Una università pubblica organizza seminari per mettere in guardia gli studenti musulmani dal presunto proselitismo. Gli educatori: «Se si incoraggia l’odio, si aprono le porte all’Isis»

Attenti ai cristiani, che vogliono convertirvi. È questo il messaggio passato agli studenti musulmani in appositi seminari organizzati dal campus della Universiti Teknologi Mara (Uitm) di Kuala Lumpur, per metterli in guardia da presunti tentativi di «proselitismo e cristianizzazione». In una nazione come la Malaysia, multietnica e multireligiosa pur se al 60% di popolazione islamica (e il restante 40% suddiviso tra buddisti, cristiani, induisti), l’iniziativa di una università pubblica, realizzata per-di-più in collaborazione con apparati della Polizia, ha destato allarme e protesta.
La Federazione dei cristiani della Malaysia l’ha denunciata come «un tentativo di diffondere propaganda e violenza settaria». Intellettuali musulmani hanno disapprovato che un campus dove si studiano ingegneria, Medicina, Legge persegua un progetto (l’ultimo incontro è di poche settimane fa) che instilla negli studenti di fede islamica odio e intolleranza verso i cristiani. Questi ultimi sono una minoranza corposa e pacifica nella nazione (circa il 9%, la metà dei quali cattolici), eredi della predicazione del gesuita Francesco Saverio nella penisola di Malacca, alla metà del XVI secolo.
La notizia di quel seminario è venuta alla luce solo grazie al tam tam dei social network (uno studente ha postato una foto su Facebook e il post è arrivato a un prete cristiano) e ha riacceso un confronto mai sopito in una nazione che si dibatte tra ambiguità istituzionali tuttora irrisolte. Se da un lato, infatti la Costituzione della Federazione repubblicana (nata nel 1963) garantisce liberta religiosa, l’islam resta «religione ufficiale» oltre a essere la fede obbligatoria di tutti i cittadini di etnia malese che, se volessero abbandonare l’islam, dovrebbero ottenere il permesso di uno speciale tribunale della sharia, che raramente lo concede.
«Sappiamo che esiste l’islamofobia. Perché alimentare la cristianofobia? Bisogna educare a valori come armonia, convivenza, tolleranza e rispetto reciproco. Perché manipolare le menti di giovani per ora non ancora attratti dall’Isis?», nota l’educatore musulmano Azly Rahman, stigmatizzando l’iniziativa del campus.
Le istituzioni pubbliche, su questo versante, viaggiano su un terreno scivoloso: secondo dati citati dal quotidiano Malaysian Insider, circa 200 giovani malesi si sono uniti ai ranghi dell’Isis in Siria e Iraq e dal 2013 la polizia ne ha arrestati almeno 120 che tentavano di unirsi al Califfato o rientrati in patria dopo un’esperienza di training in Medio Oriente. Per il ministro dei trasporti Liow Tiong, l’Isis avrebbe sul suolo malaysiano già 50mila sostenitori. Un trend preoccupante, che ha indotto il governo di Kuala Lumpur a redigere un «Libro bianco sul terrorismo» per «contenere l’influenza dello Stato islamico» e a presentare in fretta e furia una nuova legge antiterrorisimo che consente detenzione senza processo e censura più severa sul web.
Il Premier Najib Razak riconosce che giocare con le pulsioni dell’islam radicale può avere effetti nefasti e, come ha ribadito nel messaggio di inizio anno ricorda che «l’unità è vitale per la Malaysia», incoraggiando l’armonia sociale e religiosa. Tuttavia, notano i cristiani, l’esecutivo non fa abbastanza per fermare i gruppi che minano tale armonia.
Si appresta a coltivare la convivenza, anche collaborando attivamente col governo, il nuovo gruppo «Christians for peace and harmony Malaysia», neonata formazione che si impegnerà per il dialogo e la costruzione di una società riconciliata e pacifica, cercando una relazione anche con i gruppi islamici più integralisti come Perkasa, che accusa i cristiani di fare proselitismo tra i musulmani.
Servirà ad aiutare a sanare ferite come quella acutizzatasi all’inizio dello scorso anno e che ora è in via di cicatrizzazione, dopo una controversia durata sette anni: un anno fa la Corte Suprema ha respinto il ricorso presentato dalla Chiesa cattolica, sull’uso della parola «Allah» come termine per indicare «Dio» sulle colonne del settimanale cattolico Herald. Il giudizio di primo grado era stato a favore della Chiesa ma, in secondo grado, l’Alta Corte aveva emesso una sentenza in favore del governo malaysiano, vietando l’uso della parola «Allah» all’Herald, nella sua edizione di lingua «bahasha malaysia», quella in cui i fedeli utilizzano il termine «Allah».
Di fronte a quella sentenza, pur ritenuta ingiusta, Julian Leow, arcivescovo di Kuala Lumpur, ha esortato i cristiani in Malaysia a «essere uniti nell’operare sempre per il dialogo e per l’armonia tra etnie e fedi. Nutriamo speranza che comprensione e rispetto reciproco siano sempre un punto fondante nella convivenza sociale e religiosa in Malaysia».
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