ettari di foresta allo sfruttamento petrolifero.
Il governo ha fatto appello contro la sentenza del giudice che, nel rispetto della Costituzione del Paese, impone di avviare una nuova consultazione fra i popoli indigeni.
Le cause nei tribunali sono lunghe e costose, ma la mobilitazione a fianco di Nemonte e del popolo waorani non si è fatta attendere.
Altre donne hanno guidato i rispettivi popoli nella difesa della propria terra: dalla pioniera Wangari Maathai, che dalla fine degli anni Settanta ha contrastato la distruzione delle foreste del Kenya, alle “Mamme no pfas”, che da anni denunciano l’avvelenamento del territorio vicentino, particolarmente insidioso per bambini e bambine.
da Combonifem 2.5.2019
Ecuador. Gli indios Waorani salvano dal petrolio 200mila ettari di Amazzonia: una storica sentenza ha riconosciuto il diritto dei nativi ad essere consultati in modo adeguato sullo sfruttamento nei loro territori
Una protesta degli indios Waorani, Ap
Lucia Capuzzi
Avvenire, sabato 27 aprile 2019
«Monito ime goronte enamai», «il nostro territorio non è in vendita». Scandisce ogni parola Nemonte Nenquimo, presidente di Conconawep, organizzazione degli Waorani della regione di Pastaza. «Finalmente lo ha capito anche lo Stato», aggiunge l’attivista di etnia Waorani. I 5mila indios dell’Oriente ecuadoriano sono appena riusciti a fermare, con una storica sentenza, lo sfruttamento petrolifero di 200mila ettari di Amazzonia. Il verdetto, emesso venerdì sera dalla giudice, Pilar Araujo, costituisce un precedente importante: riconosce il diritto dei nativi – stabilito dalla Costituzione e dall’Onu – di essere interpellati «in modo adeguato» sulla sorte dei loro territori. Un’area di 800mila ettari, assegnata in modo collettivo alle 12 comunità Waorani, di cui, però, lo Stato mantiene la giurisdizione del sottosuolo. Nel 2012, l’allora presidente Rafael Correa decise, dunque, di avvalersi di tale prerogativa. E avviò una procedura di aggiudicazione del principale giacimento di Pastaza – il Blocco 22 –, situato in terra indigena. Prima di iniziare l’iter – tuttora in corso dato che nessuna azienda nazionale o estera s’è ancora aggiudicata il permesso di estrazione – realizzò una consultazione, definita dai Waorani «una farsa». «Sono venuti degli incaricati. Sono rimasti mezz’ora. Hanno fatto un sacco di promesse, distribuito qualche regalo ma non hanno spiegato che in cambio dovevamo acconsentire allo sfruttamento del “Blocco 22”», spiega Nenquimo. Per tale ragione, i Waorani, aiutati dal Difensore civico, hanno accusato i ministeri dell’Energia e dell’Ambiente di «aver leso i loro diritti ancestrali» e hanno fatto causa. Ora la giustizia ha dato loro ragione: la concessione dei permessi di trivellazione nell’area è bloccata. Almeno in via provvisoria: la sentenza può essere ribaltata in appello. «Non ci arrenderemo. Continueremo a lottare. Siamo guerrieri – conclude l’attivista –. Prima combattevamo con le frecce. Adesso lo facciamo con la penna. Anzi, il pc».