“Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri” (Marco 9,50)
Un granello di sale quotidiano per dare sapore alla tua giornata.
È necessario dare un nome a Colui il cui silenzio io condivido e adoro, perché è nel suo silenzio che Egli pronuncia il mio nome. Egli solo conosce il mio nome, nel quale anch’io conosco il suo. Perché nell’istante in cui mi chiama «figlio mio», ho la percezione di Lui come «Padre mio». Questo riconoscimento è in me un atto, in Lui una Persona. L’atto in me è il movimento della sua Persona, del suo Spirito, del suo Amore in me. Quando Egli agisce sono io che agisco con Lui e sono quindi anch’io ad agire. E nel mio muovermi ho contemporaneamente la percezione «che sono» e grido: «Abba, Padre».
Ma siccome non sono il padre mio, è inutile che cerchi di risvegliare questa nozione di Lui, chiamandomi «figlio» in seno al mio silenzio. Quando grida a se stessa, la mia voce è soltanto capace di suscitare una morta eco. Non esisterà in me alcun risveglio se non sono chiamato fuori dalla tenebra da Colui che è la mia luce. Soltanto Colui che è Vita è capace di suscitare dalla morte. E se non mi chiama io rimango morto ed il mio silenzio è quello della morte.
Non appena pronuncia il mio nome, il mio silenzio è il silenzio della vita infinita e so di essere perché il mio cuore si è aperto al Padre mio nell’eco degli anni eterni.
La mia vita è un ascoltare, la sua un parlare. La salvezza sta per me nell’ascoltare e nel rispondere. Per questo la mia vita dev’essere silenziosa. Il mio silenzio è quindi la mia salvezza.
da “Pensieri nella solitudine” di Thomas Merton (1915-1968),
trappista americano, maestro spirituale molto stimato,
ritenuto tra i più grandi scrittori spirituali del XX secolo.