Tra le molte peculiarità delle catacombe dei Santi Marcellino e Pietro, una è la ricorrenza dell’elemento femminile nella storia stessa del monumento, fin dalle origini, nelle sue scelte iconografiche, nei suoi orizzonti sociali.

Catacombe dei SS. Marcellino e Pietro

Infatti il complesso ricade all’interno della proprietà ad duas lauros dell’Augusta Elena, madre dell’imperatore Costantino. Dopo la sua morte l’imperatrice venne portata a Roma con un corteo regale e tumulata in uno splendido sarcofago porfiretico, oggi ai Musei Vaticani, posto in una nicchia del mausoleo cilindrico, unico resto monumentale del grande complesso costantiniano in onore dei martiri Pietro e Marcellino, comprendente anche un’imponente basilica a deambulatorio continuo. Appare quale significativo indizio della presenza di Elena ad duas lauros, il ritrovamento, durante scavi nelle sottostanti catacombe, di un ritratto che ne richiama l’iconografia ufficiale, nota da conii e da una celebre statua seduta ai Musei Capitolini.

Ma ben prima che si dipanasse l’avvincente trama delle vicende costantiniane, un’altra donna aveva dato un contributo, forse quello più importante, al sito dell’antica via Labicana, determinandone le sorti nell’era cristiana. È la matrona Lucilla, che — al tempo della feroce persecuzione di Diocleziano — raccolse con delicata pietà le membra dei martiri Pietro e Marcellino, abbandonati dal carnefice, dopo l’esecuzione capitale, in una fitta boscaglia, perché si perdesse memoria della loro sepoltura e venissero così sottratti alla devozione. Lucilla, figura topica, i cui contorni storici sono forse flebili, resta comunque affidata alla storia grazie all’epigramma damasiano che ne fissa le gesta: postea commonitam vestra [scilicet Petri et Marcellini] pietate Lucillam / hic placuisse magis sanctissima condere membra. Fu proprio lei a deporre i martoriati corpi santi nei loculi di un cubicolo del cimitero ad duas lauros, ove rimasero venerati fino al tempo delle traslazioni medievali.

Anche la ricorrenza delle iconografie al femminile è sorprendente nelle catacombe della Labicana. Susanna, la samaritana, l’emorroissa, la donna storpia sono solo alcuni dei numerosi paradigmi biblici che vedono protagonista la donna. D’altro canto, eleganti e solenni figure di matrone, alcune dai simbolici nomi evocativi di virtù (Agape, Irene), guidano sapientemente le tante scene di banchetto rituale che rendono celebre questo cimitero. Alle radici di tali opzioni iconografiche non può essere estraneo un orizzonte sociale in cui la donna è una figura attiva e decisiva: defunte dal passato influente, che definiscono per tempo i programmi decorativi dei propri spazi funerari, come la matrona orante che, inquadrata da due alberi, ritrova, dopo quasi duemila anni, le sue armoniose fattezze oscurate dal tempo nel cubicolo che ha riacquistato i suoi vividi colori a seguito dei restauri.

di Raffaella Giuliani
L’Osservatore Romano, 21 febbraio 2016