Il libro di DANIELE
Conversazioni bibliche di don Claudio Doglio

Sogno e follia di Nabucodonosor (cap. 4)
A questo punto troviamo un altro racconto, quello più strano e complicato; è il testo complesso del giudizio contro Nabucodonosor che inizia come se fosse una lettera. Questo testo è scritto in prima persona dal re.
v. 98Il re Nabucodònosor a tutti i popoli, nazioni e lingue, che abitano in tutta la terra: «Abbondi la vostra pace! 99Mi è parso opportuno rendervi noti i prodigi e le meraviglie che il Dio altissimo ha fatto per me.
È una confessione di lode; il re Nabucodonosor manda una circolare per raccontare quel che gli è capitato, perché tutti i popoli rendano gloria al Dio del cielo.
v. 100Quanto sono grandi i suoi prodigi e quanto potenti le sue meraviglie! Il suo regno è un regno eterno e il suo dominio di generazione in generazione».
Sono tutte citazioni di testi più antichi. Adesso inizia il racconto.
Il sogno
4,1Io, Nabucodònosor, ero tranquillo nella mia casa e felice nel mio palazzo, 2quando ebbi un sogno che mi spaventò. Mentre ero nel mio letto, le immaginazioni e le visioni della mia mente mi turbarono. 3Feci un decreto con cui ordinavo che tutti i saggi di Babilonia fossero condotti davanti a me, per farmi conoscere la spiegazione del sogno. 4Allora vennero i maghi, gli indovini, i Caldei e gli astrologi, ai quali esposi il sogno, ma non me ne potevano dare la spiegazione. 5Infine mi si presentò Daniele, chiamato Baltassàr dal nome del mio Dio [bel-shazzar], un uomo in cui è lo spirito degli dèi santi, e gli raccontai il sogno 6dicendo: «Baltassàr, principe dei maghi, poiché io so che lo spirito degli dèi santi è in te e che nessun mistero ti è difficile, ecco le visioni che ho avuto in sogno: tu dammene la spiegazione. 7Le visioni che mi passarono per la mente, mentre stavo a letto, erano queste:
Lo schema del racconto lo abbiamo già trovato, anche se è diverso; la narrazione è in prima persona e questa volta è il re stesso che narra il sogno, ma nessuno è in grado di interpretarlo, allora lo racconta a Daniele.
Io stavo guardando, ed ecco un albero di grande altezza in mezzo alla terra. 8Quell’albero divenne alto, robusto, la sua cima giungeva al cielo ed era visibile fino all’estremità della terra. 9Le sue foglie erano belle e i suoi frutti abbondanti e vi era in esso da mangiare per tutti. Le bestie del campo si riparavano alla sua ombra e gli uccelli del cielo dimoravano fra i suoi rami; di esso si nutriva ogni vivente.
Riconosciamo una espressione che adopera Gesù nella parabola della senape quando dice che è un granellino piccolo, ma quando cresce diventa un albero e gli uccelli del cielo si riparano tra i suoi rami. È quindi una citazione, è una frase che viene presa da qui: un sogno, una immagine. Nabucodonosor ha sognato un grande albero, un albero cosmico, un albero che fa frutti per tutta la terra. Ad un tratto però ecco una sorpresa: un vigilante. Il “vigilante” Chi è un vigilante? Uno che fa la guardia. Come lo chiamiamo noi? Gli diamo un nome ben preciso, lo chiamiamo angelo custode, è un vigilante. Nella terminologia apocalittica sono i vigilanti, sono quelli che fanno la guardia, sono gli angeli di turno alla ruota della clausura che tengono i contatti con l’esterno, che stanno svegli notte e giorno per qualunque evenienza. È quindi una terminologia tecnica della apocalittica per indicare gli angeli vigilanti e santi. Quando si parla dei santi si intende gli angeli.
v. 10Mentre nel mio letto stavo osservando le visioni che mi passavano per la mente, ecco un vigilante, un santo, scese dal cielo 11e gridò a voce alta: “Tagliate l’albero e troncate i suoi rami: scuotete le foglie, disperdetene i frutti: fuggano le bestie di sotto e gli uccelli dai suoi rami. 12Lasciate però nella terra il ceppo con le radici, legato con catene di ferro e di bronzo sull’erba fresca del campo; sia bagnato dalla rugiada del cielo e abbia sorte comune con le bestie sull’erba della terra. 13Si muti il suo cuore e invece di un cuore umano gli sia dato un cuore di bestia; sette tempi passino su di lui. 14Così è deciso per sentenza dei vigilanti e secondo la parola dei santi. Così i viventi sappiano che l’Altissimo domina sul regno degli uomini e che egli lo può dare a chi vuole e insediarvi anche il più piccolo degli uomini”. 15Questo è il sogno, che io, re Nabucodònosor, ho fatto. Ora tu, Baltassàr, dammene la spiegazione. Tu puoi darmela, perché, mentre fra tutti i saggi del mio regno nessuno me ne spiega il significato, in te è lo spirito degli dèi santi».
Il testo che descrive l’albero è un testo poetico, vediamo infatti che la minaccia dell’angelo vigilante che taglia l’albero è passata dall’albero alla persona umana. Un albero tagliato, un ceppo che rimane, ma rimane bagnato dalla pioggia, diventa partecipe della vita delle bestie, gli si cambia il cuore e gli viene dato un cuore di bestia. Che cosa vuol dire? Questo è linguaggio onirico, proprio linguaggio da sogno, non c’è una logica. L’autore di questo testo ha una particolare abilità anche psicanalitica.
La spiegazione
16Allora Daniele, chiamato Baltassàr, rimase per qualche tempo confuso e turbato dai suoi pensieri. Ma il re gli disse: «Baltassàr, il sogno non ti turbi e neppure la sua spiegazione». Rispose Baltassàr: «Signore mio, valga il sogno per i tuoi nemici e la sua spiegazione per i tuoi avversari.
L’interprete si sente a disagio perché deve dirgli delle cose brutte, pesanti e dice: speriamo che quello che hai visto valga per i tuoi nemici. È una formula di cortesia: porti male agli altri. Se uno sogna la propria morte dice che allunga la vita.
17L’albero che tu hai visto, alto e robusto, la cui cima giungeva fino al cielo ed era visibile per tutta la terra 18e le cui foglie erano belle e i frutti abbondanti e in cui c’era da mangiare per tutti e sotto il quale dimoravano le bestie della terra e sui cui rami abitavano gli uccelli del cielo, 19sei tu, o re, che sei diventato grande e forte; la tua grandezza è cresciuta, è giunta al cielo e il tuo dominio si è esteso fino all’estremità della terra. 20Che il re abbia visto un vigilante, un santo che discendeva dal cielo e diceva:
Qui viene ripetuto tutto, in modo tale che si ha la possibilità di memorizzare meglio quello che è stato detto.
v. 21questa, o re, ne è la spiegazione e questo è il decreto dell’Altissimo, che deve essere eseguito sopra il re, mio signore: 22Tu sarai cacciato dal consorzio umano e la tua dimora sarà con le bestie del campo; ti pascerai di erba come i buoi e sarai bagnato dalla rugiada del cielo; sette tempi passeranno su di te, finché tu riconosca che l’Altissimo domina sul regno degli uomini e che egli lo dà a chi vuole. 23L’ordine che è stato dato di lasciare il ceppo con le radici dell’albero significa che il tuo regno ti sarà ristabilito, quando avrai riconosciuto che al Cielo appartiene il dominio. 24Perciò, o re, accetta il mio consiglio: sconta i tuoi peccati con l’elemosina e le tue iniquità con atti di misericordia verso gli afflitti, perché tu possa godere lunga prosperità».
Il sogno non promette nulla di buono, tu sei un grande re, ma stanno per tagliarti e allora il consiglio è: comportati bene, fai penitenza dei tuoi peccati, redimi i peccati con l’elemosina.
v. 25Tutto questo accadde al re Nabucodònosor.
Questa è pura leggenda, è un elemento aneddotico raccontato come figura di incoraggiamento per i giudei che resistevano contro l’empio re Antioco.
La follia
v. 26Dodici mesi dopo, passeggiando sopra la terrazza del palazzo reale di Babilonia, 27il re prese a dire: «Non è questa la grande Babilonia che io ho costruito come reggia con la forza della mia potenza e per la gloria della mia maestà?». 28Queste parole erano ancora sulle labbra del re, quando una voce venne dal cielo: «A te io parlo, o re Nabucodònosor: il regno ti è tolto! 29Sarai cacciato dal consorzio umano e la tua dimora sarà con le bestie del campo;
E si ripete tutto quello che gli è stato detto.
30In quel momento stesso si adempì la parola sopra Nabucodònosor. Egli fu cacciato dal consorzio umano, mangiò l’erba come i buoi e il suo corpo fu bagnato dalla rugiada del cielo, i capelli gli crebbero come le penne alle aquile e le unghie come agli uccelli.
Diventa una bestia. Poi il discorso ritorna in prima persona
v. 31«Ma finito quel tempo io, Nabucodònosor, alzai gli occhi al cielo e la ragione tornò in me
Ecco che cosa è avvenuto, è andato fuori di testa, è venuto matto, gli ha dato di volta il cervello perché troppo potente, troppo ricco. Per sette anni il re è stato fuori di testa, è diventato una bestia; gli sono cresciuti i capelli come le penne alle aquile e le unghie come quelle degli uccelli. Gli è stato cambiato il cuore con un cuore di animale. È una immagine poetica, profetica, è l’immagine del re che è talmente potente che va fuori di testa, sragiona, si crede un Padreterno, diventa una bestia, per gli altri diventa una autentica bestia.
Questa immagine è recuperata nel Nabucco di Verdi dove c’è la persecuzione, la deportazione degli ebrei. Proprio nel cuore dell’opera intitolata Nabucco, perché dedicata a lui, c’è però questo dramma: a un certo punto il personaggio Nabucodonosor canta con tutte le forze: “Non son re, son Dio”, attimo di silenzio, tuono e fulmine che lo colpisce. Quando si rialza da terra è completamente fuori di testa, straparla e viene accompagnato, aiutato, riconosce il re di Israele, allora ritorna sul soglio e il coro finale gli canta “Servendo a Geova sarai dei regi il re”.
Nella Milano del primo ‘800 si usava il nome Geova prima che nascessero i Testimoni di Geova; era infatti il modo abituale per trascrivere il nome proprio di Dio. Quando si voleva dare un tono di linguaggio ebraico anziché Yahweh si adoperava la forma italianizzata in Geova.
Leggevano il Libro di Daniele e lo hanno applicato; chi ha fatto il libretto ha ripreso queste storie e ha creato un’opera tipicamente romantica, risorgimentale. Il testo originale è un testo poetico, simbolico, che mostra il giudizio sui re; i re che diventano pazzi per la loro presunzione. Nabucodonosor, rinsavito, scrive a tutti: prendete esempio da me, non fate come ho fatto io.
v. 31«Ma finito quel tempo io, Nabucodònosor, alzai gli occhi al cielo e la ragione tornò in me e benedissi l’Altissimo; lodai e glorificai colui che vive in eterno, il cui potere è potere eterno e il cui regno è di generazione in generazione. 32Tutti gli abitanti della terra sono, davanti a lui, come un nulla; egli tratta come vuole le schiere del cielo e gli abitanti della terra. Nessuno può fermargli la mano e dirgli: “Che cosa fai?”. 33In quel tempo tornò in me la conoscenza e, con la gloria del regno, mi fu restituita la mia maestà e il mio splendore: i miei ministri e i miei dignitari mi ricercarono e io fui ristabilito nel mio regno e mi fu concesso un potere anche più grande. 34Ora io, Nabucodònosor, lodo, esalto e glorifico il Re del cielo: tutte le sue opere sono vere e le sue vie sono giuste; egli ha il potere di umiliare coloro che camminano nella superbia».
Se lo dice Nabucodonosor potete credergli. È un altro testo di genere letterario diverso che ribadisce sempre la stessa idea: i potenti vengono umiliati, i piccoli vengono esaltati; è il tema del Magnificat.
Siamo arrivati a metà, siamo arrivati al cambio, perché adesso tutti i testi che troveremo sono speculari. Il capitolo 5 con la scena del banchetto corrisponde al giudizio di Nabucodonosor; Daniele nella fossa dei leoni corrisponde ai giovani nella fornace ardente; il sogno delle quattro bestie e del Figlio dell’uomo corrisponde alla statua d’oro dei quattro imperi. Tre scene e altre tre che si corrispondono a due a due.
L’empio banchetto di Baldassar (cap. 5)
Il Libro di Daniele nella prima parte propone alcune scene costruite in modo concentrico. Abbiamo visto le prime tre, capitolo 2, 3 e 4; adesso vediamo le altre che sono speculari, cioè riprendono la stessa impostazione. Il capitolo 5 è parallelo al 4, il capitolo 6 è parallelo al 3, il capitolo 7 è parallelo al 2.
Come nel cap. 4 c’è stata la narrazione della umiliazione del tiranno prepotente, Nabucodonosor, così nel capitolo 5 c’è l’umiliazione del re Badassar, [belsha’zzar].
5,1Il re Baldassàr imbandì un grande banchetto a mille dei suoi dignitari e insieme con loro si diede a bere vino.
Il testo che noi stiamo leggendo non è un’opera storica che voglia ricostruire una scena storicamente inquadrata, è semplicemente una antologia di esempi. Chi ha messo insieme questa prima parte del libro ha cucito con una certa armonia dei quadri distinti e differenti. Non c’è un filo logico fra il capitolo 4 e il 5, si salta da un re a un altro. Se uno vuole sapere delle informazioni deve leggere qualche altro testo, questo non gli dice nulla. Il re Baldassar viene presentato come figlio di Nabucodonosor, ma in realtà è un suo pronipote, è l’ultimo re babilonese della dinastia neo-babilonese, però l’inizio del libro che parla della deportazione è ambientato nel 597, mentre il re Baldassar viene sconfitto nel 539, sessanta anni dopo e Daniele è sempre lì, inossidabile. Vent’anni dopo, con Dario, ci sarà sempre, tranquillamente; cambiano le dinastie, cambiano i re, ma Daniele è sempre a corte. Noi moderni abbiamo questa abitudine di controllare le date, di verificare; per gli antichi invece un re valeva l’altro, erano tutti questi grandi personaggi dell’antichità, potenti e cattivi e quindi svolgevano la figura simbolica del tiranno.
Il racconto ci presenta il banchetto del re e il re Baldassar invita mille persone. È un banchetto abbondante, ha invitato dignitari in numero di mille; ci vuole una sala enorme e cominciano a bere vino.
Una scritta inquietante
v. 2Quando Baldassàr ebbe molto bevuto, comandò che fossero portati i vasi d’oro e d’argento che Nabucodònosor, suo padre, aveva asportato dal tempio di Gerusalemme, perché vi bevessero il re e i suoi dignitari, le sue mogli e le sue concubine.
Abbiamo notato che questi racconti hanno delle formule che si ripetono, quasi come una cantilena: sono frutto di narrazione popolare. Così in questo caso troveremo l’elenco dei dignitari, dei figli, delle mogli, delle concubine; formule che si ripetono quasi in una rima. Oltre a essere un banchetto, in cui i mille invitati si ubriacano, diventa una profanazione. Nabucodonosor aveva depredato il tempio di Gerusalemme, aveva portato via tanti vasi sacri. Pensate ai calici – oggetti usati per il culto a Gerusalemme – il re, ubriaco, li fa portare per bere dentro a quegli oggetti sacri, è un desiderio di profanazione.
v. 3Furono quindi portati i vasi d’oro, che erano stati asportati dal tempio di Dio a Gerusalemme, e il re, i suoi dignitari, le sue mogli e le sue concubine li usarono per bere; 4mentre bevevano il vino, lodavano gli dèi d’oro, d’argento, di bronzo, di ferro, di legno e di pietra. 5In quel momento apparvero le dita di una mano d’uomo, che si misero a scrivere sull’intonaco della parete del palazzo reale, di fronte al candelabro, e il re vide il palmo di quella mano che scriveva. 6Allora il re cambiò colore: spaventosi pensieri lo assalirono, le giunture dei suoi fianchi si allentarono, i suoi ginocchi battevano l’uno contro l’altro. 7Allora il re si mise a gridare, ordinando che si convocassero gli indovini, i Caldei e gli astrologi. Appena vennero, il re disse ai saggi di Babilonia: «Chiunque leggerà quella scrittura e me ne darà la spiegazione, sarà vestito di porpora, porterà una collana d’oro al collo e sarà terzo nel governo del regno». 8Allora entrarono tutti i saggi del re, ma non poterono leggere quella scrittura né darne al re la spiegazione.
È un motivo che abbiamo già visto più volte; c’è un mistero, i saggi pagani non sanno spiegarlo.
v. 9 Il re Baldassàr rimase molto turbato e cambiò colore; anche i suoi dignitari restarono sconcertati. 10La regina, alle parole del re e dei suoi dignitari, entrò nella sala del banchetto e, rivolta al re, gli disse: «O re, vivi in eterno! I tuoi pensieri non ti spaventino né si cambi il colore del tuo volto. 11C’è nel tuo regno un uomo nel quale è lo spirito degli dèi santi. Al tempo di tuo padre si trovò in lui luce, intelligenza e sapienza pari alla sapienza degli dèi. Il re Nabucodònosor, tuo padre, lo aveva fatto capo dei maghi, degli indovini, dei Caldei e degli astrologi. 12Fu riscontrato in questo Daniele, che il re aveva chiamato Baltassàr [stesso nome del re], uno spirito straordinario, intelligenza e capacità di interpretare sogni, spiegare enigmi, risolvere questioni difficili. Si convochi dunque Daniele ed egli darà la spiegazione».
La regina non è la moglie del re, è la madre, è quella che c’era una volta, che si ricorda di quel che era capitato ai tempi di Nabucodonosor; era già successo un fatto del genere e si era trovato colui che sapeva spiegare. L’avevano fatto capo, però nel frattempo è sparito, non si sa bene come mai non sia più così importante.
v. 13Fu allora introdotto Daniele alla presenza del re ed egli gli disse: «Sei tu Daniele, un deportato dei Giudei, che il re, mio padre, ha portato qui dalla Giudea? 14Ho inteso dire che tu possiedi lo spirito degli dèi santi e che si trova in te luce, intelligenza e sapienza straordinaria. 15Poco fa sono stati condotti alla mia presenza i saggi e gli indovini per leggere questa scrittura e darmene la spiegazione, ma non sono stati capaci di rivelarne il significato. 16Ora, mi è stato detto che tu sei esperto nel dare spiegazioni e risolvere questioni difficili. Se quindi potrai leggermi questa scrittura e darmene la spiegazione, tu sarai vestito di porpora, porterai al collo una collana d’oro e sarai terzo nel governo del regno».
Daniele interpreta la scritta
Notiamo come le cose vengono ripetute due o tre volte, è un tipico procedimento popolare, è il modo di procedere della favola.
v. 17Daniele rispose al re: «Tieni pure i tuoi doni per te e dà ad altri i tuoi regali: tuttavia io leggerò la scrittura al re e gliene darò la spiegazione.
È una risposta scostante e Daniele appare come modello del giudeo saggio, sapiente che non prende regali dai pagani, non vuole nessun vantaggio per sé, ma la spiegazione la sa dare.
v. 18O re, il Dio altissimo aveva dato a Nabucodònosor, tuo padre, regno, grandezza, gloria e maestà. 19Per questa grandezza che aveva ricevuto, tutti i popoli, nazioni e lingue lo temevano e tremavano davanti a lui: egli uccideva chi voleva e faceva vivere chi voleva, innalzava chi voleva e abbassava chi voleva. 20Ma, quando il suo cuore si insuperbì e il suo spirito si ostinò nell’alterigia, fu deposto dal trono del suo regno e gli fu tolta la sua gloria.
Riferimento al capitolo 4, è un riassunto di quello che abbiamo già letto.
v. 21Fu cacciato dal consorzio umano e il suo cuore divenne simile a quello delle bestie, la sua dimora fu con gli asini selvatici e mangiò l’erba come i buoi, il suo corpo fu bagnato dalla rugiada del cielo, finché riconobbe che il Dio altissimo domina sul regno degli uomini, sul quale colloca chi gli piace. 22Tu, Baldassàr, suo figlio, non hai umiliato il tuo cuore, sebbene tu fossi a conoscenza di tutto questo.
Avresti dovuto imparare da quel che è capitato a tuo padre: il Signore gli ha dato il potere, ma lui, arrogante, si è creduto un padreterno e quindi fu umiliato. Tu, che conoscevi questa storia, avresti dovuto essere umile nel tuo potere, invece non hai imparato niente…
v. 23Anzi, ti sei innalzato contro il Signore del cielo e sono stati portati davanti a te i vasi del suo tempio e in essi avete bevuto tu, i tuoi dignitari, le tue mogli, le tue concubine: tu hai reso lode agli dèi d’argento, d’oro, di bronzo, di ferro, di legno, di pietra, i quali non vedono, non odono e non comprendono, e non hai glorificato Dio, nelle cui mani è la tua vita e a cui appartengono tutte le tue vie. 24Da lui fu allora mandato il palmo di quella mano che ha tracciato quello scritto. 25E questo è lo scritto tracciato: Mene, Tekel, Peres, 26e questa ne è l’interpretazione:
Questo testo è scritto in aramaico, le parole scritte non si capisce bene in che lingua siano ed è un gioco, perché queste tre parole corrispondono a tre monete, tre nomi di monete correnti nel mondo aramaico-giudaico. “Mene” corrisponde alla mina; anche nel vangelo secondo Luca c’è una parabola dove si parla delle dieci mine, dei dieci servi a cui il padrone dà una mina o la donna che l’ha persa. Là sono le dracme. La mina è una moneta, “mn” è il verbo della misura, noi lo abbiamo conservato nella parola almanacco, una parola araba, è la misura dei giorni: “Al ma-na”. Al è l’articolo, al-manak: è il misuratore; quindi mene è la moneta (mina) con il riferimento al misurare. Che cosa vuol dire che ha scritto un riferimento alla mina? Mene: Dio ha contato il tuo regno e gli ha posto fine; Sei stato misurato, ti ha preso le misure, basta! Vediamo adesso la seconda parola, “Tekel”. In aramaico spesso la “t” (tau) sostituisce la “sh” (shin); tékel corrisponde all’ebraico shekel; ancora oggi la moneta israeliana è lo shekel, ovvero il siclo, le banconote attuali in commercio in Israele sono dette scekalîm. Cinque shekel fanno un euro. Shekel è la misura del peso e Daniele allora interpreta:
v. 27Tekel: tu sei stato pesato sulle bilance e sei stato trovato insufficiente;
Ti hanno misurato e hanno detto “basta!”, ti hanno pesato e hanno detto “scarso!”. “Perez” è quello che noi chiamiamo lo spicciolo, i rotti, cioè le monete divise, quelle piccole che servono per fare i piccoli conti. Paruz, perez vuol dire frattura, divisione. Noi nel gergo parlato li chiamiamo “i rotti”; per dire: mille euro e rotti.
28Perez: il tuo regno è stato diviso e dato ai Medi e ai Persiani».
Il regno è rotto. Questa mano misteriosa ha scritto una mina, un siclo, un peres e vuol dire che hanno detto fine, sei scarso, il tuo regno è diviso in due.
v. 29Allora, per ordine di Baldassàr, Daniele fu vestito di porpora, ebbe una collana d’oro al collo e con bando pubblico fu dichiarato terzo nel governo del regno. 30In quella stessa notte Baldassàr, re dei Caldei, fu ucciso.
Non si capisce quando abbiano fatto questo bando per farlo diventare la terza persona più importante del regno, perché nella notte stessa Baldassar fu ammazzato e ci fu la conquista da parte dei persiani. Il racconto non ha assolutamente un fondamento storico, è una leggenda agiografica in cui si mostra, ancora una volta, la potenza interpretativa di Daniele e c’è questo gioco enigmatico sapienziale delle monete. I destinatari di allora capivano molto più facilmente di noi questi giochi di riferimento con le monete correnti. Baldassar, essendosi inorgoglito, è stato giudicato e condannato.
6,1Dario il Medo ricevette il regno, all’età di circa sessantadue anni.
Peccato che la conquista l’abbia fatta Ciro il Grande e dopo molti anni di regno gli successe il figlio Cambise e solo dopo parecchi altri anni prese il regno Dario. Sono quindi saltati due imperatori persiani. Ciro lo conosciamo bene perché è nominato dal profeta Isaia nel racconto del ritorno dall’esilio ed è un personaggio importante che qui viene omesso.
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Corso Biblico tenuto da Don Claudio Doglio alle Monache Carmelitane di Genova nei mesi di ottobre-dicembre 2011