Il libro di DANIELE
Conversazioni bibliche di don Claudio Doglio

Daniele nella fossa dei leoni (cap. 6)
Il capitolo 6 corrisponde al cap. 3 dove c’era l’ordine di adorare la statua; i tre giovani si rifiutano e vengono buttati nella fornace ardente, ma sono salvati. Al capitolo 6 c’è una situazione analoga, c’è il divieto di pregare altri dèi; Daniele prega il suo Dio, viene condannato alla fossa dei leoni, ma è salvato. Ricordiamo che tutti questi racconti sono fatti per incoraggiare gli uomini e le donne della rivolta dei Maccabei cioè in una situazione di persecuzione; sono racconti che devono incitare alla resistenza, all’eroismo, alla perseveranza nella fede fino al martirio.
Daniele accusato perché prega
v. 2Dario volle costituire nel suo regno centoventi sàtrapi e ripartirli per tutte le province. 3A capo dei sàtrapi mise tre funzionari, di cui uno fu Daniele,
Ormai sono passati ottant’anni, quindi Daniele ne ha più di cento, ma è sempre lì bello florido, giovane, sveglio, intelligente. Addirittura questo Daniele diventa adesso uno dei tre funzionari che sono a capo dei centoventi satrapi delle province persiane; assolutamente inimmaginabile dal punto di vista storico. Daniele fu uno di quei tre, tanto bravo, importante e intelligente che quasi Dario lo faceva re al suo posto. ai quali i sàtrapi dovevano rendere conto perché nessun danno ne soffrisse il re.
v. 4Ora Daniele era superiore agli altri funzionari e ai sàtrapi, perché possedeva uno spirito straordinario, tanto che il re pensava di metterlo a capo di tutto il suo regno. 5Perciò tanto i funzionari che i sàtrapi cercavano di trovare qualche pretesto contro Daniele nell’amministrazione del regno.
Dato che era superiore a loro e molto stimato dal re, gli altri erano tremendamente gelosi, invidiosi e facevano di tutto per fargli le scarpe, per metterlo in cattiva luce, per trovare qualcosa che non andasse bene. Cercavano quindi di trovare qualche pretesto. Ma non potendo trovare nessun motivo di accusa né colpa, perché egli era fedele e non aveva niente da farsi rimproverare,
v. 6quegli uomini allora pensarono: «Non possiamo trovare altro pretesto per accusare Daniele, se non nella legge del suo Dio».
Infatti, come ufficiale era integro, onesto, non gli si poteva muovere nessuna accusa. Un difetto però lo aveva: era una persona religiosa; possono allora creare degli intrighi per accusarlo.
v. 7Perciò quei funzionari e i sàtrapi si radunarono presso il re e gli dissero: «O re Dario, vivi in eterno! 8Tutti i funzionari del regno, i governatori, i sàtrapi, i ministri e i prefetti sono del parere che venga pubblicato un severo decreto del re secondo il quale chiunque, per la durata di trenta giorni, rivolga supplica a qualsiasi dio o uomo all’infuori di te, o re, sia gettato nella fossa dei leoni.
Con tutti i problemi che avevano, i satrapi si riuniscono e decidono di fare trenta giorni di preghiera e solo per il re, solo al re come l’unico dio. In quei trenta giorni è proibito pregare qualunque altro dio.
v. 9Ora, o re, emana il decreto e fallo mettere per iscritto, perché sia immutabile, come sono le leggi di Media e di Persia, che sono irrevocabili». 10Allora il re Dario ratificò il decreto scritto.
È abbastanza facile convincere Dario, specialmente se si tratta di rendergli omaggio; è un decreto assurdo, è una legge irrevocabile. Dario pose la firma; dove fosse Daniele, gran consigliere, mentre hanno fatto tutto questo non si sa.
v. 11Daniele, quando venne a sapere del decreto del re, si ritirò in casa. Le finestre della sua stanza si aprivano verso Gerusalemme e tre volte al giorno si metteva in ginocchio a pregare e lodava il suo Dio, come era solito fare anche prima. 12Allora quegli uomini accorsero e trovarono Daniele che stava pregando e supplicando il suo Dio. 13Subito si recarono dal re e gli dissero riguardo al suo decreto: «Non hai approvato un decreto che chiunque, per la durata di trenta giorni, rivolga supplica a qualsiasi dio o uomo all’infuori di te, o re, sia gettato nella fossa dei leoni?». Il re rispose: «Sì. Il decreto è irrevocabile come lo sono le leggi dei Medi e dei Persiani». 14«Ebbene – replicarono al re –, Daniele, quel deportato dalla Giudea, non ha alcun rispetto né di te, o re, né del tuo decreto: tre volte al giorno fa le sue preghiere». 15Il re, all’udire queste parole, ne fu molto addolorato e si mise in animo di salvare Daniele e fino al tramonto del sole fece ogni sforzo per liberarlo. 16Ma quegli uomini si riunirono di nuovo presso il re e gli dissero: «Sappi, o re, che i Medi e i Persiani hanno per legge che qualunque decreto emanato dal re non può essere mutato».
Se ricordiamo la storia di Ester, questo è un ritornello che torna anche là; è un ritornello tipico delle storie persiane: ironizzano sui decreti irrevocabili degli uomini. Sono formule che adoperavano veramente i persiani, ma i giudei li prendevano in giro ritenendo che i decreti degli uomini non sono mai irrevocabili. Tanto è vero che in questi racconti, sia per Ester, sia per Daniele, questi decreti così irrevocabili vengono tranquillamente cambiati. C’è quindi una ironia di sottofondo.
Una condanna con speranza di salvezza
v. 17Allora il re ordinò che si prendesse Daniele e lo si gettasse nella fossa dei leoni. Il re, rivolto a Daniele, gli disse: «Quel Dio, che tu servi con perseveranza, ti possa salvare!». 18Poi fu portata una pietra e fu posta sopra la bocca della fossa:
La fossa è proprio una cisterna, una specie di grande pozzo; la pietra è messa sopra e in fondo a questa cisterna ci sono dei leoni che da qualche giorno non hanno mangiato, quindi bestie feroci affamate. Il prigioniero che viene calato in questa fossa non ha assolutamente nessuna possibilità di scampo e in genere viene divorato ed eliminato. Questo era un sistema abitualmente usato dei persiani per eliminare delle persone: tenevano degli animali selvatici dentro delle fosse non molto profonde. Oppure, negli ambienti dove c’erano dei coccodrilli, non davano da mangiare agli animali, ma gli buttavano i prigionieri. Risolvevano così i problemi anche perché non restava praticamente nulla. L’uomo ucciso deve invece essere sepolto, quindi crea ancora del lavoro, invece dato a questi animali veniva eliminato completamente. Leggendo certi racconti dell’antichità c’è veramente da rimanere stupiti, meravigliati negativamente di quanto gli uomini hanno sofferto, di quante persone hanno vissuto situazioni dolorose, atroci e quanto male gli uomini hanno fatto, perché tutte queste realtà vanno moltiplicate per tutti i popoli e per tutti i tempi.
il re la sigillò con il suo anello e con l’anello dei suoi dignitari, perché niente fosse mutato riguardo a Daniele.
L’intervento dell’angelo di Dio
v. 19Quindi il re ritornò al suo palazzo, passò la notte digiuno, non gli fu introdotta nessuna concubina e anche il sonno lo abbandonò. 20La mattina dopo il re si alzò di buon’ora e allo spuntare del giorno andò in fretta alla fossa dei leoni. 21Quando fu vicino, il re chiamò Daniele con voce mesta: «Daniele, servo del Dio vivente, il tuo Dio che tu servi con perseveranza ti ha potuto salvare dai leoni?». 22Daniele rispose: «O re, vivi in eterno! 23Il mio Dio ha mandato il suo angelo che ha chiuso le fauci dei leoni ed essi non mi hanno fatto alcun male, perché sono stato trovato innocente davanti a lui; ma neppure contro di te, o re, ho commesso alcun male».
Questa scena ricorda molto qualcosa di pasquale. C’è una fossa con una pietra sopra, sigillata, il mattino di buon’ora qualcuno va a vedere e si aspetta di trovare un morto, invece scopre che quella persona è viva. La fossa dei leoni è una immagine degli inferi, dello sheol, del mondo dei morti. “Libera la mia anima dalla bocca del leone” si trova detto in un salmo come espressione di invocazione. Quando si cantava la messa da morto in latino, all’offertorio c’era una antifona che diceva: “Domine, Jesu Christe, Rex gloriae, libera animas omnium fidelium defunctorum de poenis inferni, et de profundo lacu; libera eas de ore leonis, ne absorbeat eas tartarus, ne cadant in obscurum: sed signifer sanctus Michael, repraesentet eas in lucem sanctam; quam olim Abrahae promisisti, et semini ejus”. “Signore Gesù Cristo, Re di gloria, libera le anime di tutti i fedeli defunti dalle pene degli inferi e dalla fossa profonda; liberale dalle fauci del leone, affinché né le inghiotta il Tartaro [il mondo infero], né cadano nelle tenebre, ma il tuo signifer, [il portatore di insegne], san Michele, [l’arcangelo], le conduca [le presenti] alla luce santa che già promettesti ad Abramo e alla sua discendenza”.
Nelle preghiere della Chiesa si è mantenuto il riferimento alla bocca del leone. Nel rituale dell’accompagnamento del moribondo c’è una litania per la liberazione in cui si chiede al Signore che liberi questa persona come hai liberato tanti altri. C’è un lungo elenco tra cui i tre giovani della fornace, Daniele dalla bocca dei leoni, Susanna dall’inganno dei vecchioni, Noè dal diluvio, Abramo dalla fornace dei caldei ecc. All’elenco tradizionale si aggiunge l’invocazione litanica: “libera eam”. È l’immagine della fossa della morte e i leoni, belve feroci che divorano la persona, sono l’immagine del male, il male che è dentro di noi, sono le figure mitiche dei peccati, è il nostro istinto. Il diavolo, come leone ruggente, va in giro cercando chi divorare, resistetegli; vuol dire che potete non essere divorati dal leone; se invece cedete venite divorati. La perseveranza di Daniele nella fedeltà gli permette di non essere divorato; è una catechesi simbolica per coloro che affrontano le difficoltà della persecuzione, affinché abbiano il coraggio di affrontare anche la morte. Il re, sentendo quello che gli ha detto Daniele…
v. 24Il re fu pieno di gioia e comandò che Daniele fosse tirato fuori dalla fossa. Appena uscito, non si riscontrò in lui lesione alcuna, poiché egli aveva confidato nel suo Dio.
La punizione degli accusatori
v. 25Quindi, per ordine del re, fatti venire quegli uomini che avevano accusato Daniele, furono gettati nella fossa dei leoni insieme con i figli e le mogli. Non erano ancora giunti al fondo della fossa, che i leoni si avventarono contro di loro e ne stritolarono tutte le ossa.
Non è che fossero leoni mansueti, erbivori, erano invece leoni affamatissimi, ma nel caso di Daniele hanno fatto una eccezione. L’angelo del Signore ha chiuso le fauci dei leoni, gli accusatori invece sono stati divorati e stritolati, addirittura insieme alle loro famiglie. Questi decreti irrevocabili dei persiani sono stati revocati subito. Il re ha fatto un decreto, ma adesso non lo considera più, anzi condanna a morte proprio quelli che gli hanno fatto fare il decreto.
v. 26Allora il re Dario scrisse a tutti i popoli, nazioni e lingue, che abitano tutta la terra: «Abbondi la vostra pace. 27Per mio comando viene promulgato questo decreto: In tutto l’impero a me soggetto si tremi e si tema davanti al Dio di Daniele, perché egli è il Dio vivente, che rimane in eterno; il suo regno non sarà mai distrutto e il suo potere non avrà mai fine. 28Egli salva e libera, fa prodigi e miracoli in cielo e in terra: egli ha liberato Daniele dalle fauci dei leoni».
È una preghiera con formule rituali tradizionali e viene presentato come un decreto che l’imperatore persiano manda a tutto l’impero come se lui stesso si convertisse al Dio di Israele.
v. 29Questo Daniele fu in grande onore sotto il regno di Dario e il regno di Ciro il Persiano.
Peccato che Ciro sia venuto prima e sia il nonno di Dario.
La visione apocalittica di Daniele (cap. 7)
7,1Nel primo anno di Baldassàr, re di Babilonia,
Con il capitolo 7 saltiamo di nuovo indietro, è già morto Baldassar e sono venuti Ciro, Cambise, Dario e adesso, al capitolo 7, ritroviamo Baldassar. Leggendo questi testi nella liturgia, a pezzetti, queste cose non le notiamo mai, perché non c’è un filo logico, quindi il testo va bene così com’è, però nell’insieme possiamo notare che invece è una antologia.
Questo capitolo 7 corrisponde al capitolo 2, quello della statua, la grande statua sognata dal re Nabucodonosor, fatta di quattro metalli diversi di cui nessuno può spiegare il senso. Poi si spiegano questi quattro metalli come quattro regni successivi, finché arriva la pietra.
Il capitolo 7 è un capitolo importantissimo e sostanzialmente ripete la stessa cosa. Come con Daniele liberato dai leoni si ripete il racconto dei tre giovani liberati dalla fornace, così Baldassar giudicato ripete la storia di Nabucodonosor giudicato.
7,1Nel primo anno di Baldassàr, re di Babilonia, Daniele, mentre era a letto, ebbe un sogno e visioni nella sua mente. Egli scrisse il sogno e ne fece la seguente relazione.
Sembra che l’autore riporti la versione autobiografica di Daniele stesso, ma è come Alessandro Manzoni che nei Promessi Sposi ripete il manoscritto che ha trovato e dice: qui non posso dirvi il nome perché nel manoscritto il nome non c’è. Quel manoscritto però se lo è inventato lui ed è quindi un gioco letterario continuato in tutto il romanzo per cui i nomi che ci sono nel manoscritto li riporta, ma queste cose – dice – l’anonimo non le ha scritte, quindi non so come fare a riportarle. È un gioco letterario e difatti dal v. 2 comincia il resoconto in prima persona.
Le quattro bestie
v. 2 Io, Daniele, guardavo nella mia visione notturna,
Questo è un testo apocalittico, un testo molto importante della letteratura apocalittica cucito insieme agli altri, ma non è un racconto, non è una leggenda educativa, è un quadro apocalittico per interpretare la storia. Questa volta il sogno è fatto da Daniele stesso, non è lui che lo interpreta al re, ma è una visione che egli contempla, una visione notturna angosciante.
ed ecco, i quattro venti del cielo si abbattevano impetuosamente sul Mare Grande
È il Mediterraneo, che per il mondo antico è il mare più grande che conoscessero; gli oceani non li avevano ancora visitati. I venti del cielo sono quattro, come gli angoli della terra, come i punti cardinali. Non soffiano contemporaneamente, o soffia quello da nord o soffia quello da sud. Qui invece soffiano tutti e quattro insieme e quindi il mare è agitato in tutte le direzioni.
3e quattro grandi bestie, differenti l’una dall’altra, salivano dal mare.
Il mare è l’ambiente caotico per eccellenza, è l’immagine del caos primordiale. Dal mare escono quattro bestie, il quattro è un numero cosmico, sono i punti cardinali, i quattro angoli del mondo, cioè la totalità geografica. Quattro bestie escono fuori dalle acque del mare e rappresentano quattro imperi. La spiegazione è la stessa di quella della statua, quindi – se ricordiamo quella – qui abbiamo lo stesso criterio interpretativo.
v. 4La prima era simile a un leone e aveva ali di aquila. Mentre io stavo guardando, le furono strappate le ali e fu sollevata da terra e fatta stare su due piedi come un uomo e le fu dato un cuore d’uomo.
È Nabucodonosor e quello in cui è ambientato il racconto è l’impero babilonese; è il leone, il grande leone vincitore che sta in piedi, quasi un uomo. È il regno più lontano, quello che rappresenta la testa d’oro.
v. 5Poi ecco una seconda bestia, simile a un orso, la quale stava alzata da un lato e aveva tre costole in bocca, fra i denti, e le fu detto: «Su, divora molta carne».
Un orso delle montagne, sono i Medi, l’impero delle montagne della Media, il nord dell’Iran.
v. 6Dopo di questa, mentre stavo guardando, eccone un’altra simile a un leopardo, la quale aveva quattro ali d’uccello sul dorso; quella bestia aveva quattro teste e le fu dato il potere.
Sono i persiani, leopardi con le ali, una bestia con più teste: giochi di riferimento storici all’impero persiano.
v. 7Dopo di questa, stavo ancora guardando nelle visioni notturne, ed ecco una quarta bestia, spaventosa, terribile, d’una forza straordinaria, con grandi denti di ferro; divorava, stritolava e il rimanente se lo metteva sotto i piedi e lo calpestava: era diversa da tutte le altre bestie precedenti e aveva dieci corna.
Perché è la più terribile? Perché è l’ultima, è quella contemporanea all’autore; il vecchio Daniele ha sognato la storia futura. L’autore del libro vive sotto la persecuzione dei greci e la quarta bestia rappresenta il quarto grande impero, quello dei greci e – dato che è quello contemporaneo all’autore – è il peggiore, perché peggio di adesso non siamo mai stati. La situazione peggiore è sempre quella contemporanea a chi scrive perché ognuno prova i propri problemi, si trova nelle proprie difficoltà e ritiene che quello sia il peggio che possa capitare. La quarta bestia ha dieci corna, ma spunta anche un cornino.
v. 8Stavo osservando queste corna, quand’ecco spuntare in mezzo a quelle un altro corno più piccolo, davanti al quale tre delle prime corna furono divelte:
I corni sono i re, il cornino è un re che spunta e ammazza gli altri tre.
vidi che quel corno aveva occhi simili a quelli di un uomo e una bocca che proferiva parole arroganti.
È una scena, quasi una vignetta da film di animazione: spunta questo cornino che ha occhi e bocca e parla con prepotenza. Su questa grande bestia c’è un cornino che ha una voce impertinente, un’aria prepotente e parla con arroganza. Chi è questo cornino? È Antioco IV Epifane, il re della persecuzione, quello che è arrivato alla fine, il contemporaneo dell’autore del libro.
v. 9 Io continuavo a guardare, quand’ecco furono collocati troni e un vegliardo si assise.
La parola vegliardo non è bellissima, il testo originale aramaico di Daniele ha invece una bella espressione: Antico di giorni. Io lo avrei conservato, scritto con l’iniziale maiuscola. “L’Antico di giorni si assise”, è un modo per indicare poeticamente colui che ha una grande età. Vegliardo però suona male, sembra un vecchione, è invece l’Antico di giorni, l’Eterno.
La sua veste era candida come la neve e i capelli del suo capo erano candidi come la lana; il suo trono era come vampe di fuoco con le ruote come fuoco ardente. 10Un fiume di fuoco scorreva e usciva dinanzi a lui, mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano. La corte sedette e i libri furono aperti.
Mille migliaia sono mille per mille, una miriade è diecimila, diecimila per diecimila fa un numero enorme, cento milioni: è la corte celeste costituita da milioni di angeli. È una descrizione apocalittica, il trono del Padreterno; è una delle prime descrizioni della corte celeste che troviamo nell’Antico Testamento, poi verranno riprese anche nel Nuovo. L’Apocalisse di Giovanni dipende molto da questo linguaggio: la veste bianca, i capelli bianchi, tutto bianco. L’Antico di giorni è l’immagine della luce, il bianco è il colore della luminosità solare, della vita, è la sintesi di tutti i colori. Il trono invece è fatto di fuoco e dal trono esce un fiume di fuoco: è l’immagine del giudizio.
v. 11Continuai a guardare a causa delle parole arroganti che quel corno proferiva, e vidi che la bestia fu uccisa e il suo corpo distrutto e gettato a bruciare nel fuoco. 12Alle altre bestie fu tolto il potere e la durata della loro vita fu fissata fino a un termine stabilito.
La grande bestia che faceva paura e quel cornino prepotente sono stati eliminati.
Il Figlio dell’uomo
13Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino all’Antico di giorni e fu presentato a lui. 14Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto.
“Cuius regni non erit finis”. Alle quattro bestie subentra l’uomo: ecco la figura del figlio d’uomo che però viene sulle nubi del cielo. È quindi un essere trascendente e tuttavia umano, è la figura gloriosa di un salvatore atteso, è il potere umano di Dio. Dio concede a questo figlio dell’uomo il potere, la gloria e il regno; il suo regno non avrà fine, inaugurerà un regno eterno. È quello che dice l’angelo Gabriele a Maria, annunciando l’erede di Davide, è quello che noi abbiamo inserito nel Credo: “Salì al cielo, siede alla destra del Padre e il suo regno non avrà fine: vive e regna”. Alla pietra che distrugge la statua e diventa una montagna corrisponde il Figlio dell’uomo che ottiene il potere universale.
Quando Gesù adopera il termine Figlio dell’uomo prende la parola di qui. Tutti i detti di Gesù che contengono l’espressione Figlio dell’uomo sono riferimento a questo misterioso personaggio della profezia di Daniele: un essere umano, eppure trascendente, glorioso, che viene sulle nubi del cielo. Quindi Figlio dell’uomo vuol dire di più che semplicemente uomo, è il riferimento a questo essere che viene dal cielo.
L’interpretazione della visione
15Io, Daniele, mi sentii agitato nell’animo, tanto le visioni della mia mente mi avevano turbato; 16mi accostai a uno dei vicini e gli domandai il vero significato di tutte queste cose ed egli me ne diede questa spiegazione:
Questa volta Daniele non conosce la spiegazione; ha visto la visione e ha bisogno che qualcuno gliela spieghi. Si avvicina a un angelo e gli chiede: “Che cosa vuol dire?”; l’angelo gli spiega.
v. 17«Le quattro grandi bestie rappresentano quattro re, che sorgeranno dalla terra; 18ma i santi dell’Altissimo riceveranno il regno e lo possederanno per sempre, in eterno».
I santi dell’Altissimo sono l’applicazione del Figlio dell’uomo, è la comunità dei santi, sono quei chassidîm fedeli, devoti, coerenti e perseveranti.
v. 19Volli poi sapere la verità intorno alla quarta bestia, che era diversa da tutte le altre e molto spaventosa, che aveva denti di ferro e artigli di bronzo, che divorava, stritolava e il rimanente se lo metteva sotto i piedi e lo calpestava, 20e anche intorno alle dieci corna che aveva sulla testa e intorno a quell’ultimo corno che era spuntato e davanti al quale erano cadute tre corna e del perché quel corno aveva occhi e una bocca che proferiva parole arroganti e appariva maggiore delle altre corna.
Ripetendo le stesse cose si fissano nella memoria. Le senti due volte e te le ricordi più facilmente
21Io intanto stavo guardando e quel corno muoveva guerra ai santi e li vinceva, 22finché venne l’Antico di giorni e fu resa giustizia ai santi dell’Altissimo e giunse il tempo in cui i santi dovevano possedere il regno. 23Egli dunque mi disse: «La quarta bestia significa che ci sarà sulla terra un quarto regno diverso da tutti gli altri e divorerà tutta la terra, la schiaccerà e la stritolerà. 24Le dieci corna significano che dieci re sorgeranno da quel regno e dopo di loro ne seguirà un altro, diverso dai precedenti: abbatterà tre re 25e proferirà parole contro l’Altissimo e insulterà i santi dell’Altissimo; penserà di mutare i tempi e la legge. I santi gli saranno dati in mano per un tempo, tempi e metà di un tempo.
Cioè tre anni e mezzo.
v. 26Si terrà poi il giudizio e gli sarà tolto il potere, quindi verrà sterminato e distrutto completamente. 27Allora il regno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto il cielo saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo, il cui regno sarà eterno e tutti gli imperi lo serviranno e gli obbediranno».
L’interpretazione che dà l’autore è che il Figlio dell’uomo è il popolo dei santi, quindi non c’è un’idea personale del salvatore atteso, ma è la figura del popolo dei santi. Quando Gesù applica a sé l’immagine del Figlio dell’uomo si presenta come una figura corporativa, si presenta come il popolo, il vero Israele, il popolo dei santi dell’Altissimo; è già costitutivamente la Chiesa che sarà il Corpo di Cristo. Nella sua persona c’è già la molteplicità del popolo dei santi dell’Altissimo.
v. 28Qui finisce il racconto. Io, Daniele, rimasi molto turbato nei pensieri, il colore del mio volto cambiò e conservai tutto questo nel cuore.
Tutto questo l’ho messo per iscritto ed è rimasto segreto per quattrocento anni; poi finalmente c’è stato un autore che l’ha tirato fuori e l’ha pubblicato. È la finzione letteraria di presentare questo testo come se fosse stato scritto quattrocento anni prima e così profetizza il regno dei greci, ma ne annuncia anche la fine. Questo testo è apocalittico ed è molto importante per la teologia cristiana del Figlio dell’uomo.
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Corso Biblico tenuto da Don Claudio Doglio alle Monache Carmelitane di Genova nei mesi di ottobre-dicembre 2011