FP Italiano 4/2017
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Vocazione di Giuseppe
Una parola per tutti, eco di un silenzio profondo
Nel cuore della Quaresima, il 19 Marzo, la Chiesa celebra la festa di San Giuseppe. Così come quella di Maria nel periodo dell’Avvento (8 Dicembre, festa dell’Immacolata Concezione). Nell’iconografia tradizionale, San Giuseppe è presentato frequentemente come un anziano di barba e capelli bianchi o calvo, con un’espressione un po’ triste e sguardo distante, quasi preoccupato, curvo sotto il peso del suo destino. Si direbbe che esprima l’umore adatto ad un certo “spirito quaresimale” di altri tempi!
I valori che lo caratterizzano: silenzio, obbedienza e servizio, non sono tanto di moda in questi nostri tempi. Non c’è dunque da meravigliarsi se la devozione a questo santo tenda a scemare già da qualche tempo; e ciò malgrado l’esortazione apostolica di papa Giovanni Paolo II “Redemptoris Custos” (Custode del Redentore) del 1989, considerata la Magna Carta della teologia di San Giuseppe.
Ad ogni modo, San Giuseppe è una figura chiave per comprendere alcune dimensioni essenziali della vocazione cristiana. Eccone quattro: Proteggere la vita; Praticare la giustizia; Permettere a Dio di essere il protagonista della nostra vita; Coltivare la dimensione mistica.
1. Servitore della Vita
Giuseppe, modello di Paternità
In ebraico il nome Giuseppe significa “che Dio ti faccia crescere”, “che Dio ti faccia aumentare”. Di conseguenza, San Giuseppe incarna una vocazione alla fecondità e alla sovrabbondanza di vita! Discendente di David (“Figlio di David”), della città di Nazareth, carpentiere (tékton), un’attività lavorativa legata all’edilizia. Nei Vangeli è presentato talvolta come lo “Sposo di Maria”, cosa questa insolita, perché usualmente era la sposa ad appartenere al marito. Ma nello stesso modo si dice di Maria che era la “Sposa di Giuseppe” (Matteo 1,18) e che Gesù era “il Figlio del carpentiere” ( Matteo 13,55).
Giuseppe anticipa e vive la parola di Gesù: ”Non chiamate nessuno Padre sulla terra” (Matteo, 23,9). Egli incarna, in maniera singolare, quest’unica paternità divina (Efesini 3,15). È padre ma non esercita una paternità carnale. Ma è padre a tutti gli effetti, perché essere padre è prima di tutto essere a servizio della vita e della sua crescita (Papa Benedetto XVI). Come gli antichi patriarchi, allo stesso modo, egli riceve i messaggi di Dio attraverso i sogni in tre apparizioni notturne. Questi sono i segni di una vocazione molto particolare e di una speciale relazione con Dio.
Giuseppe è l’ultimo degli antichi patriarchi ma il primo di una nuova generazione, di quelli che “non son nati da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d’uomo, ma son nati da Dio” (Giovanni 1,13). Questa paternità è una dimensione della vocazione cristiana. Noi siamo chiamati, come Giuseppe, ad adottare e proteggere la vita. Essere fecondi, vivere a servizio della vita senza esserne padroni. Giuseppe c insegna come si può amare senza prendere possesso.
La paternità- maternità è un valore che urge scoprire. Oggi viviamo in una società in cui si vaga alla ricerca di esperienze; società ricca di “figli prodighi” ma povera di padri e madri capaci di sperare pazientemente a casa, per abbracciare i figli quando essi ritorneranno delusi dalla vita e affamati d’amore. Spesso trovano la casa vuota senza nessuno ad aspettarli!…
2. ‘Sapere “aggiustarsi”
Giuseppe, modello di Giustizia
Il Vangelo definisce Giuseppe un “uomo giusto” (Matteo 1,19). Giusto perché, essendo fedele, “aggiusta” la sua vita in accordo con la parola del suo Signore. Ma anche perché, essendo “saggio”, è capace di “aggiustarsi” alla realtà. In effetti, quando si rende conto che Maria è incinta, la sua prima reazione è di adempiere la Legge (ripudiando Maria) ma decide di farlo in segreto. Introduce così un elemento nuovo, di prudenza e di sapienza. Conserva la sua fiducia e non si lascia trascinare dal “sospetto”. Perché? Perché c’è in lui una “assidua frequentazione dell’ascolto di un’altra parola che lo tocca e penetra” (Frédérique Oltro: carmelitana).
Essendo giusto egli è “l’amministratore fedele e saggio, che il Signore ha posto a capo della sua servitù” (Luca 12,42). Giuseppe sa che è “servo” e che deve servire bene. Non basta la buona volontà. Per questo il testo biblico parla di un uomo “fedele e saggio” (Matteo 24,45). “L’intelligenza senza la fedeltà e la fedeltà senza la saggezza sono qualità insufficienti. L’una sprovvista dell’altra non permette di assumere pienamente la responsabilità che Dio ci affida” (Benedetto XVI) . Praticare la giustizia fa parte della nostra vocazione. Essere “giusti” come Giuseppe. Una giustizia che ci porta ad adottare un comportamento “giusto” e ad occupare il posto “giusto” nella vita, quello del servizio. Una giustizia illuminata dall’amore: “pieno compimento della leggel’adempimento perfetto della Legge” (Romani 13, 10). Un bene che scarseggia anche oggi. Si parla molto di giustizia ma mancano “uomini giusti”.
3. Rimanere fuori dalla foto
Giuseppe, modello di Discrezione
Giuseppe è un uomo discreto, una persona riservata. Sempre “fuori dalla foto”, come commenta con una certa grazia un autore, che racconta: “Due sorelle. sfogliando il nuovo manuale di religione. vedono un’immagine della Vergine Maria con Gesù. Dice la maggiore: – Guarda, questo è Gesù e questa è la sua Mamma. E la piccola chiede: – E dov’è suo papà? La sorella ci pensa un attimo e risponde: – Ah! Lui sta facendo la foto!”
Giuseppe è l’uomo del silenzio. I fatti parlano per lui. Uomo dell’obbedienza, il Vangelo sottolinea il perfetto adempimento delle disposizioni che gli sono comunicate dall’angelo in sogno (Matteo 1,24). Come dice il Cantico dei Cantici: Mentre dorme, il suo cuore veglia (5,2).
Dimentico di sé stesso, vive per il “Bambino e sua Madre” (Matteo 2, 13.19). Come Giovanni Battista, ritiene che lui stesso deve “diminuire”, mentre la Madre e il Bambino “crescere”. La sua vita appartiene a loro, totalmente. E così. ad un certo punto, “scompare”… per non adombrare la figura del Figlio!
Ciascuno di noi è chiamato a seguire il suo esempio. Essere discreti come Giuseppe, mettendo la nostra vita a servizio della missione di Cristo, sapendo mettersi da parte, ritirandosi dietro il sipario. Non è cosa facile né evidente. Noi viviamo in una società che privilegia la “realizzazione personale” e il “protagonismo”. Da quando siamo bambini, concepiamo il nostro progetto di vita, quello che vorremmo essere “quando saremo grandi”. La vocazione implica la rinuncia a tale progetto umano (come Giuseppe con Maria) per fare spazio al progetto di Dio su di noi.
4. Abitare nel mistero
Giuseppe, modello di Contemplazione
Giuseppe è il Santo del silenzio. Uno che non parla mai. Ma il suo è un silenzio ricco e profondo che ci sfida. Perché tale silenzio? Perché Giuseppe vive nel mistero! Non si tratta di una questione di parole ma di un atteggiamento di vita, di tutta la persona. Davanti all’evento inaspettato – per lui incomprensibile e ‘misterioso’ – di Maria incinta, Giuseppe pensa di ritirarsi in silenzio. È la parola dell’angelo: “Non avere paura di accogliere Maria come sposa perché lei ha concepito per l’azione dello Spirito Santo” (Matteo 1,20) che introduce Giuseppe nel mistero, come Gabriele aveva fatto con Maria. Questo annuncio non elimina il mistero. Non spiega ciò che è avvenuto veramente, né come, ma introduce Giuseppe nel mistero che aveva travolto Maria. Giuseppe non è più di fronte al mistero, ma dentro. Non è come il popolo d’Israele, davanti alla nuvola nel deserto, ma è immerso in essa, come Mosè o come i tre Apostoli sul Monte Tabor (teologo Borel). Prima era fuori del mistero, di fronte ad esso, ed è per questo che dubitava ed aveva paura. Dopo si lascia condurre da lui, come Maria dopo il suo “fiat”. Adesso, dentro nel mistero, anche senza comprenderlo non lo può eludere.
Entrare nel mistero di Dio è la dimensione essenziale di ogni vocazione. Essa implica la disponibilità a lasciarsi “introdurre” in esso. Senza ciò, il “vocato” rimane “fuori” e non troverà motivazioni per vivere all’altezza della sua vocazione. Sarà, nella migliore delle ipotesi, un buon “funzionario” o un “mercenario” e, nel peggiore dei casi, un “parassita” o un “servo infedele” (Luca 12, 46).
In conclusione, Giuseppe non è sicuramente l’uomo ritratto da una certa iconografia. Avvolto dal mistero, visse nel seno di una famiglia che amò e da cui fu amato. Si identificò totalmente con la sua missione di tutela dell’Autore della vita, nella competenza della sua professione. È per questo che fu uomo felice come tutti coloro che realizzano in pieno la volontà di Dio.
Manuel João P. Correia (comboniano)