Leggenda del Grande Inquisitore
E se tornasse? Se lui, proprio lui, tornasse sulla terra che lasciò, dopo essersi fatto crocifiggere? E’ il tema della Leggenda del Grande Inquisitore inserita da Dostoevskij a metà de I fratelli Karamazov, in quella che molti considerano un’inspiegabile divagazione letteraria. Perché sei venuto a disturbarci? Chiede il Grande Inquisitore iniziando così un monologo in cui rimprovera al Cristo l’ingenuità priva di scaltrezza umana del suo messaggio d’amore, ingenuità che spinse Gesù a rinunciare alla tentazione del miracolo cui il principe del mondo lo aveva sottoposto quel giorno nel deserto, esortandolo a trasformare in pani le pietre…

Rammenta la prima domanda: seppure non proprio alla lettera, il suo significato è questo: “Tu vuoi andare per il mondo e ci vai con le mani vuote, con non so quale promessa di libertà, che quelli, nella loro semplicità, nella loro sregolatezza, non possono neppure concepire, e ne hanno timore e spavento, giacché nulla fu mai per l’uomo e per la società umana più insopportabile della libertà! Ma vedi codeste pietre, per questo nudo e rovente deserto?
 
Convertile in pani e dietro a te l’umanità correrà come un branco di pecore, dignitosa e obbediente, se anche in continua trepidazione che Tu ritragga la Tua mano e vengano sospesi i Tuoi pani”. Ma Tu non hai voluto privare l’uomo della libertà e hai rifiutato la proposta: giacché dove sarebbe la libertà (hai ragionato Tu) se il consenso fosse comperato con il pane? (…). Accettando i “pani” tu avresti risposto a quella universale e perpetua angoscia umana, sia d’ogni uomo in particolare, sia dell’umanità nel suo insieme, che si esprime nella domanda; “A chi genufletterci?”. Non c’è preoccupazione più assillante e più tormentosa per l’uomo, non appena rimanga libero, che quella di cercarsi al più presto qualcuno innanzi al quale genuflettersi.
 
Quale straordinaria idea di uomo è quella che Cristo è venuto a compiere tra i vivi! Quale immenso tesoro di libertà ci è offerto dal suo Vangelo in cui tutto avviene fuori dal tempio, al cospetto di un Dio che brama una fede libera e non vincolata dal miracolo! Quale fiducia  è riposta in noi, resi adulti nello Spirito, che è prima di tutto Spirito di libertà, che oltrepassa i recinti e le norme. Anche quelle di natura etica. 
Eppure, quante volte, ancor oggi una certa Chiesa cede alla tentazione del miracolo, che è la tentazione del consenso, e ciò avviene ogni volta che Dio è svilito a ruolo di tappabuchi, chiamato in causa nei salotti televisivi, atto a legittimare la morale e l’ordine sociali, anziché lodato per la sua misericordia che ogni ordine sconvolge.
Nella postmodernità fluida e smarrita che galleggia sull’apparire, Il miracolo può rendere la Chiesa socialmente rilevante, guadagnarle folle oceaniche di spiriti genuflessi capaci di illuderla sulla sua solidità.
Ben diversamente permane il messaggio debole del Cristo di Dostoevskij: Egli di colpo, in silenzio, si appressa al vecchio e lievemente lo bacia sulle esangui labbra di novantenne. Ecco tutta la risposta.
 
Chiara Saletti, Coordinamento Teologhe Italiane

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