I vescovi italiani pubblicano un documento molto coraggioso. Denunciano l’epidemia di violenze e di guerre che devastano il pianeta, prendono posizione per un servizio civile, e non militare, obbligatorio, prendono le distanze dalla vasta industria delle armi

Daniele Rocchetti
11 Dicembre 2025
Per gentile concessione di
www.labarcaeilmare.it
Qualcosa si muove, e con un sorprendente coraggio. Così è stata la mia sensazione dopo la lettura della nota pastorale “Educare a una pace disarmata e disarmante” approvata dall’Assemblea generale dei Vescovi italiani a fine novembre ad Assisi e resa pubblica qualche giorno fa. Un testo (lo potete trovare su http://www. https://www.chiesacattolica.it/nota-pastorale-educare-a-una-pace-disarmata-e-disarmante/) che merita di essere letto e fatto conoscere dalle comunità cristiane del nostro territorio (chissà chi e quanti lo faranno).
L’inquietante aumento della violenza. I testimoni della pace
Un documento che fa suo l’appello di papa Leone affinchè ogni comunità cristiana sia una “casa della pace e della nonviolenza”, dove si “impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo, dove si pratica la giustizia e si custodisce il perdono”. Il testo parte dalla consapevolezza che è
davvero difficile parlare di pace in questo tempo, ma forse, proprio per questo, ancor più necessario. Difficile, perché gli ultimi anni hanno visto riproporsi un’atroce centralità della guerra, anche in aree a noi prossime, come l’Europa dell’Est e il Mediterraneo: il grido delle vittime giunge a noi con una forza che ci interpella direttamente; le immagini di violenza crescente ci sconcertano e chiamano a un impegno rafforzato. (…) È cresciuto il livello di conflittualità tra le grandi potenze del pianeta, facendo persino balenare talvolta il rischio di escalation nucleare: un fattore di angoscia, che erode la speranza di molti e molte, specie giovani. È aumentata a una velocità inedita la spesa militare, che secondo il SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) ha superato nel 2024 il livello record di 2.700 miliardi di dollari USA: una dinamica che distoglie risorse alla costruzione di un mondo abitabile, libero dalla fame ed orientato ad uno sviluppo davvero umano, contribuendo invece al degrado ambientale, anche con le emissioni climalteranti. Emergono pure modalità di aggressione diverse, come la guerra cibernetica, spesso neppure dichiarata, ma non meno letale.
La nota pastorale analizza con grande lucidità il modello che si è imposto dopo il crollo del Muro del 1989 e che, alla prova dei fatti, disattendendo le promesse, ha accresciuto le disuguaglianze “rivelando la fallacia della promessa di benessere globale del liberismo” e progressivamente giustificando la guerra “ come umanitaria o perché esercitata a difesa dell’ordine internazionale”. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: “la guerra mondiale a pezzi”, denunciata con insistenza da papa Francesco e “la minaccia nucleare”.
Il documento è molto ricco e articolato e si snoda attraverso tre tappe: l’esame del contesto attuale e delle sue radici, l’esplorazione dei principali riferimenti biblici e magisteriali e l’indicazione di alcune prospettive di pensiero e di azione. Apre il cuore trovare citati due “artigiani e architetti della pace” come don Tonino Bello e mons. Luigi Bettazzi ma pure Giorgio La Pira e don Giuseppe Dossetti, Maria di Campello e Maria Vingiani, don Primo Mazzolari e padre Ernesto Balducci, Annalena Tonelli e Alex Langer.
Un servizio civile invece di un servizio militare obbligatorio
La parte finale mostra alcune scelte possibili. “In un tempo in cui governi, attori politici e perfino opinioni pubbliche considerano la guerra come strumento privilegiato di risoluzione dei conflitti, occorre il coraggio di vie alternative per dare sostanza al realismo lungimirante della cura della dignità umana e del creato.” Per questo, i vescovi – contraddicendo la recente posizione del Governo che per conto del ministro Crosetto ha parlato della necessità di ripristinare la leva militare obbligatoria, mai formalmente abolita ma sospesa dal 2005 – chiedono di rilanciare, per declinare al meglio il valore della “difesa della Patria”, un servizio civile obbligatorio per ogni giovane, “come momento che accompagna la maturità politica della maggiore età con quella civile e morale”.
Inoltre, e finalmente!, si chiedono, a proposito dei “cappellani militari”, “se non si debbano prospettare diverse forme di presenza, meno direttamente legate a un’appartenenza alla struttura militare: esse consentirebbero maggior libertà nell’annuncio di pace specie in contesti critici”.
Insistono poi sulla necessità di non smantellare la legge 185 del 1990, anzi la “prima esigenza sarà quella di rafforzare la normativa in materia, irrobustendo i vincoli al possesso personale di armi e il contrasto all’esportazione di manufatti bellici – anche indirettamente, tramite triangolazioni – verso Paesi impegnati in azioni offensive o a rischio di usi in violazione dei diritti umani.”
L’industria delle armi e le risorse economiche che la finanziano
Rilanciano infine la necessità di una presa di distanza da quelle realtà economiche che sostengono la produzione e il commercio delle armi. “Occorre evitare la speculazione da parte di investitori che, sostenendo gli acquisti di titoli azionari dell’industria militare, contribuiscono all’economia di guerra e indirizzano, seppur inconsapevolmente, l’impegno militare da parte dei governi.
Nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2025 papa Francesco segnalava «i cospicui finanziamenti dell’industria militare» tra i «fattori che, anche solo indirettamente, alimentano i conflitti che stanno flagellando l’umanità». Si parla talvolta di obiezione bancaria per indicare il disinvestimento – da parte di singoli ed istituzioni – da quei soggetti finanziari coinvolti in tali dinamiche. È un’opzione importante, che singoli e comunità possono valorizzare per esprimere una volontà di pace attenta a quei fattori strutturali che contribuiscono a dinamiche conflittuali.”
Insomma, un testo che accompagna i cristiani perché stiano, con discernimento e coraggio, dentro questo tempo di conflitti, siano in grado di assumere sul serio la radicalità dell’annuncio evangelico: “la chiamata a essere operatori di pace deve farsi storia e vita delle comunità”. Altro che “si vis pacem para bellum” caro a Giorgia Meloni. “Si vis pacem para pacem”. Non c’è altra strada.