2.jpg


Al termine di una mattinata dedicata a un pellegrinaggio per la pace lungo le vie polverose che conducono da Custom, uno dei mercati principali di Juba, capitale del Sud Sudan, verso la bassa montagna rocciosa che la sovrasta, ci trovammo in una chiesa anglicana ancora in costruzione ma gia’ agibile. Il gruppo ecumenico delle ‘Donne per la Pace’, a cui mi ero aggregata per la marcia da loro organizzata per il primo sabato di novembre, continuo’ la preghiera. Un canto vivace al ritmo di tamburi chiamava tutti alla danza. Una donna con un’uniforme bianca e blu appartenente a una delle Chiese protestanti tese la mano per portarmi nella danza e modifico’ il canto ‘personalizzandolo’, per cosi’ dire: “Mostra a questa straniera la Buona Novella di Gesu’. Noi non torniamo indietro, noi andiamo avanti.”

Certamente accettai la richiesta e mi unii al ritmo veloce e gioioso del canto sebbene non sia affatto una buona danzatrice, ma le parole usate per l’invito mi lasciarono di stucco. A essere chiamata ‘straniera’ dopo piu’ di vent’anni in Sudan e Sud Sudan sono abituata in quanto l’aspetto fisico rivela immediatamente origini non africane. Cio’ che mi lascio’ spiazzata fu il ruolo da ‘missionaria’ giocato da quella donna, di cui non so il nome ma solamente che apparteneva a una Chiesa protestante, probabilmente quella stessa dove ci trovavamo. Non essendo cattolica forse non aveva un’idea precisa delle suore, e anche la mia uniforme non le aveva detto molto. Lo spiazzante era per me, Missionaria Comboniana, ricevere un invito a seguire Gesu’ da una persona da cui non me lo aspettavo. All’opposto, come missionaria penso di avere per vocazione il compito di invitare altri alla sequela del Vangelo. Si trattava di un’inversione di ruoli?

L’episodio mi ha fatto riflettere sebbene sia stato un piccolo evento passato senza probabilmente essere notato da nessuno durante la lunga preghiera ecumenica. In questo caso ero io considerata come destinataria dell’evangelizzazione da una persona che gia’ seguiva Gesu’ e mi invitava a fare lo stesso. Dopo aver superato la sensazione di stupore nel vedermi assegnata una insolita identita’ di straniera bisognosa di essere incoraggiata a conoscere il Vangelo, ho cercato di comprendere la prospettiva di quella donna protestante. Fra le varie possibili interpretazioni, quella che mi ha maggiormente soddisfatto e’ l’ampio orizzonte proposto da ‘Dialogo e Annuncio,’ (1991), uno dei documenti guida della Chiesa Cattolica per gestire relazioni di fede in un villaggio globale sempre piu’ complesso dove individui e gruppi appartenenti a diverse tradizioni religiose si trovano a vivere fianco a fianco e a interagire costantemente. Nell’episodio specifico, il contesto di accoglienza dell’altro, proprio del dialogo, era rappresentato dall’apertura dei membri della chiesa anglicana a ricevere persone di altre confessioni cristiane. La questione dell’annuncio era piu’ sottile: quella donna mi invito’ a seguire Gesu’ e a fare come la sua comunita’, che “non tornava indietro”, perche’ mi riteneva lontana dalla fede Cristiana oppure perche’, pur riconoscendomi come un membro della Chiesa, riteneva comunque di avere in se stessa qualcosa in piu’ da comunicarmi?

Comunque stessero le cose – cio’ che non ho potuto verificare – penso faccia bene ogni tanto scendere da piccoli o grandi piedestalli su cui come missionarie a volte inconsciamente ci mettiamo. Pur sentendomi bene nella mia identita’ di cattolica, sarebbe stato bello avere una conversazione con la donna protestante, di cui purtroppo non so il nome, sulla ‘buona novella di Gesu’’ che lei mi invitava a conoscere e integrare la sua prospettiva nel mio orizzonte. Come missionarie ci sappiamo inviate ad annunciare in un dialogo rispettoso e a contribuire alla maturazione di una realta’ di fede locale. Quando la Chiesa e’ matura o abbastanza forte andiamo altrove, sul modello di S. Paolo. Se questa e’ la realta’ a Juba, la capitale e citta’ piu’ grande del Sud Sudan, possiamo dunque rallegrarci e spostarci verso zone dove l’evangelizzazione e’ ancora agli inizi? In realta’, in Sud Sudan come in molti altri Paesi dell’Africa e non solo, si stanno moltiplicando le Chiese autoctone e le sette in cui confluisce anche un numero di fedeli cattolici. Il panorama religioso e’ sempre piu’ variegato e fatto di sfumature, non di colori pieni.

Tempo addietro a Juba era relativamente facile distinguere una suora cattolica e avere un’idea della sua collocazione sociale ma oggi non e’ piu’ cosi’. In un contesto sempre piu’ marcato dal pluralismo religioso l’identificazione e’ meno immediata, e cosi’ il riconoscimento dei ruoli. Non e’ piu’ scontato che in generale gli altri guardino a una missionaria come a una depositaria di un annuncio da condividere. L’atteggiamento puo’ essere ben diverso, come la donna dell’invito alla danza testimonia. Al termine della mia riflessione, penso di mantenere fondamentalmente due punti. Il fatto che qualcuno, chiunque sia, voglia comunicare il Vangelo, e’ di per se’ positivo. Non essere riconosciuta come ‘missionaria’ passa in secondo piano rispetto a questa dimostrazione di maturita’ nella fede. In secondo luogo, leggo questo piccolo episodio di un tipo di relazione un po’ spiazzante con un membro di un’altra Chiesa come una chiamata a continuare la riflessione sulla mia identita’ missionaria in scenari umani sempre piu’ interconnessi e fluidi. Non si tratta di definire chi ha piu’ ‘diritto’ di annunciare, ma di relazionarsi in liberta’ e umilta’ in contesti dove ad gentes e inter gentes si intersecano.

Elena Balatti

Home