Commento di Paolo Curtaz


Lunedì 1 Dicembre (Feria – Viola)
Lunedì della I settimana di Avvento (Anni B-C)
Is 2,1-5   Sal 121   Mt 8,5-11: Molti dall’oriente e dall’occidente verranno nel regno dei cieli.

Martedì 2 Dicembre (Feria – Viola)
Martedì della I settimana di Avvento
Is 11,1-10   Sal 71   Lc 10,21-24: Gesù esultò nello Spirito Santo.

Mercoledì 3 Dicembre (Memoria – Bianco)
San Francesco Saverio

Is 25,6-10   Salmo 22   Mt 15,29-37: Gesù guarisce molti malati e moltiplica i pani.

Giovedì 4 Dicembre (Feria – Viola)
Giovedì della I settimana di Avvento
Is 26,1-6   Sal 117   Mt 7,21.24-27: Chi fa la volontà del Padre mio, entrerà nel regno dei cieli.

Venerdì 5 Dicembre (Feria – Viola)
Venerdì della I settimana di Avvento
Is 29,17-24   Sal 26   Mt 9,27-31: Gesù guarisce due ciechi che credono in lui.

Sabato 6 Dicembre (Memoria – Bianco)
San Nicola

Is 30,19-21.23-26   Sal 146   Mt 9,35-10,1.6-8: Vedendo le folle, ne sentì compassione.

Domenica 7 Dicembre (DOMENICA – Viola)
II DOMENICA DI AVVENTO (ANNO A)
Is 11,1-10   Sal 71   Rm 15,4-9   Mt 3,1-12: Convertitevi: il regno dei cieli è vicino!


Di quanti avventi abbiamo bisogno per convertirci, finalmente? Quanti Natali ancora dobbiamo celebrare perché veramente Cristo nasca in noi? Tanti, lo sappiamo bene. Perché il nostro desiderio e la nostra volontà sono forti ma forti sono anche le obiezioni, le distrazioni, le lentezze del nostro cuore. Tanti, perché ciò che sono quest’anno poco assomiglia a ciò che ero lo scorso anno e dieci anni fa… L’anno liturgico è come una spirale che torna sullo stesso punto ma ad un livello più profondo e se ho il coraggio della fede e dello stupore, se ho il coraggio, ancora e ancora, di mettermi in gioco, allora posso davvero vivere una vita ogni volta rinnovata, ogni volta guarita nel profondo. Anche noi, come il centurione di oggi, ci avviciniamo al Signore ben consapevoli della nostra fragilità: il servo di Dio che è in noi, la parte che ha scoperto e amato il Signore langue. Allora la parte forte e combattiva si rivolge al Maestro, chiede una guarigione, ma senza disturbarsi. Sì, Signore, dì solo una parola e la nostra vita potrà rinascere e potremo ripercorrere con verità il cammino di avvento per farti ancora nascere in noi!

Beati i nostri occhi perché vedono le meraviglie compiute dal Signore in noi! Beati i nostri orecchi che nuovamente ascoltano l’annuncio della salvezza! Beati noi che abbiamo la gioia di ricominciare un periodo di preparazione al Natale, che vogliamo ancora far nascere Dio nei nostri cuori, che non vogliamo lasciarci spegnere dalla tristezza di una festa sempre meno cristiana, sempre più banale e vuota! Gesù esulta di gioia nello Spirito riconoscendo la strategia del Padre: non sono gli esperti religiosi, i farisei e gli scribi ad accogliere la Parola, ma gli ultimi, i poveri, i dimenticati. E questa logica già si pregusta nel Natale: è un’adolescente di Nazareth a ricevere il compito di accogliere il Messia, sono i poveri che vivranno l’esperienza della nascita di Dio nelle grotte di Betlemme. Natale, per molte persone che vivono sole o scoraggiate, rappresenta il peggior giorno dell’anno. Eppure proprio loro sono i destinatari dell’attenzione e della compassione di Dio. Gioiamo sin d’ora per questa attenzione che Dio solo sa dare agli sconfitti di tutti i tempi. Beati noi che conosciamo il volere di Dio!

Ripensiamo al ministero apostolico di san Francesco Saverio, per ammirare il dinamismo che lo animò sempre.
San Francesco Saverio fu mandato nelle Indie, come dire, allora nel 1542 all’estremità del mondo, dove si arrivava con viaggi lunghissimi e pieni di pericoli. Subito si diede all’evangelizzazione, ma non in un solo posto, bensì in numerose città e villaggi, viaggiando continuamente, senza temere né intemperie nè pericoli di ogni genere. E non si accontentò delle Indie, che pure erano un campo immenso di apostolato, che sarebbe bastato per parecchie vite d’uomo. Egli era spinto dall’urgenza di estendere il regno di Dio, di preparare dovunque la venuta del Signore e così, dopo appena due anni, giunge a Ceyfon e poi ancora più lontano, alle isole Molucche. Torna in India per confermare i risultati della sua evangelizzazione, 
, per organizzare, per dare nuovo impulso all’opera dei suoi compagni, ma non vi rimane a lungo. Vuoi andare ancora più lontano, in Giappone, perché gli hanno detto che è un regno molto importante, ed egli spera che la conversione del Giappone possa influire su tutto l’Estremo Oriente. E in Giappone riprende i suoi viaggi estenuanti, estate e inverno, sotto la neve, con fatiche estreme. Torna dal Giappone, ma il suo desiderio lo spinge verso la Cina. Ed è proprio mentre tenta di penetrare in questo immenso impero che muore nell’isola di Sanchian nel 1552.
In una decina di anni ha percorso migliaia e migliaia di chilometri, malgrado le difficoltà del tempo, si è rivolto a numerosi popoli, in tutte le lingue, con mezzi di fortuna. Tutto questo rivela un dinamismo straordinario, che egli attingeva nella preghiera e nella unione con il Signore, nella unione al mistero di Dio che vuole comunicarsi.
Anche Gesù, per venire in mezzo a noi, ha superato una distanza infinita: ha lasciato il Padre, come dice il Vangelo giovanneo, per venire nel mondo. E nel suo breve ministero di tre anni ha continuato questo viaggio: si spostava continuamente, non aspettava che la gente andasse da lui, ma percorreva città e villaggi per annunciare la buona novella del regno.
E ora? Ora, se si vuole che Gesù venga, bisogna agire nello stesso modo: non aspettare che gli altri vengano da noi, ma andare noi da loro.
San Francesco Saverio ha dovuto fare viaggi enormi, è continuamente andato verso gli altri, sospinto dall’urgenza di preparare dovunque la venuta del Signore, e in questo modo ha preparato la venuta del Signore in se stesso. Dopo essersi estenuato, dopo aver speso tutte sue forze, la sua intelligenza, il suo cuore, egli riceveva il Signore a tal punto che lo supplicava di limitare un po’ le grazie di cui lo inondava.
suo viso era radioso, il suo cuore fremeva, si dilatava: egli aveva seguito in pieno l’ispirazione che il Signore gli aveva dato e per questo il mistero di Cristo si rinnovava nel suo intimo. Andare agli altri, senza aspettare che siano essi a venire: ecco la missione della Chiesa, la missione di ogni cristiano, ognuno nella sua situazione concreta. Se vogliamo che il Signore venga a noi, noi dobbiamo preparare la sua venuta negli altri, dobbiamo andare da loro, corrispondendo al dinamismo della misericordia divina.
È questa la rivelazione del Nuovo Testamento, che completa quella dell’Antico: la rivelazione di una misericordia che si diffonde, sempre più lontano.
Accogliamo la rivelazione di questo dinamismo dell’amore che viene da Dio: se vogliamo ricevere Cristo in noi dobbiamo essere pronti a portarlo agli altri, seguendo questo movimento che ci porta sempre fuori di noi stessi, verso gli altri con grande amore.
E questo l’insegnamento che ci viene dalla vita di san Francesco Saverio, in modo impressionante. Per ricevere l’amore di Dio bisogna trasmetterlo, per riceverlo di più bisogna averlo dato agli altri molto fedelmente, molto generosamente. Domandiamo al Signore la grazia di corrispondere davvero al desiderio del suo cuore.

La folla che cerca Gesù porta con sé molti ammalati perché li guarisca. Li porta da Gesù per ascoltare una Parola di consolazione e di salvezza, per farli sentire amati. Non li nasconde dentro le case o li affida a strutture specializzate: la folla vuole con sé i propri ammalati e sa a chi rivolgersi. Il cammino di preparazione che abbiamo iniziato lo vogliamo percorrere insieme ai tanti malati e scoraggiati che conosciamo per condurli verso la guarigione interiore che solo Gesù può operare. La nostra preghiera quotidiana, in queste dense settimane, si carichi di tutte le storie di sofferenza e solitudine che conosciamo per affidarle al Signore. Certo: la malattia è e resta difficile da accettare e da sopportare e la solitudine si cura solo con la compagnia di qualcuno da amare e che ci ami. Ma prendere consapevolezza che qualcuno mi ama a prescindere, che Dio si fa vicino e piccolo, che sperimenta dolore e solitudine, mi fa entrare in una condizione di profonda pace interiore. Il cibo di cui abbiamo bisogno, il pane della felicità, dell’ascolto e dell’accoglienza, ci viene donato generosamente dal Dio che diventa uomo.

Le chiacchiere stanno a zero, quando abbiamo a che fare con Dio. I discorsi di circostanza che tutti abbiamo imparato a memoria non servono a niente. E nemmeno le buone intenzioni che accendono in noi un barlume di senso di colpa ma che, subito, si spengono travolte dagli impegni della quotidianità. È iniziato l’avvento: vorremo finalmente prepararci, quest’anno, dedicare più tempo alla preghiera e al silenzio, alla meditazione prolungata. E, magari, mettere in cantiere una qualche opera caritativa. E spendere qualche soldo per un regalo che dia vita ai poveri e non effimere emozioni ai sazi. Poi il tempo passa, in fretta, e ci troviamo pieni di ennesime vuote parole. Quando lo capiremo che la vita che abbiamo è una sola? E che è degna di essere vissuta fino in fondo? Quando inizieremo a vivere mettendo ordine nelle nostre priorità, cercando il Regno, prima di ogni altra cosa? Perché le nostre parole non siano vane, accogliamo la Parola come fondamento di ogni nostra scelta, di ogni nostro agire. Lasciamo che sia la Scrittura, meditata nella tradizione della Chiesa, a far nascere o rinascere Cristo in noi. Siamo concreti!

Ritroviamo la vista in proporzione alla nostra fede. I nostri occhi interiori tornano a vedere solo se abbiamo il coraggio, noi per primi, sul serio, di metterci in gioco. E questo mi inquieta, sinceramente. Vorrei, invece, che Gesù mi guarisse senza disturbare troppo. Un miracolo pulito, un cambiamento radicale che, però, non mi coinvolga troppo. Poi sono disposto a pregare tanto, di più a insistere e fare pellegrinaggi e offerte cospicue ma, per cortesia, che Dio provveda a guarirmi senza chiedermi niente se non una fervente devozione. Non è così, mai. Per vedere con la luce della fede Dio ha bisogno della mia determinazione, della voglia di mettermi in discussione, di affrontare le mie ombre, senza illudermi che Dio, che potrebbe, decida di farle scomparire con uno schiocco di dita. Di fede ne abbiamo poca, certo, ma quella che abbiamo, fosse anche un granello di senapa, è sufficiente a spostare le montagne. In questo tempo di avvento vogliamo prepararci ad accogliere o a riaccogliere la novità della presenza di Dio in Cristo, a mettere le sue Parole come luce sul nostro cammino. Ma, per farlo davvero, dobbiamo uscire dal nostro torpore. Anche da quello santo.

Nato a Pàtara, Asia Minore (attuale Turchia), ca. 250.
Morto a Mira, Asia Minore, ca. 326.
Proveniva da una famiglia nobile. Fu eletto vescovo per le sue doti di pietà e di carità molto esplicite fin da bambino. Fu considerato santo anche da vivo. Durante la persecuzione di Diocleziano, pare sia stato imprigionato fino all’epoca dell’Editto di Costantino. Fu nominato patrono di Bari, e la basilica che porta il suo nome è tuttora meta di parecchi pellegrinaggi. San Nicola è il leggendario Santa Claus dei paesi anglosassoni, e il NiKolaus della Germania che a Natale porta i doni a bambini.

Quanto mi mette in crisi questo Vangelo! Quanto lo vorrei cancellare dalla mia vita interiore! Gesù vede le folle sperdute e sfinite, come pecore senza pastore e ne prova compassione. Davanti a questa pagina abbiamo un sussulto interiore di emozione e di gioia. Ecco: Dio vede, ora interviene. Macché. Vede le folle senza pastore e… inventa la Chiesa! Chiede a noi di farci carico delle pecore, di annunciare la compassione dono di Dio, di prolungare la sua azione di misericordia verso i poveri e gli esclusi. Siamo noi il volto compassionevole di Dio verso le persone che incontreremo oggi, soprattutto verso coloro che ci piacciono decisamente meno. Come abbiamo visto ieri, il Signore non ci guarisce senza di noi. Così, oggi, il Vangelo di propone la stessa imbarazzante logica: il mondo si salva solo se è amato e Dio lo ama attraverso di me. Diventiamo capaci di scacciare i demoni, le paure e le ombre, i peccati e gli errori, non perché migliori ma perché inviati. Siamo compassionevoli perché noi per primi abbiamo sperimentato la compassione. Riaccendere in noi la presenza di Cristo significa anche donarlo a chi incontriamo!

In san Matteo e san Marco, la predicazione di Giovanni Battista è il segnale dell’inizio dell’azione pubblica di Gesù. Con il suo discorso che chiama alla conversione, la presenza vicina diventa il messaggio di Gesù: “Il regno dei cieli è vicino!”, e la differenza con questo si fa chiara: i battesimi di Giovanni non permettono di rimettere i peccati. San Matteo con le sue parole ci dà un’idea della grande importanza di Giovanni Battista, della sua influenza e della sua azione. Nelle parole di san Matteo si legge la convinzione che Israele si trovi in una situazione senza uscita. Non vi è più la sicurezza collettiva che derivava dall’appartenenza alla discendenza di Abramo. L’avvenire di ognuno dipende dalle proprie azioni: “Fate frutti degni di conversione!”. Tuttavia l’avvenire è anche nelle mani di Dio, cioè nelle mani di colui che verrà dopo Giovanni: la mano che separa il buon grano dalla zizzania compirà presto la sua opera. Il giudizio che verrà è anche la ragione per cui Giovanni invita alla conversione. Israele è alla fine della sua sapienza. Anche se Giovanni Battista non ha ancora un’idea chiara di colui che verrà dopo di lui, sa una cosa: egli è il più forte. Giudicare è fare una scelta. Così, prepararsi al giudizio è prendere una decisione.

Il messaggio del tempo forte dell’Avvento ci riporta all’essenzialità della vita umana e della storia: stiamo camminando verso un “fine”. Il Vangelo di questa domenica tramite la predicazione del Battista, ci consegna dei verbi fondamentali che divengono il battistrada di questo percorso di Avvento. Il primo di essi è convertitevi. Perché si verifichi una conversione è necessario chiederci dove ci troviamo, a che punto è il nostro cammino, stiamo andando verso il fine, nella giusta direzione? Immersi dentro il traffico della nostra anima, in un tempo che non ci basta mai, in un vivere ubiquo tra le varie stanze dell’online e gli impegni del reale, emerge la figura solenne del Battista che in primo luogo ci invita a uscire da tutto questo: la conversione richiede una decisione, non può accadere se non sei pronto a tagliare alcune cose dalla tua vita, a liberarti da un peso che ritarda o addirittura impedisce il tuo cammino verso il “fine”. A differenza del popolo d’Israele che ha peregrinato per quarant’anni nel deserto per poi giungere nella terra promessa, il Battista ci aiuta a compiere un cammino opposto: ci invita a uscire dalla città per ritornare nel deserto, luogo del provvisorio, dove la sussistenza consiste nel recare con sé solo l’essenziale. Il deserto ti rende povero, uguale all’altro e bisognoso dell’aiuto dell’Altro, è solo in questo momento che tu puoi nuovamente rincontrare, riascoltare, rifare esperienza di Dio: metti la scure all’albero, liberati da ciò che ti sta distraendo, elimina il miraggio che ti ha fatto perdere la direzione; ascolta nuovamente, come i tuoi padri, Dio, lasciati purificare dal fuoco del suo amore perché il tuo piede non sia più ingannato dal terreno che calpesta e la tua direzione diventi sempre più lesta verso Cristo che ti attende. Se vuoi acquistare coscienza di quello che sei, di capire verso quale “fine” sei indirizzato, vieni qui nel deserto, riprendi le misure dal tuo essere creatura e passando come i padri dell’esodo ancora una volta per il Giordano, sarai nuovamente lavato, per poi rinnovare il tuo ingresso nella terra che il Signore ti ha donato. Per raggiungere il “fine” è necessario edificare il Regno dei cieli, far sì che la creazione tramite la nostra azione amorevole ed efficace, si manifesti così come Dio l’ha pensata. La salvezza non è un progetto che inizia nell’oltre vita, ma già da ora sei entrato in questa storia sin dal momento della tua nascita. Non ci sarà più bisogno di nessun mediatore come Mosè, né di nessun profeta, il Messia con il battesimo, ci ha inserito nella vita dello Spirito: siamo fortemente legati a Dio, siamo pienamente suoi figli e proprio per questo motivo siamo in grado di comprendere il senso del creato, il significato della nostra singola esistenza.

Commento a cura di Luca De Santis

Materiale ripreso da: http://www.lachiesa.it