http://www.atriodeigentili.it
Per gentile concessione dell’autrice

(…) Commento:

26Al sesto mese l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea chiamata Nazareth a una vergine promessa sposa di un uomo della casa di Davide di nome Giuseppe la vergine si chiamava Maria.

Al sesto mese è il collegamento con il racconto di prima; al sesto mese di Elisabetta, che per cinque mesi si tiene nascosta, succede quest’altra cosa altrove. Relativamente vicino a Nazareth, ma l’angelo Gabriele viene mandato a Maria a Nazareth, fuori dagli occhi di Elisabetta. Cosa succede? Che l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea chiamata Nazareth. Allora qui io (forse potete dirmi che sono un po’ fuori di testa, non lo so) trovo che c’è il paradigma di ogni gentilezza possibile, perché è la gentilezza di Dio. Dio manda un angelo. È vero che dal punto di vista letterario questi capitoli di Luca sono a metà tra l’Antico e il Nuovo Testamento, sono ancora pieni di sogni e di angeli come l’AT. Giuseppe sogna, ci sono angeli che vanno e che vengono, è un po’ un genere letterario e quindi va bene. Ma mi sembra che l’inizio, dal punto di vista della storia, di questo prendere la nostra parte da parte di Dio, per mostrarci come abitare la simmetria di potere, comincia con un angelo.

La parola angelica è una parola molto studiata nella scrittura, ci sono dei testi bellissimi. Che cosa ci dice una parola degli angeli? Ci dice una parola in primo luogo passante, cioè una parola che non si può fissare, non è una dottrina, una legge. Gli angeli non danno mai legge, danno sempre notizie. E le notizie passano, arrivano d’altrove e vanno altrove. Soprattutto, sono una parola passante. Tutti gli studiosi definiscono così le parole angeliche nella scrittura. Ad esempio, per generare bisogna avere parole passanti, parole che non si capitalizzano. Le parole sapienti, le parole esatte… provate a mettere un po’ di aggettivi vicini al termine parola, provate a caratterizzare con degli aggettivi ciascuno il proprio modo di parlare. Siamo ormai tutti abbastanza grandi per aver riflettuto su come parliamo. Potremmo dire che usiamo parole passanti? Una delle esperienze più comuni di parole passanti è l’esperienza degli insegnanti, perché non sai mai dove butti, butti in un secchio bucato, e dopo un po’ ne sei consapevole – all’inizio sei molto convinto che devi fare attenzione a ogni parola perché chissà che traumi può generare, dopo un po’ sei abbastanza consapevole che semini, e poi magari dieci anni dopo, vent’anni dopo, un tuo ex studente ormai irriconoscibile, ti dice: “No perché prof quando lei ha detto…” e tu, tra te e te, ti chiedi: “Ma quando ho detto questa cosa? Io? Ma ti ricordi bene?” E invece no, non chiedete, perché il suo ricordo è vero, è una parola passante. Però, da questo punto di vista, è anche una parola molto frustrante. Gli insegnanti rischiano tutti permanentemente il burnout, perché esattamente non vedi mai l’esito. L’unico sempre bocciato, permanentemente, è l’insegnante, che resta sempre lì; i ragazzi vanno, proseguono, crescono, raggiungono tappe, poi magari tornano anche indietro a ringraziare, ed è bello; ma l’insegnante è sempre bocciato nella sua classe, lì rimane e la frustrazione cresce. Infatti, ogni tanto gli insegnanti esercitano degli abusi di potere notevoli, perché non riescono a reggere la frustrazione di una parola sempre passante.

La seconda caratteristica che tutti gli studiosi attribuiscono alla parola degli angeli nella Scrittura è che sono sempre parole parziali e determinate. L’angelo non parla mai di suo, non ha un’idea, non ha un’opinione, viene da parte di Dio, dice quello che ha da dire e poi son cavoli vostri (e di Dio, del caso). Cioè, ha una comprensione estremamente confinata della propria parola. Questa è un’altra cosa che è fondamentale per non usare la parola come un esercizio di potere violento: quello di confinare la propria parola. Per quanto cercarne l’utilizzo migliore, dirla nel modo migliore, cercare la comunicatività, investire sulla propria parola, ma confinarla, sapere che viene d’altrove e che andrà altrove. (…)

Questo brano comincia con una parola angelica che nella scrittura ci viene raccontata come pronunciata da un angelo per dirci: è una parola così, è una parola generatrice, libera, passante, parziale, confinata, che giunge da altrove. E questa parola arriva in un posto che ha un nome, a due persone (a una persona ma di cui viene evocata anche che è promessa sposa a Giuseppe) che vengono evocati con i nomi da parte di un angelo, che ha un nome, e di questa persona si dice una vergine promessa sposa ad un uomo della casa di Davide. Più determinato di così nell’antichità sarebbe stato impossibile! È l’identificazione legale più precisa che si può dare. Ed è molto importante questo per Luca perché esattamente il confinamento della parola chiede un soggetto preciso, non è mai un universale, non è mai un astratto, è sempre un dato di realtà molto particolare che vale lì e non potrebbe essere rivolto a nessun altro così.

28Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».

Tutti abbiamo questa frase nell’orecchio quindi ci sembra normale. Di per sé è una frase un po’ demente, nel senso che le stai facendo prendere un accidente, succede una roba strana, le stai per dare una notizia del cavolo, con la quale dovrà passarci quel momentino per adattarsi all’idea, capire cosa sta succedendo e gli dici: rallegrati? ma di che? Infatti:

29A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo.

La reazione di Maria è assolutamente normale, lei dice: rallegrati, in che senso? Fermo, piano, per favore! Pensate al dialogo con la samaritana, pensate al dialogo con l’adultera: questi inizi un po’ disorganici al racconto sono un segnale letterario fondamentale. Esattamente qui c’è qualcuno che ha un potere ed è l’angelo, che ha un potere da parte di Dio e che si mette in posizione asimmetrica. Non si china per guardare Maria negli occhi venendo incontro alla sua posizione empaticamente, ma dà in qualche modo un comando, rallegrati. Cioè, mette in chiaro chi ha qualche cosa da dire e da dare e chi no. L’angelo gli dice:

30L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio.

E qui c’è l’altro grande tema: piena di grazia, hai trovato grazia. Siamo tutti un po’rovinati delle posizioni di Agostino che (sapientemente per la sua epoca, poiché aveva due o tre problemi davanti agli occhi e doveva intervenire) ha fatto alcuni ragionamenti sulla grazia un po’ discutibili, o perlomeno che, se assunti come universale assoluto, diventano discutibili. Erano probabilmente molto utili in quel tempo, ma il dibattito sulla grazia innescato da Agostino ci ha portato alla crisi con Lutero. Per dirla in breve, l’Occidente si è spaccato a causa dell’impostazione agostiniana e non a caso Lutero era un monaco agostiniano, cioè aveva studiato Agostino.

Bisogna che ricomprendiamo un po’ questo tema perché noi abbiamo una tendenza un po’ lessicalista e chiediamo: “Che cos’è la grazia? È l’amore di Dio per il mondo”. E giustamente tutti gli studenti del primo anno di teologia che fanno il corso sulla grazia alzano la manina e dicono: “E allora perché non diciamo l’amore di Dio per il mondo e lasciamo perdere questo termine grazia che ci causa un casino di problemi, che i protestanti non sono d’accordo, che Agostino non si capisce più? Diciamo l’amore di Dio per il mondo e basta così, quello si capisce”. E avrebbero ragione, se la questione fosse questa, evidentemente, se fosse semplicemente sinonimo. Ma il problema è che lo usiamo come sinonimo perché non sappiamo più bene cosa vuol dire e invece dietro c’è appunto che la grazia è l’amore potente (e nella sua potenza) di Dio per il mondo, che è un’altra cosa. E ciascuno di noi, mi auguro, visto l’età di tutti noi, ha almeno sperimentato una volta nella vita la differenza che c’è tra essere innamorati e esserlo in modo potente. Che non è la qualità del mio innamoramento, perché uno innamorato è innamorato. Innamorato in modo potente vuol dire che quel mio innamoramento ha delle conseguenze di tipo storico visibili, quelli che si direbbe un amore felice e un amore infelice. Allora, a 14 anni abbiamo tutti fatto collezioni di amori infelici che erano grandi innamoramenti, ma tutti impotenti, cioè che non andavano da nessuna parte rispetto alla realtà. Più uno cresce più fa l’esperienza di amori potenti – e spesso sbagliati – cioè, in cui si cambia la realtà e dopo un po’ dice: ”Oh, Gesù mio, era meglio se lasciavo perdere!”, non so se riesco a spiegarmi.

Adesso l’esempio è fatto un po’ così, però c’è una differenza. Quando noi diciamo grazia in teologia, diciamo l’amore potente di Dio, cioè quell’amore che trasforma la realtà, che fa la realtà, non l’amore in modo generico, ma un amore che ha un potere. Infatti, la grazia è quell’esperienza di me che io non avrei potuto fare senza di te, ma che riconosco solo quando mi raggiunge. È qualcosa che la presenza dell’altro sveglia in me e rende operativo; io divento in grado di essere quello, ma di per sé non era detto nelle premesse, io non mi stavo occupando di quello, non stavo costruendo quello. Nel momento in cui io ti incontro, questo che mi raggiunge lo riconosco come una verità di me che da sola non avevo visto. La cosa abbastanza tipica è ciò che si scatena tra una madre e un figlio appena nato, in cui il bisogno del figlio sveglia nella madre delle capacità, delle resistenze, delle attitudini, un modo di guardare, il riconoscere alcune cose che in genere, appena il figlio cresce, le passano, non ce le ha più.  Eppure, sono sue, è lei, non è che le fa un altro posto suo, ma le fa nella misura in cui il bisogno del piccolo, che ancora non parla, che solo strilla, le chiama in vita. E lei le riconosce come sue e le agisce. Quando non c’è più questo bisogno, non le agisce più. Riesco un po’ a spiegarmi? La grazia è questa esperienza, è l’amore potente di Dio, che non è alternativo alla nostra libertà. Non è che Dio dice: “Io faccio questa cosa per te, tu non la vuoi ma non importa, io sono Dio quindi la faccio comunque per te”, che è il dibattito luterano. Ma è esattamente questo incontro in qualcosa che sveglia in me una potenzialità, una possibilità che io riconosco come mia a quel punto.

Una domanda: i cattolici hanno trasformato questo in un sacramento? Sì, più o meno sì. Cioè, i cattolici dicono che l’unico luogo certo della grazia di Dio sono i sacramenti e che poi ci sono altri luoghi della grazia di Dio, che però non sono classificati come certi. In questo senso i cattolici difendono i sacramenti, ma difendono anche la sacramentalità, cioè che la storia nel suo insieme è sacramento della grazia, sì. E appunto il dibattito con i protestanti passa, guarda caso, anche di lì, evidentemente. Allora, se la grazia è questo, dire “Maria piena di grazia” è effettivamente una grande buona notizia. Dio dice a Maria che riconosce in lei tutta la possibilità necessaria per generare il Figlio al mondo.

La buona notizia è per noi e anche per lei, nel senso che le buone notizie non sono mai l’happy end, non sono un regalo di compleanno. Le buone notizie nella vita, generando una possibilità, generano anche la sua responsabilità correlativa per tutti, per noi come per lei, però sono anche lo spessore del dare vita, del rendere la vita possibile.

31Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».

È chiaro che l’immagine del regno di Davide suo padre, regnare sulla casa di Giacobbe è il linguaggio letterario del potere. Non si dice: sarà buono, sarà amato, guarirà, farà miracoli (che pure sono cose che farà), si indica esattamente che avrà tutto il potere possibile. Cioè, che non solo Maria ha il potere di generare vita, ma che la vita che genererà sarà tutto il potere possibile. Quindi il potere di dare vita a tutto il mondo. Ecco la cosa interessante è che Maria dice:

34Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?».

Fa la stessa obiezione di Zaccaria: come? La domanda vera non è chi sei, che cosa, ma è sempre come, cioè: come può accadere? E non è interpretato come un’incertezza nella fede, ma viene detto:

35Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio.

E ancora qui trovo un tratto meraviglioso, dopo la parola passante, di gentilezza. Non stiamo parlando di melensaggine da due soldi, stiamo parlando di cose vere, le cose vere hanno sempre doppie facce: il lato di ombra della vita, che è l’ombra dello Spirito, genera. C’è una disparità di potere tra noi e la vita. La vita è più potente di noi. Alla fine, ci caccia sempre in situazioni che forse non avremmo scelto. E la vita ha sempre una dimensione d’ombra. Ma se quell’ombra è l’ombra dello Spirito diventa generativa. È la nuvola che, come un tappeto, copre il cammino degli ebrei nel deserto. Nel tempo della storia ci fa ombra. Guardate che qui dietro c’è una riflessione antimoralistica geniale, cioè, è proprio il nostro luogo d’ombra che ci rende generativi. Un parroco direbbe forse che i nostri peccati sono anche le nostre migliori virtù, sono il luogo dove si può generare; non la nostra perfezione, ma la nostra umanità.

36Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37nulla è impossibile a Dio».
38Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

A fianco a questa non rassicurante considerazione sull’ombra dello Spirito, si mette un segno rassicurante. L’azione di Dio è potente, è un amore potente e dunque è già accaduto:

e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile:
Non ti devi fidare semplicemente.
37nulla è impossibile a Dio».

E qui si capisce perché i cristiani invocano Dio come “onnipotente”. Parola fastidiosa, un po’ patriarcale che non ci piace, che vorremmo forse cambiare, che in altre lingue si usa diversamente. Ogni tanto, a seconda di come viene usata e da chi, mi dà molto fastidio, e ogni tanto invece la trovo fondamentale. Sono molto rassicurata dall’idea che ogni potenza appartenga a Dio; sarei meno rassicurata se fosse troppo sparsa in mezzo ad altri specie ai suoi rappresentanti.

38Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei. (…)

Fossano, 23 marzo 2024
Testo non rivisto dall’autore