IV Domenica di Pasqua
Anno A – Gv 10,1-10

Apriti!

Porta

Le immagini sono di quelle che ti seducono: una relazione in cui sei conosciuto e chiamato per nome, tu con la tua storia, uno ad uno; un essere preso e guidato verso un’esperienza di vita piena. Se poi non si dimentica il contesto in cui Gesù consegna queste immagini, esse affascinano ancora di più. Aveva appena guarito un uomo cieco dalla nascita: gli aveva consentito di guardare le cose non attraverso intermediari ma di persona. E tuttavia questo aveva suscitato sdegno e riprovazione proprio da parte di coloro che più di altri avrebbero dovuto gioire di una simile opportunità. Quanta resistenza in quegli uomini del tempio chiusi nelle loro convinzioni! Quanta fatica a condurli fuori da un recinto fatto di prescrizioni e divieti che aveva finito per diventare per loro e per altri un luogo di schiavitù religiosa! Chi non accetta di lasciarsi condurre fuori resta nel recinto della paura e della morte.

Gesù disse loro questa similitudine ma essi non capirono di che cosa parlava loro…

Perché? Di cosa aveva parlato Gesù? Aveva detto di sé di essere la porta attraverso cui passare. Quale metafora quella della porta! Senza la porta non si ha accesso in un ambiente e se questo non accade si resta esclusi dalla casa, dalla vita. Se una stanza non ha una porta quel luogo diventa una prigione, una tomba. La porta ha a che fare con la vita: senza il Signore Gesù la nostra vita conosce oppressione e soffocamento.

Senza di lui la nostra esistenza non attende più nulla, diventa ermetica, non può aprirsi ad alcuna speranza. Senza la porta che è il Signore Gesù la vita registra soltanto desideri frustrati perché irrealizzabili. Senza la porta si è sempre esposti alla possibilità di assalti dall’esterno: gli affetti e le cose più care sono sempre in balìa di qualcuno che possa strapparceli via. Senza la porta che è il Signore Gesù non abbiamo altra via per giungere a quella pienezza di vita cui tutti aneliamo. È vero. Non poche volte ci sembra di aver trovato altre possibilità ma altrettante volte abbiamo misurato con mano la loro fallacia e la loro inconsistenza.

Ora, questa porta è da aprire. È una soglia da attraversare se non vogliamo precluderci la possibilità di una esperienza di comunione con il Padre. Non temere di aprire la porta del tuo cuore!

Di cos’altro aveva parlato Gesù? Aveva detto che egli passa attraverso la porta. Nessuna forzatura e nessuna violenza: solo il continuare a bussare perché finalmente gli si apra. E talvolta bussa per un’intera esistenza. Quando gli si apre egli passa senza inganno, abitato dal solo desiderio di consegnarti la sua vita, non di rubare la tua. Se lo lasci entrare non ti ritrovi un fardello pesante e difficile da portare: egli, infatti, viene a prendere su di sé tutto ciò che intralcia il tuo cammino e ti introduce in quella via che egli per primo ha percorso. Se lo lasci entrare sperimenti che non hai più bisogno di errare vagando nella dispersione. Lui, il pastore bello, si prenderà cura di te con delicatezza e attenzione e lo farà grazie all’esperienza delle sue piaghe che sono la memoria permanente del modo in cui tu sei amato. Se voglio capire quanto sono amato, infatti, devo guardare a quanto l’altro ha sofferto per me.

Non temere di aprire la tua porta! Perché questo accada è necessario riconoscere quali sono quei chiavistelli che hanno blindato la tua esistenza al punto da risultare impermeabile a ogni cenno di vita. Era quello che era accaduto a scribi e farisei. Che osservando alla lettera il precetto avevano fatto sì che la morte regnasse per sempre. Il Signore Gesù vuole entrare per prendersi cura delle tue ferite ma ciò non può accadere se non sei tu ad aprire la porta della tua vita.

Ecco, sto alla porta e busso (Ap 3,20). La possibilità di una guarigione sta nell’aprire la propria esistenza a una relazione in cui finalmente sei riconosciuto e chiamato per nome e che risani le ferite prodotte da relazioni malate.

Don Antonio Savone
http://acasadicornelio.wordpress.com

IV domenica di Pasqua
di Enzo Bianchi

christshepherd

Leggendo i vangeli abbiamo messo più volte in evidenza che Gesù era un uomo che sapeva vedere, osservare cose, azioni ed eventi quotidiani, e su di essi pensava, per trarre dalla realtà consolazione e lezione. Soprattutto le parabole sono per noi una testimonianza del modo di vedere e di pensare di Gesù, della sua capacità di applicare il quotidiano anche nell’annuncio della buona notizia. Gesù non consegnava verità preconfezionate, formule dottrinali, ma a volte consegnava parole di sapienza, a volte alzava il velo su molti enigmi umani e mondani: tutto questo per farci conoscere Dio suo Padre, il suo Dio, il Dio autentico, e farci conoscere se stesso.Nel vangelo odierno Gesù sta parlando ai farisei, che gli hanno contestato la guarigione in giorno di sabato di un uomo cieco dalla nascita (cf. Gv 9,1-41).

Essi si sentono guide e pastori rispetto al popolo di Dio, perché interpretano la sua parola e sanno insegnarla, dando anche l’esempio esterno di una vita condotta in osservanza alla Legge. Sono abilitati a questo ministero? Hanno veramente l’autorevolezza (exousía) per essere pastori del gregge? Gesù con molta convinzione – espressa anche dall’“Amen, amen” iniziale – consegna loro un’osservazione: dove c’è un ovile, c’è una porta attraverso la quale entra ed esce il pastore, e dietro a lui le sue pecore. Su quella porta egli vigila, veglia per proteggere il gregge. Ma a volte qualcuno scavalca il recinto proprio per portare via le pecore: è il ladro, il brigante che vuole strappare le pecore al loro pastore per fini di lucro, di accrescimento del proprio gregge. Ecco la differenza tra pastore vero e ladro, tra chi vuole il bene delle pecore e chi di esse vuole semplicemente servirsi.

Ecco allora nelle parole di Gesù il ritratto del pastore vero e buono: entra ed esce attraverso la porta, è riconosciuto dal guardiano che gli apre la porta; le pecore riconoscono la sua voce, perché il pastore le conosce, le chiama ciascuna per nome e sa condurle su pascoli erbosi (cf. Sal 23,2), precedendole per custodirle dai pericoli e dagli attacchi dei lupi. C’è un legame reciproco tra pecore e pastore, dovuto all’azione di quest’ultimo: egli le chiama ed esse si sentono riconosciute, le guida ed esse si sentono protette, le precede ed esse si sentono orientate. Il rapporto delle pecore con il pastore è questione di vita, e dunque tra loro si instaura un legame di appartenenza e di riconoscimento.

Un estraneo che entra nel recinto, invece, spaventerà le pecore che non lo conoscono, le quali fuggiranno fino a disperdersi, come sempre avviene quando manca il pastore. Il discernimento tra pastore legittimo e pastore usurpatore e ladro non è sempre facile nella vita della chiesa. Le parole di Gesù sono un severo ammonimento, ma nei fatti quanti sono i pastori estranei o addirittura mercenari? Estranei perché non vivono “in mezzo al popolo di Dio”, non sono conosciuti nella loro vita privata, e lontani dal gregge che non li riconosce se non come funzionari: amministratori, manager, ispettori, ma non pastori… Questa purtroppo è una patologia più diffusa di quanto i fedeli possano accorgersi e avere consapevolezza.

Ma Gesù aggiunge un’altra osservazione. Con un rinnovato, duplice “amen”, dichiara non solo di essere il buon pastore, il pastore autentico del popolo di Dio, ma guardando al passato si comprende anche come la porta dell’ovile. Gesù è la porta per i pastori che lo hanno preceduto in questo servizio: se non sono passati attraverso di lui, sono stati ladri e assassini, sono stati i cattivi pastori nominati soprattutto da Geremia (cf. Ger 23,1-6) ed Ezechiele (cf. Ez 34,-31); pastori che le pecore, anche grazie all’ammonimento dei profeti, non hanno ascoltato. È dunque necessario essere istituiti pastori attraverso di lui, che li legittima a entrare e uscire dall’ovile, a guidare le pecore verso pascoli abbondanti.

Gesù parla di briganti (lestaí), di assassini che non vogliono la vita in abbondanza delle pecore, ma vogliono semplicemente possederle e servirsene, mentre parla di se stesso come di un pastore venuto perché gli uomini “abbiano la vita in abbondanza”, nella libertà e nella giustizia. Eppure proprio nel vangelo secondo Giovanni durante la passione di Gesù le folle, poste di fronte alla scelta tra Barabba, un brigante (lestés: Gv 18,40), e Gesù, il pastore buono, sceglieranno il brigante, con il peso del loro essere maggioranza. Sarebbe necessario chiedersi quale pastore in verità noi abbiamo e come facciamo discernimento sui nostri pastori.