Lucetta Scaraffia, storica e giornalista, direttrice del mensile 'Donne chiesa mondo'

È appena stato pubblicato il volume “Dall’ultimo banco. La Chiesa, le donne, il sinodo” (Venezia, Marsilio, 2016, pagine 110, euro 12,50) nel quale Lucetta Scaraffia racconta come ha seguito il Sinodo dei vescovi sulla famiglia. Come mai l’emancipazione delle donne – si chiede l’autrice – è nata come progetto politico e culturale, e si è imposta nel corso del tempo, soltanto in paesi di matrice cristiana, anche se secolarizzati, e conosce invece molte difficoltà di radicamento nei paesi di diversa tradizione religiosa? Questa semplice domanda dovrebbe far capire come il legame fra emancipazione delle donne e cristianesimo sia stretto fin dalle origini.

È la storia infatti a insegnare che solo il cristianesimo ha offerto alle donne un quadro di possibilità uguali agli uomini mai realizzato prima. Tutta la storia del cristianesimo, e poi soprattutto del cattolicesimo, è segnata – ricorda Scaraffia – da forti presenze femminili, che confermano nel corso del tempo la sua novità iniziale. Anche se le resistenze di società e di culture fortemente dominate dal maschilismo hanno soffocato, o almeno fortemente rallentato, questa aspirazione all’uguaglianza fra i sessi insita nella tradizione cristiana, la quale ha cominciato a realizzarsi solo a partire dal xix secolo.

Come è avvenuto per altri semi di cambiamento contenuti nei vangeli, quelli che riguardano la realtà femminile hanno agito anche da soli, per riprendere l’immagine del vangelo di Marco (4, 26-29). In questo caso, indipendentemente dall’intenzione delle gerarchie incaricate di trasmettere il messaggio, fruttificando con il tempo nei paesi di cultura cristiana.

Oggi, così, la Chiesa si vede restituito dall’esterno il messaggio originario che aveva dimenticato, a dimostrazione che lo Spirito soffia e agisce dove vuole. In tal modo, la Chiesa è interpellata — proprio come ha detto più volte Papa Francesco — a guardare di nuovo al proprio interno, per realizzare una “profonda teologia della donna” e riscoprire insegnamenti e valori che essa ha dimenticato o non ha voluto vedere. (…)

Questa ineluttabile ridefinizione dei ruoli — alla quale la Chiesa può contribuire molto, rivedendo e ripensando la teoria della complementarità fra i sessi — è una delle esperienze più nuove e più complesse che deve affrontare l’umanità, ed è importante che venga affrontata consapevolmente, non solo subita. È necessario perciò che la complementarità fra i sessi che la Chiesa difende venga rivista, alleggerita dalla rigidità di ruoli prestabiliti, immaginata e praticata in modo più dinamico e creativo, corrispondente alle diverse fasi della vita.

In una cultura che, nei confronti di questo cambiamento, conosce solo opzioni opposte, l’adesione o la critica, la Chiesa – evidenzia Scaraffia – può giocare un importante ruolo costruttivo proprio grazie al fatto che essa non ha mai negato l’importanza e la ricchezza della procreazione sia nella vita umana sia, soprattutto, nel rapporto di coppia. Indubbiamente al centro del problema della nuova famiglia la questione è il mancato riconoscimento sociale e culturale che viene attribuito alla procreazione in quanto valore. Proporre il dilemma fra creazione di qualsiasi tipo (la creazione di una linea di abbigliamento, o di un nuovo piatto, o di un marchio pubblicitario…) e procreazione — svalutando la seconda a favore della prima — significa, infatti, negare valore al ruolo biologico della donna, e a spingerla ad assumere un ruolo maschile. La procreazione invece dovrebbe essere considerata una ricchezza essenziale per tutta la comunità umana.

Rimuovere la procreazione dalla sfera della produttività umana, significa considerarla -spiega l’autrice – una forma di schiavitù, una sorta di fatica disonorevole. E questo accade anche per tutte le attività di cura a essa collegate, quelle attività che sono per tradizione femminili, come l’allevamento dei bambini, la cura dei malati e degli anziani. Tutte cose che, appena si può, sono oggi delegate a persone che occupano i più bassi gradi sociali, alle persone incapaci o impossibilitate ad accedere ad altri lavori. In questo modo, tutto ciò che una volta costituiva il ruolo femminile viene monetizzato e deprezzato. È ovvio allora che le giovani donne cerchino di sfuggire a una sorte siffatta, senza pensare che così a esse però viene negata la possibilità di creare nuovi e profondi rapporti umani. Finendo con il vivere in una società disumana, che nega valore alla solidarietà, alla gratuità, alla ricchezza di una reciprocità non monetizzata. (…)

Oggi – osserva Scaraffia – si parla molto di assenza del padre. Ciò è senza dubbio vero, ma anche questo fenomeno non fa che rimandare al modo che ogni società ha di concepire la procreazione e quindi la maternità. La Chiesa ha sempre avuto il coraggio di difendere la specificità femminile legata alla maternità, denunciando la battaglia ideologica volta a liberare la donna dal “femminile” che è in lei per farla accedere allo statuto astratto di individuo. La Chiesa ha sempre avversato l’idea che la donna potesse diventare “un uomo come un altro”. Ha sempre negato che la donna potesse raggiungere l’uguaglianza con l’uomo negando la propria realtà biologica, rinnegando il proprio corpo.

Tutto l’insieme di queste novità impone un ripensamento generale dell’idea di matrimonio e di famiglia che la Chiesa propone e difende. È necessario infatti pensare a una sorta di nuovo contratto umano fra donne e uomini che comprenda tutte le dimensioni dell’esistenza. Così come è necessario riconsiderare la funzione materna, la responsabilità materna. Ed essere pronti a capire quanto tutto ciò possa cambiare anche la natura del rapporto tra genitori e figli.

Essa tuttavia non ha saputo compiere il passo successivo, cioè spiegare e realizzare al suo interno l’uguaglianza nella differenza. Per essere credibile, infatti, la Chiesa, che sostiene l’eguaglianza di tutti gli esseri umani in quanto figli di Dio nonostante le loro differenze, non può non realizzare al proprio interno l’equità nei confronti delle donne.

Bisogna capire che il nostro è un tempo in cui si è aperta una grande discrepanza fra alcune delle fondamentali aspirazioni umane — come quella di avere un figlio e di crescerlo in un mondo umano — e la possibilità di realizzarle.

Basterà un solo esempio: le migliaia di lucchetti che ormai devastano i parapetti dei ponti nelle più importanti città del mondo. Sono orribili, d’accordo, ma è pur vero che ognuno di loro rappresenta la speranza di una coppia di durare per sempre.

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04 giugno 2016