Chalchihuitán

L’Osservatore Romano

(Nicola Nicoletti) Quasi cinquemila sfollati, uomini, donne, tanti bambini. Dovevano salvarsi la vita, il terrore di essere uccisi li ha assaliti e non hanno esitato a mettersi in viaggio di fretta, tra le foreste, dove le temperature di notte scendono molto rispetto al giorno, arrivando a pochi gradi e possono rivelarsi letali per i più gracili. Un grido di allarme che parte quasi quotidianamente dal Chiapas, una delle regioni più povere del Messico, tra i municipi di Chalchihuitán e di Chenalhó.
Padre Marcelo Pérez, sacerdote indigeno, è la voce di questi senza voce e senza diritti. Sono poveri, vittime di un conflitto per una divisione di confini voluta dalle autorità locali che ha riacceso le violenze facendo fuggire dalle umili abitazioni una comunità. Il freddo delle notti nelle alture ha prodotto le sue vittime: dieci morti di fame e di freddo nei giorni che hanno preceduto il Natale. Tra essi quattro bambini, uno appena nato.
Per problemi di disputa di confine, sorti nel 1973 dopo l’intervento inadeguato della Segreteria di riforma agraria, gruppi armati hanno creato un clima di terrore nella comunità di Chalchihuitán, provocando lo sfollamento forzato di persone che si trovano in uno stato di precarietà, come spiegano dalla diocesi di San Cristóbal de Las Casas. «Ci meraviglia — ha dichiarato il vescovo Felipe Arizmendi Esquivel — l’impunità con cui possono agire i gruppi armati, di fronte a cui né la polizia né l’esercito hanno potuto attivarsi per impedirne le violenze, né disarmare coloro che effettuano il controllo del territorio e della popolazione con la paura. Come persone di fede consideriamo valori fondamentali la vita umana, la giustizia e la pace, così come il rispetto dei diritti che sono stati violati pesantemente, con gravi effetti per lo stato delle persone sfollate, particolarmente bambine, bambini, donne incinte e anziani».
Quasi quattromila persone sono tornate a Chalchihuitán, anche se con il timore di subire violenza, altre 1160 rimangono nella foresta. Padre Marcelo racconta che proseguono le sparatorie, poiché molti sono armati e hanno bloccato alcune vie di accesso. Numerose case sono state saccheggiate, molti campi, dove si coltivavano fagioli e mais, devastati. Si teme che si arrivi a uno scontro armato con conseguenze gravissime, a vent’anni dal massacro di Acteal, quando quarantacinque persone, tutte appartenenti al gruppo pacifista «Las abejas» (le api), vennero trucidate presso la chiesa parrocchiale sulle montagne del Chiapas, nella regione conosciuta come Los Altos. Un gruppo paramilitare uccise i fedeli riuniti in preghiera nella chiesetta. Erano tutti indigeni di etnia tzotzil. Nella regione si attendono aiuti umanitari e soprattutto che il governo detti le regole per una convivenza pacifica tra le comunità in lotta.

L’Osservatore Romano, 9-10 gennaio 2018