
Approfondimento sulla Lettera pastorale 2025 “Sul limite”
La dimensione spirituale del limite: deserto, silenzio, preghiera
di don Franco Mosconi
13 novembre 2025
https://www.chiesadiverona.it
L’uomo, immerso nel rumore, fatica a distinguere la voce di Dio. Per questo la Bibbia e la tradizione cristiana parlano della necessità di “fare deserto”: creare spazi interiori e momenti di silenzio che rendano possibile l’ascolto. Il deserto, infatti, non è solo un luogo fisico, ma un simbolo che attraversa tutta la storia della fede. Nella Scrittura è anzitutto la terra arida e inospitale percorsa da Israele dopo l’uscita dall’Egitto. È un ambiente duro, dove si sperimentano fame, sete, paura e smarrimento, ma è anche il tempo in cui Dio nutre il suo popolo con la manna, lo guida con la sua legge e lo educa alla libertà. Così il deserto diventa scuola di fede: nella privazione, Israele impara a riconoscere che non vive solo di pane, ma di fiducia in Dio. Con i profeti il significato si approfondisce. Essi denunciano la tentazione di Israele di abbandonarsi ai beni e dimenticare il Signore, e invitano a “ritornare al deserto” per riscoprire la purezza della fede. In questo senso il deserto si fa esperienza interiore: silenzio, distacco, ascolto. È lo spazio in cui Dio parla “al cuore” e rinnova la sua alleanza.
L’ascolto è infatti il centro della fede. Il comandamento “Ascolta, Israele” esprime la vocazione dell’uomo come uditore della Parola (Dt 6,4-5; Mc 12,29-30). Ma non c’è ascolto senza silenzio. Tacere non significa vuoto, ma predisporre il cuore a una parola che non nasce da noi. Solo nel silenzio interiore si può cogliere la voce di Dio e imparare a comunicare in modo autentico anche con gli altri. Amare, in fondo, comincia dall’ascolto: così come Dio ci ha accolti ascoltando, anche noi possiamo accogliere il fratello imparando a fare spazio alla sua voce. Il Nuovo Testamento riprende e illumina questa dimensione. Il Battista sceglie il deserto per prepararsi alla sua missione. Gesù vi rimane quaranta giorni prima di iniziare la predicazione, affrontando le tentazioni che avevano fatto cadere Israele. Dove il popolo aveva fallito, Egli vince: non mette alla prova Dio, non si piega agli idoli. Nel deserto Gesù rivela che la vera forza nasce dall’affidamento al Padre.
Per i cristiani, il deserto resta allora il luogo simbolico della prova, ma anche dell’incontro. È il rifugio della Chiesa perseguitata, come narra l’Apocalisse (Ap 12, 6), ma soprattutto è la condizione interiore che permette di vivere la fede nel mondo senza esserne travolti. Oggi, in un tempo rumoroso e dispersivo, riscoprire il silenzio del deserto non significa fuggire dalla vita quotidiana, ma darle un fondamento più profondo. Non si tratta di abbandonare la città per rifugiarsi altrove, ma di portare dentro la città ciò che il deserto insegna: la capacità di fermarsi, di pregare, di riconoscere i propri limiti, di distaccarsi dagli idoli che promettono felicità facile. Fare un po’ di deserto vuol dire restituire spessore alla parola, purificare i gesti dall’egoismo, imparare a camminare accanto agli altri con più verità.
Così il limite del deserto diventa occasione di libertà. Non è condanna, ma invito a ritrovare ciò che conta. È esperienza di solitudine che apre alla comunione, di silenzio che genera ascolto, di prova che diventa speranza. Oggi, forse più che mai, abbiamo bisogno di questo spazio interiore per rimanere fedeli a Dio, custodire la nostra identità e rendere più umano e fraterno il mondo in cui viviamo.
Franco Mosconi,
Monaco camaldolese e presbitero