Autrice di uno dei più alti testi religiosi del Quattrocento, la santa unì mistica, poesia e vita concreta, mostrando la vera forza nella preghiera

Guglielmo Giraldi, “Beata Caterina da Bologna”, 1469 circa / WikiCommons

di Roberto I. Zanini
25/10/2025
Per gentile concessione di
AVVENIRE

Pubblichiamo un estratto della prefazione di Roberto Italo Zanini a Le sette armi spirituali (Edizioni Appunti di Viaggio, pagine 204, euro 20) di santa Caterina de’ Vigri (Caterina da Bologna), un caposaldo della letteratura femminile in italiano volgare, nonché un riferimento per la spiritualità francescana e non solo. 

Le sette armi spirituali sono un caposaldo della letteratura religiosa femminile in italiano volgare. Un vero e proprio vertice, relativamente al ’400. Si tratta di un testo che, a differenza di altri, anche famosi, attribuiti a religiose e mistiche nei decenni e secoli precedenti, è interamente scritto di pugno dall’autrice Santa Caterina de’ Vigri, detta “da Bologna”. Ha un sicuro valore letterario e ne emerge una fede limpida, senza tentennamenti, eppure umile e alla portata di tutti. È subito diventato un riferimento per tutta la spiritualità femminile francescana, e non solo, a cavallo fra XV e XVI secolo, nell’ambito della cosiddetta riforma della “Osservanza”, cioè il ritorno alla purezza dello stile religioso dei fondatori, in questo caso San Francesco d’Assisi. Su questo testo si sono formate in tutta Europa numerose generazioni di monache, in particolare clarisse. Quello che però, in questa nuova versione in lingua corrente di Le sette armi spirituali, vorremmo mostrare è la leggibilità, l’incisività e, tanto più oggi, l’utilità e l’efficacia alla portata di chiunque si incammini, per dirlo con l’autrice, sulla strada «della vera religione».

Caratteristiche che, naturalmente, vanno estese alla figura stessa di Caterina de’ Vigri, con la sua poderosa esperienza mistica, la lotta e la vittoria contro il male, la sobrietà della vita spirituale e la straordinaria evidenza del corpo incorrotto, conservato al “Corpus Domini” di Bologna, col quale in ogni momento il pellegrino può incontrarsi fisicamente e confrontarsi spiritualmente. In una straordinaria visione, che segna l’ultimo anno di vita, Dio stesso la invita a comprendere bene le parole che un angelo, cantando, le sta annunciando: «Et gloria eius in te videbitur» , in te si vedrà la gloria di Dio. A cinque secoli e mezzo di distanza quel corpo incorrotto è, se vogliamo, l’indicazione certa che non esiste strada che conduca a Dio, che non debba essere percorsa dall’uomo nella sua divina unità di spirito e di corpo, di fatiche e di gioia eterna. […] Si definisce «povera cagnolina» (minima cagnola latrante), fornendo di sé un’immagine emblematica, che rimanda anche a Mt 15,26-27, in cui la donna cananea e quindi pagana, che chiede la liberazione della figlia indemoniata, si prostra davanti a Gesù paragonando l’umile fede che l’anima a quella dei cagnolini che raccolgono le briciole sotto la tavola dei loro padroni. Insomma, la “santa nichilitate” di cui scrive Caterina, nello stile di Jacopone, a imitazione di San Francesco, è davvero per lei una scelta di vita quotidiana e concreta. Anche nell’uso delle parole. Per esempio il possessivo in prima persona, mio, mia, mie, pur comparendo quarantasette volte nel testo, non è mai riferito al possesso di cose materiali (mio Signore, sorelle mie, mio fragile corpo…).

Allo stesso tempo, in Le sette armi spirituali, la scrittura mostra un intento pedagogico che si avvicina più a quello di una maestra delle novizie, se non di una vera e propria madre badessa: ruoli che suo malgrado Caterina si trova a dover accettare per obbedienza, col passare degli anni. L’intento delle Sette armi è rivolto sia alla guida delle consorelle che alla salvaguardia della vita comunitaria nel monastero e del monastero stesso. Nelle tentazioni e negli inganni, che lei combatte e insegna a combattere, però, il diavolo si mostra come: nemico dei singoli fedeli di Gesù; nemico dell’amore fraterno che caratterizza la vera comunità cristiana; nemico del buon nome e dell’autorevolezza che la comunità mostra verso l’esterno; nemico del monastero in quanto casa e struttura fisica, che ospita la comunità. Per questo il trattato Le sette armi spirituali , sebbene sia nato in monastero per la vita nel monastero, è nei fatti rivolto a tutti coloro che scelgono di intraprendere un autentico cammino di fede, mentre i suoi insegnamenti risultano utili anche e soprattutto alle famiglie cristiane, fondamento e ispirazione di ogni casa e forma comunitaria nella Chiesa e nella società. Anche il ripetuto riferimento di Caterina all’obbedienza e alla prudenza, quali pratiche che garantiscono alla monaca di restare nell’umiltà e nella verità, salvaguardandosi dagli errori e dalle tentazioni, se applicato, mutatis mutandis, alla vita familiare e sociale, può certamente fornire ai lettori utili insegnamenti.

Primo fra tutti è che per essere un buon religioso o religiosa, come una  buona moglie o marito o cittadino non serve e a volte è controproducente, fare cose eccezionali o al disopra delle proprie forze. Ciò che davvero porta frutto e accogliere la grazia divina quale dono gratuito e universale (cioè non elargito in funzione del nostro impegno), applicandosi con semplicità all’amore e a ciò che amiamo, al servizio e alla preghiera secondo la propria vocazione. In questa logica, Caterina dedica gran parte del suo scritto alla relazione con Gesù, all’orazione (imitata nei secoli è la pratica delle mille Ave Maria, anche in contemporanea con l’Adorazione Eucaristica) e alle tante grazie spirituali che sperimenta. Di queste ultime, in particolare, lascia intendere che sebbene si tratti di doni privati, sono in realtà per tutti e di tutti. Non soltanto perché ogni persona che si avvicina con umiltà alla fede e alla preghiera riceve grazie e doni mistici secondo le sue possibilità, basta solo imparare a riconoscerli e ad accoglierli (come le briciole che dal tavolo cadono per i cagnolini). Ma soprattutto perché lei sente il dovere di offrire agli altri la grandiosa bellezza di ciò che ha ricevuto. […] L’attualità di Caterina è certamente fuori dubbio. La sua presenza corporea nella Chiesa del Corpus Domini di Bologna (monastero che da qualche anno, purtroppo, non è più abitato da clarisse) ne fa da cinque secoli e mezzo una santa fisicamente del presente. Originale e straordinaria.

La lettura delle Sette armi spirituali, mostra l’intelligente efficacia del suo insegnamento in cui all’umiltà, alla preghiera e alla prudenza si affianca il costante invito alla lieta serenità e alla sobrietà della vita spirituale senza eccessi nelle penitenze e nei digiuni. Perché anche il male e le tentazioni diaboliche si sconfiggono nel sereno affidarsi all’amore di Gesù. Uno stile di vita nella preghiera che è davvero per tutti, così come tutti possono incontrarla di persona recandosi al Corpus Domini di Bologna, come hanno fatto milioni di persone nei secoli e anche numerosi santi, ricevendone grazie di ogni tipo. Fra questi, Teresa di Lisieux si recò in pellegrinaggio a Bologna da ragazza. Anni dopo, ormai prossima alla morte, a una novizia ammirata dalla sua santità e convinta che il suo corpo si sarebbe conservato incorrotto, disse: “Non mi auguro affatto questo miracolo, preferisco essere ridotta in polvere che essere preservata come Santa Caterina da Bologna”. Teresina e Caterina: due diversi modi di mostrare al mondo i frutti dell’umiltà, nella fede sempre nuova e attuale in Cristo Gesù, che con la sua morte e resurrezione ha donato anche ai nostri corpi l’imperitura gloria di accedere alla vita eterna. Parlando del mistero cristiano del vivere umilmente, Gregorio di Nissa diceva che è una «discesa verso l’alto». E il corpo di Caterina sembra volercelo confermare apertamente, ogni giorno, così come Le sette armi spirituali ci dicono che già in vita, noi come lei e come gli apostoli sul Tabor, pur nelle fatiche di ogni giorno, possiamo giungere ad assaporare e vivere la gloria celeste. «Et gloria eius in te videbitur».