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(Massimo Riva) Le reazioni europee alle ultime vicende turche mettono in luce uno stato di marasma perfino concettuale nella politica dell’ Unione verso il regime di Ankara. Particolare sconcerto suscita il fatto che numerose cancellerie riparino i loro rapporti con il governo Erdogan dietro l’ argomento della sua investitura democratica attraverso il voto popolare. Presa di posizione pericolosa oltre che sospetta. Pericolosa perché fondata su una nozione di democrazia alquanto sbrigativa e superficiale. Sospetta perché ricorda troppo una foglia di fico usata al fine di coprire l’ imbelle acquiescenza con la quale dalle capitali europee si è seguito finora l’ imbarbarimento liberticida della politica turca.

Certo che un’ Europa, gelosa dei suoi valori, mai potrebbe schierarsi a sostegno di un golpe militare, né in Turchia né altrove. Ma è altrettanto vero che questa stessa Europa quei valori li aveva già traditi nei rapporti con Erdogan ben prima della comparsa dei carri armati nelle vie di Istanbul. E ora fa davvero specie che alcuni governi si siano come svegliati all’ improvviso – e solo quando Erdogan ha minacciato il ritorno alla pena di morte – per proclamare che un tale passo farebbe cadere ogni possibilità di ingresso della Turchia nell’ Unione. Ma come: la repressione delle libertà d’ informazione, la carcerazione degli oppositori, la persecuzione della minoranza curda non erano forse già segnali più che clamorosi di una deriva autoritaria senza freni? Scoprire adesso – dinanzi alle più violente epurazioni in corso – il dispotismo del regime di Erdogan è malinconica prova di ipocrisia politica mista a stupidità. Come mostra proprio il lunare dibattito sull’ intangibile patente di democrazia che nascerebbe dal consenso elettorale. 

Questa Europa sembra avere smarrito perfino la dura lezione delle sue stesse vicende storiche. Adolf Hitler non è entrato armi in pugno in quel Reichstag che poi ha fatto bruciare, ma in forza di una larga messe di voti. Ed è diventato capo dello Stato trionfando in un ampio plebiscito popolare. Un po’ di memoria, insomma: oggi come allora, la nozione di Stato democratico implica parecchi requisiti in più rispetto alla sola investitura delle urne. Purtroppo si sa fin troppo bene chi e per che cosa ha trascinato l’ Unione europea in questa disfatta morale sul fronte turco. Si tratta, in particolare, della scelta della cancelliera Merkel di imbastire con Erdogan un disonorevole contratto d’ affitto di essere umani per contenere un flusso di migranti che rischiava di esporla in casa propria a sgraditi contraccolpi elettorali. Non è la prima volta che le iniziative di Berlino creano seri imbarazzi all’ Europa: già era successo con i micidiali ritardi imposti alla soluzione della crisi greca. E perfino ora, dopo il caso Turchia, Frau Merkel vorrebbe essere sempre lei a decidere modi e tempi dei negoziati con Londra sulla Brexit. 

È ora e tempo che qualcuno parli forte e chiaro per spiegare alla cancelliera che il suo continuo porre l’ Europa dinanzi a fatti compiuti ha provocato soltanto guai peggiori per tutti. E, dato che Matteo Renzi guida la forza politica più votata al Parlamento di Strasburgo, tocca a lui per primo pronunciare un ormai indispensabile: “Adesso basta”. Il prossimo incontro a Ventotene sarebbe l’ occasione perfetta.

La Repubblica