II Settimana di Avvento
Commento al Vangelo
Paolo Curtaz
Lunedì 8 Dicembre (SOLENNITA’ – Bianco)
IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA
Gen 3,9-15.20 Sal 97 Ef 1,3-6.11-12 Lc 1,26-38: Ecco concepirai un figlio e lo darai alla luce.
Martedì 9 Dicembre (Feria – Viola)
Martedì della II settimana di Avvento
Is 40,1-11 Sal 95 Mt 18,12-14: Dio non vuole che i piccoli si perdano.
Mercoledì 10 Dicembre (Feria – Viola)
Mercoledì della II settimana di Avvento
Is 40,25-31 Sal 102 Mt 11,28-30: Venite a me, voi tutti che siete stanchi.
Giovedì 11 Dicembre (Feria – Viola)
Giovedì della II settimana di Avvento
Is 41,13-20 Sal 144 Mt 11,11-15: Non ci fu uomo più grande di Giovanni Battista.
Venerdì 12 Dicembre (Feria – Viola)
Venerdì della II settimana di Avvento
Is 48,17-19 Sal 1 Mt 11,16-19: Non ascoltano né Giovanni né il Figlio dell’uomo.
Sabato 13 Dicembre (Memoria – Rosso)
Santa Lucia
Sir 48,1-4.9-11 Sal 79 Mt 17,10-13: Elìa è già venuto, e non l’hanno riconosciuto.
Domenica 14 Dicembre (DOMENICA – Viola o Rosaceo)
III DOMENICA DI AVVENTO (ANNO A) – GAUDETE
Is 35,1-6.8.10 Sal 145 Gc 5,7-10 Mt 11,2-11: Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?
Lunedì 8 Dicembre (SOLENNITA’ – Bianco)
IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA
Lc 1,26-38: Ecco concepirai un figlio e lo darai alla luce.

Abramo concepì Isacco per la fede nella promessa di Dio “e divenne padre di molti popoli” (cf. Rm 4,18-22). Ugualmente Maria concepì Gesù per mezzo della fede. La concezione verginale di Gesù fu opera dello Spirito Santo, ma per mezzo della fede di Maria. È sempre Dio che opera, ma attraverso la collaborazione dell’uomo. Credere, infatti, è rispondere con fiducia alla parola di Dio, accogliere i suoi piani come se fossero propri e sottomettersi in obbedienza alla sua volontà per collaborarvi. La fede vuole sempre: 1) la fiducia in Dio e 2) la professione di ciò che si crede, poiché “con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza” (Rm 10,10). Una volta riconosciuta vera la parola di Dio, Maria credette alla concezione verginale di Gesù e credette pure alla volontà di Dio di salvare gli uomini peccatori, la volle e aderì a quel piano lasciandosi coinvolgere: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38). Dalla sua fede quindi nacque Gesù e pure la Chiesa. Perciò, insieme ad Elisabetta che esclamò: “Beata colei che ha creduto all’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1,45), ogni generazione oggi la proclama beata (cf. Lc 1,48). La Chiesa ha il compito di continuare nel mondo la missione materna di Maria, quella di comunicare il Salvatore al mondo. Il cristiano di oggi deve fare proprio il piano di Dio “il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati” (1Tm 2,4), proclamando la propria salvezza e lasciandosi attivamente coinvolgere nel portare la salvezza al prossimo, poiché “in questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli (Gv 15,8).
Racconta la grazia che tocca la storia
Don Angelo Casati
Immacolata concezione di Maria: la si può anche predicare; e qualcuno di noi, certo, ricorda predicazioni suggestive. O forse si può anche parlarne osando piccoli chicchi di parole umili, e poi fare silenzio e contemplare. E poi scendere nella vita. Il mistero si apre e si chiude in quel segreto dell’accendersi della vita che chiamiamo “concepimento. E racconta di Maria che fu “concepita senza macchia”, o meglio, in positivo, vorrei si dicesse: “concepita nella pienezza della grazia”, cioè della bellezza. E che cosa possiamo dire di più? In fondo anche il brano del vangelo oggi sta in poche righe: “L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: “Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te””. Una ristrettezza di righe. Quasi mi venisse detto che sarebbe una pretesa volere sapere di più o volere dire di più…
E chi d’altronde – non so se ci avete pensato? – poteva sapere che lei era stata concepita nella pienezza della grazia? Non i genitori di Maria: nell’atto di concepire, solo un sognare… e pulsò la luce. E nemmeno Maria per tutto il tempo di quel suo sbocciare e crescere come fiore, sino al giorno in cui un angelo entrò nella casa senza bussare e la chiamò con un nome che forse poteva alludere alla luce piena dell’inizio: l’angelo sul principio le cambiò nome, la chiamò “ricolmata di grazia”; riconosciuta da un angelo, da Dio, come la “ricolmata di grazia”, di bellezza. Forse nemmeno lei sapeva di esserlo stata dal suo primo battere di vita. E nessuno nel villaggio. Dove tutti la vedevano uguale – apparentemente uguale – alle altre donne: aveva un marito e un figlio per cui stravedeva, andava alla fontana come tutte le donne ad attingere acqua, tesseva vestiti e impastava farine, onorava i sabati nella sinagoga, era nelle carovane che salivano per la Pasqua a Gerusalemme. Anche lei a preoccuparsi per quel suo figlio che proprio non si risparmiava;
la chiamavano Maria come tante delle loro donne, e non la “ricolmata di grazia”. Niente di straordinario. Questo per dire una cosa che può sembrare persino ovvia: che il divino passa per vite che sembrano all’apparenza uguali, niente di straordinario; e a renderle speciali non e la casa che hai, il lavoro che fai, il paese che abiti. Lei Maria uguale, ma speciale. Anche noi a volte diciamo: “Tu sei speciale”. E lo diciamo a donne e uomini che fanno le cose che fanno tutti. A renderli speciali non è una esibizione esterna, è la luce che li abita. Vorrei fare sosta sul divino che passa nella storia. So di andare controcorrente, ma a volte ho come la sensazione che, per dire la specialità di Maria, abbiamo acceso luci esterne, decorato la sua casa, elevato colonne, l’abbiamo vestita di abiti vistosi o dato gesti che non furono mai sue abitudini, rendendola inaccessibile, lontana, mentre a me sembra prezioso sostare a immagini di lei nelle cose che furono la sua vita, dove la luminosità la sorprendevi nei suoi occhi. Mi accadde di scrivere: “Non ti riconosco”:
Sosto a cappelle e non ti riconosco. Ti hanno giunte le mani, gesto che non ti appartiene. Forse solo le sollevavi imploranti al tuo Dio. O forse solo stavi curva rannicchiata nel tuo nulla. Così più non ci è dato riconoscerti nel nero grembiule che ti appartiene per sempre. Il grembiule. O le Madonne che allattano – troppe, per falso pudore ne abbiamo cancellate o velate – .
E così abbiamo cancellato o velato il divino che è anima dei gesti, la pienezza della grazia che fa fiorire la vita, proprio mentre assistiamo sgomenti a un esplodere della brutalità. Forse il grembiule e le madonne del latte ci farebbe memoria dei nostri giorni, per immagini che sarebbe disumanità pura oscurare, quelle delle mamme che allattano e persino mettono al mondo bambini su barconi in un mare di ghiaccio o quelle di mamme che stringono figli sotto delirio di bombe in una terra a noi sacra; più di 5300 bambini hanno contato tra gli uccisi prima della tregua di pochi giorni fa. Maria di Nazaret ricolmata di grazia, di bellezza, dall’origine, non permetterebbe di essere celebrata come perduta in un limbo lontano. Racconta la grazia che tocca la storia.
Ce lo ha ricordato papa Francesco aggiungendo in questi giorni tre invocazioni alla litania del rosario: “Mater misericordiae”, Madre della Misericordia; “Mater spei”, Madre della Speranza; “Solacium migrantium”, soccorso, rifugio dei migranti.
Lunedì della II settimana di Avvento
Lc 5,17-26: Oggi abbiamo visto cose prodigiose.
Oggi abbiamo visto cose prodigiose. E continuiamo a vederle. E le celebreremo fa qualche giorno, cantando con gli angeli la venuta di Dio. Vediamo come Dio ci raggiunga e ci liberi da ogni paralisi. Che sia il peccato, la disistima, la sofferenza, qualunque sia la ragione della nostra paralisi interiore, Dio ce ne libera. Ma, per essere liberati, dobbiamo superare un muro di obiezioni e di ostacoli. La folla che ci impedisce di avvicinarci al Signore, quelli, cioè, che ci prendono in giro se lasciamo uscire la parte migliore di noi stessi, che ci guardano con commiserazione perché ci professiamo credenti o, perlomeno, cercatori di Dio. La folla del ?politicamente corretto? che applaude entusiasta a Papa Francesco, fustigatore di costumi, ma si guarda bene dall’ascoltare ciò che dice e a convertirsi. La folla che ha stravolto il Vangelo, rendendolo insipido. Ma, anche, dobbiamo superare il giudizio dei super-credenti, di quelli che discettano, discutono, analizzano, che pongono sempre delle condizioni, investiti come si sentono della conservazione integerrima della fede. Ma se riusciamo ad andare oltre, se riusciamo ad arrivare a Cristo, saremo salvi.
Martedì della II settimana di Avvento
Mt 18,12-14: Dio non vuole che i piccoli si perdano
Eppure è chiaro. Detto e riportato senza possibilità di non essere capito. E ribadito e messo per scritto dagli evangelisti in modo che nessuno, poi, potesse dubitare della forza delle parole del Signore. Dio vuole una cosa sola da noi: che siamo salvi. Là dove “salvezza” significa pienezza, gioia, abbondanza di vita, felicità… Come un genitore che per il proprio figlio desidera ogni bene, ogni luce, ogni soddisfazione sapendo, però, che la vita ne riserva poche e che bisogna affrontare errori e difficoltà. Dio desidera il nostro bene molto più di quanto noi stessi desideriamo il nostro bene che, quasi sempre, ci sfugge… Perché Dio ci ama, ci viene a cercare, ci carica sulle sue spalle là dove noi, esasperati dalla ricerca, avremmo probabilmente bastonato la pecora ribelle. Lui no, ne ha attenzione, se ne fa carico, se ne prende cura. E questo Dio celebriamo, ci prepariamo ad accogliere nell’imminente Natale. Ma allora, scusate, perché molti sé dicenti cristiani continuano a parlare di un Dio giudice pronto a coglierci in fallo o un Dio bamboccio cui va sempre tutto bene come un innocuo Babbo Natale?
Mercoledì della II settimana di Avvento
Mt 11,28-30: Venite a me, voi tutti che siete stanchi.
Sì, Signore, siamo affaticati e oppressi. Affaticati da ritmi di vita incalzanti, da un mondo che ci chiede sempre di più dandoci sempre meno. Oppure ci scarta, lasciandoci sprofondare nella solitudine della nostra vecchiaia. Siamo oppressi dalle tante richieste di chi ci sta attorno, dalle notizie sconfortanti e terribili con cui farciscono l’informazione, dall’ansia da prestazione in un mondo che chiede sempre tanto, sempre troppo. Siamo affaticati ed oppressi e non ci basta un po’ di vacanza, qualche ricostituente, uno po’ di svago. La nostra è una solitudine profonda, una stanchezza esistenziale, un dolore continuo. Volentieri, in questo prossimo Natale, vogliamo imitarti. Nella mitezza e nell’umiltà di cuore possiamo trovare la pace. Scegliendo la pace invece della rabbia e della violenza. Scegliendo di accoglierci come siamo, da te amati senza condizioni, piuttosto che correre dietro alla follia vanagloriosa del nostro tempo. Non è facile esserti discepoli, ovvio. Ma è un giogo leggero, cento volte più leggero di quello che gli altri impongono e che non ci conducono a Dio.
Giovedì della II settimana di Avvento
Mt 11,11-15: Non ci fu uomo più grande di Giovanni Battista.
Il Regno subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono. È vero, ha ragione il Signore, se abbiamo il coraggio di accogliere il Vangelo, se lasciamo che illumini la nostra vita, oltre che la nostra anima, allora succede un bel guaio. Vivere le beatitudini, ad esempio, provoca un vero terremoto anche attorno a noi, nel mondo del lavoro, nella nostra famiglia, fra gli amici e i conoscenti. Far uscire il Vangelo dalla chiese per calarlo nella vita e nelle scelte provoca sempre dei bei problemi e delle reazioni. Non seguire il pensiero comune, corrotto e fradicio, egoista e narcisista, significa, perlomeno, attirarsi se non la violenza dei gesti almeno la violenza delle parole. Perciò siamo chiamati noi per primi ad esercitare una santa violenza, cioè uno sforzo poderoso per combattere la nostra pigrizia mentale e la nostra ipocrisia. Il Vangelo ci cambia la vita, la illumina, certo, ma è uno sforzo che richiede determinazione e convinzione. E costa fatica. Una “violenza” verso noi stessi che è la conversione, l’opera di radicale cambiamento che operiamo nelle nostre vite concrete.
Venerdì della II settimana di Avvento
Mt 11,16-19: Non ascoltano né Giovanni né il Figlio dell’uomo.
Non siamo mai contenti. Se qualcuno ci propone una vita di fede rigorosa e ascetica, basata sulla penitenza e la mortificazione, la fuggiamo perché la crediamo insostenibile e cupa. Se, invece, qualcuno mette l’accento sull’aspetto più gioioso della fede, la consideriamo troppo semplice e poco seria. Così è accaduto con Gesù, accusato di essere un mangione e un beone e di frequentare pessime compagnie. Ma anche Giovanni Battista era stato duramente criticato per la sua condotta di vita troppo austera… Ma cosa vogliamo veramente? Forse, dobbiamo ammetterlo, non lo sappiamo nemmeno noi. Vorremmo avere dei risultati senza faticare. Vorremmo essere graditi a Dio ma siamo molto più preoccupati di essere graditi agli uomini. Vorremmo essere santi ma senza convertirci. E avere una vita che fili via liscia senza problemi, facendo di Dio una specie di assicuratore. Smettiamola di fare come i bambini, prendiamo sul serio questo Dio che, solo, ci prende davvero sul serio. Il problema è che non abbiamo davvero il coraggio di convertirci per accogliere l’inaudito di Dio!
Sabato 13 Dicembre (Memoria – Rosso) Santa Lucia

Lucia, nata a Siracusa verso la fine del III secolo, era una giovane bella, ricca e di buon cuore. Orfana di padre, venne promessa sposa a un giovane pagano, ma desiderava seguire Gesù.
La madre Eutichia, malata, guarì miracolosamente dopo una preghiera a Sant’Agata. Lucia, riconoscente, fece voto di castità e povertà, rinunciando al matrimonio e donando la sua dote ai poveri. Iniziò ad assistere bisognosi e orfani, ma il suo ex fidanzato, geloso e rancoroso, la denunciò al console Pascasio. Lucia fu arrestata e condannata a essere esposta tra le prostitute, ma miracolosamente non poteva essere spostata. Tentativi di bruciarla fallirono e fu infine uccisa il 13 dicembre 304.
Secondo la tradizione, le furono strappati gli occhi, che miracolosamente tornarono al loro posto. Il culto di Santa Lucia si diffuse rapidamente, soprattutto in Sicilia e nel Nord Italia. Le sue spoglie sono a Venezia, nella Chiesa dei Santi Geremia e Lucia. E’ invocata contro malattie degli occhi e cecità e protegge la vista, la mente e il cuore.
Sabato della II settimana di Avvento
Mt 17,10-13: Elìa è già venuto, e non l’hanno riconosciuto.
Aspettiamo i profeti, qualcuno che ci indichi la direzione, che ci spieghi cosa dobbiamo fare, che ci mostri una strada che conduce verso Dio. Poi, appena qualche profeta arriva sul serio, ed è difficile riconoscerli perché raramente si vestono di pelli di cammello!, scuotiamo la testa e ne facciamo quello che vogliamo. Sentenziamo: sono eccessivi, esagerati, poco credibili, nascondono qualcosa di losco… E così aspettiamo il prossimo profeta, senza essere riusciti ad accogliere quello che abbiamo davanti. Ci sono i profeti, ancora oggi. Dio continua a mandarci molti profeti che ci conducono verso Dio. Pieni di difetti, come noi. A volte essi stessi inconsapevoli di essere tali, ma ci sono. Accogliamo la Parola là come ci giunge, senza porre condizioni a Dio, accettando la sfida della fede che non è mai come ce l’immaginiamo e come vorremmo. Sapendo che, se non sappiamo riconoscere ed accogliere i profeti, difficilmente saremo in grado di riconoscere il Messia che ancora nasce nei nostri cuori. Facciamo aiutare, allora, il nostro cuore sia sempre aperto e disponibile a ciò che Dio ci dice. In qualunque modo questo avvenga…
Domenica 14 Dicembre (DOMENICA – Viola o Rosaceo)
III DOMENICA DI AVVENTO (ANNO A) – GAUDETE
Mt 11,2-11: Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?

Subito dopo il passo in cui Gesù invia i suoi discepoli (Mt 10,5-11,1) san Matteo pone questa domanda che ci tocca tanto – come ha chiaramente toccato anche la prima comunità e colui al quale viene qui fatta pronunciare: Non vi sono numerosi argomenti contro Gesù e il suo messaggio? La risposta alla domanda che pongono i discepoli di Giovanni non è senza equivoci. Vi si dice chiaramente: non esiste una “prova” da presentare. Eppure un colpo d’occhio sui capitoli precedenti del Vangelo di san Matteo mostra bene che la lunga lista di guarigioni e miracoli non è stata redatta a caso. Quando la si paragona attentamente a ciò che Gesù fa rispondere a Giovanni, è possibile trovare, nei precedenti testi del Vangelo, almeno un esempio per ogni dichiarazione (i ciechi vedono, gli storpi camminano…). Quando Gesù dice questo, le sue parole fanno pensare alle parole di un profeta. Bisogna che diventi manifesto che in Gesù si compiono le speranze passate anche se molte cose restano ancora incompiute. Non tutti i malati sono stati guariti, non tutto è diventato buono. Ecco perché si legge in conclusione questo ammonimento: “Felice colui che non abbandonerà la fede in me (che non si scandalizza di me)”.
Quanto a coloro ai quali questo non basta, Gesù domanda loro che cosa di fatto sono venuti a vedere. Poiché di persone vestite bene se ne trovano dappertutto. Ma se è un profeta che volevano vedere, l’hanno visto! Hanno avuto ragione di andare a trovare Giovanni Battista, poiché la legge e i profeti lo avevano designato. Eppure la gente lo ha seguito come farebbero dei bambini che ballano sulla piazza del mercato senza preoccuparsi di sapere chi suona il flauto. La parabola che segue, e che non fa parte del nostro testo di oggi, dà una risposta che ci illumina: di fatto gli uomini non sanno quello che vogliono. Essi corrono dietro a chiunque prometta loro del sensazionale.
Sei Tu quello che deve venire, o dobbiamo aspettare un altro?
Giovanni Battista, dal carcere, rivolge questa domanda a Gesù. Può essere rivolta con tono di speranza, ma anche di disappunto, di rimprovero. Forse Giovanni Battista è deluso o pensa di avere sbagliato persona indicando Gesù come Messia.
Aveva capito che il Messia doveva venire, che Il Signore doveva mandarlo perché tante cose non andavano bene. Vedeva tante ingiustizie e anche tanti peccatori, e pensava che il Messia sarebbe venuto a rimettere ordine facendo giustizia ai buoni e punendo i peccatori.
Facciamo fatica a capire la risposta di Gesù perché per noi, oggi, i ciechi, gli zoppi, i lebbrosi, i sordi, non sono peccatori, mentre al tempo di Gesù erano considerati tali. Ma proviamo a sostituirli con politici corrotti, preti pedofili, violentatori, assassini, scassinatori, truffatori e tutto ciò che più ci rabbrividisce. Quelli che secondo noi, anche Dio dovrebbe punire e fulminare. Così capiamo lo scandalo e il disappunto di Giovanni Battista.
Gesù lo capisce, e non lo rimprovera. Semplicemente gli spiega, con degli esempi concreti, che Lui non è venuto a punire ma a salvare; a salvare tutti, anche quelli che io considero da non salvare o insalvabili. Lo fa andandogli incontro e amandoli perché riesce a vedere in loro dei figli di Dio, e non solo dei disgraziati.
Questo Dio misericordioso scandalizza, mentre quello che punisce intimorisce non scandalizza, perché è come noi.
Capito questo, anche io devo pormi questa domanda: “Sei Tu quello che voglio che venga, o preferisco aspettare un altro? Per esempio un dittatore che rimetta tutto a posto? A quale Vangelo, a quale Buona Notizia decido di aderire?”
Paul Devreux
Domenica14 Dicembre (Memoria – Bianco) San Giovanni della Croce
Giovanni (Fontiveros, Spagna, c. 1542 – Ubeda, 14 dicembre 1591) è fra i grandi maestri e testimoni dell’esperienza mistica. Entrato nel Carmelo ebbe un’accurata formazione umanistica e teologica. Condivise con santa Teresa d’Avila il progetto di riforma dell’Ordine Carmelitano che attuò e visse con esemplare coerenza. Il Signore permise che subisse dolorose incomprensioni da parte dei confratelli di Ordine e di Riforma. In questo cammino di croce, abbracciato per puro amore, ebbe le più alte illuminazioni mistiche di cui è cantore e dottore nelle sue opere: «La salita al monte Carmelo», «La notte oscura dell’anima», «Il cantico spirituale» e «La fiamma viva di amore». Fra le più alte voci della lirica spagnola, è il mistico «del nulla e del tutto», guida sapiente di generazioni di anime alla contemplazione e all’unione con Dio.
Materiale ripreso da
http://www.lachiesa.it