Nel precedente incontro abbiamo detto che il Libro di Daniele non è un libro profetico e non è stato scritto da Daniele; è un testo apocalittico, cioè consolatorio, finalizzato a incoraggiare i poveri di Dio, gli anawîm e i fedeli, i chassidîm, nel momento della lotta contro l’oppressore ellenista; è un testo scritto tra il 167 e il 164 durante il periodo della lotta partigiana di resistenza. È un libro antologico, cioè comprende tante storie slegate l’una dall’altra; è quindi una serie di racconti tenuti insieme dal personaggio Daniele che ha connotazioni differenti. Abbiamo letto il primo capitolo dove la prova alimentare serve per dimostrare ai giovani che – avendo il coraggio della fedeltà alle proprie tradizioni – si può riuscire ancora meglio.

Il capitolo 2, di tutt’altro genere, è quello decisamente apocalittico, rivelatore della storia futura, però l’elemento interessante è che l’autore – che scrive nel II secolo – fa parlare un personaggio vissuto nel VI secolo, quindi ci sono più di quattrocento anni di distanza che lui può colmare con delle previsioni. In realtà non sono previsioni, ma quello che è importante è la parola finale che riguarda proprio il momento storico in cui il libro nasce e i primi lettori lo ascoltano. È il momento in cui si garantisce che il Signore interverrà a salvare.

L’autore ci ha presentato una ampia descrizione della statua che simboleggia i quattro imperi, ma tutto l’accento cade alla fine sulla pietra – non mossa da mano d’uomo – che rompe i piedi, distrugge il potere umano mentre essa stessa diventa una montagna, figura cristologica.

Al capitolo 3, troviamo un nuovo racconto incentrato su una statua. Alla fine del capitolo 2 Nabucodonosor si è convertito, ha fatto una professione di fede enorme, è deciso a riconoscere l’unico Dio, ma… al capitolo seguente se lo è tranquillamente dimenticato. Non è infatti un racconto storico, Nabucodonosor non divenne mai ebreo, non si convertì, è invece la figura emblematica del grande re avverso che, di fronte alla manifestazione di Dio, riconosce la potenza dell’Altissimo.

La “schifezza che svuota”

3,1 Il re Nabucodònosor aveva fatto costruire una statua d’oro,

Ritorna l’idea ostinata della statua, perché stava proprio sullo stomaco quella statua che Antioco IV Epifane aveva fatto mettere nel tempio. Avevano anche coniato una espressione ebraica, tradotta in greco, che in italiano è resa con “abominio della desolazione”. Io preferisco tradurre “schifezza che svuota”, perché il termine originale usato è proprio quello che indica una schifezza.
“Abominio” nel nostro linguaggio non è adoperato, il termine ebraico indica invece una cosa sporca, repellente, che uno non osa assolutamente toccare; è un termine volgare che deve essere reso con un altro termine volgare, appunto tipo schifezza.
“Desolazione” è termine dotto, ma de-solare vuol dire lasciare solo, è quindi svuotare; svuotare di cosa? Della presenza di Dio. Quella statua è una schifezza che offende Dio allontanandolo dal tempio, quindi lo sconsacra. L’abominio della desolazione è una cosa brutta che rende vuoto il tempio: non c’è più la presenza di Dio. Ecco perché l’immaginario fa elaborare queste storie. Questa del capitolo 3 è molto più simile alla situazione concreta: c’è una statua di una divinità pagana che deve essere adorata.

3,1 Il re Nabucodònosor aveva fatto costruire una statua d’oro, alta sessanta cubiti e larga sei,

Cioè alta circa trenta metri – come un palazzo di dieci piani – e larga tre: un po ‘sproporzionata”.

e l’aveva fatta erigere nella pianura di Dura, nella provincia di Babilonia. 2Quindi il re Nabucodònosor aveva convocato i sàtrapi, i governatori, i prefetti, i consiglieri, i tesorieri, i giudici, i questori e tutte le alte autorità delle province, perché presenziassero all’inaugurazione della statua che il re Nabucodònosor aveva fatto erigere.

Questa è una storia narrata con ironia, ha un linguaggio letterario che assomiglia a quello delle favole e ha delle ripetizioni che servono proprio ad aiutare gli ascoltatori a finire la frase prima che il narratore la completi; diventa quasi un gioco. Così anche gli elenchi danno un tono di importanza; ci sono anche delle formule che si ripetono come la convocazione di tutti questi tipi. È inutile, ma l’elenco di tutti i pezzi grossi deve dare l’impressione che ci sono proprio tutti: tutti i capi e i potenti sono lì presenti.

v. 3 I sàtrapi, i governatori, i prefetti, i consiglieri, i tesorieri, i giudici, i questori e tutte le alte autorità delle province vennero all’inaugurazione della statua che aveva fatto erigere il re Nabucodònosor. Essi si disposero davanti alla statua fatta erigere da Nabucodònosor. 4Un banditore gridò ad alta voce: «Popoli, nazioni e lingue, a voi è rivolto questo proclama: 5Quando voi udrete il suono del corno, del flauto, della cetra, dell’arpa, del salterio, della zampogna e di ogni specie di strumenti musicali, vi prostrerete e adorerete la statua d’oro che il re Nabucodònosor ha fatto. 6Chiunque non si prostrerà e non adorerà, in quel medesimo istante sarà gettato in mezzo a una fornace di fuoco ardente». 7Perciò tutti i popoli, nazioni e lingue, non appena ebbero udito il suono del corno, del flauto, della cetra, dell’arpa, del salterio e di ogni specie di strumenti musicali, si prostrarono e adorarono la statua d’oro che il re Nabucodònosor aveva fatto erigere.

Nell’originale la formula è ancora più simile per cui quando la raccontano ai bambini alla terza volta la sanno già. Quindi appena inizia il racconto vengono dietro e la completano anche loro.

v. 8Però in quel momento alcuni Caldei si fecero avanti per accusare i Giudei 9e andarono a dire al re Nabucodònosor: «O re, vivi per sempre! 10Tu hai decretato, o re, che chiunque avrà udito il suono del corno, del flauto, della cetra, dell’arpa, del salterio, della zampogna e di ogni specie di strumenti musicali, deve prostrarsi e adorare la statua d’oro: 11chiunque non si prostrerà e non l’adorerà, sia gettato in mezzo a una fornace di fuoco ardente.

Ripentendo le stesse formule si memorizzano e alla fine la sapete ri-raccontare perché l’avete sentita due o tre volte in un colpo solo.

v. 12Ora, ci sono alcuni Giudei, che hai fatto amministratori della provincia di Babilonia, cioè Sadrac, Mesac e Abdènego, che non ti obbediscono, o re: non servono i tuoi dèi e non adorano la statua d’oro che tu hai fatto erigere».

Daniele non c’è, in questa storia Daniele manca, ci sono solo gli altri tre.

v. 13Allora Nabucodònosor, sdegnato e adirato, comandò che gli si conducessero Sadrac, Mesac e Abdènego, e questi comparvero alla presenza del re. 14Nabucodònosor disse loro: «È vero, Sadrac, Mesac e Abdènego, che voi non servite i miei dèi e non adorate la statua d’oro che io ho fatto erigere? 15Ora se voi, quando udrete il suono del corno, del flauto, della cetra, dell’arpa, del salterio, della zampogna e di ogni specie di strumenti musicali, sarete pronti a prostrarvi e adorare la statua che io ho fatto, bene; altrimenti, in quel medesimo istante, sarete gettati in mezzo a una fornace di fuoco ardente. Quale dio vi potrà liberare dalla mia mano?».

Nabucodonosor è il grande cattivo, prepotente, che vuole l’adorazione della statua d’oro. I tre sono i fedeli giudei, osservanti della legge, che rifiutano il culto degli idoli.

v. 16Ma Sadrac, Mesac e Abdènego risposero al re Nabucodònosor: «Noi non abbiamo bisogno di darti alcuna risposta in proposito; 17sappi però che il nostro Dio, che serviamo, può liberarci dalla fornace di fuoco ardente e dalla tua mano, o re.

Il nostro Dio può liberarci. Noi siamo pronti a passare attraverso il fuoco perché ci fidiamo del nostro Dio.

v. 18Ma anche se non ci liberasse, sappi, o re, che noi non serviremo mai i tuoi dèi e non adoreremo la statua d’oro che tu hai eretto».

Noi siamo convinti che ci libererà, siamo pronti anche a morire, ma non cediamo.

v. 19Allora Nabucodònosor fu pieno d’ira e il suo aspetto si alterò nei confronti di Sadrac, Mesac e Abdènego, e ordinò che si aumentasse il fuoco della fornace sette volte più del solito. 20Poi, ad alcuni uomini fra i più forti del suo esercito, comandò di legare Sadrac, Mesac e Abdènego e gettarli nella fornace di fuoco ardente. 21Furono infatti legati, vestiti come erano, con i mantelli, i calzari, i copricapi e tutti i loro abiti, e gettati in mezzo alla fornace di fuoco ardente. 22Poiché l’ordine del re urgeva e la fornace era ben accesa, la fiamma del fuoco uccise coloro che vi avevano gettato Sadrac, Mesac e Abdènego. 23E questi tre, Sadrac, Mesac e Abdènego, caddero legati nella fornace di fuoco ardente.

Riconosciamo che molte espressioni sono entrate nell’Apocalisse. Il Libro di Daniele ha influenzato il linguaggio di Giovanni; la fornace di fuoco ardente ricompare infatti nel finale dell’Apocalisse; nazioni, popoli e lingue è un’altra espressione che è entrata. A questo punto il testo greco è molto più lungo del testo aramaico, perché il testo aramaico arriva subito alla conclusione, mentre il testo greco ha inserito qui due preghiere; sono testi deuterocanonici, cioè non riconosciuti dalla tradizione ebraica e sono la preghiera di Azaria nella fornace e il cantico dei tre fanciulli: Sadrac, Mesac e Abdènego.
Questi due testi non appartengono al Libro di Daniele nella prima edizione, ma sono una aggiunta successiva quando hanno tradotto il testo in greco. È una ulteriore aggiunta alla antologia; essendo una raccolta di testi, i redattori finali del libro hanno inserito queste preghiere all’interno del racconto.
Sono due testi che noi adoperiamo frequentemente; nella liturgia delle ore il cantico di Azaria compare alle lodi come cantico e anche il cantico dei tre fanciulli, sappiamo bene, è frequente nel suo uso domenicale a tutte le feste.

v. 24Essi passeggiavano in mezzo alle fiamme, lodavano Dio e benedicevano il Signore.

La preghiera di Azaria

Notiamo intanto che il nome straniero è stato evitato, questa volta non si chiama Sadrac, ma Azaria ed è un nome che è un programma, è lo stesso nome di Lazzaro.
Azaria è « ‘azar–Ya », cioè “Yahweh (il Signore) aiuta”, è l’immagine della provvidenza di Dio. L’arcangelo Raffaele, quando si presenta a Tobia, si presenta con uno pseudonimo, si chiama Azaria, prende cioè questo nome che è il nome dell’aiuto di Dio, concretamente. Questo testo che viene riproposto è un testo poetico, una specie di salmo, composto nel circolo dei chassidîm; è la preghiera di un fedele in mezzo alla fornace.
La collocazione è molto importante, perché la fornace è il simbolo del male, è la persecuzione; in mezzo a una situazione difficile in cui uno si trova – perché fedele al Signore, perché non ha voluto adorare la statua del re idolatra – alza questa preghiera, quindi diventa la preghiera dei poveri perseguitati.

v. 25Azaria si alzò e fece questa preghiera in mezzo al fuoco e aprendo la bocca disse: 26«Benedetto sei tu, Signore, Dio dei nostri padri; degno di lode e glorioso è il tuo nome per sempre.

È una benedizione, una berākāh, inizia con bārūk ‘attāh ‘ădōnāy “benedetto sei tu, Signore”.

v. 27Tu sei giusto in tutto ciò che ci hai fatto; tutte le tue opere sono vere, rette le tue vie e giusti tutti i tuoi giudizi.

Non critichiamo la tua opera, le cose vanno male per noi, ma se vanno così è giusto che vadano così.

v. 28Giusto è stato il tuo giudizio per quanto hai fatto ricadere su di noi e sulla città santa dei nostri padri, Gerusalemme. Con verità e giustizia tu ci hai inflitto tutto questo a causa dei nostri peccati,

Se siamo perseguitati è perché siamo stati peccatori, se lo hai fatto hai fatto bene.

v. 29poiché noi abbiamo peccato, abbiamo agito da iniqui, allontanandoci da te, abbiamo mancato in ogni modo. Non abbiamo obbedito ai tuoi comandamenti, 30non li abbiamo osservati, non abbiamo fatto quanto ci avevi ordinato per il nostro bene.

Teniamo conto che è la preghiera di un uomo fedelissimo che è nella fornace proprio per la sua fedeltà, però diventa l’esemplare del penitente che non dà la colpa a Dio, ma riconosce in modo solidale con il popolo la propria colpa e chiede perdono.

v. 31Ora, quanto hai fatto ricadere su di noi, tutto ciò che ci hai fatto, l’hai fatto con retto giudizio:

Lo ripete parecchie volte.

v. 32ci hai dato in potere dei nostri nemici, ingiusti, i peggiori fra gli empi, e di un re iniquo, il più malvagio su tutta la terra.

Sembra che sia Nabucodonosor, ma in realtà quelli che lo dicono pensano ad Antioco IV Epifane e alla loro attuale situazione di oppressione; tuttavia i chassidîm affermano: se ci hai messi in mano a questi nemici un motivo ci sarà, noi abbiamo sbagliato e quindi è giusto che tu abbia fatto così.

v. 33Ora non osiamo aprire la bocca: disonore e disprezzo sono toccati a quelli che ti servono, a quelli che ti adorano. 34Non ci abbandonare fino in fondo, per amore del tuo nome, non infrangere la tua alleanza; 35non ritirare da noi la tua misericordia, per amore di Abramo, tuo amico, di Isacco, tuo servo, di Israele, tuo santo, 36ai quali hai parlato, promettendo di moltiplicare la loro stirpe come le stelle del cielo, come la sabbia sulla spiaggia del mare.

Noi abbiamo peccato, tu hai fatto bene, ma ricordati della tua alleanza, non ci abbandonare fino in fondo, non distruggere il popolo che tu hai promesso ai nostri padri. Tu avevi promesso di moltiplicarci…

v. 37Ora invece, Signore, noi siamo diventati più piccoli di qualunque altra nazione, oggi siamo umiliati per tutta la terra a causa dei nostri peccati.

D’accordo, la colpa è nostra, però tu avevi promesso di moltiplicarci; se non ci siamo moltiplicati è perché noi siamo peccatori, ma da parte tua sii fedele. Tu avevi promesso, ma…

v. 38Ora non abbiamo più né principe né profeta né capo né olocausto né sacrificio né oblazione né incenso né luogo per presentarti le primizie e trovare misericordia.

Non ci è più possibile né il culto, né la liturgia e allora? Allora il sacrificio spirituale è l’unico possibile.

v. 39Potessimo essere accolti con il cuore contrito e con lo spirito umiliato,

Sono le stesse espressioni del Salmo 50. Noi non possiamo più offrirti i sacrifici nel tempio, allora il nostro sacrificio è il cuore contrito, lo spirito umiliato ed è…

come olocausti di montoni e di tori, come migliaia di grassi agnelli.

Vale più il cuore contrito che migliaia di grassi agnelli.

v. 40Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a te e ti sia gradito, perché non c’è delusione per coloro che confidano in te. 41Ora ti seguiamo con tutto il cuore, ti temiamo e cerchiamo il tuo volto, non coprirci di vergogna. 42Fa’ con noi secondo la tua clemenza, secondo la tua grande misericordia. 43Salvaci con i tuoi prodigi, da’ gloria al tuo nome, Signore. 44Siano invece confusi quanti mostrano il male ai tuoi servi, siano coperti di vergogna, privati della loro potenza e del loro dominio, e sia infranta la loro forza! 45Sappiano che tu sei il Signore, il Dio unico e glorioso su tutta la terra».

Questa è una preghiera della resistenza chassidica – liturgia penitenziale che fa memoria dei peccati del popolo e della promessa dell’alleanza di Dio – e alla fine chiede: intervieni e salvaci, libera noi e distruggi i nemici; noi promettiamo di esserti fedeli. È l’emblematica preghiera di Azaria nella fornace, dell’uomo che confida nell’aiuto di Dio.

v. 46I servi del re, che li avevano gettati dentro, non cessarono di aumentare il fuoco nella fornace, con bitume, stoppa, pece e sarmenti. 47La fiamma si alzava quarantanove cubiti sopra la fornace 48e uscendo bruciò quei Caldei che si trovavano vicino alla fornace.

La protezione divina

C’è un fuoco talmente forte che esce addirittura fuori dal tetto e brucia tutti quelli che buttavano la legna dentro.

v. 49Ma l’angelo del Signore, che era sceso con Azaria e con i suoi compagni nella fornace, allontanò da loro la fiamma del fuoco della fornace 50e rese l’interno della fornace come se vi soffiasse dentro un vento pieno di rugiada. Così il fuoco non li toccò affatto, non fece loro alcun male, non diede loro alcuna molestia.

Si è venuta a creare una camera d’aria bella fresca come un venticello di rugiada. L’angelo del Signore si è aggiunto ai tre uomini legati in mezzo al fuoco senza alcun danno. Immaginate quindi questa bolla che li racchiude e protegge. In mezzo alle disgrazie, alla persecuzione che sta imperversando, quei tre giovani fedeli sono salvati dall’angelo del Signore.

Il cantico dei tre giovani

Questo cantico dei tre giovani è un cantico delle creature che passa in rassegna tutto il creato, ma ricordiamo che chi lo dice sono tre condannati a morte. Sono tre persone che si trovano nella fornace del fuoco ardente, quindi non sono in villeggiatura sui monti a guardare la bellezza del creato, ma sono nel pieno del turbamento. Si tratta quindi di un atto di grande fiducia nella bontà del mondo nonostante tutto vada male.
I testi che noi adoperiamo nella liturgia – ci sono due cantici tratti da questo unico testo – non sono la riproduzione fedele del testo biblico, ma sono un adattamento, perché noi lo troviamo già abbastanza lungo e ripetitivo; nell’originale lo è però ancora di più.

v. 51Allora quei tre giovani, a una sola voce, si misero a lodare, a glorificare, a benedire Dio nella fornace dicendo: 52«Benedetto sei tu, Signore, Dio dei padri nostri, degno di lode e di gloria nei secoli. Benedetto il tuo nome glorioso e santo, degno di lode e di gloria nei secoli. 53Benedetto sei tu nel tuo tempio santo, glorioso, degno di lode e di gloria nei secoli.

C’è una serie di formule che iniziano tutte con “Benedetto sei tu” e l’altro coro risponde sempre lo stesso ritornello “Degno di gloria e di lode nei secoli”. Poi inizia l’invito alle creature:

v. 57Benedite, opere tutte del Signore, il Signore,

E ogni volta c’è il ritornello… lodatelo ed esaltatelo nei secoli. Quindi il secondo coro ripete sempre “Lodatelo ed esaltatelo nei secoli”, mentre il primo coro fa l’elenco di tutte le opere del creato. Comincia con gli angeli, poi i cieli e le acque che sono sopra i cieli – la cosmogonia è proprio quella di Gn 1 – “potenze tutte del Signore”, sono quindi tutti gli elementi che stanno al di sopra del cielo, tutte le forze celesti. Poi, venendo sotto il firmamento, ecco sole e luna, stelle del cielo, piogge e rugiade, venti, fuoco e calore, freddo e caldo, rugiada e brina, gelo e freddo, ghiacci e nevi, notti e giorni, luce e tenebre, folgori e nubi. Proseguendo si arriva così alla terra: monti e colline, creature tutte che germinate sulla terra, sorgenti, mari e fiumi, mostri marini e quanto si muove nell’acqua, uccelli tutti dell’aria, animali tutti, selvaggi e domestici; poi ancora i figli dell’uomo.

Quindi dopo quello che è sopra il cielo, quello che è nel cielo, quello che è sulla terra, quello che è nelle acque, gli animali e finalmente l’uomo… si arriva al vertice: figli dell’uomo in genere, figli di Israele, poi sacerdoti del Signore, servi del Signore, spiriti e anime dei giusti, santi e umili di cuore. Ecco la descrizione dei chassidîm, Anania, Azaria, Misaele.

Nel testo della LXX hanno aggiunto apostoli del Signore, martiri e profeti e sono diventate le litanie dei santi. Chiaramente è una aggiunta liturgica dei bizantini, però nei codici della LXX riproducevano quello.

Gli ultimi versetti non li adoperiamo; il testo finisce con

v. 88Benedite, Anania, Azaria e Misaele, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli, perché ci ha liberati dagl’inferi, e salvati dalla mano della morte, ci ha liberati dalla fiamma ardente, ci ha liberati dal fuoco. 89Lodate il Signore, perché egli è buono, perché eterna è la sua misericordia. 90Benedite, voi tutti che temete il Signore, il Dio degli dèi, lodatelo e celebratelo, perché eterna è la sua misericordia».

L’elemento importante che dà la contestualizzazione di questo inno è “Ci ha liberati dagli inferi, ci ha salvati dalla mano della morte”.
Nella vecchia liturgia questo testo faceva parte delle letture del sabato santo ed era l’ultima lettura che veniva proclamata nella veglia prima del Gloria; c’era quindi anche il Cantico delle creature. È una tradizione antica, i bizantini l’hanno ancora; per loro il Cantico delle creature è il tipico inno del sabato santo.
I tre giovani che emergono dalla fornace ardente sono la figura trinitaria, sono l’immagine della Trinità, del fuoco inaccessibile, della umanità nel grembo della Vergine Maria, la divinità che diventa uomo, il fuoco della divinità che non distrugge. Diventa il simbolo della risurrezione, tre, tre giorni, del ritorno dal fuoco degli inferi, dal mondo della morte: sono un simbolo di risurrezione.
Nelle catacombe romane i tre giovani in mezzo alle fiamme sono uno dei primi simboli rappresentati; era un modo per raffigurare l’immagine della Trinità e della risurrezione. L’altro simbolo antico è Giona, sono due simboli della risurrezione.

Una esperienza “bizantina”

I bizantini nella messa del sabato santo, al mattino del sabato, cantano la messa della discesa agli inferi, quindi per loro il sabato santo è liturgico. Il venerdì non c’è assolutamente celebrazione eucaristica e nemmeno comunioni, invece il sabato già al mattino è la messa della discesa agli inferi e poi la messa di Pasqua è a partire dalla mezzanotte; deve essere proprio del giorno dopo.

Qualche anno fa sono stato a Grotta Ferrata a fare il Triduo Pasquale ed è stata una bella esperienza perché ho vissuto tre giorni da monaco basiliano con i loro orari e il venerdì santo. Ho contato: siamo stati in coro e loro hanno cantato quattordici ore, quindi hanno fatto quattordici ore di ufficio cantato. La prima parte dell’ufficio è iniziata alle quattro del mattino ed è finita alle sette, tre ore senza respirare, finisce uno e attacca l’altro. Hanno letto tanti di quei vangeli anche perché comincia in modo assoluto.
È suonata la tavola nel corridoio alle tre e mezza del venerdì santo, alla quattro è buio, tutti giù senza accendere le luci, poi hanno cominciato. Uno si è messo in mezzo al coro e ha letto, cantandolo in greco, il vangelo secondo Giovanni nei capitoli 13,14,15,16,e 17. Alle quattro del mattino nella chiesa al buio ha cantato di seguito cinque capitoli. Quando finisce la lettura si ritira e altri due cantori iniziano i salmi e così tutti i vangeli della passione, tutti e quattro, tutto Matteo, tutto Marco, tutto Luca e tutto Giovanni: tre ore, è una giornata a-liturgica.
Invece il sabato mattina c’è la messa solenne della discesa agli inferi con il Cantico dei fanciulli e mentre il coro canta con un bel tono vivace, il sacerdote celebrante prende una cesta con foglie di alloro e gira per la chiesa tirando foglie di alloro.
Così facendo riempie tutta la chiesa di foglie di alloro che hanno un profumo molto forte; quindi bisogna pestarle e si riempie la chiesa con questo profumo: è il segno di vittoria.
Anche noi abbiamo conservato l’uso di questo testo e quando lo adoperiamo frequentemente a noi non sembra così bello come testo; effettivamente è solo un passare in rassegna le opere della creazione, però è importante contestualizzarlo.

L’elemento importante di questo testo è infatti il riferimento alla liberazione dalla morte, è la preghiera dei redenti, di coloro che sono stati tirati fuori dalla fornace della morte, è il cantico dei redenti, dei risorti. È quindi un creato che – nonostante tutto il male che c’è – viene riconosciuto buono nelle sue profondità.
Ripeto, queste due preghiere sono cunei aggiunti, presi dalla tradizione dei chassidîm greci; il racconto di qualche anno precedente non contemplava questi due testi.

Una felice conclusione

La storia si conclude, naturalmente, in modo positivo.

v. 91Allora il re Nabucodònosor rimase stupito e alzatosi in fretta si rivolse ai suoi ministri: «Non abbiamo noi gettato tre uomini legati in mezzo al fuoco?». «Certo, o re», risposero. 92Egli soggiunse: «Ecco, io vedo quattro uomini sciolti, i quali camminano in mezzo al fuoco, senza subirne alcun danno; anzi il quarto è simile nell’aspetto a un figlio di dèi».

È l’angelo del Signore che ha sciolto dalle catene i tre condannati; “ne abbiamo messo tre legati”, adesso però ce ne sono quattro liberi e senza alcun danno.

v. 93Allora Nabucodònosor si accostò alla bocca della fornace di fuoco ardente e prese a dire: «Sadrac, Mesac, Abdènego, servi del Dio altissimo, uscite, venite fuori». Allora Sadrac, Mesac e Abdènego uscirono dal fuoco. 94Quindi i sàtrapi, i governatori, i prefetti e i ministri del re si radunarono e, guardando quegli uomini, videro che sopra i loro corpi il fuoco non aveva avuto nessun potere, che neppure un capello del loro capo era stato bruciato e i loro mantelli non erano stati toccati e neppure l’odore del fuoco era penetrato in essi.

Sapete bene che odore lascia il fuoco, basta bruciare un filo di lana e si sente subito una puzza notevole, se poi uno straccio con cui si tiene una pentola tocca il fuoco si sente subito un odore molto acre, sembra che sia bruciata la cucina intera. Questi qui invece, con i mantelli nel fuoco, non avevano neppure l‟odore del fumo.
Di nuovo, adesso, c‟è la conversione del cattivissimo re straniero.

v. 95Nabucodònosor prese a dire: «Benedetto il Dio di Sadrac, Mesac e Abdènego, il quale ha mandato il suo angelo e ha liberato i servi che hanno confidato in lui;

Ricordiamo che negli Atti degli Apostoli san Pietro, liberato dalla prigione, dice: “Il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha liberato dalle mani di Erode” è un linguaggio che appartiene a questo ambiente. Dio manda il suo angelo a liberare i suoi fedeli.

hanno trasgredito il comando del re e hanno esposto i loro corpi per non servire e per non adorare alcun altro dio all’infuori del loro Dio.

Spesso le orazioni e le antifone del comune dei martiri richiamano questi termini, queste espressioni.

v. 96Perciò io decreto che chiunque, a qualsiasi popolo, nazione o lingua appartenga, proferirà offesa contro il Dio di Sadrac, Mesac e Abdènego, sia fatto a pezzi e la sua casa sia ridotta a letamaio, poiché non c’è nessun altro dio che possa liberare allo stesso modo».

L’idea di trasformare le case in letamai piaceva molto a quell’ambiente, quindi Nabucodonosor quando si arrabbia minaccia sempre questa punizione. Nessuno perciò deve parlar male del Dio di Israele perché è il meglio che ci sia

v. 97Da allora il re diede autorità a Sadrac, Mesac e Abdènego nella provincia di Babilonia.

E… vissero tutti felici e contenti. Il racconto deve incoraggiare ad affrontare qualunque re e qualunque persecuzione, perché il Signore libera.

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Corso Biblico tenuto da Don Claudio Doglio alle Monache Carmelitane di Genova nei mesi di ottobre-dicembre 2011